Questa voce è stata curata da Elena Fava e Francesca Ajello
Nozione
I contributi rappresentano le quote della retribuzione (nel caso di rapporti di lavoro subordinato) o del reddito di lavoro (nel caso del lavoro autonomo, in collaborazione o associato) destinate al finanziamento delle prestazioni previdenziali ed assistenziali previste dalla legge.
Il loro versamento è, di norma, obbligatorio: l’onere contributivo sorge generalmente all’avvio di una qualunque attività lavorativa, ovvero al verificarsi delle ulteriori condizioni previste dalla legge.
La loro riscossione, unitamente all’erogazione delle prestazioni ed al controllo della corretta applicazione delle norme, è affidata agli enti di previdenza.
I contributi si possono classificare in due differenti tipologie:
- contributi previdenziali: versamenti obbligatori effettuati dal datore di lavoro nei confronti dell’ente previdenziale (Inps per settore privato; Inpdap per settore pubblico) al fine di ottenere la prestazione pensionistica;
- contributi assistenziali: versamenti effettuati all’Inps o all’Inail, al fine di ottenere una copertura dei rischi legati agli infortuni e alle malattie professionali, all’invalidità, malattia.
L’instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato, determina automaticamente l’insorgenza del corrispondente rapporto contributivo – assicurativo.
Nello specifico, l’onere contributivo incombe sia sul lavoratore (mediante una trattenuta effettuata sulla retribuzione lorda mensile) sia sul datore di lavoro. Tuttavia, l’obbligo di pagamento dei contributi è gravante esclusivamente sul datore di lavoro, il quale è tenuto a versare le trattenute all’ente previdenziale – assistenziale.
Il versamento dei contributi deve essere effettuato entro il giorno 16 del mese successivo a quello in cui è scaduto l’ultimo periodo di paga: il datore di lavoro è infatti sia civilmente sia penalmente responsabile dell’obbligo di tale versamento.
Il lavoratore può in ogni caso verificare l’avvenuto versamento dei contributi: o tramite l’attestazione che viene rilasciata annualmente dai datori di lavoro, oppure inoltrando la richiesta dell’estratto contributivo direttamente all’ente previdenziale.
Soggetti obbligati alla contribuzione
Obbligato al versamento dei contributi per i rapporti di lavoro subordinato è, in via generale, il datore di lavoro (art. 2115 c.c.).
Anche nei casi in cui l’onere contributivo è ripartito tra il datore e il prestatore (ad esempio per la pensione di anzianità), la quota di competenza di quest’ultimo viene ugualmente versata dal datore, il quale trattiene la somma corrispondente dalla retribuzione del lavoratore, restando così l’unico responsabile nei confronti degli enti previdenziali.
Sono invece interamente a carico del prestatore i contributi dovuti per le attività di lavoro autonomo.
Per le collaborazioni coordinate e continuative, per il lavoro a progetto, per le collaborazioni occasionali (solo se il reddito supera un certo importo) e per gli associati in partecipazione, l’obbligo contributivo grava per una quota sui committenti (i quali restano comunque responsabili del versamento), e per la parte restante sugli stessi lavoratori.
Sono tenute al versamento dei contributi per i soci lavoratori anche le società cooperative.
Per i lavoratori comunitari vale il principio della completa equiparazione rispetto a quelli residenti, essendo peraltro riconosciuta la possibilità di far valere in qualsiasi stato comunitario l’anzianità contributiva conseguita in uno degli stati membri.
I contributi devono essere pagati anche per i lavoratori stranieri, con la possibilità del cumulo dei periodi contributivi nei due stati, sulla base di apposite convenzioni internazionali.
A favore dei lavoratori italiani all’estero, in paesi extracomunitari con i quali non sussistano apposite convenzioni, il legislatore italiano, in deroga al principio di territorialità, ha stabilito l’iscrizione obbligatoria alle gestioni previdenziali italiane, sulla base di importi retributivi annualmente fissati con decreto ministeriale e rapportati ai minimi previsti dai contratti collettivi stipulati dai sindacati maggiormente rappresentativi sul piano nazionale (Legge 398/1987).
Base imponibile e misura della contribuzione
L’ammontare dei contributi viene calcolato in percentuale sull’importo della retribuzione imponibile (nel caso dei rapporti di lavoro subordinato) o del reddito di lavoro (nel caso del lavoro autonomo, in collaborazione o associato); l’entità della percentuale varia a seconda dei diversi enti assicuratori, delle prestazioni da questi erogate e delle differenti categorie di lavoratori.
Per i rapporti di lavoro subordinato, la definizione della retribuzione da assoggettare a contributi rinvia alla nozione di reddito da lavoro dipendente valida ai fini fiscali (art. 6 D. Lgs 314/1997); in essa rientrano dunque “tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro”, al lordo di qualsiasi contributo o trattenuta.
Alla determinazione degli elementi della retribuzione da considerare ai fini previdenziali concorre inoltre la contrattazione collettiva nazionale ed aziendale: secondo quanto stabilito dalla Legge 402/1998, è l’accordo collettivo (sia esso nazionale o aziendale) a regolare l’efficacia sugli istituti indiretti delle voci contrattuali aggiuntive rispetto a quelle legislativamente disciplinate.
La legge n. 389/1989 fissa inoltre un minimale contributivo: la retribuzione da assumere come base per il calcolo dei contributi non può essere inferiore all’importo delle retribuzioni stabilito da leggi, regolamenti, contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative sul piano nazionale, ovvero da accordi collettivi anche aziendali o da contratti individuali, qualora ne derivi una retribuzione di importo superiore a quello previsto dal contratto collettivo.
Vale in questo ambito il principio di competenza: la base imponibile viene calcolata in riferimento alla retribuzione dovuta, sebbene non ancora corrisposta. Oltre alle componenti non rientranti nella definizione di reddito da lavoro ai fini fiscali, restano escluse dal calcolo della base imponibile alcune voci tassativamente stabilite ai soli fini previdenziali (es. premi di risultato o di produttività, somme corrisposte a titolo di TFR, incentivi all’esodo, trattamenti familiari, ecc…).
Contributi figurativi, volontari e da riscatto
Se l’obbligatorietà è la caratteristica tipica della contribuzione, esistono tipologie di contributi non inquadrabili nel sistema sopra descritto.
E’ il caso dei contributi figurativi, dei contributi volontari e dei contributi da riscatto.
Contributi figurativi
I contributi figurativi vengono versati per coprire i periodi in cui il lavoratore non ha eseguito la prestazione lavorativa per cause non imputabili alla sua volontà.
La legge (art. 8 Legge 155/1981, D. Lgs 564/1996, D. Lgs 278/1998) individua tassativamente le ipotesi nelle quali i contributi figurativi possono essere accreditati d’ufficio o su domanda dell’interessato, senza alcun onere a carico del lavoratore (es: servizio militare, periodi di integrazione salariale, astensione obbligatoria e facoltativa da lavoro ecc..).
Contributi volontari
Diverso è il caso dei contributi volontari.
Qualora sia interrotto o cessi il rapporto di lavoro che ha dato luogo all’obbligo assicurativo, il lavoratore, al fine di conservare i diritti derivanti dalle assicurazioni o per raggiungere i requisiti per l’erogazione della prestazione, può chiedere all’ente previdenziale, in presenza di determinate condizioni (fissate dall’art. 5 co. 2 del D.Lgs. 278/1998), di proseguire la contribuzione direttamente a suo carico.
