Scheda sintetica
Il contratto di agenzia è disciplinato dal Codice civile art. 1742 e successivi, oltre che dagli Accordi collettivi economici sottoscritti con le organizzazioni sindacali.
La normativa nazionale è stata da ultimo modifica in modo rilevante nel 1999, per renderla compatibile con quella comunitaria (Direttiva n. 86/653/CEE)
Si tratta di un contratto, che deve essere provato per iscritto, con cui una parte (agente) assume stabilmente l’incarico di promuovere per conto dell’altra (preponente) la conclusione di contratti in una zona determinata.
L’incarico di promuovere comprende l’analisi attenta della zona assegnata, l’individuazione dei possibili interessati, la conduzione di trattative, la trasmissione delle proposte e delle controproposte ecc.: esso è distinto da quello di concludere i contratti, anzi la conclusione resta spesso affidata alla ditta preponente che sottoscrive il contratto preparato dall’agente.
Condizione essenziale del rapporto di agenzia è il carattere stabile, cioè sistematico e continuativo, dell’attività promozionale esercitata dall’agente nell’interesse del preponente; il compenso per questa attività (provvigione) consiste di solito in una percentuale sul valore di ogni affare concluso.
La legge italiana prevede per l’agente l’obbligo di iscrizione all’Albo.
Tuttavia recentemente la giurisprudenza è intervenuta su tale argomento evidenziando l’incompatibilità tra normativa italiana e comunitaria, e sollecitando un intervento disapplicativo.
Normalmente il contratto di agenzia prevede il pagamento dell’agente in forma provvigionale. Tuttavia a volte può essere introdotta una particolare clausola detta ““patto dello star del credere”, la quale prevede che, nel caso di affari non andati a buon fine, l’agente non solo non percepisca alcuna provvigione, ma che sia tenuto a sopportare in parte le perdite conseguentemente subite dal preponente.
La possibilità di inserire un simile patto è stata però notevolmente limitata dalla L. 526/99, mediante l’introduzione di un nuovo comma all’art. 1746 c.c..
Il contratto può prevedere, entro certi limiti, un patto di non concorrenza. Possono altresì essere inserite nel contratto clausole penali a carico dell’agente.
Particolare attenzione merita il tema dei diritti dell’agente al termine del rapporto, così come il caso di recesso per giusta causa da parte dell’agente a seguito di cessione dell’azienda preponente .
Normativa
- Codice civile, artt. 1742 e succ.
- Accordo economico collettivo
Diritti dell’agente al termine del rapporto
Alla cessazione del rapporto di agenzia competono a favore dell’agente alcuni diritti.
Innanzitutto, si evidenzia che l’art. 1750 c.c. stabilisce che se il contratto di agenzia è a tempo indeterminato, ciascuna delle parti può recedere dal contratto stesso dandone preavviso all’altra entro un termine stabilito.
In tal caso, se il recesso è posto in essere dal preponente, il termine di preavviso non può comunque essere inferiore a:
- un mese per il primo anno di durata del contratto
- due mesi per il secondo anno iniziato
- tre mesi per il terzo anno iniziato
- quattro mesi per il quarto anno
- cinque mesi per il quinto anno
- sei mesi per il sesto anno e per tutti gli anni successivi.
E’ previsto inoltre che le parti possano concordare termini di preavviso di maggiore durata, ma il preponente non può osservare un termine inferiore a quello posto a carico dell’agente. Anche gli accordi collettivi prevedono termini e forme di preavviso specifici e distinte, a seconda che si tratti di agente monomandatario o plurimandatario.
In ogni caso, nell’ipotesi in cui il preponente non voglia rispettare tali termini, potrà corrispondere all’agente un’indennità commisurata ai mesi di preavviso spettanti che quindi rappresenta il primo diritto in favore dell’agente al termine del rapporto.
In secondo luogo, l’agente ha diritto di ricevere alla cessazione del rapporto da parte del preponente un’indennità per la cessazione del rapporto medesimo.
Tale istituto è regolamentato dall’art. 1751 c.c. il quale è stato da ultimo modificato dai D. Lgs. n. 303/1991 e n. 65/1999 che hanno recepito la direttiva 86/653/CEE.
Ad integrare l’articolo in esame intervengono gli accordi economici collettivi di settore.
Questi disciplinano l’indennità di cessazione del rapporto prevedendo due distinte voci che, sino all’ultimo rinnovo (avvenuto nel febbraio 2002 per il settore commercio e nel marzo dello stesso anno per l’industria), erano del tutto svincolate da ogni valutazione meritocratica circa l’attività prestata dall’agente, vale a dire il c.d. FIRR (Fondo Indennità Risoluzione Rapporto) o indennità di scioglimento del rapporto, da corrispondere sempre e comunque all’agente alla cessazione dello stesso, con liquidazione a carico dell’Enasarco presso cui il preponente – durante il contratto, anno per anno – deve accantonare le relative somme da determinarsi in percentuale sulle provvigioni, e la c.d. indennità suppletiva di clientela, in aggiunta al FIRR, da corrispondere solo se il contratto si scioglie su iniziativa del preponente per fatto non imputabile all’agente con liquidazione a carico del preponente e non dell’Enasarco.
Come detto, tale sistema è stato modificato innanzitutto dal D. Lgs. n. 303/1991 e successivamente dal D. Lgs. n. 65/1999 i quali hanno dato attuazione alla direttiva comunitaria n. 653 del 1986.
Attualmente, l’art. 1751 c.c. stabilisce che il preponente, all’atto della cessazione del rapporto, è tenuto a corrispondere all’agente medesimo un’indennità se:
- l’agente abbia procurato nuovi clienti al preponente o abbia sensibilmente sviluppato gli affari con i clienti esistenti e il preponente riceva ancora sostanziali vantaggi derivanti dagli affari con tali clienti;
- il pagamento di tale indennità sia equo, tenuto conto di tutte le circostanze del caso, in particolare delle provvigioni che l’agente perde e che risultano dagli affari con tali clienti.
In sostanza, si richiede la persistenza – al momento della cessazione del rapporto – di un portafoglio clienti procurato dall’agente, dal quale trae indubbio vantaggio la casa mandante. In quest’ottica, la prima condizione considera il vantaggio che il preponente ricava dalla disponibilità di questo portafoglio; la seconda considera la perdita, in termini di provvigioni, che l’agente subisce dalla cessazione del rapporto.
Peraltro, il diritto all’indennità in questione è subordinato alla sussistenza di entrambe le predette condizioni (ossia, l’apporto di clientela e l’equità), considerato che la modifica dell’art. 1751 c.c., introdotta dal D. Lgs. n. 65/99, ha ancorato il menzionato diritto a criteri prettamente meritocratici (cfr. in tal senso Cass. 5467/00).
Il rinnovato art. 1751 c.c., inoltre, stabilisce che:
- l’indennità non è dovuta quando il preponente risolve il contratto per grave inadempienza dell’agente che, per la sua gravità, non consenta la prosecuzione anche provvisoria del rapporto oppure quando l’agente recede dal contratto, a meno che il recesso sia giustificato da circostanze per le quali non può essergli chiesta ragionevolmente la prosecuzione dell’attività (ad es. infermità o malattia);
- il relativo importo non può superare una cifra pari ad una indennità annua calcolata sulla base della media annuale delle retribuzioni riscosse dall’agente negli ultimi 5 anni e, se il contratto risale a meno di 5 anni, sulla media del periodo in questione;
- le disposizioni in esso contemplate non possono essere derogate a svantaggio dell’agente.
Orbene, sia tale inderogabilità, sia la natura meritocratica assunta dall’indennità a seguito delle riforme introdotte, hanno fatto sorgere il problema della compatibilità del nuovo sistema con le disposizioni contenute negli accordi collettivi i quali prevedevano degli emolumenti automaticamente erogabili senza alcun requisito di merito.
Su tale problematica, la giurisprudenza ha stabilito che la riformata disciplina dell’indennità di fine rapporto può essere derogata dalla contrattazione individuale e collettiva, purché ovviamente non a svantaggio dell’agente (Cass. 10659/00). Può quindi essere consentita alla contrattazione collettiva una deroga pattizia dei criteri di cui all’art. 1751 poiché l’inderogabilità ivi prevista è solo in peius (Cass. 11402/00).
Peraltro, neppure a seguito dell’ultimo rinnovo dei principali A.E.C., che pure hanno cercato di recepire in parte le indicazioni provenienti dalla giurisprudenza, è venuto meno il dibattito circa il carattere migliorativo o meno delle disposizioni pattizie in materia rispetto alla previsione legale.
Per quanto riguarda, infine, l’ipotesi di un recesso per giusta causa imputabile al preponente, l’agente può invocare tale fattispecie per escludere ogni suo obbligo nei confronti del preponente, in particolare quello di corrispondere l’indennità sostitutiva del preavviso.
Al riguardo, si ricordi che essa si verifica allorché venga posto in essere da parte di un contraente un inadempimento di gravità tale da non consentire neanche in via provvisoria la prosecuzione del rapporto in essere.
Il concetto di giusta causa trae il suo fondamento giuridico dall’art. 2119 c.c.
Al riguardo, l’orientamento del Supremo Collegio è ormai pacifico nel considerare che anche il rapporto di agenzia possa essere risolto appunto per giusta causa in virtù dell’applicazione analogica al contratto di agenzia proprio del menzionato art. 2119 c.c. (tra le tante v. Cass. 12 dicembre 2001, n. 15661; Cass. 12 giugno 2000, n. 7986; Cass. 28 marzo 2000, n. 3738; nel merito, la recentissima Trib. Siracusa 3 febbraio 2004 in Agenti & Rappresentanti, 2004, n. 5, pag. 33 e 34).
Contratto di agenzia e iscrizione all’Albo
La sentenza n. 4817, pronunciata dalla Corte di cassazione in data 18/5/99, si è occupata di questo problema, enunciando principi rilevanti – oltre che nel caso di specie – in ordine ai rapporti tra legislazione nazionale e legislazione comunitaria.
Infatti, con riferimento agli agenti e alla obbligatorietà o meno dell’agente di essere iscritto ad un apposito albo, vi è una contraddizione tra le due discipline normative.
Più precisamente, la L. 12/3/68 n. 316 dispone, per i soggetti che svolgano attività di agente, l’obbligo di iscrizione in un apposito albo; la successiva L. 9/5/85 n. 204 ribadisce il divieto di svolgimento dell’attività di agente per i soggetti non iscritti al ruolo.
Al contrario, la direttiva comunitaria 86/653 del 18/12/86 sancisce il diritto degli agenti di commercio di svolgere la loro attività indipendentemente dall’iscrizione in appositi albi.
Sulla scorta di questa normativa di riferimento, nel caso specifico un soggetto aveva di fatto svolto attività di agente di commercio per una società, senza essere iscritto al corrispondente ruolo. Non avendo ricevuto tutti i compensi dovuti, l’agente di fatto si era rivolto al giudice del lavoro per ottenerne il pagamento.
Tuttavia, il Tribunale di Roma rigettava la domanda, richiamando la normativa italiana sopra citata e, conseguentemente, ritenendo nullo il contratto di agenzia di fatto stipulato da un soggetto non iscritto all’albo.
La sentenza del Tribunale è stata però riformata dalla Corte di cassazione. Con la pronuncia prima indicata, la suprema Corte ha infatti ritenuto inapplicabile le leggi 316/68 e 204/85, in quanto contrastanti con la direttiva comunitaria. La Corte ha anche fatto riferimento alla sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee in data 30/4/98, secondo cui la citata direttiva osta ad una normativa nazionale che subordini la validità di un contratto di agenzia alla iscrizione dell’agente di commercio in un apposito albo.
La Corte di cassazione ha ritenuto che tanto la sentenza della Corte di Giustizia, quanto la direttiva comunitaria devono ritenersi produttive di effetti nel nostro ordinamento. E’ vero infatti che solo attraverso un regolamento la Comunità è in grado di dettare norme uniformi e capaci di inserirsi immediatamente negli ordinamenti nazionali.
