Scheda sintetica
Il diritto italiano individua nel Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL) la fonte normativa attraverso cui Organizzazioni sindacali dei lavoratori e le Associazioni dei datori di lavoro definiscono concordemente le regole che disciplinano il rapporto di lavoro.
Normalmente i CCNL regolano sia gli aspetti normativi del rapporto, sia quelli di carattere economico. E’ inoltre quasi sempre prevista una parte destinata a normare alcuni aspetti del rapporto sindacale esistente tra Organizzazioni firmatarie e Associazioni datoriali, nonché di quelli aziendali tra datore di lavoro e Rappresentanze sindacali aziendali.
Le finalità essenziali del contratto collettivo sono:
- determinare il contenuto che regola i rapporti di lavoro nel settore di appartenenza (ad es. trasporti, pubblico impiego, metalmeccanico, commercio, chimico, etc.)
- disciplinare le relazioni tra i soggetti firmatari dell’accordo stesso
La contrattazione collettiva si può svolgere a diversi livelli:
- interconfederale, il cui compito è la definizione di regole generali che interessano l’insieme dei lavoratori indipendentemente dal settore produttivo di appartenenza
- nazionale di categoria (il già richiamato CCNL)
- territoriale interconfederale e di categoria
- aziendale di categoria
I livelli “gerarchicamente superiori” definiscono spesso le forme ed i limiti entro cui si svolge la contrattazione di livello “inferiore”.
In Italia, fatta eccezione che per il settore pubblico, non esiste una norma avente forza di legge sulla base della quale sia possibile definire il livello di rappresentanza e rappresentatività delle Organizzazioni firmatarie dei Contratti.
Né esiste, se non per scelta delle Organizzazioni sindacali, un meccanismo di validazione del contratto da parte dei lavoratori, cioè di coloro sui quali si producono gli effetti del contratto (ad esempio il referendum).
Come detto, esiste tuttavia un’ apprezzabile eccezione a questo quadro non adeguatamente regolato, rappresentato dal settore del pubblico impiego.
Oltre ad un Accordo Quadro tra le Parti che regola le modalità di elezione e funzionamento delle Rappresentanze Sindacali Unitarie (RSU), il D.Lgs. 165/2001 definisce con forza di legge sia le questioni legate alla modalità di svolgimento della contrattazione collettiva, sia gli aspetti legati ai temi della rappresentatività delle Organizzazioni firmatarie e alla conseguente validità dei contratti sottoscritti.
Per ciò che riguarda il settore dell’impiego privato, va peraltro segnalato che, perdurando il silenzio del legislatore in materia, il 28 giugno 2011 Confindustria e le confederazioni sindacali CGIL, CISL e UIL hanno siglato un Accordo Interconfederale che, in linea con quanto avviene nel settore dell’impiego pubblico, fissa criteri oggettivi per la misurazione della rappresentatività delle organizzazioni sindacali, utile al fine di individuare le organizzazioni legittimate a negoziare e stipulare contratti collettivi nazionali di categoria.
In particolare, l’Accordo del 2011 prevede che siano ammesse ai tavoli negoziali le sole organizzazioni sindacali che rappresentino almeno il 5% del totale dei lavoratori della categoria cui si applica il contratto collettivo nazionale di lavoro (punto 1 dell’Accordo).
Al fine di stabilire la “quota” di rappresentatività espressa dalla singola organizzazione, utile per l’ammissione alla contrattazione collettiva nazionale (allorché sia superata, o quanto meno raggiunta, la suddetta soglia del 5%), occorrerà determinare la media semplice fra la percentuale degli iscritti (sulla totalità degli iscritti) e la percentuale dei voti ottenuti nelle elezioni delle RSU (sul totale dei votanti) – punto 5 del Protocollo d’Intesa in tema di misurazione della rappresentatività.
Limitazioni all’introduzione di una disciplina peggiorativa vincolante per via contrattuale
La giurisprudenza ammette che un nuovo contratto collettivo di lavoro introduca modifiche peggiorative al rapporto di lavoro.