Contributi da riscatto
I contributi da riscatto consentono invece al lavoratore (con onere finanziario a suo carico, ovvero a carico del datore di lavoro, o con trasferimento di fondi da altri enti di previdenza), di regolarizzare, dal punto di vista assicurativo, i periodi (lavorativi e non) che non siano stati coperti da contribuzione (es. durata dei corsi legali di studio universitario).
Essi sono equiparati, a tutti i fini, ai contributi obbligatori.
Omissione e evasione contributiva: sanzioni
Il sistema sanzionatorio in materia previdenziale e assistenziale ad oggi risulta essere disciplinato dalla Legge n. 388 del 2000 la quale prevede due diverse tipologie di sanzioni: quelle civili, che variano a seconda del debito, e le sanzioni penali.
Al fine di stabilire l’entità delle sanzioni applicabili, la giurisprudenza distingue due diverse ipotesi:
- Omissione contributiva: si verifica ogniqualvolta vi sia un ritardato pagamento dei contributi, risultante dalle registrazioni e dalle documentazioni obbligatorie regolarmente denunciate dal datore di lavoro: in tali casi, le sanzioni previste sono di minore entità;
- Evasione contributiva: ravvisabile ogniqualvolta le predette registrazioni o le denunce contributive mensili siano state del tutto omesse o occultate dal datore di lavoro (si pensi al fenomeno del cd. “lavoro nero”): in tali casi, le sanzioni civili irrogate per l’omesso versamento dei contributi non possono essere inferiori a €. 3.000 per ciascun lavoratore, indipendentemente dalla durata della prestazione lavorativa.
Per quanto concerne la sanzioni penali, si configura il reato di omesso versamento ogniqualvolta il datore di lavoro non abbia provveduto al versamento dei contributi omessi entro il termine di tre mesi dalla contestazione o dalla notifica dell’avvenuto accertamento della violazione, ovvero qualora lo stesso abbia corrisposto il pagamento delle retribuzioni “in nero”: il reato in questione peraltro, non viene meno nel caso in cui il datore di lavoro abbia demandato a terzi (quali il proprio commercialista o altri professionisti) l’incarico di provvedere al versamento dei contributi, poiché la responsabilità di tale versamento grava in ogni caso su quest’ultimo.
Omissione e evasione contributiva: Rimedi esperibili
Nel caso di omesso o insufficiente versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali, spettano al lavoratore due differenti azioni legali:
- richiesta di condanna del datore di lavoro al pagamento dei contributi omessi.
- risarcimento del danno (art. 2116 co 2 c.c.), qualora dalla inadempienza contributiva sia conseguita la perdita totale o parziale del diritto alla prestazione assicurativa: in questo caso, la determinazione del danno risulta dalla differenza tra quanto percepito dal lavoratore a titolo di pensione e quanto lo stesso avrebbe dovuto percepire se i contributi fossero stati regolarmente versati (in tal senso Cass. 85/5975);
Entrambi tali rimedi sono esperibili autonomamente: dunque il lavoratore, può agire indifferentemente per ottenere entrambi.
Nel caso in cui sia intervenuta prescrizione dei contributi, il lavoratore può chiedere all’Istituto previdenziale la costituzione di “una rendita vitalizia reversibile” per ottenere l’accredito del periodo di omissione contributiva: tale rimedio consente, attraverso un versamento all’Inps il cui importo varia a seconda di diversi fattori (quali l’età, la retribuzione, il sesso, ecc.), l’accreditamento del periodo non coperto da contribuzione.
Riferimenti normativi
- Art. 38 Costituzione
- Art. 2115 c.c
- L. 26.10.1057 n. 1047
- L. 4.7.1959 n. 463
- L. 22.71966 n. 613
- L. 2.8.1990 n. 233
- D. Lgs 314/1997
- Legge 402/1998
- Legge 398/1987
- Legge 389/1989
- Legge 155/1981
- D. Lgs 564/1996
- D. Lgs 278/1998
- Legge 388/2000
- D. Lgs 46/1999, art. 24
- Legge 248/2005
- Legge 335/1995
- L. 214/2011 di conversione del D.L. 201/2011 cd decreto Salva Italia
A chi rivolgersi
- Ufficio vertenze sindacale
- Studio legale specializzato in diritto del lavoro e previdenza sociale
- Istituto di Patronato
Casistica di decisioni della Magistratura in tema di contributi
- In caso di annullamento della cessione d’azienda, l’obbligo contributivo resta, nel periodo intermedio, a carico del cedente.
La Corte d’appello aveva escluso l’obbligo di una società di pagare all’INPS i contributi per 10 lavoratori che erano stati “reintegrati” all’esito dell’annullamento della cessione di un ramo d’azienda, perché, durante la cessione, non sussisterebbero per la cedente obblighi retributivi e contributivi. La sentenza è annullata dai giudici di legittimità, che formulano il principio succitato, osservando che (i) in base agli artt. 1218 e 1256 c.c., quando la “sospensione unilaterale” del rapporto è addebitabile a fatto del datore di lavoro, quest’ultimo è sempre tenuto alle obbligazioni retributive dal momento dell’offerta della prestazione lavorativa nei suoi confronti (ii) la permanenza dell’obbligazione retributiva in capo al cedente implica contestualmente la configurabilità dell’obbligazione contributiva previdenziale, che alla prima si correla geneticamente; (iii) la sussistenza del debito contributivo in capo alla società cedente non è esclusa neppure qualora il cessionario provveda a versare i contributi previdenziali in relazione alle retribuzioni pagate ai lavoratori nel periodo di efficacia della cessione d’azienda, in quanto, una volta invalidata la cessione, il pagamento dell’obbligazione contributiva non proviene più dal datore di lavoro formalmente titolare del rapporto ma da un terzo a ciò non autorizzato (nei regimi previdenziali obbligatori, infatti, l’obbligo di versare i contributi ha natura inderogabile ed è quindi indisponibile, in virtù di quanto stabilito dall’art. 2115, co. 3, c.c., che dispone la nullità di qualsiasi patto diretto a eludere l’obbligazione contributiva). (Cass. 31/3/2023 n. 9143, Pres. Mancino Rel. Buffa, in Wikilabour, Newsletter n. 7/23) - La rinuncia del lavoratore all’indennità sostitutiva del preavviso non pregiudica il diritto dell’INPS ai relativi contributi.