Tuttavia, prosegue la Corte, anche alle direttive comunitarie deve essere riconosciuta un’efficacia diretta, qualora esse presentino un contenuto sufficientemente preciso e non condizionato. Questa condizione si verifica allorquando la direttiva sancisca un obbligo in termini inequivoci e non soggetto ad alcuna condizione, né subordinato – in relazione alla sua osservanza o ai suoi effetti – all’emanazione di alcun atto da parte degli Stati membri o delle istituzioni della Comunità.
Pertanto, conclude la Corte, il giudice italiano deve disapplicare la norma nazionale in conflitto con la direttiva comunitaria, ove questa riguardi un rapporto fra Stato e privati. Poiché la normativa italiana sopra richiamata riguarda evidentemente il rapporto tra lo Stato e gli agenti, quindi un soggetto privato, deve ritenersi che rispetto a questa norma la direttiva comunitaria abbia efficacia diretta, con conseguente obbligo per il giudice nazionale di disapplicare la disposizione interna incompatibile.
La giurisprudenza successiva ha accolto quasi unanimemente il principio che i contratti con agenti non iscritti nell’apposito ruolo devono considerarsi pienamente validi (v. per tutte Cass. 20275 del 14/10/04).
Lo star del credere
La retribuzione dell’agente è normalmente commisurata a provvigioni, cioè a percentuali sul fatturato procurato al preponente mediante la stipulazione dei contratti promossi dall’agente.
Tuttavia, la legge stabilisce che il diritto dell’agente alla provvigione si configura solo con riguardo agli affari che hanno avuto regolare esecuzione; se l’affare ha avuto esecuzione parziale, la provvigione spetta all’agente in proporzione alla parte eseguita; dunque, nulla spetta all’agente per il caso in cui l’affare da lui promosso non abbia avuto alcuna esecuzione.
Il patto dello star del credere prevede invece che, nel caso di affari non andati a buon fine, l’agente non solo non percepisca alcuna provvigione; ma, in questo caso, l’agente è tenuto a sopportare in parte le perdite conseguentemente subite dal preponente, e ciò a prescindere dal fatto che la mancata esecuzione dell’affare dipenda, oppure no, da dolo o colpa dell’agente.
Si vede, dunque, che tramite questo patto il preponente trasferisce, almeno in parte, il rischio d’impresa in capo all’agente.
Al fine di limitare tale trasferimento (che, ripetiamo, prescinde dal dolo o dalla colpa dell’agente), l’art. 6 dell’accordo collettivo 20/6/56 ha disposto che l’agente possa essere obbligato a rispondere delle perdite subite dal preponente per gli affari non andati a buon fine solo fino al 20% del danno subito dal preponente stesso.
Il DPR 16/1/61 n. 145 ha conferito al citato accordo collettivo efficacia erga omnes, attribuendo dunque a tale accordo una efficacia simile a quella della legge.
L’attuale formulazione dell’art. 1746 c. 3° c.c., introdotto a seguito della riforma del 1999, prevede notevoli limiti all’introduzione nel contratto di agenzia di una simile pattuizione:
- è vietato inserire un patto generalizzato dello “star del credere”
- all’agente può essere richiesta un’apposita garanzia, ma solo se riferita a singoli affari individualmente determinati
- tale garanzia non può comunque superare l’ammontare della provvigione percepita per questi affari
- nel caso in cui l’agente abbi assunto l’obbligo di garanzia, deve essergli riconosciuto un apposito corrispettivo
Patto di non concorrenza nell’ambito dei rapporti di agenzia
Innanzitutto, occorre rammentare che in origine ad esso si applicava il regime previsto dall’art. 2596 c.c. secondo cui «il patto che limita la concorrenza deve essere provato per iscritto. Esso é valido se circoscritto ad una determinata zona o ad una determinata attività, e non può eccedere la durata di cinque anni», non prevedendosi all’epoca alcun compenso in favore dell’agente.
La giurisprudenza sul punto ha riconosciuto univocamente che «l’art. 2125 c.c., che disciplina il patto con il quale si limita lo svolgimento dell’attività del prestatore di lavoro per il tempo successivo alla cessazione del contratto, riguarda esclusivamente il rapporto di lavoro subordinato e, pertanto, non può applicarsi ad ipotesi diverse, come quella del rapporto di agenzia, dato che l’agente non è un lavoratore subordinato, ma (di norma) un imprenditore, essendo in tali ipotesi applicabile, invece, l’art. 2596 c.c., secondo cui il patto che limita la concorrenza deve essere provato per iscritto, deve essere circoscritto ad una determinata zona e non può eccedere la durata di cinque anni» (Cass. 24 agosto 1991, n. 9118; Cass. 6 novembre 2000, n. 14454).
Con l’introduzione dell’art. 1751 bis cod. civ., ad opera del D. Lgs. 10 settembre 1991, n. 303 (attuativo della Direttiva CEE n. 86 del 1986), il legislatore italiano é poi intervenuto a disciplinare il patto di non concorrenza nel contratto di agenzia.
Ai fini della validità del patto in questione, la norma citata richiede la forma scritta, una durata massima di due anni e che il patto riguardi la medesima zona, clientela e genere di beni o servizi oggetto del contratto di agenzia.
Recentemente la disposizione è stata ulteriormente novata dall’art. 23, Legge 29 dicembre 2000, n. 422 che ha modificato l’art. 1751 bis c.c., riconoscendo espressamente il diritto dell’agente ad un’indennità, di natura non provvigionale, a titolo di corrispettivo dell’obbligo di non concorrenza.
Inoltre, la medesima disposizione prevede una serie di criteri per la determinazione del corrispettivo del patto di non concorrenza affidandola prima facie alle parti, che dovranno tener conto della durata del patto, della natura del rapporto nonché, qualora applicabili al caso specifico, di quanto previsto dagli AEC.
La norma novellata, inoltre, rimette all’equità del giudice la determinazione del corrispettivo in assenza di accordo tra le parti.
Tali disposizioni, tuttavia, soffrono di alcune limitazioni:
- innanzitutto si applicano esclusivamente agli agenti che esercitino in forma individuale, di società di persone o di società di capitali con un solo socio, nonché, ove previsto da accordi economici nazionali di categoria, a società di capitali costituite esclusivamente o prevalentemente da agenti commerciali;
- in secondo luogo, tale disciplina vale esclusivamente per i patti di non concorrenza stipulati dopo l’entrata in vigore di tale norma, vale a dire dal 1° giugno 2001.
Cessione dell’azienda preponente e recesso per giusta causa dal rapporto
È molto interessante comprendere cosa avvenga qualora nell’ambito di un trasferimento d’azienda tra due società preponenti si inserisca un recesso per giusta causa dell’agente ceduto: ciò infatti comporta una responsabilità solidale del cedente per debiti in corso di maturazione alla data della cessione.
A tal proposito, si rammenta, innanzitutto, che costituisce principio assolutamente costante in giurisprudenza che, in materia di rapporto di agenzia, gli effetti del «trasferimento dell’azienda preponente … sono disciplinati dalla normativa generale dell’art. 2558 c.c. e non dall’art. 2112 c.c. relativo al lavoro subordinato» (Cass. 16 novembre 2004, n. 21678 in Agenti & Rappresentanti, 2005, n. 1, pagg. 24-25).
Si ricordi a tal proposito che l’art. 2558 c.c. stabilisce che «se non é pattuito diversamente, l’acquirente dell’azienda subentra nei contratti stipulati per l’esercizio dell’azienda stessa che non abbiano carattere personale. Il terzo contraente può tuttavia recedere dal contratto entro tre mesi dalla notizia del trasferimento, se sussiste una giusta causa, salvo in questo caso la responsabilità dell’alienante».
Tale norma considera effetto naturale della cessione d’azienda l’automatica successione in tutti i contratti, a prescindere dalla conoscenza che il cessionario ne abbia, salvo diversa pattuizione. La successione nei rapporti contrattuali riguarda quindi i contratti a prestazioni corrispettive in fase di esecuzione e deroga alla regola generale stabilita dall’art. 1406 c.c., secondo cui la cessione dei contratti necessita del consenso della controparte; infatti in caso di trasferimento d’azienda tale consenso non é necessario, salvo il diritto di recesso previsto dall’art. 2558, comma 2, c.c.
In tema di cessione d’azienda, tale disposizione riconosce il subingresso del cessionario in tutti i contratti stipulati per l’esercizio dell’azienda medesima che non abbiano carattere personale, salvo patto contrario.
A tal proposito, risulta assolutamente prevalente in giurisprudenza l’indirizzo che identifica i contratti a carattere personale in quelli nei quali l’identità e le qualità personali dell’imprenditore alienante siano state in concreto determinanti per il consenso del terzo contraente, ossia nei quali, in considerazione dell’oggetto e della natura del negozio, la persona dell’alienante rivesta importanza tale da determinare la sua insostituibilità (Cass. 12 aprile 2001, n. 5495; Cass. 26 febbraio 1994, 1975 in motivazione).
Si tratta di una categoria alla quale appartengono sia i contratti a prestazione oggettivamente infungibile (ad es. i contratti d’opera intellettuale o artistica), sia i contratti a prestazione soggettivamente infungibile, cioè considerata in concreto tale dalle parti. Per quanto ivi interessa, comunque, la giurisprudenza maggioritarie ha escluso il contratto di agenzia dalla categoria dei contratti a carattere personale, ricomprendendo tale tipologia negoziale nell’ambito di applicazione dell’art. 2558 c.c. (Cass. 16 maggio 2000, n. 6351; Cass. 26 febbraio 1994, n. 1975).
Si osservi peraltro che la medesima giurisprudenza ha rilevato che «l’acquirente subentra nei contratti di agenzia stipulati dall’alienante per l’esercizio della azienda, ai sensi dell’art. 2558 cod. civ., solo se fra le parti del contratto di cessione non siano intervenuti patti diversi intesi alla novazione dei precedenti contratti» (Cass. 16 maggio 2000, n. 6351).