Gli unici limiti a questa possibilità sono il principio della intangibilità della retribuzione e la salvaguardia dei diritti quesiti.
In altre parole, mediante un contratto collettivo non sarebbe ammissibile prevedere una decurtazione retributiva oppure la cancellazione di un diritto che sia già maturato ed entrato nel patrimonio del lavoratore.
In particolare, per disporre di un diritto quesito, sarebbe necessario un apposito ed esplicito mandato da parte del lavoratore.
Tuttavia, i contratti collettivi di lavoro sono ordinari contratti di diritto comune. Questo vuol dire che i contratti in questione possono vincolare solamente i lavoratori iscritti al sindacato stipulante.
I lavoratori non iscritti a quel sindacato possono peraltro aderire all’accordo, cosa che può avvenire anche tacitamente.
In altre parole, il lavoratore non iscritto al sindacato stipulante, che intenda rifiutare (come è suo diritto) gli effetti di un accordo, ha l’onere di manifestare tempestivamente il proprio dissenso; qualora la contrarietà all’accordo non fosse dichiarata, si dovrebbe ritenere che il lavoratore abbia tacitamente prestato il proprio consenso all’accordo stesso.
La regola sopra indicata non trova applicazione nel caso dei c.d. contratti gestionali.
Si tratta di accordi che il datore di lavoro stipula, eventualmente, con le organizzazioni sindacali in caso di Cassa integrazione guadagni, o licenziamenti collettivi, o trasferimenti d’azienda.
In casi come questi, la legge prevede una articolata procedura di informazione e consultazione del sindacato, all’esito della quale è possibile la stipulazione di un accordo per la disciplina e la gestione del provvedimento deciso dal datore di lavoro.
Ora, poiché il datore di lavoro potrebbe comunque portare a compimento, per esempio, il licenziamento collettivo, è stato ritenuto che l’accordo eventualmente raggiunto non può comportare per i lavoratori situazioni deteriori a quelle che sarebbero risultate se il provvedimento fosse stato attuato unilateralmente.
Conseguentemente, gli accordi di questo tipo sono applicabili a tutti i lavoratori, a prescindere dal fatto che gli stessi siano iscritti oppure no al sindacato stipulante.
Nel 2011 sono state introdotte significative novità in tema di contrattazione collettiva, per mezzo sia di accordi intervenuti tra le parti sociali, sia di interventi legislativi.
In particolare, il 28 giugno 2011 Confindustria e le confederazioni sindacali CGIL, CISL e UIL hanno siglato un Accordo Interconfederale che prevede che i contratti collettivi aziendali approvati dalla maggioranza dei componenti delle RSU “sono efficaci per tutto il personale in forza e vincolano tutte le associazioni firmatarie del presente accordo interconfederale operanti all’interno dell’azienda” (c.d. efficacia erga omnes) – punto 4 dell’Accordo di rappresentanza.
Medesima efficacia generalizzata è riconosciuta anche ai contratti collettivi aziendali sottoscritti dalle RSA, purché (punto 5 dell’Accordo di rappresentanza):
- le RSA stipulanti detengano la maggioranza delle deleghe relative ai contributi sindacali conferite dai lavoratori dell’azienda nell’anno precedente a quello in cui avviene la stipulazione;
- il contratto collettivo sia sottoposto “al voto dei lavoratori promosso dalle rappresentanze sindacali aziendali a seguito di una richiesta avanzata, entro 10 giorni dalla conclusione del contratto, da almeno una organizzazione firmataria del presente accordo o almeno dal 30% dei lavoratori dell’impresa. Per la validità della consultazione è necessaria la partecipazione del 50% più uno degli aventi diritto al voto. L’intesa è respinta con il voto espresso dalla maggioranza semplice dei votanti”.