L’affermazione della Corte, in una vicenda in cui le parti del rapporto di lavoro lo avevano risolto consensualmente, con rinuncia dei lavoratori all’indennità sostitutiva del preavviso e l’erogazione da parte della società di una somma a titolo di incentivo all’esodo, trova fondamento nella inopponibilità della rinuncia dei lavoratori all’INPS, il cui rapporto previdenziale è autonomo rispetto al rapporto di lavoro tra datore e lavoratore. In tale rapporto previdenziale vige la regola del minimo contributivo, secondo la quale la retribuzione da prendere a base del calcolo dei contributi è fissata per legge, per cui resta indifferente rispetto al mancato pagamento totale o parziale della retribuzione, la rinuncia a essa o l’accordo delle parti per una retribuzione inferiore. Con riferimento al caso esaminato, ciò comporta che se l’indennità sostitutiva fosse stata effettivamente dovuta (e ciò dovrà essere accertato dal giudice di rinvio), i contributi nel minimo di legge sarebbero comunque dovuti.(Cass. 29/3/2023 n. 8913, Pres. Berrino Rel. Gnani, in Wikilabour, Newsletter n. 7/23) - In tema di sospensione della prescrizione, costituisce doloso occultamento del debito contributivo verso l’ente previdenziale, ai fini dell’applicabilità dell’art. 2941, n. 8, c.c., la condotta del professionista che ometta di compilare la dichiarazione dei redditi nella parte relativa ai proventi della propria attività, utile al calcolo dei contributi per la gestione separata (Fattispecie di mancata quantificazione ed indicazione dei contributi previdenziali nel quadro “RR” della dichiarazione dei redditi). (Cass. 25/3/2021 n. 8419, ord., Pres. Leone Est. De Felice, in Lav. nella giur. 2021, con nota di D. Mesiti, Sospensione della prescrizione dei contributi per occultamento doloso da mancata indicazione nel “quadro RR” della dichiarazione dei redditi con rischio di fatto di stimolare l’evasione fiscale, 712)
- Va rimessa al Primo Presidente, perché valuti l’opportunità di investire le Sezioni Unite della questione relativa alla configurabilità di un litisconsorzio necessario nei confronti dell’I.N.P.S., in quanto ente creditore e dell’agente della riscossione nei giudizi di opposizione contro l’iscrizione a ruolo avente ad oggetto contributi previdenziali. (Cass. 22/3/2021 n. 8003, Pres. Manna Rel. Buffa, in Lav. nella giur. 2021, 654)
- In tema di contributi previdenziali, il raddoppio del termine quinquennale di prescrizione, previsto dall’art. 3, comma 9, L. n. 335 del 1995, per il caso di denuncia del lavoratore, non si applica ai crediti maturati in epoca successiva all’entrata in vigore della legge, dal momento che la suddetta denuncia ha unicamente l’effetto di mantenere il termine decennale per i crediti maturati anteriormente e non può essere qualificato come atto interruttivo della prescrizione, non potendosi trarre argomento in tal senso dalla previsione speciale di cui all’art. 38, comma 7, L. n. 289 del 2002. (Cass. 3/3/2021 n. 5820, Pres. D’Antonio Rel. Calafiore, in Lav. nella giur. 2021, 662)
- Il rispetto del “pro quota” in caso di successione di normative previdenziali non vale in materia di restituzione di contributi. La restituzione dei contributi versati costituisce una facoltà dell’interessato e presuppone pertanto la presentazione di una domanda in via amministrativa da parte dello stesso, da proporre prima che tale possibilità sia soppressa. (Cass. 19/2/2021 n. 4566, Pres. Manna Rel. Buffa, in Lav. nella giur. 2021, 555)
- In materia previdenziale, sussiste l’obbligo di iscrizione alla gestione separata di cui all’art. 2, c. 26, L. n. 335 del 1995 nell’ipotesi di percezione di reddito derivante dall’esercizio abituale, ancorché non esclusivo, ed anche occasionale, ove il reddito superi la soglia di euro 5.000 ex art. 44, c. 2, D.L. n. 269 del 2003, di un’attività professionale per la quale è prevista l’iscrizione ad un albo o ad un elenco (tale obbligo venendo meno solo se il reddito prodotto è già integralmente oggetto di obbligo assicurativo gestito dalla cassa di riferimento), restando fermo che il requisito dell’abitualità – da apprezzarsi nella sua dimensione di scelta “ex ante” del libero professionista e non invece come conseguenza “ex post” desumibile dall’ammontare del reddito prodotto – deve essere accertato in punto di fatto, mediante la valorizzazione di presunzioni ricavabili, ad es., dall’iscrizione all’albo, dall’accensione della partita IVA o dall’organizzazione materiale predisposta dal professionista a supporto della sua attività, potendo la percezione di un reddito annuo di importo inferiore alla predetta soglia rilevare quale indizio – da ponderare adeguatamente con gli altri che siano stati acquisiti al processo – per escludere in concreto la sussistenza del requisito in questione. (Cass. 18/2/2021 n. 4419, Pres. Manna Rel. Cavallaro, in Lav. nella giur. 2021, 556)
- In ordine al dies a quo della prescrizione quinquennale, il collegio concorda, in linea generale e di puro diritto, con la tesi del primo giudice, secondo cui si deve tener conto della scadenza prevista per il pagamento dei contributi I.N.P.S., coincidente con il termine previsto per il paga- mento dell’imposta sul reddito delle persone fisiche. (Corte App. Perugia 22/1/2021, Pres. Angeleri Rel. Panariello, in Lav. nella giur. 2021, 560)
- A seguito del D.L. n. 98/2011, conv. in L. n. 111/2011, si è in presenza di un sistema di accertamento, liquidazione e riscossione comune ai rapporti previdenziale e tributario, in cui gli atti di accertamento disposti dall’agenzia delle Entrate costituiscono atti di esercizio anche del rapporto previdenziale, sicché l’accertamento esperito in sede tributaria estende i suoi effetti sulla pretesa previdenziale di I.N.P.S., qualora l’Istituto lo invochi a sostegno della propria pretesa e qualora il contribuente non ne contesti l’esito con prove di segno contrario. (Cass. 20/1/2021 n. 950, ord., Pres. Manna Rel. Calafiore, in Lav. nella giur. 2021, 420)
- Nel sistema che regola la Cassa di previdenza forense, anche gli anni non coperti da integrale contribuzione concorrono a formare l’anzianità contributiva e vanno inseriti nel calcolo della pensione, prendendo come base il reddito sul quale è stato effettivamente pagato il contributo. (Cass. 18/1/2021 n. 694, ord., Pres. Berrino Rel. Calafiore, 421)
- Il principio dell’automatismo delle prestazioni previdenziali, di cui all’art. 2116 c.c., così come interpretato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 374 del 1997, trova applicazione, con riguardo ai vari sistemi di previdenza e assistenza obbligatorie, come regola generale e può essere derogato solo in base a specifiche disposizioni di legge, le quali devono espressamente prevedere anche la eventuale limitazione dell’automatismo al solo caso in cui non sia prescritto il diritto dell’ente previdenziale alla percezione dei contributi. (Nella specie, la Suprema Corte ha cassato la sentenza di merito che, sulla base di un’applicazione analogica della disciplina sull’assicurazione obbligatoria, aveva escluso la computabilità dei periodi svolti fuori ruolo dalla base di calcolo dell’indennità di premio servizio, prevista dalla L. n. 152 del 1968 in favore del personale degli enti locali e di natura previdenziale, sul presupposto che si fosse prescritto il diritto dell’ente alla percezione dei contributi). (Cass. 1/12/2020 n. 27427, Pres. Torrice Rel. Bellè, in Lav. nella giur. 2021, 316)
- Per quanto riguarda i contributi previdenziali dovuti a seguito di cartella di pagamento, il termine di prescrizione è quello stabilito dalla relativa normativa di riferimento, ossia l’art. 3, comma 9, L. n. 335/95 e, quindi, di cinque anni. (Trib. Cassino 19/11/2020, GOP Di Cristinzi, in Lav. nella giur. 2021, 427)
- Dal principio di autonomia del rapporto contributivo rispetto alle vicende dell’obbligazione retributiva deriva la regola del c.d. minimale contributivo, che prevede l’obbligo datoriale – a prescindere da eventuali pattuizioni individuali difformi nell’ambito del rapporto di lavoro – di rispetto della misura dell’obbligo contributivo previdenziale in riferimento ad una retribuzione commisurata ad un numero di ore settimanali non inferiore all’orario normale di lavoro stabilito dalla contrattazione collettiva, secondo il riferimento ad essi fatto con esclusiva incidenza sul rapporto previdenziale. Ne deriva che la contribuzione è dovuta anche in caso di assenze o di sospensione concordata della prestazione che non trovino giustificazione nella legge o nel contratto collettivo, bensì in un accordo tra le parti che derivi da una libera scelta del datore di lavoro; va, infatti, esclusa la libertà delle parti di modulare l’orario di lavoro e la stessa presenza al lavoro con effetto sull’obbligazione contributiva, considerato che quest’ultima è svincolata dalla retribuzione effettivamente corrisposta e dev’essere connotata dai caratteri di predeterminabilità, oggettività e possibilità di controllo. Ciò vale anche nel caso di attenuazione o cessazione temporanea dell’attività lavorativa per insussistenza di commesse, essendo tali eventi ricompresi nell’ambito del rischio imprenditoriale che grava sul datore di lavoro in via esclusiva, senza che ciò possa riflettersi sull’obbligo contributivo. (Cass. 6/10/2020 n. 21479, ord., Pres. Manna Rel. Buffa, in Lav. nella giur. 2021, 203)
- L’esclusione della applicabilità del principio di automaticità delle prestazioni in favore dei lavoratori autonomi, ai sensi dell’art. 59, comma 19, L. n. 449 del 1997, non rileva con riferimento a lavoratori titolari di regolare posizione previdenziale; ne consegue che, una volta che il lavoratore sia regolarmente iscritto, il mancato pagamento dei contribuiti non esclude l’operatività della tutela assicurativa, ma comporta unicamente la sospensione del pagamento delle prestazioni fino al momento in cui la situazione non sia stata regolarizzata e nei limiti della prescrizione. (Cass. 5/10/2020, n. 21302, ord., Pres. Manna Rel. Buffa, in Lav. nella giur. 2021, 89)
- Il tardivo versamento di una rata non determina la decadenza del diritto alla contribuzione volontaria presso il Fondo gas.