Casistica di decisioni della Magistratura in tema di contratto di agenzia
In genere
- L’art. 32, co. 3, lett. b, della l. n. 183/2010 si applica espressamente a tutti i rapporti di collaborazione, coordinata e continuativa, a carattere prevalentemente personale, in cui rientra pacificamente anche il rapporto di agenzia; pertanto, se il legislatore avesse voluto escluderlo dal regime di impugnazione decadenziale, avrebbe dovuto dirlo espressamente. (Corte app. Napoli 14/1/2020, n. 10, Pres. Guarino Est. Savino, in Riv. It. Dir. lav. 2020, con nota di A. Abbasciano, “Sull’applicabilità del regime di impugnazione del collegato lavoro agli agenti”, 239)
- L’art. 1749 c.c., come modificato dall’art. 4 del D.Lgs. n. 65 del 1999, ha imposto al preponente lo specifico obbligo di mettere a disposizione dell’agente la documentazione e le informazioni necessarie all’espletamento dell’incarico e di consegnare, quanto meno ogni trimestre, un estratto conto, quanto più dettagliato, delle provvigioni dovute. L’agente è, dunque, titolare di un vero e proprio diritto all’accesso ai libri contabili in possesso del preponente che siano utili e necessari per la liquidazione delle provvigioni e per una gestione trasparente del rapporto secondo i principi di buona fede e correttezza. Ne deriva che la richiesta di esibizione documentale avanzata in giudizio dall’agente non può essere considerata generica e inidonea a colmare un’eventuale lacuna probatoria, atteso che, trattandosi di documenti nell’esclusiva disponibilità del preponente e indispensabili ai fini previsti dagli artt. 1748 e 1751 c.c., il preponente ha comunque l’obbligo, in ossequio al dovere di lealtà e buona fede, anche indipendentemente dall’ordine del giudice, di porli a disposizione dell’agente. Incombe peraltro sulla parte che agisca al fine di ottenere l’esibizione l’onere di dedurre e dimostrare l’interesse ad agire, con circostanziato riferimento alle vicende rilevanti del rapporto e l’indicazione dei diritti, determinati o determinabili, al cui accertamento è finalizzata l’istanza. (Cass. 29/9/2016 n. 19319, in Lav. nella giur. 2017, 88)
- In materia di contratto di agenzia, incombe sul preponente l’onere di dimostrare che gli ordini procurati dall’agente esulano dal mandato conferito. (Cass. 27/9/2012 n. 16432, Pres. Felicetti Est. Bursese, in Lav. nella giur. 2013, con commento di Gina Rosmarì Simoncini, 718)
- L’attività di promozione della conclusione di contratti per conto del preponente, che, ai sensi dell’art. 1742 c.c., costituisce l’obbligazione tipica dell’agente, non può consistere in una mera attività di propaganda, da cui possa solo indirettamente derivare un incremento delle vendite, ma deve consistere nell’attività di convincimento del potenziale cliente a effettuare delle ordinazioni dei prodotti del preponente, atteso che è proprio con riguardo a questo risultato che viene attribuito all’agente il compenso, consistente nella provvigione dei contratti conclusi per suo tramite e andati a buon fine. (Trib. Milano 5/11/2010, Est. Monte, in D&L 2010, 1071)
- Va escluso il diritto dell’agente alle provvigioni ove i prodotti del preoponente vengano offerti a enti e soggetti pubblici (nella specie, strutture ospedaliere o aziende sanitarie pubbliche), non essendo, in tali ipotesi, giuridicamente ipotizzabile un’attività di promozione dell’agente volta a ottenere il convincimento del cliente, ma mera propaganda, atteso il vincolo delle procedure amministrative di evidenza pubblica in materia di conclusione di contratti. (Trib. Milano 5/11/2010, Est. Monte, in D&L 2010, 1071)
- La disposizione dell’accordo economico collettivo per gli agenti di assicurazioni che esclude dalla nozione di premio assicurativo imponibile, ai fini del calcolo delle provvigioni, la quota di tasse e imposte pagate dall’assicurato deve intendersi riferita anche al contributo al Ssn e a quello al Fondo di Garanzia per le vittime della strada, importi che non possono entrare nella nozione giuridica di premio assicurativo in quanto non sono remunerative del rischio assicurato. (Cass. 7/5/2010 n. 11142, Pres. Roselli Est. Napoletano, in D&L 2010, 854)
- L’elemento distintivo tra il rapporto di agenzie e il rapporto di lavoro subordinato va individuato nella circostanza che il primo ha per oggetto lo svolgimento a favore del preponente di un’attività economica esercitata in forma imprenditoriale, con organizzazione di mezzi e assunzione del rischio da parte dell’agente, che si manifesta nell’autonomia nella scelta dei tempi e dei modi della stessa, pur nel rispetto – secondo il disposto dell’art. 1746 c.c. – delle istruzioni ricevute dal preponente, mentre oggetto del secondo è la prestazione, in regime di subordinazione, di energie lavorative, il cui risultato rientra esclusivamente nella sfera giuridica dell’imprenditore, che sopporta il rischio dell’attività svolta. (Nella specie, in applicazione dei su menzionati principi, il giudicante ha ritenuto sussistente tra le parti un rapporto di lavoro subordinato in considerazione dell’accertata mancanza di una seppur minima forma di autonomia nella scelta dei tempi e dei modi dell’attività promozionale dell’agente nella quale si manifesta il rischio di impresa e della ricorrenza di tutti gli indici della subordinazione, ossia stabile inserimento del lavoratore nell’organizzazione aziendale e sua soggezione al potere direttivo e di controllo della società). (Trib. Milano 3/3/2010, Est. Pattumelli, in D&L 2010, 480)
- Il diritto dell’agente alla provvigione secondo l’attuale formulazione dell’art. 1748 c.c., novellato in attuazione della Direttiva Cee 653/86, sorge con la conclusione dell’affare e matura, salvo deroghe previste dalle parti, dal momento e nella misura in cui il preponente ha eseguito o avrebbe dovuto eseguire la prestazione in base al contratto con il terzo; ne segue che, nei contratti di durata pluriennale con prestazioni continuative, la provvigione matura di anno in anno. (Corte app. Milano 11/1/10, Pres. Ruiz Est. Sbordone, in D&L 2010, con nota di Marcella Mensi, “Il diritto dell’agente alla provvigione”, 554)
- In materia di rapporti di agenzia e di procacciamento d’affari si applicando le disposizioni relative alle controversie individuali di lavoro, ai sensi dell’art. 40, comma primo, n. 3, c.p.c., ove il rapporto presenti le caratteristiche del coordinamento, della continuità e della prevalente personalità della prestazione. Ne consegue che, dovendo la determinazione della competenza essere effettuata in base al contenuto della domanda giudiziale, va esclusa la competenza del giudice del lavoro allorché si prospetti che l’attività viene realizzata attraverso una struttura organizzativa piramidale. (Nella specie, la S.C., nel rigettare il ricorso, ha ritenuto la correttezza della decisione del giudice di pace, il quale, alla stregua delle indicazioni contenute nell’atto di citazione, che delineavano una organizzazione con diversi livelli di operatività e la presenza di collaboratori in posizione subalterna al ricorrente, aveva disatteso l’eccezione di incompetenza). (Cass. 6/4/2009 n. 8214, Pres. Sciarelli Est. Nobile, in Lav. nella giur. 2009, 947)
- L’agente non ha facoltà di riscuotere i crediti del preponente, salvo che questi gli abbia espressamente conferito tale incarico per iscritto, e che qualora con l’originaria stipulazione del contratto di agenzia sia stata prevista la facoltà dell’agente di riscuotere i crediti del preponente, l’esercizio di tale facoltà non da luogo ad un autonomo rapporto e non richiede uno specifico compenso, ma si deve considerare compresa nell’opera globalmente dovuta dall’agente e remunerata con le provvigioni: qualora, invece, la facoltà e l’obbligo di esigere siano intervenuti nel corso del rapporto deve ritenersi che l’attività di esazione costituisca una prestazione accessoria ulteriore rispetto all’originario contratto e richiede una sua propria remunerazione ai termini dell’art. 2225 c.c. (Trib. Bari 10/3/2009, Giud. Spagnoletti, in Lav. nella giur. 2009, 631)
- Al rapporto di agenzia non può essere applicato analogicamente il principio della sospensione del decorso della prescrizione in costanza di rapporto sancito dalla sentenza n. 63 del 1966 della Corte Cortituzionale con esclusivo riferimento alla retribuzione del lavoratore dipendente, data la peculiarità del rapporto di lavoro subordinato e la speciale garanzia di cui gode ex art. 36 Cost. (Trib. Bologna 5/3/2009, Giud. Pugliese, in Lav. nella giur. 2009, 631)
- L’art. 1748, comma 2, sancisce un vero e proprio diritto dell’agente alle provvigioni per gli affari conclusi dal preponente con terzi appartenenti alla zona o alla categoria o gruppo di clienti riservati all’agente. Il diritto alle provvigioni ex art. 1748 comma 2 non può, pertanto, essere qualificato come diritto al risarcimento del danno per violazione dell’art. 1743, che sancisce il diritto di esclusiva. Il diritto a tali provvigioni presuppone, però, l’esistenza del diritto di esclusiva in favore dell’agente. (Trib. Grosseto 8/1/2008, Rel. Ottati, in Lav. nella giur. 2008, 848)
- Il diritto di esclusiva previsto dall’art. 1743 c.c. è elemento non essenziale ma naturale del contratto di agenzia e, quindi, può essere derogato dalle parti in forza di clausola espressa ovvero di una tacita manifestazione di volontà, desumibile dal comportamento tenuto dalle stesse parti sia al momento della conclusione del contratto, sia durante la sua esecuzione. (Cass. 9/10/2007 n. 21073, in Dir. e prat. lav. 2008, 2105)
- L’art. 9 dell’Aec 24/6/81 per il settore commercio, allorchè impone di quantificare l’indennità sostitutiva del preavviso con riferimento alle provvigioni “liquidate” nell’anno solare precedente, deve essere interpretato nel senso che a tal fine occorre tener conto delle provvigioni maturate dall’agente e non a quelle allo stesso pagate in tale periodo, considerato che sul piano lessicale il termine liquidare solo in senso estensivo ha il significato di pagare e che la determinazione secondo il vriterio delle provvigioni maturate, oltre che più conveniente alla natura e all’oggetto del contratto, appare logica e ancorata a un criterio obiettivo anzichè a quello della aleatorietà cronologica dei pagamenti. (Cass. 12/3/2007 n. 5690, Pres. Sciarelli Rel. Lamorgese, in D&L 2007, con nota di renato Scorcelli, “La Corte di cassazione sull’indennità di cessazione del rapporto di agenzia dopo la sentenza della Corte di Giustizia”, 451)
- L’art. 1751, 6° comma, c.c., si interpreta nel senso che il giudice deve sempre applicare la normativa che assicuri all’agente, alla luce delle vicende del rapporto concluso, il risultato migliore, siccome la prevista inderogabilità a svantaggio dell’agente comporta che l’importo determinato dal giudice ai sensi delle naormativa legale deve prevalere su quello, inferiore, spettantre in applicazione di regole pattizie, individuali o collettive. (Cass. 12/3/2007 n. 5690, Pres. Sciarelli Rel. Lamorgese, in D&L 2007, con nota di renato Scorcelli, “La Corte di cassazione sull’indennità di cessazione del rapporto di agenzia dopo la sentenza della Corte di Giustizia”, 451)
- Nel contratto di agenzia il diritto di esclusiva a favore di entrambe le parti – o specularmente l’obbligo di non concorrenza per l’agente e l’obbligo di concludere contratti direttamente o affidare ad altri agenti la promozione dei prodotti nella stessa zona per il preponente – previsto dall’art. 1743 c.c., è elemento non essenziale, ma naturale del contratto stesso e, pertanto, la sua previsione espressa nelle clausole pattizie non può essere considerata vessatoria, in quanto mera riproduzione della disposizione legislativa. (Trib. Monza 9/11/2006, in Dir. e prat. lav. 2008, 2105)
- In tema di agenzia, l’attribuzione all’agente della facoltà di riscuotere può essere concessa in qualunque forma e provata con ogni mezzo di prova, anche per presunzioni. (Cass. 7/7/2006 n. 15484, Pres. senese Rel. Maiorano, in Lav. nella giur. 2007, 83)
- Diversamente dal rapporto di lavoro subordinato, rispetto al quale il patto di prova è previsto dalla legge (art. 2096 c.c.) e dalla contrattazione collettiva, nel rapporto di agenzia tale patto può essere apposto dalle parti contraenti nell’ambito del libero esercizio della loro autonomia negoziale e dipende, quindi, solo ed esclusivamente dalla volontà delle parti. (Trib. Grosseto 30/11/2004, Est. Ottati, in Lav. nella giur. 2005)
- L’elemento essenziale del contratto di agenzia, così come individuato dall’art. 1742 c.c., è costituito dall’obbligo dell’agente di promuovere la conclusione di contratti in una zona determinata, non potendo in alcun modo rientrare nella nozione di “promozione della conclusione di contratti di vendita” la semplice raccolta periodica delle esigenze di prodotti da parte di clienti già individuati dalla società. (Trib. Grosseto 9/11/2004, Giud. Ottati, in Lav. nella giur. 2005, 488)
- Il diritto di esclusiva previsto dall’art. 1743 c.c. è elemento non essenziale ma naturale del contratto stesso ed è, quindi, derogabile per concorde volontà delle parti. Tuttavia, ove esso non venga esplicitamente o tacitamente, per facta concludentia derogato dalle parti, vincola contrattualmente il proponente a non concludere direttamente gli affari oggetto dell’attività di impresa e a non avvalersi dell’opera di altri collaboratori per la promozione di tali affari nell’ambito della zona pattiziamente stabilita e costituente un territorio geograficamente determinato e delimitato, salvo che tale deroga non avvenga sporadicamente e in modo tale da non ridurre notevolmente il diritto di esclusiva dell’agente. Per converso, l’agente non può accettare nell’ambito della zona di esclusiva incarichi per promuovere affari di imprese concorrenti con quella del preponente. L’accertamento della violazione di tali obblighi costituisce un giudizio di fatto demandato al giudice del merito, e in quanto tale non sindacabile in sede di legittimità se sorretto da motivazione adeguata e immune da vizi logici e giuridici. (Cass. 30/7/2004 n. 14667, Pres. Prestipino Rel. Capitanio, in Lav. nella giur. 2005, 169, e in Dir. e prat. lav. 2008, 2105)
- C’è assenza di autonomia nello svolgimento della prestazione di un agente di commercio, dietro cui operava un altro agente – nella fattispecie il padre – e pertanto effettiva esistenza di un duplice profilo di inadempimento di quest’ultimo per aver esercitato attività per un’impresa concorrente in violazione dell’esclusiva e (comunque) per non aver comunicato all’impresa la particolare posizione lavorativa della figlia. (Trib. Ascoli Piceno 28/6/2004, Est. Palestini, in Lav. nella giur. 2004, 1206)
- Il contratto di agenzia si caratterizza per la continuità e la stabilità dell’attività dell’agente diretta a promuovere la conclusione di contratti per conto del preponente nell’ambito di una zona e ciò distingue la figura dell’agente da quella del procacciatore di affari. (Corte d’appello Torino 2/12/2003 Pres. Girolami Rel. Mancusò, in Lav. nella giur. 2004, 706)
- Sussiste un rapporto di agenzia in tutti i casi in cui i contratti stipulati dal preponente siano riferibili all’iniziativa promozionale, anche indiretta, dell’operatore, indipendentemente dalla circostanza che questi abbia o meno contatti diretti con la clientela. (Trib. Milano 17/8/2002, Est. Ianniello, in D&L 2002, 897)
- Nell’ambito del contratto di agenzia, ai fini della violazuione del divieto di cui all’art. 1743 c.c. non è richiesto che il comportamento dell’agente si iscriva nell’ambito di un rapporto di stabile collaborazione né che lo stesso abbia necessariamente determinato la conclusione di uno o più contratti tra un cliente anche solo potenziale del suo preponente e un’impresa concorrente di quest’ultimo, essendo invece sufficiente un’attività dell’agente medesimo idonea a determinare un dirottamento della clientela del suo preponente presso imprese concorrente, con possibile alterazione, a favore di queste ultime, in una stessa zona e in uno stesso ramo di affari, delle originarie condizioni della domanda di determinati prodotti. (Cass. 23/4/2002 n. 5920, in Dir. e prat. lav. 2008, 2105)
- Il diritto dell’agente alla provvigione prevista dall’art. 1748 c.c. per gli affari conclusi direttamente dal preponentepreponente. Nell’ipotesi di svolgimento di attività aggiuntiva e concettualmente distinta dalla mera attività agenziale, iniziata nel corso del rapporto e proprio per ciò insensibile alla onnicomprensiva pattuizione provvigionale concordata originariamente, deve essere riconosciuto all’agente-ex art. 2225 c.c.-un corrispettivo per l’opera prestata, da determinarsi in via percentualistica (fattispecie relativa ad attività di merchandising). (Trib.Lav. nella giur. 2003, 57)
- La prescrizione del diritto alle provvigioni nel contratto di agenzia è quella quinquennale di cui all’art. 2948, n. 4, c.c., decorrente anche in corso di rapporto (Cass. 30/8/00, n. 11402, pres. Sciarelli, in Lavoro giur. 2001, pag. 349, con nota di Zavalloni, Per una teoria sull’art. 1751 c.c.)