Ulteriori novità in materia di contrattazione collettiva, sempre nel 2011, sono state introdotte anche dal legislatore, in particolare con l’art. 8 del DL 138 del 2011 (convertito in Legge 14 settembre 2011, n. 148).
La norma stabilisce, innanzitutto, che i “contratti di prossimità” (espressione che ricomprende i contratti collettivi di lavoro sottoscritti a livello aziendale o territoriale) possono realizzare specifiche intese finalizzate ”alla maggiore occupazione, alla qualità dei contratti di lavoro, all’adozione di forme di partecipazione dei lavoratori, alla emersione del lavoro irregolare, agli incrementi di competitività e di salario, alla gestione delle crisi aziendali e occupazionali, agli investimenti e all’avvio di nuove attività”.
Più in particolare, tali intese potranno regolare le materie indicate al comma 2, ovverosia:
- l’utilizzo di impianti audiovisivi e di nuove tecnologie,
- le mansioni e l’inquadramento dei lavoratori,
- i contratti di lavoro non standard (contratti a termine, part-time, etc.),
- l’orario di lavoro,
- il regime della solidarietà negli appalti e i casi di ricorso alla somministrazione di lavoro;
- le modalità di assunzione e la disciplina del rapporto di lavoro,
- la trasformazione e la conversione dei contratti di lavoro,
- le conseguenze del recesso del rapporto di lavoro (ad eccezione del licenziamento discriminatorio, del licenziamento della lavoratrice in concomitanza del matrimonio, del licenziamento della lavoratrice madre, del licenziamento causato dalla domanda o dalla fruizione del congedo parentale e per la malattia del bambino e del licenziamento in caso di adozione o affidamento).
L’aspetto più innovativo dell’art. 8 è costituito dal fatto che le intese possono operare anche in deroga alla legge e alle disposizioni contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro, con il solo limite dei principi fissati dalla Costituzione e dei vincoli derivanti dalla normativa comunitaria. Ciò significa che i “contratti di prossimità” potranno, per esempio, stabilire che il lavoratore licenziato ingiustamente abbia diritto esclusivamente al risarcimento del danno, e non anche alla reintegrazione nel posto di lavoro, contrariamente a quanto stabilito dall’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori.
L’art. 8 prevede inoltre che le intese abbiano “efficacia nei confronti di tutti i lavoratori interessati”, alla sola condizione che siano sottoscritte sulla base di un (non meglio precisato) “criterio maggioritario” relativo alle rappresentanze sindacali. In questo modo, i “contratti di prossimità” sono stati dotati di un’efficacia più estesa di quanto invece accade per i contratti collettivi nazionali, che possono produrre effetti solo nei confronti dei sindacati che li abbiano siglati e dei loro iscritti (fatto salvo quanto concordato dalle parti sociali con il Protocollo di intesa del 31 maggio 2013, di cui si dirà più avanti).
Il comma 3 dell’art. 8 prevede, infine, che i contratti collettivi aziendali stipulati prima dell’accordo interconfederale del 28 giugno 2011 sono efficaci nei confronti di tutti i lavoratori addetti alle unità produttive cui il contratto si riferisce, a condizione che l’intesa sia stata approvata con votazione a maggioranza dei lavoratori. Come è stato opportunamente osservato, si tratta di una disposizione che mira chiaramente a garantire l’efficacia dei contratti conclusi nei diversi stabilimenti del gruppo Fiat.
E’ bene chiarire che la norma è fortemente sospetta di incostituzionalità e di violazione di principi imposti dall’Unione Europea, per cui eventuali accordi stipulati in violazione di norme di legge (imperative) potrebbero, anche a distanza di anni, essere annullati per violazione di normative di rango superiore.
Resta poi apertissimo il dibattito circa la possibilità da parte di un accordo tra privati (il c.d. contratto di prossimità) di derogare in pejus a normative legali.
