Questa voce è stata curata da Francesca Ajello
Scheda sintetica
Il cottimo costituisce una delle possibile forme di retribuzione previste dall’art. 2099 cod. civ. e, dopo la retribuzione a tempo (che è la forma più diffusa), rappresenta il sistema retributivo più utilizzato dalla prassi aziendale.
In sostanza, il lavoratore è retribuito a cottimo quando il compenso che percepisce è commisurato alla quantità di lavoro prodotto e non invece – come normalmente avviene – sulla base della durata della prestazione lavorativa.
Il sistema in esame è nato come forma di corrispettivo tipicamente destinata al lavoro autonomo.
Solo successivamente si è sviluppato nell’ambito delle imprese industriali, dove è stato acquisito anche per retribuire il lavoro subordinato in riferimento al quale ha dovuto però subire degli adattamenti dovuti alle differenze sussistenti fra i due diversi rapporti.
Infatti, mentre nel lavoro autonomo il cottimo è caratterizzato dal fatto che considera specificamente il risultato finale del lavoro compiuto, nell’ambito del lavoro subordinato la determinazione della retribuzione mediante tale sistema utilizza più propriamente come parametro il rendimento del lavoratore.
Tale precisazione risulta di particolare rilevanza quando il risultato non può essere portato a termine per cause che non dipendono dal lavoratore: in questi casi, infatti, il dipendente conserva il proprio diritto alla retribuzione di cottimo in maniera corrispondente al lavoro che si sarebbe potuto svolgere.
Peraltro, la modalità di retribuzione in analisi è stata importante oggetto della contrattazione collettiva, che in un primo momento (e in particolar modo fra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70) ha tentato di ridurne l’applicazione al fine di limitare al minimo le possibilità di deterioramento delle condizioni lavorative e l’insorgenza di disuguaglianze fra i trattamenti ricevuti dai lavoratori.
Recentemente, tuttavia, le nuove realtà organizzative ed economiche interne alle aziende stanno conducendo ad una nuova espansione dell’uso del sistema retributivo a cottimo.
Normativa di riferimento
- Codice civile, artt. 2099, 2100, 2101
- Art. 48 e 49 D.Lgs. 276/2003
Scheda di approfondimento
Tipologie di cottimo
Il nostro ordinamento opera due distinzioni relativamente al sistema retributivo in esame.
In primo luogo distingue fra:
- cottimo puro (o pieno): in questo caso, la retribuzione è esclusivamente parametrata al lavoro effettivamente svolto;
- cottimo misto: la retribuzione costituisce un’integrazione della normale retribuzione a tempo.
Generalmente il cottimo si applica al personale operaio nella seconda delle tipologie più sopra delineate.
Invero, il sistema puro trova applicazione nell’ambito del lavoro a domicilio, ove le particolari condizioni di prestazione del lavoro svolto fuori dall’impresa consentono di controllare effettivamente solo il risultato prodotto e non invece il tempo impiegato per compierlo.
In secondo luogo, si distingue fra:
- cottimo individuale, per le determinazione del quale viene considerato il rendimento del singolo lavoratore;
- cottimo collettivo, per la cui determinazione è invece valutato il rendimento di un gruppo o di una squadra di lavoratori.
Disciplina del cottimo
A) IPOTESI DI RICORSO AL COTTIMO
Il datore di lavoro deve obbligatoriamente ricorrere al sistema retributivo a cottimo nei casi previsti in modo espresso dall’art. 2100, ossia:
- quando, in ragione dell’organizzazione del lavoro, il prestatore deve rispettare un determinato ritmo lavorativo;
- quando la prestazione di lavoro è valutata in base alla misurazione dei tempi di lavoro. I metodi e criteri per detta misurazione considerano generalmente il tempo impiegato dal/dai lavoratore/i per compiere il lavoro oppure il numero di pezzi che vengono prodotti in un certo tempo.
Il datore di lavoro non può invece ricorrere al cottimo nell’apprendistato, secondo quanto previsto dal D.Lgs. 276/2003 artt. 48 co. 3 lett. b) e 49 co. 3 lett. b). La ragione di tale divieto deve riscontrarsi nella volontà del legislatore di evitare che l’apprendista consideri il metodo di retribuzione come incentivante e sia quindi maggiormente portato ad intensificare il lavoro a discapito del momento formativo che caratterizza questo tipo di rapporto.