- Ove il contratto di agenzia preveda fin dall’inizio il conferimento all’agente anche dell’incarico di riscossione, deve presumersi – attesa la natura corrispettiva del rapporto – che il compenso per tale attività sia stato già compreso nella provvigione pattuita, che deve intendersi determinata con riferimento al complesso dei compiti affidato all’agente; mentre la medesima attività va separatamente compensata nel caso in cui il relativo incarico sia conferito all’agente nel corso del rapporto e costituisca una prestazione accessoria ulteriore rispetto a quella originariamente prevista dal contratto, a meno che non risulti accertata la volontà delle parti di procedere ad una novazione che, prevedendo nuovi obblighi a carico dell’agente, lasci invariati quelli del preponente (Cass. 5/6/00 n. 7481, pres. Genghini, in Lavoro giur.2000, pag. 1154, con nota di Zavalloni, Limiti di esigibilità della provvigione di incasso nel contratto di agenzia)
- Il criterio interpretativo previsto dall’art. 1370 c.c., secondo cui le clausole inserite nelle condizioni generali di contratto o in moduli o formulari predisposti da uno dei contraenti si interpretano nel dubbio a favore dell’altro, trova applicazione anche in relazione alle clausole di un contratto di agenzia predisposto uniformemente dal preponente nei confronti di tutti gli agenti (Pret. Brescia 11/11/96, est. Cassia, in D&L 1997, 582, nota Monaco)
Agente non iscritto al ruolo
- Il contrasto, tuttora esistente, fra direttiva comunitaria e legislazione nazionale in materia di nullità del contratto di agenzia intercorso tra preponente e agente (o sub-agente) non inscritto al ruolo non può essere risolto mediante l’applicazione diretta da parte del giudice nazionale della direttiva 86/653 CEE relativa al coordinamento del diritto degli stati membri concernenti gli agenti commerciali indipendenti, in quanto l’efficacia “verticale” di quest’ultima opera solo nei confronti dello Stato nazionale inadempiente e non può quindi essere estesa ai rapporti tra privati (Trib. Brescia 18/10/1999, est. Onni, in D&L 2000, 765, n. Pirelli)
- Gli artt. 2 e 9 della L. 3/5/85 n. 204 che prevedono l’obbligo di iscrizione in un apposito ruolo per coloro che intendano svolgere attività di agente o rappresentante di commercio e che vietano ai non iscritti lo svolgimento di tale attività devono essere disapplicati dal giudice nazionale in quanto in contrasto con la Direttiva del consiglio 18/12/86 n. 86/653/Cee relativa al coordinamento del diritto degli stati membri concernenti gli agenti commerciali indipendenti, con conseguente validità del contratto di agenzia stipulato con soggetto non iscritto a tale ruolo (Cass. 18/5/99 n. 4817, pres. Rapone, est. Stile, in D&L 1999, n. Scorcelli, Un caso di applicazione diretta delle direttive comunitarie e la fine del cd. “agente abusivo”)
- In ipotesi di recesso unilaterale dell’agente da rapporto di agenzia, ove risulti accertato che lo scioglimento del contratto sia avvenuto per fatto imputabile al preponente, tale da minare il presupposto fiduciario del rapporto precludendone la prosecuzione, competono all’agente recedente sia l’indennità sostitutiva del preavviso, in applicazione analogica dell’art. 2119 c.c., sia l’indennità di scioglimento del contratto, ora previsto dall’art. 1751 c.c., come novellato dall’art. 4 D. Lgs. 10/9/91 n. 303 (Pret. Milano12/1/95, est. Peragallo, in D&L 1995, 701)
Indennità di cessazione del rapporto
- Ai fini del riconoscimento dell’indennità di cessazione del rapporto di cui all’art. 1751 c.c., non è sufficiente la provvista di nuovi clienti ovvero il sensibile incremento degli affari con quelli vecchi, ma occorre anche la seconda condizione, ossia che – alla cessazione del rapporto – il preponente continui a ricevere sostanziali vantaggi dai clienti nuovi procurati dall’agente ovvero dall’incremento di affari con i preesistenti. (Trib. Pistoia 18/9/2020, Giud. Baracca, in Lav. nella giur. 2021, 206)
- In tema di cessazione del rapporto di agenzia, l’articolo 17 della direttiva n. 86/653/CEE, relativa al coordinamento dei diritti degli Stati membri concernenti gli agenti commerciali indipendenti, deve essere interpretato, alla luce della relativa decisione della Corte di Giustizia delle Comunità Europee del 23 marzo 2006, c-465/04, nel senso che l’indennità di cessazione del rapporto prevista dalla citata direttiva non può essere sostituita da un’indennità contrattualmente determinata secondo criteri diversi, a meno che quest’ultima non assicuri all’agente un trattamento più favorevole, dovendosi, in difetto, riconoscere la differenza necessaria per ricondurla a equità, tramite la complessiva corresponsione di quanto comunque spettante sulla base della previsione di cui all’art. 1751 c.c. (Trib. Reggio Emilia 11/2/2014, Giud. Morlini, in Lav. nella giur. 2014, 413)
- L’ipotesi legislativa dell’infortunio in itinere (art. 210, u.c., d.P.R. n. 1124/1965), che assimila gli spostamenti necessari per recarsi sul luogo di lavoro all’esecuzione della prestazione, non incide sul requisito della occasionalità di lavoro, da riferire, in tal caso, al nesso con la necessità degli spostamenti e dei percorsi. (Trib. Bari 3/12/2013, Giud. Colucci, in Lav. nella giur. 2014, 413)
- In tema di indennità di cessazione del rapporto di agenzia, non può affermarsi una generale prevalenza della normativa contrattuale collettiva rispetto a quella legale né l’invalidità della normativa contrattuale per contrarietà all’art. 1751 c.c., imponendosi, invece, ai sensi dell’art. 1751 c.c., una verifica individualizzata alla stregua del parametro dell’equità, dell’indennità calcolata sulla base dei criteri previsti dalla contrattazione collettiva, che, qualora ricorrano nel caso concreto le circostanze che l’agente abbia procurato al preponente nuovi clienti o abbia sensibilmente sviluppato gli affari con i clienti esistenti e il preponente riceva ancora sostanziali vantaggi derivanti dagli affari con tali clienti, tenga conto del particolare merito dell’agente, essendo il criterio meritocratico assente nella disciplina collettiva (fattispecie alla quale, ratione temporis, era applicabile l’Aec del 27/11/92 per gli agenti di commercio). (Cass. 23/6/2010 n. 15203, Pres. Roselli Est. Amoroso, in D&L 2010, con nota di Sara Huge, “Ancora sull’indennità di cessazione dal rapporto di agenzia dopo la Sentenza della Corte di Giustizia: un atteso chiarimento o l’apertura di nuovi interrogativi?”, 850)
- L’art. 1751, quarto comma, c.c., secondo cui la concessione all’agente dell’indennità di cessazione del rapporto non lo priva comunque del “diritto all’eventuale risarcimento dei danni”, si riferisce a danni ulteriori da fatto illecito contrattuale o extracontrattuale (come, ad esempio, l’illecito connesso alla violazione dei doveri informativi, al mancato pagamento di provvigioni maturate, a fatti di denigrazione professionale, alla ingiuriosità del recesso del preponente,alla induzione dell’agente a oneri e spese di esecuzione del contratto prima della sua inopinata risoluzione, ecc.), giacché detta disposizione configura un’ipotesi di risarcimento distinto rispetto a quello da fatto illecito (cessazione del rapporto) contemplato dal primo comma dello stesso art. 1751 c.c. , con il quale può pertanto cumularsi, sempre che nella condotta del preponente sussistano i requisiti oggettivi e soggettivi di detto illecito. (Nella specie, la S.C., enunciando l’anzidetto principio, ha cassato con rinvio la sentenza di merito che aveva riconosciuto all’agente il risarcimento dei danni – da interruzione dell’attività professionale e alla vita di relazione – in ragione della sola illegittimità del recesso del rapporto di agenzia da parte del preponente e non già in forza di un ulteriore e diverso fatto illecito da ascriversi alla condotta del preponente medesimo). (Cass. 10/4/2008 n. 9426, Pres. Maiorano Est. Vidiri, in Lav. nella giur. 2008, 836, e in in Dir. e prat. lav. 2008, 2500)
- A seguito della sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità europe, 23 marzo 2006, in causa C-456/04, interpretativa degli art. 17 e 19 della direttiva 86/653, ai fini della quantificazione dell’indennità di cessazione del rapporto spettante all’agente nel regime precedente all’accordo collettivo del 26 febbraio 2002 che ha introdotto “l’indennità meritocratica”, ove l’agente provi di aver procurato nuovi clienti al preponente o di aver sviluppato gli affari con i clienti esistenti (ed il preponente riceva ancora vantaggi derivanti dagli affari con i clienti esistenti (e il preponente riceva ancora vantaggi derivanti dagli affari con tali clienti) ai sensi dell’art. 1751, comma 1, c.c., è necessario verificare se – fermi i limiti posti dall’art. 1751, comma 3 c.c. – l’indennità determinata secondo l’accordo collettivo del 27 novembre 1992, tenuto conto di tutte le circostanze del caso e, in particolare, delle provvigioni che l’agente perde, sia equa e compensativa del particolare merito dimostrato, dovendosi, in difetto, riconoscere la differenza necessaria per ricondurla a equità. (Cass. 19/2/2008 n. 4056, in Dir. e prat. lav. 2008, 2106)
- Il comma 6 dell’art. 1751 c.c. si interpreta nel senso che il giudice deve sempre applicare la normativa che assicuri all’agente, alla luce delle vicende del rapporto concluso, il risultato migliore, siccome la prevista inderogabilità a svantaggio dell’agente comporta che l’importo determinato dal giudice ai sensi della normativa legale deve prevalere su quello, inferiore, spettante in applicazione di regole pattizie, individuali o collettive. (Cass. 16/1/2008 n. 687, in Dir. e prat. lav. 2008, 2106)
- L’indennità di cessazione del rapporto ex art. 1751 c.c. non può essere sostituita, in applicazione di un accordo collettivo, da un’indennità determinata secondo criteri diversi da quelli fissati dalla disciplina legale, a meno che non sia provato che l’applicazione di tale accordo garantisca, in ogni caso, all’agente un’indennità pari o superiore a quella che risulterebbe dall’applicazione della disciplina codicistica. (Cass. 12/3/2007 n. 5690, Pres. Sciarelli Rel. Lamorgese, in Lav. e prev. oggi 2007, con nota di Antonio L. Fraioli, 1659)
- E’ nullo, per contrasto con norma imperativa, l’art. 10 dell’Accordo economico collettivo del 20 marzo 2002, relativo ai rapporti di agenzia e rappresentanza commerciale nel settore della piccola e media industria, in quanto disciplina l’indennità dovuta all’agente in caso di cessazione del rapporto, senza garantire in astratto che la somma degli emolumenti ivi previsti, nei casi in cui all’agente spetterebbe l’importo massimo determinato in applicazione dei criteri legislativi, dia un risultato almeno equivalente a tale importo. (Trib. Pistoia 2/3/2007, in Dir. e prat. lav. 2008, 2106)