Da ultimo va segnalato che il 31 maggio 2013 è stato firmato un importante Protocollo d’intesa tra Confindustria e le confederazioni sindacali CGIL, CISL e UIL, con cui le parti sociali hanno inteso dare attuazione ai principi già contenuti nell’Accordo Interconfederale del 2011, in materia di rappresentanza e rappresentatività per la stipulazione di contratti collettivi nazionali di lavoro.
In particolare, per ciò che riguarda più specificatamente il tema dell’efficacia della contrattazione collettiva, con il Protocollo in oggetto le parti sociali hanno pattuito che i contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati da organizzazioni sindacali che abbiano complessivamente un livello di rappresentatività nel settore superiore al 50% possano essere efficaci e pienamente esigibili anche nei confronti delle organizzazioni sindacali che non li abbiano sottoscritti ma che aderiscano a una delle tre confederazioni firmatarie del Protocollo, purché siano previamente sottoposti a consultazione certificata dei lavoratori – le cui modalità saranno stabilite dalle categorie per ogni singolo contratto –, con approvazione a maggioranza semplice (Punto 3 del Protocollo, in tema di Titolarità ed efficacia della contrattazione).
Casistica di decisioni della Magistratura in tema di contratto collettivo
In genere
- Anche il datore di lavoro non iscritto all’associazione datoriale deve applicare le norme del contratto collettivo territoriale, se applica il relativo CCNL.
La Corte d’Appello di Milano rigetta il ricorso di una università privata e, confermando la sentenza di primo grado, riconosce alla ricorrente, dipendente di tale università, le differenze retributive relative alla giornata del 16 agosto, considerata come festiva in base a un accordo stipulato a livello provinciale. Secondo i Giudici, la contrattazione territoriale opera in una logica di sistema con il contratto nazionale, tenendo altresì conto dei rinvii operati per alcuni istituti, tra cui le festività. Se dunque il datore di lavoro, pur non associato, ha scelto di rinviare al CCNL del settore, non può sottrarsi all’applicazione degli accordi territoriali. (Corte app. Milano 22/5/2023, Pres. Piacciau Rel. Casella, in Wikilabour, Newsletter n. 14/2023) - Ai fini dell’applicazione dell’art. 1, D.L. n. 338 del 1989, convertito nella L. n. 389 del 1989, devono considerarsi rilevanti i CCNL sottoscritti dalle organizzazioni sindacali più rappresentative su base nazionale, a prescindere dalla circostanza che per il settore produttivo in cui opera l’azienda vi sia un unico CCNL o ve ne siano diversi. I CCNL sottoscritti da organizzazioni sindacali che non siano maggiormente rappresentative su base nazionale possono essere considerate solo se prevedono condizioni migliorative per i lavoratori. (Trib. Trani 18/11/2019 n. 2195, Giud. ed Est. Dibenedetto, in Lav. nella giur. 2020, con nota di G. Piglialarm, Due casi di resilienza “giurisprudenziale” del contratto collettivo c.d. dei façonisti, 1187)
- Il riconoscimento dei benefici contributivi di cui all’art. 5, L. n. 608 del 1996 presuppone l’applicazione da parte dell’impresa, ai propri dipendenti, dei contratti collettivi nazionali vigenti per il settore di appartenenza e corrispondente all’attività concretamente svolta dall’azienda, ovvero del contratto collettivo previsto per un diverso settore in concreto applicato, se più vantaggioso per i lavoratori rispetto a quello che sarebbe applicabile in base all’inquadramento dell’azienda. (Cass. 28/10/2019 n. 27503, Pres. Manna Est. Ghinoy, in Lav. nella giur. 2020, con nota di G. Piglialarm, Due casi di resilienza “giurisprudenziale” del contratto collettivo c.d. dei façonisti, 1187)