Contro la tesi sostenuta dall’INPS, la Corte ribadisce la propria costante giurisprudenza, secondo cui il sistema previdenziale generale relativamente alla prosecuzione volontaria del versamento dei contributi (applicabile anche agli iscritti al c.d. Fondo gas) prevede, in caso di ritardato pagamento di una rata trimestrale (da effettuare entro il trimestre successivo), unicamente l’inefficacia di tale versamento (che viene restituito) ai fini del conseguimento della pensione e non la decadenza del diritto agli ulteriori versamenti utili per tale fine. (Cass. 14/9/2020 n. 19054, ord., Pres. Berrino Rel. Calafiore, in Wikilabour, Newsletter n. 16/2020) - Sulla prescrizione dell’azione risarcitoria per omissione contributiva.
Superando un precedente datato orientamento (secondo cui la prescrizione del diritto al risarcimento danni per omissione contributiva si prescrive dal momento della prestazione previdenziale per la conseguente perdita, parziale o totale, della pensione), la Corte ribadisce che tale prescrizione ex art. 2116, 2°comma c.c., che è decennale perché il danno consegue a un inadempimento contrattuale, decorre dalla prescrizione (dal 1996, quinquennale) dei contributi omessi, da cui consegue appunto la necessità di costituire una provvista per una pensione o quota di pensione alternativa. (Cass. 8/9/2020 n. 18661, Pres. Berrino Rel. Lorito, in Wikilabour, Newsletter n. 15/2020) - Lavoratore autonomo e utili percepiti da una società di capitali: contributi previdenziali?
La Corte ribadisce i principi affermati nella sentenza n. 21540/2019 (v. Newsletter n. 15/2019), secondo la quale nella base contributiva di un lavoratore autonomo iscritto alla relativa gestione previdenziale non sono da ricomprendere anche gli utili da questi percepiti come socio di una società di capitali, per la quale non svolge alcuna attività lavorativa. (Cass. 8/9/2020 n. 18594, Pres. e Rel. Esposito, in Wikilabour, Newsletter n. 15/2020) - Il contributo di solidarietà dovuto su quanto versato dal datore di lavoro in fondi pensione interni riguarda unicamente i fondi alimentati dai soli versamenti del datore di lavoro. Possibile ricorrere alla liquidazione equitativa di un diritto, anche se l’incertezza sul quantum dipende da un comportamento del creditore.
La prima questione è nata dall’interpretazione degli artt. 9-bis del D.L. n. 104/91, convertito in L. n. 166/91 e 1, comma 194° L. n. 662/96, in un caso in cui l’INPS pretendeva il pagamento del contributo di solidarietà da una banca sui versamenti da essa effettuati su un fondo pensione alimentato anche dai contributi dei dipendenti. La seconda massima risolve il caso in cui una banca chiedeva all’INPS la restituzione di un contributo di solidarietà indebitamente versato, da liquidare in via equitativa, per essere impossibile la sua esatta quantificazione, anche se ciò derivava dal fatto che la banca compilasse normalmente il bilancio senza distinguere le somme indebitamente versate rispetto ad altri versamenti analoghi. (Cass. 24/8/2020 n. 17607, ord., Pres. Manna Rel. Cavallaro, in Wikilabour, Newsletter n. 15/2020) - La Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza a favore dei Dottori Commercialisti è titolare del potere di accertare, sia all’atto dell’iscrizione ad essa, sia periodicamente, e comunque prima dell’erogazione di qualsiasi trattamento previdenziale, ed a tale limitato fine, che l’esercizio della corrispondente professione non sia stato svolto nelle situazioni di incompatibilità di cui al D.P.R. n. 1067/1953, art. 3, (ora D.Lgs. n. 139/2005, art. 4 ), ancorché quest’ultima non sia stata accertata dal Consiglio dell’Ordine competente. In particolare, detto autonomo potere di accertamento sussiste nel momento della verifica dei presupposti per l’erogazione del trattamento previdenziale, al quale si associa naturalmente la cessazione dell’iscrizione all’Ordine, non potendosi ravvisare ostacolo alcuno nella carenza di una procedura specifica per l’esercizio di esso, risultando le garanzie procedimentali suscettibili di essere in ogni caso assicurate dall’osservanza delle norme generali di cui alla L. n. 241/1990. (Cass. 8/7/2020 n. 14377, Pres. Manna Rel. Calafiore, in Lav. nella giur. 2020, 1213)
- Ancora sull’obbligo d’iscrizione alla Gestione separata INPS.
Il caso esaminato dalla Corte è quello di una dipendente iscritta all’AGO INPS, che svolge in concomitanza anche attività di dottore commercialista, percependo peraltro per tale attività un reddito inferiore a quello che imporrebbe l’iscrizione alla Cassa dottori commercialisti, alla quale ella versa comunque il contributo integrativo, essendo iscritta al relativo Albo. In questa situazione, la Corte ribadisce la regola, di recente consolidatasi, per cui, alla luce dell’art. 18, comma 12° del D.L. n. 98/2011 e in virtù del principio di origine legale di universalizzazione della copertura assicurativa obbligatoria, la professionista è tenuta, per i redditi professionali, a iscriversi alla Gestione separata INPS. (Cass. 26/6/2020 n. 12821, Pres. Curzio Rel. Leone, in Wikilabour, Newsletter n. 13/2020) - Per i contributi a favore degli enti previdenziali privatizzati, cui va attribuita la natura di prestazioni patrimoniali obbligatorie, opera la riserva di legge di cui all’art. 23 Cost., sicché va escluso che i sub-agenti assicurativi siano soggetti all’obbligo di iscrizione all’ENASARCO, mancando una disposizione legislativa che lo preveda. Né tale obbligo può conseguire alla equiparazione ai sub-agenti di commercio, da cui si distinguono per il settore produttivo di appartenenza, che li rende assimilabili agli agenti assicurativi, la cui disciplina, è contenuta negli usi e negli accordi collettivi di settore e, solo in via residuale, in carenza di disposizioni, nelle norme del codice civile in materia di agenti di commercio. (Cass. 22/6/2020 n. 12196, ord., Pres. Manna Rel. D’Antonio, e Cass. 19/6/2020 n. 12033, ord., Pres. Manna Rel. E. D’Antonio, in Lav. nella giur. 2020, 1101)
- Per la stessa natura retributiva delle somme che il datore ha l’obbligo di versare alla Cassa Edile, e per il fatto che l’obbligazione della Cassa Edile non sorge con la mera costituzione del rapporto di lavoro, bensì solo con il pagamento, alla stessa, da parte del datore, deve affermarsi che, se ben può il lavoratore agire nei confronti del datore per il pagamento delle somme dovute per ferie festività e gratifiche natalizie ed, egualmente, la Cassa ha l’obbligo di riscuotere le somme che il datore è tenuto a versare, coerentemente con l’ormai pacificamente e legislativamente riconosciuta funzione previdenziale delle Casse edili, resta da dire che una revoca della delegazione di pagamento da parte del datore di lavoro può logicamente ricollegarsi soltanto – come avvenuto nel caso di specie – all’avvenuto pagamento ai lavoratori delle relative spettanze. (Cass. 5/6/2020 n. 10782, ord., Pres. Berrino Rel. Calafiore, in Lav. nella giur. 2020, 997)
- Anche il commercialista iscritto all’Albo ma cancellatosi dalla Cassa di previdenza deve a quest’ultima il contributo integrativo per i redditi percepiti.