B) OBBLIGHI DERIVANTI DAL COTTIMO
L’art. 2101 stabilisce espressamente specifici obblighi di comunicazione in capo al datore di lavoro, che devono essere adempiuti prima delle lavorazioni tramite affissione o tramite le organizzazioni sindacali (che spesso sono anche chiamate a valutarne gli aspetti).
In particolare, il datore di lavoro deve comunicare:
- i dati relativi agli elementi che costituiscono le tariffe;
- le lavorazioni da eseguire;
- il compenso;
- la quantità di lavoro ed il tempo da impiegare.
La legge non prevede specifici obblighi in capo al lavoratore.
La giurisprudenza prevalente, tuttavia, tende a ritenere che il dipendente effettui una prestazione pari almeno a quella prevista per il realizzo del minimo di cottimo, pena la riduzione unilaterale della retribuzione in proporzione al minor rendimento prestato (per tutte, Cass. civ. sez. lav. n. 162/1994).
C) PASSAGGIO DAL LAVORO A COTTIMO AL LAVORO A TEMPO
Può accadere che il lavoro a cottimo si trasformi in lavoro a tempo.
Non sono previste specifiche limitazioni dalla legge, dunque il passaggio può avvenire quando:
- il datore di lavoro ritenga più opportuno il pagamento a tempo secondo quanto previsto dai contratti collettivi e in ossequio al principio di intangibilità della retribuzione;
- il lavoratore venga adibito a nuove mansioni: anche in tale ipotesi deve comunque essere rispettato il predetto principio di irriducibilità della retribuzione.
Forme di cottimo e tariffe
Oltre alle distinzioni già elencate, l’ordinamento conosce differenti forme di cottimo: esse trovano la propria caratteristica distintiva nell’unità di misura utilizzata per stimare il rendimento e, conseguentemente, per calcolare il compenso dovuto al lavoratore.
In particolare, la prassi conosce:
- il cottimo a forfait, in base al quale il compenso del lavoratore è commisurato all’opera finita;
- il cottimo a tariffa, in cui la quantità di salario è determinata in base alla quantità di lavoro eseguito nell’unità di tempo assegnata (questa ipotesi si verifica soprattutto quando le lavorazioni siano determinate in modo analitico e si ripetano continuamente);
- il cottimo a tempo, ove viene considerato il tempo risparmiato rispetto al tempo standard.
Le tariffe sono fissate nell’ambito della contrattazione collettiva, la quale, in genere, si occupa di fissare il cd. minimo di cottimo, ossia la percentuale del minimo di paga base che l’azienda è tenuta a corrispondere in conseguenza del maggior rendimento del cottimista.
A cui può aggiungersi il cd. cottimo ulteriore, anch’esso corrispondente ad una percentuale rispetto alla paga base.
Come detto, la forma più diffusa di cottimo è quella mista.
In questo caso la paga spettante al cottimista sarà determinata dalla somma fra la paga base, il minimo di cottimo ed il cottimo ulteriore.
È inoltre previsto un periodo di cd. assestamento delle tariffe.
La contrattazione collettiva ne fissa anche i tempi e le modalità, in modo da individuare la durata e le procedure necessarie per effettuare la verifica della validità delle tariffe e dei rendimenti in uno dato arco di tempo.
Infine esse, secondo quanto previsto dall’art. 2101 co. 2, possono essere sostituite o variate solo qualora intervengano mutamenti nelle condizioni di esecuzione del lavoro.
La contrattazione collettiva specifica che tali variazioni possano essere effettuate in presenza di cambiamenti nelle condizioni tecniche e organizzative in cui si eseguono le lavorazioni o nelle condizioni di lavoro accidentali che vengano segnalate dal lavoratore.
Le tariffe di cottimo provocano ripercussioni anche sugli elementi retributivi dipendenti dal valore della retribuzione normalmente corrisposta (es.: TFR, mensilità aggiuntive). Generalmente le modalità di calcolo sono stabilite a livello collettivo.