- Il datore di lavoro non può disporre unilateralmente del vincolo contrattuale o comunque recedere ante tempus dal contratto collettivo aziendale per il quale è prevista una scadenza, fatta eccezione per le ipotesi espressamente previste dalle parti. (Trib. Trento 3/10/2019, Est. Flaim, in Riv. It. Dir. lav. 2020, con nota di M. Vitaletti, “Sulla clausola che attribuisce al datore di lavoro la facoltà di recesso ante tempus dal contratto aziendale con termine finale”, 417)
- La possibilità di recesso dal contratto collettivo di diritto comune spetta unicamente alle parti stipulanti, ossia alle associazioni sindacali e datoriali, le quali possono provvedere a disciplinarne anche le conseguenze. Pertanto, non è legittimo il recesso unilaterale ante tempus del contratto da parte del singolo datore di lavoro, pur se accompagnato da un congruo termine di preavviso. Neppure l’eccessiva onerosità del contratto (art. 1467 c.c.) conseguente ad una situazione di difficoltà economica vale a legittimare il recesso, salva l’ipotesi di contratti aziendali stipulati dal singolo datore di lavoro con sindacati locali dei lavoratori. Solo al momento della scadenza contrattuale è possibile recedere legittimamente dal contratto ed applicarne uno diverso a condizione che ricorrano i presupposti di cui all’art. 2069 c.c. (Cass. 20/8/2019 n. 21537, Pres. Nobile Rel. Arienzo, in Riv. it. dir. lav. 2019, con nota di A. Maresca, “Recesso dal vincolo associativo e sostituibilità del contratto collettivo nazionale di lavoro: libertà sindacale e qualche spunto civilistico”, e D. Comande, “Il recesso ante tempus dal contratto collettivo nazionale tra vincolo associativo e contrattuale”, 735)
- L’art. 19 comma 6 d.lgs. 175/2016 attribuisce alle organizzazioni sindacali il diritto a trattare con una società a controllo pubblico solo in materia di contenimento degli oneri contrattuali e non in caso di modifiche meramente organizzative, come quelle riguardanti i turni di lavoro dei rappresentanti sindacali. (Trib. di La Spezia 6/8/2019, decr., Est. Viani, in Riv. It. Dir. Lav. 2020, con nota di L. Lama, “Contenimento degli oneri contrattuali e diritto a trattare nelle società a controllo pubblico, 218)
- Sono nulle le clausole di un contratto individuale di lavoro con un ente pubblico non economico che prevedano l’applicazione di un contratto collettivo del settore privato anziché del contratto collettivo pubblico del comparto di appartenenza. (Trib. Catanzaro 8/5/2019, Giud. Ionta, in Riv. It dir. lav. 2020, con nota di M. Lovo, “Nulla la clausola del contratto individuale in deroga all’applicazione del contratto collettivo pubblico a un ente pubblico non economico”, 231)
- L’adesione di un’impresa a strutture territoriali di un’associazione imprenditoriale non implica un mandato o un’adesione all’associazione nazionale di categoria, quando ciò sia consentito dallo statuto e non sia seguito l’inquadramento dell’impresa nel settore merceologico che raggruppa le imprese di quel settore e non vi sia stata corresponsione di quote associative all’associazione nazionale da parte della struttura territoriale cui l’impresa aderisce. È pertanto legittima la disapplicazione del ccnl da parte del datore di lavoro, non sussistendo alcun vincolo associativo con l’associazione nazionale, bensì’ il solo vincolo di servizio con le associazioni territoriali. (Corte app. Torino 23/10/2017, n. 777, Pres. Pietrini Est. Visaggi, in Riv. It. Dir. Lav. 2018, con nota di M. Verzaro, “Vincoli associativi e applicazione del contratto collettivo”, 226)
- Il contratto collettivo aziendale, anche se privo di scadenza, può essere disdettato unilateralmente atteso che anche a tale contrattazione deve essere estesa la regola, di generale applicazione nei negozi privati, secondo cui il recesso unilaterale rappresenta una causa estintiva ordinaria di qualsiasi rapporto di durata a tempo indeterminato, che risponde all’esigenza di evitare – nel rispetto dei criteri di buona fede e correttezza nell’esecuzione del contratto – la perpetuità del vincolo obbligatorio. (Trib. Venezia 30/5/2014, Giud. Menegazzo, in Riv. it. dir. lav. 2015, con nota di A. Rampazzo, “La salvaguardia del livello retributivo nelle dinamiche della contrattazione collettiva”, 239)