Un dottore commercialista, cancellatosi dalla Cassa di previdenza di categoria, ma rimasto iscritto al relativo Albo per continuare la propria attività come iscritto alla gestione separata dell’INPS, aveva contestato alla Cassa la pretesa, proposta in via giudiziaria, di versamento del contributo integrativo per gli anni di iscrizione alla gestione separata. Poiché solo in cassazione – e quindi inammissibilmente – aveva dedotto di avere svolto in realtà attività diversa da quella di commercialista, la Corte ribadisce il principio che la cancellazione dalla Cassa, mantenendo l’iscrizione all’Albo, comporta l’obbligo di versamento del contributo integrativo per le successive annualità di attività. (Cass. 28/5/2020 n. 10216, ord., Pres. Berrino Rel. Calafiore, in Wikilabour, Newsletter n. 11/2020) - Obbligo d’iscrizione alla gestione separata INPS per chi svolge lavoro autonomo dopo la pensione…
…senza essere tenuto a versare il contributo soggettivo all’ente previdenziale di categoria. La Corte ribadisce la regola, in base all’interpretazione sistematica degli artt. 18, commi 11 e 12 del D.L. n. 98/11, conv. in L. n. 111/11 e 2 comma 26 della L. n. 335/95, nel caso di un perito industriale che, dopo il pensionamento, aveva continuato a svolgere la propria attività autonoma, versando alla Cassa di previdenza di categoria, a norma del relativo statuto, unicamente il contributo integrativo e non anche quello soggettivo (l’unico utile per la costituzione di una posizione previdenziale), pertanto ritenuto obbligato all’iscrizione presso la gestione separata INPS. (Cass. 23/3/2020 n. 7485, Pres. Manna Rel. Cavallaro, in Wikilabour, Newsletter n. 7/2020) - Dalla mancata opposizione alla cartella di pagamento o all’avviso di addebito discende il consolidarsi dell’importo indicato a titolo di credito previdenziale. Ciò non produce, invece, alcun effetto sul termine di prescrizione che resta quinquennale, stante l’inapplicabilità dell’art. 2953 c.c. a ipotesi in cui “l’irretrattabilità” del credito ha fonte diversa dall’accertamento compiuto dall’organo giurisdizionale. Né può invocarsi, a tal fine, il subentro dell’Agenzia delle Entrate quale concessionario del potere di riscossione: fenomeno successorio che non incide sulla natura del credito né determina un effetto novativo. (Cass. 17/3/2020 n. 7409, Pres. Curzio Rel. Marchese, in Riv. It. Dir. lav. 2020, con nota di P.Perinu, “Sulla mancata opposizione agli atti della riscossione e i relativi effetti sul credito previdenziale”, 542)
- La concessione degli sgravi contributivi ex art. 3, co. 6 l. n. 448/1998 (richiamato dall’art. 44, co.1 l. n. 448/2001) presuppone che il livello di occupazione, raggiunto a seguito delle nuove assunzioni, non subisca riduzioni nel periodo agevolato, sicché il venir meno di tale condizione determina l’integrale perdita del diritto al beneficio anche nei casi in cui la situazione di contrazione del personale non possa essere ricondotta alla volontà datoriale, avendo la norma natura eccezionale, per cui, ove diversamente interpretata, si porrebbe in contrasto con i vincoli in materia di aiuti di stato imposti dalla Commissione Europea. (Cass. 1/3/2019 n. 6145, Pres. D’Antonio Est. Bellè, in Riv. it. dir. lav. 2019, con nota di R. Diamanti, “Aiuti di Stato e recupero degli sgravi contributivi. Il dialogo inesistente”, 555)
- La concessione degli sgravi contributivi ex art. 3, co. 6 l. n. 448/1998 (richiamato dall’art. 44, co. 1, l. n. 448/2001) presuppone che il livello di occupazione raggiunto a seguito delle nuove assunzioni, non subisca riduzioni nel periodo agevolato, sicché il venir meno di tale condizione determina l’integrale perdita del diritto al beneficio anche nei casi in cui la situazione di contrazione del personale non possa essere ricondotta alla volontà datoriale, avendo la norma natura eccezionale, per cui, ove diversamente interpretata, si porrebbe in contrasto con i vincoli in materia di aiuti di stato imposti dalla Commissione Europea. (Cass. 23/10/2018 n. 27277, Pres. Doronzo Est. Spena, in Riv. it. dir. lav. 2019, con nota di R. Diamanti, “Aiuti di Stato e recupero degli sgravi contributivi. Il dialogo inesistente”, 555)
- Ai fini dell’individuazione della base imponibile per la determinazione dei contributi previdenziali dovuti in relazione alla posizione di lavoratori italiani che prestano attività lavorativa all’estero, deve aversi riguardo alla retribuzione effettivamente corrisposta e non alle retribuzioni convenzionali individuate con i D.M. richiamati all’art. 4, comma 1, D.L. n. 314 del 1987, conv. nella L. n. 398 del 1987, non essendo applicabile il comma 8 bis dell’art. 48 del d.P.R. n. 917 del 1986 (poi divenuto 51 per effetto del D.Lgs. n. 344 del 2003) introdotto dall’art. 36, comma 1, L. n. 342 del 2000, che opera esclusivamente a fini fiscali e non incide sulla determinazione della retribuzione imponibile a fini contributivi. (Cass. 6/9/2016 n. 17646, Pres. D’Antonio Rel. Ghinoy, in Lav. nella giur. 2017, 94)
- Ai fini dell’ulteriore obbligo alla gestione commercianti (rispetto a quello della gestione separata) non è richiesta la verifica del requisito della prevalenza, bensì quello della sussistenza degli elementi della abitualità e della professionalità della prestazione lavorativa, nonché degli altri requisiti eventualmente previsti dalle rispettive discipline normative di settore. Per il doppio onere occorre, dunque, una “coesistenza” di attività riconducibili, rispettivamente, al commercio e all’amministrazione societaria e la verifica della sussistenza dei requisiti di legge per tale “coesistenza” è compiuto del giudice di merito, fermo restando che l’onere probatorio grava sull’ente previdenziale, tenuto a provare i fatti costitutivi dell’obbligo contributivo. (Cass. 26/8/2016 n. 17365, Pres. Berrino Rel. Doronzo, in Lav. nella giur. 2016, 1127)
- Il contributo del 2% previsto dall’art. 1, comma 39, l. 23 agosto 2004 n. 243, dovuto alla società di capitali, ha come base di calcolo il fatturato annuo attinente a prestazioni specialistiche rese per il (e rimborsate dal) Servizio sanitario nazionale ed effettuate con l’apporto di medici o odontoiatri operanti con le società in forma di collaborazione autonoma libero-professionale, con l’abbattimento forfettario per costo dei materiali e spese generali previsto dai d.p.r. nn. 119 e 120 del 1988 e con esclusione del fatturato attinente a prestazioni specialistiche rese senza l’apporto di medici o odontoiatri. (Cass. 7/6/2016 n. 11626, Pres. Amoroso Est. Ghinov, in Riv. It. Dir. Lav. 2016, con nota di S.P. Emiliani, “Gli schermi societari non possono limitare la solidarietà che caratterizza le forme obbligatorie di previdenza e di assistenza”, 77)