- L’Accordo economico collettivo 26 febbraio 2002 per gli agenti del settore commercio non è in grado di garantire sistematicamente all’agente, alla luce di tutti i rapporti giuridici che possono essere instaurati tra le parti di un contratto di agenzia commerciale, un’indennità superiore o almeno p’ari a quella che risulterebbe dall’applicazione dell’art. 17 della Direttiva n. 86/653 CE; appare quindi inevitabile concludere per la nullità della clausola sub 12 punto II del predetto A.e.c. in quanto difforme alla norma imperativa di cui all’art. 1751 c.c. e di cui all’art. 17 della Direttiva, con conseguente irrimediabile rigetto della domanda, proposta dall’agente, di corresponsione dell’indennità suppletiva di clientela. (Trib. Trento 29/1/2007 n. 13, Est. Flaim, in Lav. nella giur. 2007, con commento di Enrico Barraco, 797)
- Le previsioni contenute nell’Accordo economico collettivo 26 febbraio 2002 per gli agenti del settore commercio in materia di indennità di cessazione del rapporto sono inapplicabili, non potendo la contrattazione collettiva ritenersi sempre più favorevole per l’agente rispetto alla disciplina dettata dall’art. 1751 c.c. (nella specie, tenuto conto delle particolarità del caso concreto, il Tribunale di Vicenza ha riconosciuto all’agente un’indennità pari all’80% dell’importo massimo previsto dalla norma da ultimo indicata). (Trib. Vicenza 25/1/2007 n. 351, Giud. Dosi, in Lav. nella giur. 2007, con commento di Enrico Barraco, 800, e in Dir. e prat. lav. 2008, 2106)
- Nel rapporto di agenzia, quanto all’indennità suppletiva di clientela va detto che in ordine al “quantum debeatur”, il comma 3 dell’art. 1751 c.c. fissa un limite massimo dell’indennità in parola e non anche un limite minimo, né detta, in proposit, un espresso criterio di calcolo che funga da parametro per un giudizio di valutazione. Per cui, la regola fondamentale che deve guidare il giudicante in sede di quantificazione è solo quella dell’equità. (Trib. Bari 20/1/2007, in Dir. e prat. 2008, 2106)
- La disciplina dettata dall’art. 1751 c.c. può essere derogata soltanto in meglio dalla contrattazione collettiva e, nel caso in cui l’agente sostenga in giudizio la nullità del contratto individuale recettivo di quello collettivo, il raffronto tra la disciplina legale e pattizia decve essere effettuato con riferimento al caso concreto, pervenendosi alla dichiarazione di nullità della parte del contratto risultata sfavorevole all’agente. Ciò comporta l’onere per questo di provare nel giudizio di merito con dettagliati calcoli conformi a entrambi i criteri, legale e contrattuale, la differenza peggiorativa, e per il preponente l’onere di provare il contrario, anche attraverso l’eventuale considerazione complessiva delle clausole e la relativa compensazione di vantaggi e svantaggi. (Cass. 3/10/2006 n. 21301, Pres. Senese Est. Roselli, in Lav. nella giur. 2007, con commento di Andrea Di Francesco, 161, in Dir. e prat. lav. 2008, 2106)
- L’art. 1751 c.c., comma 6, nel testo sostituito dal D. Lgs. 10 settembre 1991, n. 303, art. 4 si interpreta nel senso che il giudice deve sempre applicare la normativa che assicura all’agente, alla luce delle vicende del rapporto concluso, il risultato migliore, siccome la prevista inderogabilità a svantaggio dell’agente comporta che l’importo determinato dal giudice ai sensi della normativa legale deve prevalere su quello, inferiore, spettante in applicazione di regole pattizie, individuali o collettive. (Cass. 3/10/2006 n. 21309, Pres. Senese Est. Picone, in Lav. nella giur. 2007, con commento di Andrea Di Francesco, 161 e in ADL 2007, con commento di Annalisa Nicoli, “Indennità per cessazione del rapporto di agenzia: primi orientamenti della Suprema Corte dopo la sentenza della Corte di Giustizia”, 135)
- Ciò che appare certo dopo la sentenza Cgce del 23 marzo 2006 in tema di calcolo dell’indennità di cessazione del rapporto di agenzia è l’inammissibilità di qualsiasi cumulo tra la disciplina legale costituita dall’art. 1751 c.c. e quella contrattuale, propria degli AEC di categoria, avendo infatti la sentenza in questione stabilito che ciò che va effettuata è un’applicazione alternativa tra i due regimi indennitari. (Trib. Ravenna 13/7/2006, Est. Riverso, in Lav. nella giur. 2006, con commento di Davide Cavalloni, 1207)
- Poiché la disciplina pattizia in tema di indennità di cessazione del contratto di agenzia – eliminando l’onere probatorio gravante sull’agente e garantendogli in ogni caso, e a prescindere da vantaggi permanenti apportati alla mandante, la liquidazione di un’indennità di clientela – deve essere ritenuta più favorevole rispetto a quella legale, va affermata la sua generale prevalenza sulla stessa, anche in virtù dei canoni interpretativi fatti propri dalla sentenza 23 marzo 2006 della Cgce. (Trib. Ancona 11/7/2006, Est. De Antoniis, in Lav. nella giur. 2006, con commento di Davide Cavalloni, 1211)
- Ciò che consegue alla sentenza Cgce del 23 marzo 2006 in tema di calcolo dell’indennità di cessazione dal rapporto di agenzia è – da una parte – che la natura eventualmente sfavorevole o meno di una eventuale deroga ai criteri guida normativamente indicati dalla Comunità per eventualmente adeguare e comunque uniformare il diritto nazionale, deve essere valutata al momento in cui le parti prevedono la deroga, e – dall’altra – il principio secondo cui l’interpretazione delle singole fattispecie è demandato ai giudici statali. Da un raffronto astratto e formulato ex ante tra la normativa legale e quella pattizia in tema di indennità di cessazione del contratto di agenzia non può che trarsi una valutazione di miglior favore di quest’ultima su quella legale, anche in ragione di un generale principio di equità e di contemperamento dei contrapposti interessi rappresentato dalla stessa disciplina pattizia. (Corte app. Cagliari 12/4/2006, n. 136, Pres. Sena Est. Lampus, in Lav. nella giur. 2006, con commento di Davide Cavalloni, 1209)
- L’art. 1751 c.c., nuovo testo pone un problema applicativo, in quanto non sono ivi indicati fissi parametri di calcolo per procedere in concreto alla determinazione dell’indennità di fine rapporto, che, nella nuova formulazione, ricomprende e fonde le due indennità di fine rapporto disciplinate dalla precedente normativa (quella ex art. 1751 c.c. vecchio testo, avente natura previdenziale, e l’altra prevista dalla contrattazione collettiva: ossia l’indennità suppletiva di clientela). Si tratta quindi di valutare non solo in astratto, ma anche in concreto, quale sia la normativa più favorevole per l’agente, atteso che, come già rilevato, la normativa legale e comunitaria è inderogabile in peius per l’agente. (Trib. Treviso 3/4/2006, est. Napoletano, in Lav. Nella giur. 2006, 711)
- L’art. 19 della Direttiva del Consiglio 18/12/86, 86/653/Cee, relativa al coordinamento dei diritti degli Stati membri concernenti gli agenti commerciali indipendenti, deve essere interpretato nel senso che l’indennità di cessazione del rapporto che risulta dall’applicazione dell’art. 17 n. 2, di tale Direttiva, non può essere sostituita, in applicazione di un accordo collettivo, da una indennità determinata secondo criteri diversi da quelli fissati da quest’ultima disposizione, a meno che non sia provato che l’applicazione di tale accordo garantisce, in ogni caso, all’agente commerciale una indennità pari o superiore a quella che risulterebbe dall’applicazione della detta disposizione. All’interno dell’ambito fissato dall’art. 17 n. 2, della Direttiva 86/653/Cee, gli stati membri godono di un potere discrezionale che essi sono liberi di esercitare in particolare con riferimento al criterio dell’equità. (Corte di Giustizia Ce 23/3/2006, causa C-465/04, Pres. P. Jann Rel. Levits, in D&L 2006, con n. Renato Scorcelli, “Art. 1751 c.c. e contrattazione collettiva di settore: la Corte di Giustizia fa chiarezza”, 401)
- Allo scioglimento del contratto, la relativa indennità prevista in favore dell’agente dall’art. 1751 c.c. spetta anche al sub-agente, in virtù dei sostanziali vantaggi che il preponente-agente continua a ricevere dagli affari procuratigli anche dopo la cessazione del rapporto, che possono consistere in vantaggi futuri di ogni genere, compresi quelli che l’agente consegua nell’ambito della chiusura dei conti relativi al rapporto di agenzia, o dalla società preponentePres. Sciarelli Rel. Monaci, in Lav. Nella giur. 2006, 811) o direttamente dall’agente di pari livello che gli subentra, tenuto conto del fatto che il portafoglio della sub-agenzia confluisce in quello dell’agenzia. (Cass. 14/2/2006 n. 3196,
- Per l’applicazione dell’art. 1751 c.c., che in attuazione della Direttiva Ce 18 dicembre 1986 n. 86/653 ha disciplinato l’indennità di cessazione per l’agente di commercio, appare necessario un “chiarimento interpretativo” circa vari punti correlati della disciplina delineata dalla Direttiva, per cui, a norma dell’art. 234 del Trattato Ce, deve essere investita la Corte di Giustizia per l’interpretazione degli artt. 17 e 19 della Direttiva 86/653, con conseguente sospensione del giudizio. Per l’applicazione dell’art. 1751 c.c., che in attuazione della Direttiva Ce 18 dicembre 1986, n. 86/653 ha disciplinato l’indennità di cessazione per l’agente di commercio, appare necessario un “chiarimento interpretativo” da parte della Corte di Giustizia Ce per comprendere se l’art. 19 della Direttiva 86/653 è interpretabile o meno nel senso che la normativa nazionale di attuazione può consentire che un accordo collettivo preveda un’indennità a prescindere dai presupposti del diritto previsti dalla Direttiva 86/653 e sia quantificabile secondo criteri diversi da quelli ricavabili dalla Direttiva e determinata (senza riferimento specifico ai meriti) sulla base di percentuali dei compensi ricevuti dall’agente, con la conseguenza che l’indennità stessa in molti casi dovrebbe essere liquidata in misura inferiore a quella massima prevista dalla direttiva. Non può escludersi che, alla luce dei “chiarimenti interpretativi” forniti dalla Corte di Giustizia Ce sull’art. 1751 c.c. che disciplina l’indennità di cessazione dell’agente di commercio in attuazione della Direttiva Ce 89/653, e in particolare alla luce del mancato recepimento da parte dell’art. 1751 c.c. delle parole “e nella misura in cui” prevista dalla Direttiva, possa procedersiord., n. 20410, Pres. Mileo Rel. Toffoli, in Lav. nella giur. 2005, 23, con commento di Michele Miscione) ad una “interpretazione conforme” della normativa italiana. L’acquisizione da parte della Corte di Giustizia Ce di “chiarimenti interpretativi” sull’art. 1751 c.c. (che disciplina l’indennità di cessazione dell’agente di commercio in attuazione della Direttiva Ce 18 dicembre 1986, n. 86/653), nel caso in cui dovesse ritenersi concretamente impossibile una “interpretazione conforme” alla direttiva comunitaria risultante dai “chiarimenti”, potrà essere rilevante come possibile ragione di illegittimità costituzionale per eccesso di delega in violazione dell’art. 76 Costituzione, in quanto alla direttiva è stata data attuazione mediante delegazione legislativa che prevedeva come unico principio direttivo quello della piena conformità alle prescrizioni della direttiva stessa. (Cass. 18/10/2004,