- Non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 8, commi 1, 2 e 2-bis, del d.l. 13 agosto 2011, n. 138 (“Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo”), convertito, con modificazioni, in l. 14 settembre 2011, n. 148 in riferimento agli artt. 39, 117, co. 3 e 118 Cost., nonché al principio di leale collaborazione. Le “specifiche intese” previste dal comma 1 non hanno un ambito illimitato, ma possono riguardare soltanto la “regolazione delle materie inerenti l’organizzazione del lavoro e della produzione”, con riferimento alle materie indicate dall’art. 8, co. 2, in un elenco da considerarsi tassativo. Anche l’effetto derogatorio previsto dal co. 2-bis opera in relazione alle materie richiamate dal co. 2 e non da altre, e trattandosi di una norma avente carattere eccezionale, essa non si applica oltre i casi e i tempi in essa considerati. Le materie sulle quali possono vertere le “specifiche intese” riguardano aspetti della disciplina sindacale e intersoggettiva del rapporto di lavoro riconducibili interamente alla materia dell’ordinamento civile, appartenente alla competenza legislativa esclusiva dello Stato. Pertanto, una eventuale violazione dell’art. 39, co. 4 Cost. per mancato rispetto dei requisiti soggettivi e della procedura di cui al precetto costituzionale non si risolve in una violazione delle attribuzioni regionali costituzionalmente garantite. (Corte Cost. 4/10/2012 n. 221, Pres. Quaranta Est. Criscuolo, in Riv. It. Dir. lav. 2012, con nota di Margherita Covi, “La prima pronuncia della Corte costituzionale sull’art. 8 l. n. 148/2011: la norma non invade la competenza regionale ma le ‘specifiche intese’ non hanno un ambito illimitato”, 903)
- Per i contratti collettivi di diritto comune vale la regola dell’onere di produzione a carico di chi intenda avvalersene. A maggior ragione quano c’è un promiscuo richiamo tanto all’art. 2104 c.c. che all’art. 2105 c.c., posto che il primo si riferisce alla diligenza del prestatore di lavoro nell’esecuzione della prestazione principale e accessoria e il secondo a quella parte dell’obbligo di fedeltà relativa al divieto di attività di concorrenza. (Corte app. Firenze 17/5/2012, Pres. Pieri Rel. Schiavone, in Lav. nella giur. 2012, 829)
- I contratti collettivi aziendali sono applicabili a tutti i lavoratori dell’azienda, ancorché non iscritti alle organizzazioni sindacali stipulanti, con l’unica eccezione di quei lavoratori che, aderendo a una organizzazione sindacale diversa, ne condividono l’esplicito dissenso dall’accordo e potrebbero addirittura essere vincolati da un accordo sindacale separato (nella specie, la suprema corte, affermando il principio, ha ritenuto applicabile l’accordo aziendale a un lavoratore che, senza essere iscritto all’organizzazione stipulante, non risultava tuttavia affiliato a un sindacato dissenziente e aveva anzi invocato l’accordo medesimo a fondamento delle sue istanze). (Cass. 18/4/2012 n. 6044, Pres. Vidiri Est. Bandini, in Orient. Giur. Lav. 2012, 237)
- È legittima la disposizione della contrattazione collettiva nazionale che, in caso di assunzione a tempo indeterminato di lavoratori già assunti a termine, prevede l’applicazione parziale di benefici economici aggiuntivi previsti dalla contrattazione di secondo livello, fermo restando il trattamento economico minimo previsto dal contratto collettivo nazionale di lavoro. (Trib. Lucca 9/2/2012 n. 59, Giud. Nannipieri, in Riv. It. Dir. lav. 2012, con nota di Riccardo Diamanti, “Salario d’ingresso e sindacabilità della contrattazione collettiva”, 914)