- In materia di contributi previdenziali, sul fatto costitutivo dell’obbligazione contributiva non può in alcun modo incidere la volontà negoziale, che regoli diversamente l’obbligazione stessa o risolva con un contratto di transazione la controversia relativa al rapporto di lavoro. Ne consegue che la somma ricevuta transattivamente dal lavoratore non integra un incentivo all’esodo – ai sensi dell’art. 12, comma 4, lett. B), L. 30 aprile 1969, n. 153, come modificato dall’art. 6, comma 1, D.Lgs. 2 settembre 1997, n. 314 – ed è quindi assoggettabile a contribuzione previdenziale, laddove venga accertato giudizialmente che la somma in questione sia riconducibile causalmente al rapporto di lavoro. (Cass. 23/6/2016 n. 13057, Pres. Bronzini Est. Doronzo, in Lav. nella giur. 2016, con commento di Carmela Garofalo, 991)
- Le ipotesi di esonero dall’obbligo di versamento dei contributi previste per le imprese edili dall’art. 29 del D.L. n. 244 del 1995 hanno carattere tassativo, sicché le sospensioni della prestazione che non vi rientrano sono assoggettate a contribuzione, quanto meno nei limiti del minimale. (Cass. 16/6/2016 n. 12425, Pres. Napoletano Rel. De Gregorio, in Lav. nella giur. 2016, 930)
- In materia di contribuzione previdenziale, l’impresa straniera che operi in Italia è tenuta, in forza del principio della territorialità delle assicurazioni sociali, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali per i lavoratori impiegati nel territorio, ancorché essi siano cittadini dello Stato di provenienza dell’impresa, salva solo l’esistenza di eventuali deroghe previste in accordi internazionali (in applicazione del detto principio, la Suprema Corte ha cassato con rinvio la sentenza di merito che aveva ritenuto insussistente l’obbligo contributivo con riferimento ad appalto svolto da impresa della Bulgaria – all’epoca non appartenente alla Comunità europea – con impiego in Italia di suoi dipendenti. (Cass. 4/3/2015 n. 4351, Pres. Lamorgese Est. Maisano, in Riv. giur. lav. prev. soc. 2016, con nota di Emanuele Petrilli, “Sul principio di territorialità dell’obbligo contributivo”, 90)
- In materia di previdenza e assistenza obbligatoria, ai contributi dovuti agli enti previdenziali dai lavoratori e dai datori di lavoro, relativi ai periodi anteriori all’entrata in vigore della L. n. 335/1995 (che ha ridotto il termine prescrizionale da cinque a dieci anni) e per i quali, a tale data, non sia ancora integralmente maturato il quinquennio di scadenza, il precedente termine decennale può operare solo nel caso in cui la denuncia prevista ex art. 3, L. n. 335/1995 sia intervenuta nel corso del quinquennio dalla loro scadenza. (Cass. 15/1/2015 n. 618, Pres. Coletti De Cesare Rel. Bandini, in Lav. nella giur. 2015, 417)
- L’art. 3, L. n. 335/1995, che ha introdotto il nuovo termine di prescrizione quinquennale per le contribuzioni di previdenza e assistenza sociale obbligatorie, nel prevedere che continua ad applicarsi il regime (decennale) di prescrizione già in vigore prima di tale modifica normativa nel caso di atti interruttivi già compiuti o di procedure finalizzate al recupero dell’evasione contributiva iniziate durante la vigenza della precedente disciplina, per “procedure iniziate” ha inteso anche quelle che, pur non richiedendo l’instaurazione del contraddittorio con il debitore, si concretano comunque in una serie di atti finalizzati inequivocamente al conseguimento della pretesa creditoria. Ne consegue che tra le “procedure iniziate nel rispetto della normativa preesistente” rientra il verbale di accertamento per il recupero dell’evasione contributiva, sicché, in relazione a tale iniziativa dell’Ente, i crediti azionati restano assoggettati al termine decennale di prescrizione, rimanendo così esclusa l’estinzione del debito relativo ai premi dovuti afferenti al decennio antecedente alla data del verbale. (Cass. 22/12/2014 n. 27236, Pres. Macioce Rel. Amendola, in Lav. nella giur. 2015, 311)
- Il nuovo termine di prescrizione decennale per i crediti previdenziali della Cassa forense previsto dalla l. n. 247/2012 si applica soltanto a partire dal 2 febbraio 2013. Precedentemente continua a operare la disciplina di cui all’art. 3 l. n. 335/95: per i contributi destinati alle gestioni diverse da quelle pensionistiche il termine diventa immediatamente quinquennale alla data di entrata in vigore della legge (17 agosto 1995); invece, per i contributi dovuti alle gestioni pensionistiche, la prescrizione resta decennale fino al 31 dicembre 1995 e diventa quinquennale dal primo gennaio 1996, ma soltanto se entro il 31 dicembre 1995 l’ente previdenziale non abbia posto in essere atti interruttivi oppure iniziato procedure nel rispetto della normativa preesistente, altrimenti rimane decennale. (Cass. 9/9/2014 n. 18953, Pres. Roselli Rel. Balestrieri, in Lav. nella giur. 2014, 1129)
- In materia di sanzioni per il ritardato o l’omesso pagamento di contributi previdenziali resta escluso che, in una controversia relativa a una opposizione ad ordinanza – ingiunzione per sanzioni civili (somme aggiuntive) e interessi per omesso versamento di contributi dovuti all’Inps –, possa rilevare lo “ius superveniens” di cui alla l. n. 388 del 2000, art. 116, c.8 e ss., contenente norme più favorevoli ai contribuenti, giacché nessuna di tali disposizioni induce a ritenerne la retroattività, per cui ne è esclusa l’applicabilità a violazioni accertate prima della relativa entrata in vigore. Ed invero la disposizione di cui alla detta l. n. 388 del 2000, art. 116, c. 18, nel prevedere che “per i crediti in essere accertati al 30 settembre 2000 le sanzioni sono dovute nella misura e secondo le modalità fissate dalla legge 23 dicembre 1996, art. 1, commi 217, 218, 219, 220, 221, 222, 223 e 224”, condiziona inequivocabilmente l’applicazione della normativa sanzionatoria previgente di cui alla predetta l. n. 662 del 1996 alla circostanza che sussista un credito per contributi alla data del 30 settembre 2000. (Cass. 14/7/2014 n. 16093, Pres. Coletti De Cesare Rel. Mancino, in Lav. nella giur. 2014, 1026)
- L’avvocato che cessa l’iscrizione alla Cassa Nazionale di Previdenza Forense senza aver raggiunto i requisiti di età e contributivi necessari per la liquidazione della pensione ha diritto alla restituzione della contribuzione soggettiva versata. (Corte app. Roma 18/6/2014 n. 2219, Pres. Panarello Est. Di Stefano, in Riv. it. dir. lav. 2015, con nota di M. Mesiti, “La restituzione dei contributi agli avvocati che non hanno maturato i requisiti per il diritto a pensione”, 279)