- La disciplina dell’indennità dovuta all’agente in caso di cessazione del rapporto a norma dell’art. 1751 c.c., potendo essere derogata, purchè non a svantaggio dell’agente, deve ritenersi modificabile – oltre che dai contratti individuali – anche ad opera della contrattazione collettiva, nei limiti previsti dalla legge. Peraltro, la normativa prevista dall’AEC è più favorevole all’agente sia perché non lo espone al rischio di dover provare rigorosamente l’incremento degli affari o dei clienti della preponente, sia perché non rimette interamente al giudice la valutazione dell’entità della somma da liquidare prevista solo nel massimo e svincolata da qualunque parametro. La legge stabilisce il solo limite non superabile nel massimo senza nulla aggiungere in ordine al criterio di calcolo all’interno di questo limite; è proprio per questa ragione che si è indotti a ritenere che il legislatore abbia inteso rimettere alla contrattazione collettiva o individuale, la determinazione dell’indennità. (Corte d’appello Brescia 3/8/2004, Pres.Rel. Nuovo, in Lav. nella giur. 2005, 185) Nora
- In tema di determinazione dell’indennità dovuta all’agente commerciale alla cessazione del rapporto, l’art. 1751, comma 6, c.c., come sostituito dall’art. 4, D. Lgs. 10 settembre 1991, n. 303 (attuativo della Direttiva Comunitaria n. 86/653), vieta alle parti del contratto di agenzia di derogare a svantaggio dell’agente ai criteri di determinazione ivi stabiliti; non trattandosi di una inderogabilità assoluta ed essendo consentita alle parti la deroga non pregiudizievole per l’agente, deve ritenersi ugualmente consentita alla contrattazione collettiva una modificazione pattizia di quei criteri, considerato l’ampio spazio che alla rappresentanza delle organizzazioni sindacali di categoria riserva l’ordinamento italiano. La valutazione se la regolamentazione pattizia sia o meno pregiudizievole per l’agente rispetto a quella legale deve essere operata ex ante, mediante raffronto in astratto delle due regolamentazioni e non in concreto, cioè in base ai risultati finali dell’attività dell’agente, non potendosi, né sul piano obbiettivo, né sul piano dell’affidamento delle parti, specie con riferimento ad un rapporto di durata, giudicare della validità delle clausole del negozio costitutivo del rapporto alla luce del risultato economico che le parti conseguirebbero in concreto alla cessazione del rapporto a seconda che si applichi il regime convenzionale o quello legale. (Cass. 7/2/2004 n. 2383, Pres. Mercurio Rel. Vigolo, in Lav. nella giur. 2004, 801)
- In tema di determinazione dell’indennità dovuta all’agente commerciale alla cessazione del rapporto, l’art. 1751 c.c. (come sostituito dall’art. 4, D. Lgs. N. 303/1991) vieta alle parti di derogare a detrimento dell’agente ai criteri di determinazione ivi stabiliti; tuttavia, trattandosi di una inderogabilità relativa, deve ritenersi consentito, sia alle parti che alla contrattazione collettiva, introdurre deroghe alla disciplina legale, purchè non pregiudizievole per l’agente; la valutazione se la regolamentazione pattizia sia o meno pregiudizievole per l’agente rispetto a quella legale deve essere operata ex ante, non essendo corretto sul piano dell’affidamento delle parti, specie con riferimento a un rapporto di durata, giudicare della validità delle clausole del negozio costitutivo del rapporto (e che tale rapporto sono destinate a regolare nel corso del suo svolgimento), alla luce del risultato economico che le parti conseguirebbero in concreto a seconda che si applichi il regime convenzionale o quello legale. (Cass. 21/10/2003 n. 15726, Pres. Senese Rel. Curcuruto, in Lav. nella giur. 2004, con commento di Davide Zavalloni, 962)
- Benché nessuna norma di legge imponga la conversione di più rapporti di agenzia a termine in unico rapporto, tuttavia tale conversione è ammissibile laddove il frazionamento non persegua alcun utile scopo e consenta di eludere disposizioni di legge inderogabili (nella specie il giudice ha disposto detta conversione ed attribuito all’agente l’indennità per la cessazione del rapporto commisurandola all’intera durata dei successivi contratti a termine). (Trib. Milano 17/8/2002, Est. Ianniello, in D&L 2002, 897)
- L’art. 1751 c.c., quale risulta a seguito delle novelle di cui ai decreti legislativi n. 303 del 1991 e n. 65 del 1999, esclude la garanzia generalizzata dell’indennità per il caso di scioglimento del contratto di agenzia, prevedendo invece precise condizioni alle quali è sottoposto il relativo diritto dell’agente, e non fissa né la misura né il alcun criterio di commisurazione della medesima indennità, stabilendo, in conformità alla normativa comunitaria attuata con i citati decreti legislativi, soltanto il tetto massimo della stessa, onde deve ritenersi che il legislatore abbia inteso rimetterne la determinazione alla contrattazione, collettiva o individuale, come si desume anche dal rilievo che nessuna modificazione è stata apportata all’art. 2 della L. 2 febbraio 1973, n. 12, che attribuisce all’ENASARCO il compito di provvedere alla gestione dell’indennità di scioglimento del contratto di agenzia, con i contributi accantonati sulla base delle provvigioni. Ne consegue che non contrasta con il divieto di derogabilità a svantaggio dell’agente, stabilito dal penultimo comma dell’art. 1751 c.c., l’applicazione della norma collettiva, in base alla quale l’indennità di scioglimento del contratto va rapportata alle provvigioni ricevute nel corso del rapporto, né la diversità di trattamento tra gli agenti in ambito europeo può ritenersi in contrasto con la direttiva 86/653/CEE, in quanto tale direttiva, lungi dal prefiggersi la parificazione dei trattamenti giuridici nell’ambito dell’Unione europea, detta norme programmatiche che necessitano di attuazione da parte degli Stati membri, i quali possono optare tra un modello fondato sulla riparazione del pregiudizio causato dalla risoluzione del rapporto ed un altro basato sulla indennità di cessazione del rapporto. (Cass. 6/8/2002, n. 11791, Pres. Trezza, Rel. La Terza , in Giur. italiana 2003, 101, con nota di Luca Antonetto, Indennità di fine rapporto di agenzia: la disarmonia delle sfere di legittimità)
- La disciplina legale dell’indennità dovuta all’agente, in caso di cessazione del rapporto, a norma dell’art. 1751 c.c. (nel testo introdotto dal D. Lgs. n. 303 del 1991 e dal D. Lgs. n. 65 del 1999, per dare attuazione alle direttive comunitarie in materia), fa riferimento al criterio dell’equità (che prevede anche l’esame di tutte le circostanze del caso) non solo per determinare quando l’indennità deve essere erogata, ma anche per la sua determinazione, e, di conseguenza, deve ritenersi prevalente sulla contrattazione collettiva tutte le volte che l’applicazione del criterio stabilito dalla legge conduca ad un trattamento in concreto più favorevole all’agente, restando irrilevante una valutazione ex ante della maggiore convenienza della regolamentazione pattizia rispetto a quella legale. (Cass. 29/7/2002, n. 11189, Pres. Sciarelli, Rel. Filadoro, in Giur. italiana 2003, 101)
- L’art. 1751 c.c., quale risulta a seguito delle novelle di cui ai D.Lgs. n. 303/1991 e n. 165/1999, esclude la garanzia generalizzata della indennità per il caso di scioglimento del contratto di agenzia, prevedendo invece precise condizioni alle quali è sottoposto il relativo diritto dell’agente, e non fissa né la misura né alcun criterio di commisurazione della medesima indennità, stabilendo, in conformità alla normativa comunitaria attuata con i citati decreti legislativi, soltanto il tetto minimo della stessa, onde deve ritenersi che il legislatore abbia inteso rimetterne la determinazione alla contrattazione, collettiva o individuale, come si desume anche dal rilievo che nessuna modificazione è stata apportata all’art. 2, L. 2 febbraio 1973, n . 12, che attribuisce all’Enasarco il compito di provvedere all’obbligo dell’indennità di scioglimento del contratto d’agenzia, con i contributi accantonati sulla base delle provvigioni. Ne consegue che non contrasta con il divieto di derogabilità a svantaggio dell’agente, stabilito dal penultimo comma dell’art. 1751 c.c., l’applicazione della normativa collettiva, in base alla quale l’indennità di scioglimento del contratto va rapportata alle provvigioni ricevute nel corso del rapporto, né la diversità di trattamento tra gli agenti in ambito europeo può ritenersi in contrasto con la direttiva 86/653/CEE, in quanto tale direttiva, lungi dal prefiggersi la parificazione dei trattamenti giuridici nell’ambito dell’Unione Europea, detta norme programmatiche che necessitano di attuazione da parte degli Stati membri, i quali possono optare tra un modello fondato sulla riparazione del pregiudizio causato dalla risoluzione del rapporto ed un altro basato sulla indennità di cessazione del rapporto. (Cass. 6/8/2002, n. 11791, Pres. Trezza, Rel. La Terza , in Lav. nella giur. 2003, 71)
- Poiché la disciplina di cui agli accordi “ponte”in tema di indennità in caso di cessazione del rapporto di agenzia risulta-in una valutazione globale, da effettuarsi necessariamente ex ante-più favorevole rispetto a quella di cui al D.Lgs. n. 303/1991, non è conseguentemente dubbia la sua validità e la sua generale prevalenza rispetto alla disciplina di legge. (Trib. Ravenna 11/6/2002, Est. Riverso, in Lav. nella giur. 2003, 55, con commento di Davide Zavalloni)
- Posto il principio della derogabilità, in senso più favorevole all’agente, del disposto dell’art. 1751 c.c. ad opera della contrattazione collettiva di settore, deve riconoscersi nell’Aec 27 settembre 1992 (cosiddetto accordo ponte) una pattuizione in assoluto migliorativa rispetto alla norma di legge. (Trib. Palermo 16/5/2002, Est. Cavallaro, in Lav. nella giur. 2003, 56)
- In materia di indennità di cessazione del rapporto di agenzia, gli accordi economici collettivi di settore non possono legittimamente derogare alla disciplina dell’art. 1751 c.c. trattandosi di norma di attuazione della Direttiva Ceeequitativa con prudente apprezzamento (nella fattispecie l’indennità è stata quantificata equitativamente in un importo pari a 3/4 della media annuale delle provvigioni percepite dall’agente nell’ultimo quinquennio). (Corte d’Appello Milano 3/7/2001, Pres. Ruiz Est. Accardo, in D&L 2002, con nota di Renato Scorcelli, “Ancora sull’art. 1751 c.c. e sulla validità dei c.d. accordi ponte”) 653/86. Poiché l’art. 1751 c.c. stabilisce solo il limite massimo di tale indennità senza indicare elementi di quantificazione della stessa, l’indennità in esame deve essere liquidata dal giudice in via
- In tema di determinazione dell’indennità dovuta all’agente commerciale alla cessazione del rapporto, l’art. 1751, comma 6, c.c., come sostituito dall’art. 4, D.Lgs. 10/9/91, n. 303 (attuativo della Direttiva Comunitaria n. 86/653), vieta alle parti del contratto di agenzia di derogare a detrimento dell’agente ai criteri di determinazione ivi stabiliti; non trattandosi, peraltro, di una inderogabilità assoluta ed essendo consentita alle parti la deroga non pregiudizievole per l’agente, deve ritenersi ugualmente consentita alla contrattazione collettiva una modificazione pattizia di quei criteri, considerato l’ampio spazio che alla rappresentanza delle organizzazioni sindacali riserva l’ordinamento italiano (Cass. 30/8/00, n. 11402, pres. Sciarelli, in Lavoro giur. 2001, pag. 349, con nota di Zavalloni, Per una teoria sull’art. 1751 c.c.)