- Il comma 1 dell’art. 2070 c.c., secondo cui l’appartenenza alla categoria professionale, ai fini dell’applicazione del contratto collettivo, si determina secondo l’attività effettivamente esercitata dall’imprenditore non opera nei riguardi della contrattazione collettiva di diritto comune, che ha efficacia vincolante limitatamente agli iscritti alle associazioni sindacali stipulanti e a coloro che, esplicitamente o implicitamente, al contratto abbiano prestato adesione. Pertanto, nell’ipotesi di contratto di lavoro regolato dal contratto collettivo di diritto comune proprio di un settore non corrispondente a quello dell’attività svolta dall’imprenditore, il lavoratore non può aspirare all’applicazione di un contratto collettivo diverso, se il datore di lavoro non vi è obbligato per appartenenza sindacale, ma solo eventualmente richiamare tale disciplina come termine di riferimento per la determinazione della retribuzione ex art. 36 Cost., deducendo la non conformità al precetto costituzionale del trattamento economico previsto nel contratto applicato. (Trib. Taranto 22/3/2010, Giud. Pazienza, in Lav. nella giur. 2010, 736)
- Il contratto collettivo, senza predeterminazione di un termine di efficacia, non può vincolare per sempre tutte le parti contraenti, poiché in tal caso finirebbero per vanificarsi la causa e la funzione sociale della contrattazione collettiva, la cui disciplina, da sempre modellata su termini temporali non eccessivamente dilatati, deve parametrarsi su una realtà socio economica in continua evoluzione. Per conseguenza, a tale contrattazione va estesa la regola generale di applicazione nei negozi privati, secondo la quale il recesso unilaterale rappresenta una causa estintiva ordinaria di qualsiasi rapporto di durata a tempo indeterminato, che risponde all’esigenza di evitare – nel rispetto dei criteri di buona fede e correttezza nell’esecuzione del contratto – la perpetuità del vincolo obbligatorio. (Cass. 29/8/2009 n. 18548, Pres. Di Cerbo Est. Matera, in Riv. it. dir. lav. 2010, con nota di A. Sartori, “Aspettative e diritti quesiti nella successione tra contratti collettivi: un cammino giurisprudenziale ancora zoppicante”, 928)
- I contratti collettivi di lavoro non dichiarati efficaci erga omnes ai sensi della L. 14 luglio 1959 n. 741, costituendo atti di natura negoziale e privatistica, si applicano esclusivamente ai rapporti individuali intercorrenti tra soggetti che siano entrambi iscritti alle associazioni stipulanti, ovvero che, in mancanza di tale condizione, abbiano fatto espressa adesione ai patti collettivi e li abbiano implicitamente recepiti attraverso un comportamento concludente, desumibile da una costante e prolungata applicazione delle relative clausola ai singoli rapporti, fermo restando, in detta ultima ipotesi, che non è sufficiente a concretizzare un’adesione implicita, idonea a rendere applicabile il contratto collettivo nell’intero suo contenuto, il semplice richiamo alle tabelle salariali del contratto stesso, né la circostanza che il datore di lavoro, non iscritto ad alcuna delle associazioni sindacali stipulanti il contratto collettivo, abbia proceduto all’applicazione di alcune clausole di tale contratto, contestandone invece esplicitamente altre. (Nella specie, relativa alla prestazione lavorativa di un operaio qualificato, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto applicabile l’intero Ccnl di categoria in quanto il contratto individuale non si limitava a richiamare le tabelle salariali e a prevedere la corresponsione della quattordicesima mensilità ivi prevista, bensì conteneva anche l’espresso richiamo a una voce retributiva – gli “arretrati da rinnovo c.c.n.l.” – riferita al contratto collettivo nel suo complesso). (Cass. 8/5/2009 n. 10632, Pres. De Luca Est. Nobile, in Lav. nella giur. 2009, 950)