- Qualora un datore di lavoro abbia una pluralità di debiti verso un ente previdenziale, il pagamento parziale va imputato alla estinzione del debito relativo alle sanzioni civili, in quanto credito meno garantito, piuttosto che al capitale rappresentato dalle contribuzioni omesse: essendo il primo assistito da un privilegio, per ordine di soddisfazione e per entità dell’importo coperto, pari a metà (artt. 2754 e 2778, n. 8, c.c.), suvvalente rispetto al secondo, assistito da privilegio di grado poziore e per l’intero importo (artt. 2753 e 2778, n. 1, c.c.). (Cass. 6/5/2014 n. 9648, Pres. Coletti De Cesare Rel. Patti, in Lav. nella giur. 2014, 820)
- Le società a capitale misto, aventi a oggetto l’esercizio di attività industriali (quali la gestione e la fornitura di servizi agli enti locali in materia di fornitura di acqua, gas ed elettricità) sono tenute al pagamento dei contributi previdenziali previsti per disoccupazione involontaria e mobilità. (Cass. 24/4/2014 n. 9292, Pres. Vidiri Rel. Berrino, in Lav. nella giur. 2014, 713)
- Nel giudizio instaurato dall’ente previdenziale per ottenere dal proprietario di un natante il pagamento di contributi assicurativi in relazione ai marittimi imbarcati, le annotazioni del ruolo di equipaggio hanno efficacia di prova legale ex art. 178 cod. nav., trattandosi di annotazioni eseguite dall’autorità marittima, che dimostrano la sussistenza di un contratto di arruolamento, stipulato anch’esso, ai sensi dell’art. 328 cod. nav., per atto pubblico. Ne consegue che dette annotazioni possono essere inficiate soltanto con querela di falso e il giudice non può dunque omettere la valutazione delle risultanze e del contenuto di tali documenti al fine di stabilire l’esistenza di rapporti subordinati e la fondatezza delle relative pretese contributive. (Cass. 22/4/2014 n. 9093, Pres. Stile Rel. Maisano, in Lav. nella giur. 2014, 706)
- In tema di obbligo contributivo previdenziale, la transazione intervenuta tra lavoratore e datore di lavoro è estranea al rapporto tra quest’ultimo e l’Inps, avente a oggetto il credito contributivo derivante dalla legge in relazione all’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato. (Cass. 14/3/2014 n. 6037, Pres. Stile Rel. Blasutto, in Lav. nella giur. 2014, 611)
- Nell’ipotesi in cui un ente previdenziale, avente personalità giuridica di diritto privato, comunichi a un proprio assicurato un’informazione erronea in ordine all’avvenuta maturazione del requisito contributivo, l’affidamento dell’assicurato è meritevole di tutela (fattispecie relativa al giudizio promosso dalla vedova di un iscritto alla Cassa di previdenza degli ingegneri e degli architetti liberi professionisti per vedersi riconosciuto il diritto alla pensione di reversibilità. La Cassa di previdenza, infatti, dopo aver regolarmente erogato la pensione al proprio iscritto per cinque anni, a seguito dell’istruttoria relativa alla pensione di reversibilità, ha annullato l’iscrizione del defunto in relazione a un limitato periodo di tempo, essendo emerso che quest’ultimo – in quell’arco temporale – era stato iscritto ad altre forme di previdenza). (Cass. 27/1/2014 n. 1659, Pres. Roselli Rel. Tria, in Lav. nella giur. 2014, 409)
- Il principio di automaticità delle prestazioni, di cui all’art. 2116, comma 1, c.c., pur menzionando i soli rapporti di lavoro subordinato, è applicabile, per interpretazione estensiva, anche ai regimi previdenziali relativi a rapporti di collaborazione coordinata e continuativa e a progetto. (Trib. Bergamo 12/12/2013, Giud. Troisi, in Riv. It. Dir. lav. 2014, con nota di Guido Canavesi, “L’automaticità delle prestazioni previdenziali per i lavoratori a progetto. Dalla giurisprudenza un segnale importante, ma insufficiente”, 436)
- L’azione esecutiva rivolta al recupero del credito contributivo non opposto ai sensi dell’art. 24, comma 5, d.lgs. n. 46 del 1999, è soggetta non al termine decennale di prescrizione dell’actio iudicati previsto dall’art. 2953 c.c., bensì al termine proprio della riscossione del contributo e, quindi, al termine quinquennale introdotto dalla l. n. 335/1995. (Trib. Catania 4/12/2013, Giud. Cottini, in Lav. nella giur. 2014, 291)
- L’art. 19 della legge 20 settembre 1980, n. 576, che contiene la disciplina della prescrizione dei contributi, dei relativi accessori e dei crediti conseguenti a sanzioni dovuti in favore della Cassa nazionale forense, individua un distinto regime della prescrizione medesima a seconda che la comunicazione dovuta da parte dell’obbligato, in relazione alla dichiarazione di cui agli artt. 17 e 23 della stessa legge, sia stata omessa o sia stata resa in modo non conforme al vero, riferendosi solo al primo caso l’ipotesi di esclusione del decorso del termine prescrizionale decennale, mentre, in ordine alla seconda fattispecie, il decorso di siffatto termine è da intendersi riconducibile al momento della data di trasmissione all’anzidetta cassa previdenziale della menzionata dichiarazione (nella specie, non trattandosi, come accertato dalla Corte del merito, di omessa dichiarazione la prescrizione non poteva che decorrere dalla data di trasmissione della dichiarazione). (Cass. 26/11/2013 n. 26411, Pres. Lamorgese Rel. Napoletano, in Lav. nella giur. 2014, 185)
- La ripetizione dei contributi è consentita solo in quanto questi siano stati versati inutilmente, non essendovi alcuna possibilità di ottenere il trattamento per mezzo di una ricongiunzione di periodi assicurativi, né di ottenere una pensione supplementare. (Trib. Milano 19/8/2013, Giud. De Carlo, in Lav. nella giur. 2013, 1131)
- In tema di riscossione di contributi, l’opposizione alla iscrizione a ruolo presenta evidente analogie con l’opposizione a decreto ingiuntivo, dando luogo a un giudizio ordinario di cognizione su diritti e obblighi inerenti al rapporto previdenziale obbligatorio e, segnatamente, al rapporto contributivo; sicché, anche in questa ipotesi può trovare applicazione il principio secondo cui non sussiste il vizio di extra petita se il giudice dell’opposizione a decreto ingiuntivo – giudizio di cognizione non solo per accertare l’esistenza delle condizioni per l’emissione dell’ingiunzione, ma anche per esaminare la fondatezza della domanda del creditore in base a tutti gli elementi offerti dal medesimo e contrastati dall’ingiunto – revoca il provvedimento monitorio ed emette una sentenza di condanna di questi per somma anche minore rispetto a quella ingiunta, perché mentre l’opponente chiede di accertare l’inesistenza dell’obbligazione ingiuntagli, il creditore, sia con il ricorso per ottenere in breve tempo – con forme speciali – un titolo esecutivo per il pagamento del suo credito sia con la domanda di rigetto dell’opposizione, esercita invece un’azione di condanna. (Cass. 12/7/2013 n. 17272, Pres. Lamorgese Est. Venuti, in Lav. nella giur. 2013, con commento di Rocco M. Cama, 1089)