- In materia di indennità di cessazione del rapporto di agenzia, l’Accordo Economico Collettivo per gli agenti rappresentanti è da considerarsi complessivamente più favorevole agli agenti di quanto previsto dall’art. 1751 c.c., sicché la disciplina collettiva prevale su quella legale (Trib. Milano 19/7/00, pres. e est. Mannacio, in Orient. giur. lav. 2000, pag. 671. In senso conforme, v. Trib. Milano 9/6/00, est. Marasco, in Orient. giur. lav.2000, pag. 674)
- In ipotesi di risoluzione del contratto d’agenzia, compete all’agente l’indennità per lo scioglimento del contratto previsto dall’Accordo Economico Collettivo di settore, le cui disposizioni, in astratto, non derogano in peius l’art. 1751 c.c., in quanto non subordinano l’erogazione dell’indennità ai criteri meritocratici previsti invece dall’art. 1751 c.c. Peraltro, ove in concreto la normativa contrattuale risultasse meno favorevole di quella legge, sarebbe sempre consentita l’attuazione piena dell’art. 1751 c.c., in applicazione estensiva del criterio dell’equità, contenuto nel 1° comma dell’art. 1751 c.c. (Trib. Milano 21 febbraio 2000, est. Peragallo, in D&L 2000, 440)
- Poiché la disciplina dell’indennità di cessazione del rapporto di agenzia contenuta nei c.d. accordi-ponte risulta, ad una valutazione complessiva, più favorevole rispetto a quella di cui all’art. 1751 c.c., come modificato dal d.lgs. n. 303/91, essa prevale rispetto alla disciplina di legge (Trib. Brescia 20/10/99, est. Gorra, in Orient. Giur. Lav. 2000, pag. 382)
- In ipotesi di risoluzione del contratto di agenzia, ai fini della determinazione dell’indennità di cessazione rapporto, è applicabile, in via esclusiva, la normativa contenuta negli Accordi Economici Collettivi di settore, le cui disposizioni, confrontate, come necessario, in astratto e a priori con la normativa di legge, non risultano derogare in peius l’art. 1751 c.c., bensì risultano configurare una disciplina più favorevole per l’agente, in quanto offrono criteri certi di determinazione quantitativa dell’indennità; non subordinano l’erogazione dell’indennità ad alcun presupposto; permettono di soddisfare maggiormente l’esigenza di certezza del diritto (Trib. Brescia 20 ottobre 1999, est. Gorra, in D&L 2000, 775)
- In materia di indennità per il caso di cessazione del rapporto di agenzia, l’inderogabilità delle disposizioni di cui all’art. 1751 c.c. è sancita soltanto con rispetto alle previsioni degli Accordi economici collettivi di settore più sfavorevoli per l’agente; è da escludersi che i cosiddetti “accordi ponte” del 1992 – da esaminarsi nel loro complesso e in astratto e non già con riferimento alle singole previsioni e al caso concreto – contrastino con il disposto di legge, in quanto riconoscono il diritto alla indennità in molti casi in cui essa non spetterebbe ai sensi dell’art. 1751 c.c. e in altri casi in misura superiore a quella che spetterebbe in applicazione delle disposizioni di legge (fattispecie relativa all’indennità per il caso di cessazione del rapporto spettante all’agente ai sensi dell’Accordo economico collettivo del 30/10/92 per il settore industria) (Trib. Como 12/6/99, pres. Giuffrida, est. Aliverti, in D&L 1999, 876)
- Ove al contratto di agenzia siano applicabili gli Accordi economici collettivi di settore, l’indennità per il caso di cessazione del rapporto dovuta all’agente deve essere liquidata conformemente a quanto previsto da tali Accordi economici collettivi da ritenersi pienamente validi, non essendo configurabile nella relativa disciplina una deroga in peius rispetto al trattamento riservato all’agente dall’art. 1751 c.c. (fattispecie relativa a indennità per il caso di cessazione del rapporto liquidata all’agente ai sensi dell’Accordo economico collettivo del 30/10/92 per il settore industria) (Pret. Como 12/6/98, est. Fargnoli, in D&L 1998, 962, nota Bernini, Ancora sull’indennità per il caso di cessazione del rapporto di agenzia)
- In ipotesi di risoluzione di contratto di agenzia a iniziativa della casa mandante, compete all’agente l’indennità di cessazione rapporto prevista e disciplinata dall’art. 1751 c.c., come novellato dall’art. 4 DL 10/9/91 n. 303, e non il trattamento di fine rapporto previsto negli Accordi economici collettivi 30/10/92 (Industria) e 27/11/92 (Commercio), a ritenersi incompatibile con il nuovo testo dell’art. 1751 c.c., in tutti i casi in cui configuri in concreto per l’agente un trattamento deteriore rispetto a quello di legge (Pret. Milano 17/12/96, est.Frattin, in D&L 1997, 612, nota Tagliagambe)
Agenti e lavoro subordinato
- La conseguenza dell’accertamento giudiziale della natura subordinata del rapporto di lavoro di un venditore retribuito a provvigioni non è la nullità parziale della pattuizione individuale relativa al solo compenso fisso, con la conservazione delle provvigioni, ma il riconoscimento del diritto del lavoratore alla retribuzione sufficiente e proporzionata in base alle previsioni del contratto collettivo per il livello riconosciuto. Il confronto fra il trattamento economico complessivamente fruito sulla base di un rapporto qualificato come contratto di agenzia, e quello spettante in virtù della riqualificazione del rapporto come contratto di lavoro subordinato deve essere globale, nel senso che il complesso dei compensi, variabili e fissi, corrisposti al lavoratore nel periodo considerato va detratto dal complesso dei compensi attribuiti ope iudicis in virtù del contratto collettivo applicabile al rapporto di lavoro subordinato. (Cass. 23/1/2006 n. 1261, Pres. Sciarelli Est. Di Nubila, in Riv. it. dir. lav. 2007, con nota di Sabrina Bellumat, “Sulla retribuzione del preteso agente, riqualificato come lavoratore subordinato”, 31)
- Ai fini dell’accertamento della natura autonoma o subordinata del rapporto di lavoro, anche in presenza della qualificazione in via autonoma operata dalle parti, deve attribuirsi rilevanza decisiva alla sussistenza del requisito della subordinazione da accertarsi alla luce delle concrete modalità di svolgimento del rapporto di lavoro, con la conseguenza che non possono ravvisarsi gli estremi del rapporto di agenzia, bensì quelli del rapporto di lavoro subordinato, nell’attività svolta da alcuni venditori con stabile inserimento della loro prestazione nell’organizzazione aziendale del datore di lavoro senza alcun rischio di impresa e nel rispetto delle direttive impartite dal datore di lavoro (Pret. Torino 7/12/95, est. Sanlorenzo, in D&L 1996, 694, nota SCORCELLI, Contratto di agenzia e rapporto di lavoro subordinato)
- Ai fini dell’accertamento della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato è irrilevante il nomen iuris dato dalle parti al rapporto contrattuale; pertanto, qualora le parti abbiano stipulato un contratto di agenzia nel quale vi siano invece clausole incompatibili con la funzione propria di tale contratto e, anzi, sintomatiche dell’esistenza del vincolo di subordinazione e il rapporto si sia di fatto svolto, per ammissione delle parti, con dette, deve affermarsi l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato, a prescindere dall’assunzione della prova testimoniale sull’effettivo svolgimento del rapporto (nella fattispecie è stata ritenuta incompatibile con il rapporto di agenzia la previsione dello svolgimento da parte dell’agente di un’attività di coordinamento e di supporto tecnico in favore di altri agenti del preponente, la mancanza di una determinazione della zona, un concorso spese a favore dell’agente notevolmente superiore alla misura prevista per le provvigioni, l’obbligo di corrispondere il concorso spese anche in caso di sospensione del rapporto per malattia o infortunio, ecc.) (Pret. Milano 22/10/94, est. Di Ruocco, in D&L 1995, 384)
Risoluzione del rapporto
- In tema di rapporto di agenzia, poiché il preponente, in forza dell’art. 1749 c.c., è tenuto ad agire con correttezza e buona fede nei confronti dell’agente, la violazione di detti obblighi non può configurare, in base alla gravità delle circostanze, una giusta causa di scioglimento dello stesso rapporto di agenzia, rispetto al quale trova analogica applicazione l’art. 2119 c.c., con il consequenziale diritto dell’agente recedente all’indennità sostitutiva del preavviso. (Trib. Foggia 26/2/2014, Giud. Consiglio, in Lav. nella giur. 2014, 822)
- L’abuso del diritto non è ravvisabile nel solo fatto che una parte del contratto abbia tenuto una condotta non idonea a salvaguardare gli interessi dell’altra, quando tale condotta persegua un risultato lecito attraverso mezzi legittimi, essendo, invece, configurabile allorché il titolare di un diritto soggettivo, pur in assenza di divieti formali, lo eserciti con modalità non necessarie e irrispettose del dovere di correttezza e buona fede, causando uno sproporzionato e ingiustificato sacrificio della controparte contrattuale, e al fine di conseguire risultati diversi e ulteriori rispetto a quelli per i quali quei poteri o facoltà sono attribuiti. Ne consegue, pertanto, che, nel contratto di agenzia, l’abuso del diritto è da escludere, allorché il recesso non motivato dal contratto sia consentito dalla legge, la sua comunicazione sia avvenuta secondo buona fede e correttezza e l’avviso ai clienti si prospetti come doveroso. (Cass. 7/5/2013 n. 10568, Pres. Roselli Rel. Napoletano, in Lav. nella giur. 2014, con commento di Valerio Sangiovanni, 269)
- In base al principio di ultrattività del rapporto durante il periodo di preavviso, il contratto di agenzia a tempo indeterminato non cessa nel momento in cui uno dei contraenti recede dal contratto, ma solo quando scade il termine di preavviso, sancito nell’interesse e a tutela della parte non recedente; ne consegue che il recesso dell’agente, intervenuto durante il periodo di preavviso conseguente all’atto di recesso del preponente, integra una rinuncia al preavviso e l’anticipazione dell’estinzione del rapporto, che resta pur sempre imputabile alla volontà del proponente, su cui peramane l’obbligo di corrispondere l’indennità di cessazione ex art. 1751 c.c. (Cass. 25/5/2012 n. 8295, Pres. Roselli Est. Tria, in D&L 2012, con nota di Mirella Morandi, “Recesso dell’agente in costanza di preavviso e ultrattività del rapporto”, 761)
- Al rapporto di agenzia si applica l’istituto del recesso per giusta causa, previsto dall’art. 2119 c.c., stante l’evidente analogia che sussiste tra la disciplina del recesso dal contratto di agenzia e quella dello scioglimento del rapporto di lavoro subordinato, fondati entrambi sull’elemento fiduciario; pertanto il concetto di giusta causa di cui all’art. 2119 c.c. può essere utilizzato, pur nella sostanziale diversità delle rispettive prestazioni e della configurazione giuridica dei due contratti, per stabilire se lo scioglimento del contratto di agenzia sia avvenuto o non per un fatto imputabile all’agente, tale da precludere la possibilità di prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto; tuttavia ai fini della legittimità del recesso dal rapporto di agenzia, il preponente non deve fare riferimento – fin dal momento della comunicazione del recesso – a fatti specifici, essendo, al contrario, sufficiente che di essi l’agente sia a conoscenza anche aliunde o che essi siano – in caso di controversia – dedotti o correlativamente accertati dal Giudice. (Trib. Bologna 28/10/2008 Est. Palladino, in Lav. nella giur. 2009, 524)
- In tema di cessazione del rapporto di agenzia, l’articolo 17 della direttiva n. 86/653/CEE, relativa al coordinamento dei diritti degli Stati membri concernenti gli agenti commerciali indipendenti, deve essere interpretato, alla luce della relativa decisione della Corte di giustizia delle Comunità Europee del 23 marzo 2006, c-465/04, nel senso che l’indennità di cessazione del rapporto prevista dalla citata direttiva non può essere sotituita da un’indennità contrattualmente determinata secondo criteri diversi, a meno che quest’ultima non assicuri all’agente un trattamento più favorevole. Pertanto, l’art. 1751 c.c. (anche nel testo successivo al d.lgs. n. 65 del 1999), il quale va interpretato in conformità alla disciplina comunitaria, va inteso nel senso che l’attribuzione dell’indennità è condizionata non soltanto alla permanenza, per il preponente, di sostanziali vantaggi derivanti dall’attività di promozione degli affari compiuta dall’agente, ma anche alla rispondenza ed equità dell’attribuzione, in considerazione delle circostanze del caso concreto e in particolare delle provvigioni perse da quest’ultimo. (Cass. 22/9/2008 n. 23966, Pres. Senese Est. Nobile, in Lav. nella giur. 2009, 194)
- Il rapporto di agenzia può essere risolto per giusta causa in virtù dell’applicazione analogica a tale contratto dell’art. 2119 c.c., (…) non può ritenersi applicabile al contratto di agenzia la norma speciale dettata dall’articolo 2 della L. n. 604/66, che consente al datore di lavoro di comunicare al lavoratore i motivi del licenziamento successivamente alla data del recesso. (Trib. Grosseto 9/7/2008 Dott. Ottati, in Lav. nella giur. 2009, 88)
- Nel contratto di agenzia, i motivi del recesso per giusta causa devono essere, necessariamente e imprescindibilmente, enunciati nella lettera di recesso da parte del preponente. (Trib. Grosseto 25/7/2007, Est. Ottati, in Lav. nella giur. 2008, 316)
- Gli artt. 1750 e 1751 c.c., anche nel nuovo testo introdotto dagli artt. 3 e 4 del D.Lgs. 10 settembre 1991, n. 303 (attuativo della direttiva CEE n. 653 del 1986), attribuiscono espressamente a ciascuna delle parti il potere di libero recesso dal contratto a tempo indeterminato, con il solo obbligo di preavviso, disciplinando le rispettive obbligazioni conseguenti alla cessazione del rapporto; deve escludersi, pertanto, in assenza di qualunque riferimento alla giustificazione del recesso, che la nuova formulazione abbia introdotto un regime di stabilità reale o obbligatoria. L’esercizio della facoltà di recedere ad nutum dal rapporto – salvo il preavviso – non può costituire in alcun modo inadempimento contrattuale, con conseguente irrisarcibilità di ogni eventuale danno derivante all’agente dal recesso. (Trib. Palermo 6/3/2007, Dott. Cavallaro, in Lav. nella giur. 2007, 1257)
- In tema di contratto di agenzia, l’art. 1750, comma quarto, c.c., nel porre la regola inderogabile secondo cui i termini di preavviso devono essere gli stessi per le due parti del rapporto, esprime un precetto materiale che vieta pattuizioni che alterino la parità delle parti in materia di recesso, con la conseguenza che è nullo per frode al detto precetto (art. 1344 c.c.) il patto che contempli, in aggiunta all’obbligo di pagare l’indennità di mancato preavviso, una clausola penale a carico del solo agente che si renda inadempiente all’obbligo di dare preavviso. (Cass. 14/11/2006 n. 24274, Pres. Sciarelli Est. Picone, in ADL 2007, con nota di Valentina Beghini, “Sui limiti dell’autonomia i8ndividuale nella regolamentazione del recesso dal contratto di agenzia”, 539)
- La ricorrenza di una giusta causa di recesso dal contratto di agenzia deve, necessariamente e imprescindibilmente, essere enunciata nella lettera di recesso. Infatti, mentre non è discutibile che il contratto di agenzia possa essere risolto per giusta causa in virtù dell’applicazione analogica a tale contratto dell’art. 2119 c.c., non può, invece, ritenersi applicabile al contratto di agenzia la norma speciale dettata dall’art. 2, L. n. 604/1966, che consente al datore di lavoro di comunicare al lavoratore i motivi del recesso anche successivamente alla data del medesimo. (Trib. Grosseto, 30/3/2006, Est. Ottati, in Lav. Nella giur. 2006, 918)
- La disciplina codicistica del rapporto di agenzia non contiene alcuna espressa previsione delle ipotesi legittimanti il recesso senza preavviso, si ritiene quindi applicabile l’istituto del recesso per giusta causa previsto dall’art. 2119 c.c., sulla base di un’analogia ritenuta sussistente tra il rapporto di agenzia e rapporto di lavoro subordinato, entrambi basati sulla sussistenza di una relazione fiduciaria tra le parti. Pertanto, si ritiene rilevante, al fine di giustificare il recesso ad nutum, la sussistenza di un fatto imputabile all’agente tale da precludere la possibilità di prosecuzione, anche temporanea del rapporto. (Corte app. Caltanisetta 18/3/2006, Pres. Russo Rel. D’Amore, in Lav. Nella giur. 2006, 716)
- Alla clausola di contratto di agenzia con la quale si limita lo svolgimento dell’attività dell’agente per il tempo successivo alla cessazione del contratto non è applicabile l’art. 2125 c.c., che regola il patto di non concorrenza stipulato nell’ambito di un rapporto di lavoro subordinato, bensì l’art. 2596 c.c. in quanto l’agente, assumendo il rischio della propria attività, opera come imprenditore. (Trib. Forlì 12/1/2005 Est. Velotti, in Lav. nella giur. 2005, 289)
- Nel contratto di agenzia è necessaria la contestazione immediata, sia pure sommatoria, delle ragioni in base alle quali il preponente intende motivare il suo recesso per giusta causa, il che implica la preclusione di dedurre successivamente fatti diversi da quelli contestati. Non può invece ritenersi applicabile al contratto di agenzia la norma speciale dettata dall’art. 2, L. n. 604/66, che consente al datore di lavoro di comunicare i motivi del licenziamento successivamente alla data del recesso. (Trib. Grosseto 21/10/2004, Est. Ottati, in Lav. nella giur. 2005, 488)
- La revoca della zona dell’agente deve essere interpretata come recesso ad nutum dal contratto di agenzia. (Trib. Grosseto 24/5/2004, Est. Ottati, in Lav. nella giur. 2004, 1005)
- L’agente che recede dal contratto di agenzia non per giusta causa non ha diritto a percepire le indennità di preavviso e di fine rapporto. (Corte d’appello orino 30/12/2003, Pres. Girolami Rel. Mancuso, in Lav. nella giur. 2004, 905)
- La sensibile riduzione della misura delle provvigioni costituisce giusta causa di recesso per l’agente e determina pertanto il diritto di questi al preavviso in applicazione dell’art. 2119 c.c.; a tal fine il requisito dell’immediatezza deve essere inteso in senso relativo. (Corte d’appello Milano 4/12/2003, Pres. ed Est. Mannacio, in D&L 2004, con nota di Paola Natale “Variazione delle provvigioni e giusta causa di recesso dell’agente”, 143)
- Costituisce giusta causa di recesso per l’agente – e determina pertanto il diritto di questi al preavviso in applicazione dell’art. 2119 c.c. – il comportamento del preponente espresso in una serie di condotte reiterate nel tempo e consiste nell’occultamento delle provvigioni e nell’invio di documentazione incompleta. (Trib. Firenze 23/10/2001, Est. Bronzini, in D&L 2002, 732, con nota di Filippo Pirelli, “Rapporto di agenzia e giusta causa di recesso dell’agente”)
- Non può ritenersi sussistente alcun vincolo di interdipendenza – con conseguente inammissibilità dell’eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c. – tra la vicenda estintiva del rapporto di agenzia e l’esecuzione del patto di non concorrenza. Un simile principio è da ritenersi valido ed efficace quale che sia la causa di risoluzione del contratto di agenzia (Trib. Ravenna 9/6/01, est. Lacentra, in Lavoro giur. 2001, pag. 860, con nota di Zavalloni, Patto di non concorrenza ed eccezione di inadempimento nel contratto di agenzia)
- La previsione dell’art. 1751, comma 4, c.c., secondo cui la concessione all’agente dell’indennità di cessazione del rapporto non priva l’agente medesimo “del diritto all’eventuale risarcimento dei danni”, non configura un’ipotesi di risarcimento del danno da fatto lecito, spettante in ogni caso in conseguenza della cessazione del rapporto negoziale, ma si riferisce ad eventuali danni ulteriori da fatto illecito contrattuale o extracontrattuale, cumulabili con il danno da perdita delle provvigioni maturate, a fatti di denigrazione professionale, alla ingiuriosità del recesso del preponente, alla induzione dell’agente prima della risoluzione del rapporto a oneri e spese di esecuzione del contratto poi inopinatamente risolto (Cass. 30/8/00, n. 11402, pres. Sciarelli, in Lavoro giur. 2001, pag. 349, con nota di Zavalloni, Per una teoria sull’art. 1751 c.c.)
- Nel regime di recedibilità che caratterizza il rapporto di agenzia, la risoluzione del contratto produce solo gli effetti previsti dall’art. 1751 c.c. (indennità di risoluzione) ma non è fonte di risarcimento per il pregiudizio connesso alla fine di un rapporto produttivo. A tale ulteriore fine occorre la prova del fatto specificamente lesivo (un’attività diretta a screditare l’agente o ad impedirgli illegittimamente di lavorare) e del danno conseguente (Trib. Milano 19/7/00, pres. e est. Mannacio, in Orient. giur. lav. 2000, pag. 671)
Assistenza e previdenza
- Gli agenti e i rappresentanti di commercio non risultano assoggettati all’obbligo assicurativo contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali se non svolgono opera manuale o di sovrintendenza ovvero se non incombe sui medesimi un rischio specifico o ambientale. (Trib. Ferrara 8/6/2007, Giud. Guidomei, in Lav. nella giur. 2008, con commento di Stefano Tortini, 276)
- Ai sensi dell’art. 6, l. 2/2/73, n. 12 il massimale di contribuzione di lire 9.000.000 annue è riservato soltanto a quegli agenti o rappresentanti di commercio che siano obbligati ad esercitare la loro attività nei confronti di un solo mandante a mezzo di accordo che può essere stipulato con assoluta libertà di forme e provato con ogni mezzo, tenendo anche conto del fatto che la comunicazione all’Enasarco da effettuarsi nel termine previsto dal regolamento emanato con D.M. 20/2/74 può essere fatta con ogni mezzo, compreso il versamento dei contributi per l’agente monomandatario, purché sia idoneo a consentire all’ente di previdenza di effettuare tempestivi ed efficaci controlli nel corso del rapporto (Cass. 6/11/00, n. 14444, pres. Prestipino, in Orient. Giur. Lav. 2000, pag. 1131)