- Le erogazioni di propri prodotti (nello specifico pacchetti vacanza) attuati dal datore di lavoro ai dipendenti, di carattere occasionale, facoltativo e di natura strettamente commerciale, non possono essere ricomprese nel concetto di retribuzione imponibile, ai sensi dell’art. 12 legge n. 153/1969, in quanto l’esistenza del rapporto di lavoro non costituisce la causa delle erogazioni, bensì una mera occasione delle stesse, che trovano viceversa ragion d’essere in autonome causali di natura commerciale. (Cass. 9/5/2013 n. 10972, Pres. Vidiri Rel. Ianniello, in Lav. nella giur. 2013, 742)
- L’omessa o infedele denuncia all’INPS circa rapporti di lavoro e retribuzioni erogate integra “evasione contributiva” ex art. 116, comma 8, lett. B), l. n. 388 del 2000, e la non meno grave “omissione contributiva” di cui alla lett. A) della medesima norma. (Cass. 2/5/2013 n. 10265, Pres. Roselli Rel. Balestrieri, in Lav. nella giur. 2013, 744)
- In tema di contributi previdenziali, in applicazione del principio di autonomia del rapporto previdenziale rispetto a quello di lavoro e dell’indisponibilità dei diritti previdenziali, l’ente previdenziale ha la legittimazione a richiedere la contribuzione corrispondente alla retribuzione dovuta per le mansioni effettivamente svolte dal lavoratore, indipendentemente dalla qualifica formale attribuita dal datore di lavoro al lavoratore e pur in assenza di contestazione da parte del lavoratore circa il corretto inquadramento ricevuto in corso di rapporto. (Cass. 17/4/2012 n. 6001, Pres. Roselli Est. Meliadò, in Riv. It. Dir. lav. 2013, con nota di Maria Valentina Casciano, “L’indisponibilità ‘rafforzata’ del credito per differenze contributive”, 237)
- È inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 7, co. 1, primo periodo, d.l. 12 settembre 1983 n. 463, conv., con modif, in l. 11 novembre 1983 n. 638, in riferimento agli artt. 3 e 38 Cost., nella parte in cui, in sede di computo del numero di contributi settimanali da accreditare ai lavoratori dipendenti nel corso dell’anno solare, al fine della prestazioni pensionistiche, non prevede che la soglia minima di retribuzione utile per l’accredito del singolo contributo ivi prevista venga ricondotta al valore dell’ora lavorativa del lavoratore a tempo pieno e quindi rapportata al numero di ore settimanali del lavoratore a tempo parziale. La soluzione prospettata dal rimettente non è costituzionalmente obbligata, non essendo al riguardo configurabile un criterio univocamente imposto dalla Costituzione. (Corte Cost. 23/2/2012 n. 36, Pres. Quaranta Rel. Criscuolo, in Riv. It. Dir. Lav. 2013, con nota di Michele Forlivesi, “Computo dei contributi settimanali per l’indennità di disoccupazione dei lavoratori part-time: ragioni di bilancio e negazione de facto del diritto alle prestazioni”, 470)
- È rilevante e non manifestamente infondata, per contrasto con l’art. 3 Cost., la q.l.c. dell’art. 20, comma 1, ultimo inciso, del d.l. n. 112/2008, convertito nella l. n. 133/2008 di interpretazione autentica dell’art. 6, comma 2, della l. n. 138/1943 che, nel sopprimere, in via di interpretazione autentica, l’obbligo in capo ai datori di lavoro del versamento della contribuzione Inps per il trattamento economico di malattia (primo inciso della norma), prevede l’irripetibilità delle contribuzioni anteriormente versate che restano acquisite alla gestione, atteso che la disposizione, irragionevolmente, pone i soggetti che hanno correttamente adempiuto al pregresso obbligo previdenziale in una condizione deteriore rispetto a coloro che, contravvenendo al dettato normativo, hanno omesso il medesimo versamento, che restano premiati per la condotta inadempiente, dovendosi ritenere tale effetto “de iure” in quanto direttamente discendente dal portato della norma interpretativa, senza che possano valere a giustificare la palese diseguaglianza introdotta le considerazioni sul contenzioso derivante dall’eventuale declaratoria di illegittimità della norma, né il connesso onere finanziario che graverebbe sull’Inps. (Cass. 28/6/2011 n. 14307, Pres. Miani Canevari Rel. Di Cerbo, in Lav. nella giur. 2011, 955)
- L’omessa denuncia all’Inps di lavoratori, benché registrati nei libri paga e matricola, configura l’ipotesi di “evasione contributiva” di cui alla L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 116, comma 8, lett. B, e non la meno grave fattispecie di “omissione contributiva” di cui alla lettera A) della stessa norma, limitata alle sole ipotesi in cui il datore di lavoro, pur avendo provveduto a tutte le denunce e registrazioni obbligatorie, ometta di pagare i contributi. (Cass. 10/5/2010 n. 11261, Pres. Sciarelli Est. D’Agostino, in Orient. giur. lav. 2010, 527)
- In materia di contributi previdenziali, è illegittimo il comportamento dell’ente previdenziale, nella specie la Cassa italiana di Previdenza e Assistenza dei Geometri Liberi Professionisti, che abbia, in epoca antecedente all’entrata in vigore della L. n. 335 del 1995, dapprima concesso la retrodatazione della contribuzione mediante l’emanazione di un’apposita delibera per poi revocarla solo dopo aver, comunque, dato alla stessa esecuzione nei riguardi del professionista, quando ormai erano state emanate le norme che, vietando la riscossione dei contributi prescritti, ne escludevano la legittimità. In tal senso, nel caso concreto, è risultata del tutto inconferente la deduzione del succitato ente previdenziale di aver posto in essere atti dovuti, in quanto volti a ricondurre a legittimità la propria attività di natura pubblica e pertanto non suscettibili di produrre danni ingiusti risarcibili, giacché, in base a quanto sopra esposto, la condotta assunta dal medesimo era addirittura contra legem. (Cass. 31/8/2010 n. 18903, Pres. Miani Canevari Rel. Bandini, in Lav. nella giur. 2010, 1139)
- Per l’esclusione dalla base contributiva e pensionabile dei compensi corrisposti ai lavoratori dello spettacolo a titolo di cessione dello sfruttamento economico del diritto d’immagine, nella quota del 40 per cento dell’importo complessivo per prestazioni riconducibili alla medesima attività, non è richiesto che i corrispettivi in questione abbiano a oggetto attività ulteriori e distinte rispetto alla prestazione artistica in sé considerata. (Trib. Milano 30/9/2009 n. 3812, Giud. Pattumelli, in Riv. it. dir. lav. 2011, con nota di Luigi Fiorillo, “Obbligo contributivo sui compensi derivanti dalla cessione del diritto di immagine: un nuovo orientamento della giurisprudenza di merito”, 162)
- La mancanza di notorietà in capo all’autore della singola prestazione non consente di escludere la consistenza economica della cessione da parte dello stesso dei diritti d’autore, d’immagine e di replica. (Trib. Milano 30/9/2009 n. 3812, Giud. Pattumelli, in Riv. it. dir. lav. 2011, con nota di Luigi Fiorillo, “Obbligo contributivo sui compensi derivanti dalla cessione del diritto di immagine: un nuovo orientamento della giurisprudenza di merito”, 162)