- La comunicazione del recesso dal contratto aziendale è atto unilaterale recettizio ex art. 1334 c.c., i cui effetti si producono solo nel momento in cui perviene a conoscenza del destinatario, entro i termini concordati dalle parti. (Trib. Milano 29/1/2009, Est. Bianchini, in Orient. giur. lav. 2009, 46)
- Gli accordi aziendali sono contratti di diritto privato, che in base ai principi generali, possono essere disdetti dalle parti che li hanno sottoscritti; non è parimenti ravvisabile un obbligo di comunicazione, nei termini della disdetta, alle RSU/RSA, ove non rivestano la qualità di parti contraenti. (Trib. Milano 29/1/2009, Est. Bianchini, in Orient. giur. lav. 2009, 46)
- Nell’ipotesi di contratto di lavoro regolato dal contratto collettivo di diritto comune proprio di un settore non corrispondente a quello dell’attività svolta dall’imprenditore, il lavoratore non può aspirare all’applicazione di un contratto collettivo diverso, se il datore di lavoro non vi è obbligato per appartenenza sindacale, ma solo eventualmente richiamare tale disciplina come termine di riferimento per la determinazione della retribuzione ex art. 36 Cost., deducendo la non conformità al precetto costituzionale del trattamento economico previsto nel contratto applicato. (Trib. Cassino 26/9/2008, Pres. Paolitto, in Lav. nella giur. 2009. 88)
- Nel vigente ordinamento del rapporto di lavoro subordinato, regolato da contratti collettivi di diritto comune, l’individuazione della contrattazione collettiva che regola il rapporto di lavoro va fatta unicamente attraverso l’indagine della volontà delle parti risultante, oltre che da espressa pattuizione, anche implicitamente dalla protratta e non contestata applicazione di un determinato contratto collettivo. Il ricorso al criterio della categoria economica di appartenenza del datore di lavoro, fissato dall’art. 2070 c.c., è consentito solo al fine di individuare il parametro della retribuzione adeguata ex art. 36 Cost., quando non risulti applicata alcuna contrattazione collettiva ovvero sia dedotta l’inadeguatezza della retribuzione contrattuale ex art. 36 Cost. rispetto all’effettiva attività lavorativa esercitata. (Nella specie, in omaggio al principio enunciato, la S.C., nel confermare la decisione di merito, ha ritenuto l’inapplicabilità del Ccnl per i dipendenti delle aziende municipalizzate per il periodo antecedente il 1° febbraio 1992, giorno dal quale detto ultimo contratto, per concorde volontà delle parti, trova invece applicazione. (Cass. 8/5/2008 n. 11372, Pres. Sciarelli Est. D’Agostino, in Lav. nella giur. 2008, 1059)
- La reiterazione costante e generalizzata di un comportamento favorevole del datore di lavoro nei confronti dei propri dipendenti integra, di per sé, gli estremi dell’uso aziendale, il quale, in ragione della sua appartenenza al novero delle cosiddette fonti sociali – tra le quali vanno considerati sia i contratti collettivi, sia il regolamento d’azienda e che sono definite tali perchè, pur non costituendo espressione di funzione pubblica, neppure realizzano meri interessi individuali, in quanto dirette a conseguire un’uniforme disciplina dei rapporti con riferimento alla collettività impersonale dei lavoratori di un’azienda – agisce sul piano dei singoli rapporti individuali allo stesso modo e con la stessa efficacia di un contratto collettivo aziendale. (Nella specie, è stata confermata la sentenza di merito che aveva riconosciuto ai dipendenti della ex Gestione commissariale governativa per le Ferrovie del Sud Est il compenso per lavoro straordinario eccedente le 36 ore lavorative, giacché tale appunto doveva reputarsi l’orario normale di lavoro in forza di prassi aziendale risalente al 1945 – periodo in cui il rapporto di lavoro era di natura privatistica – poi recepita dal decreto del Ministro dei trasporti 20 settembre 1985, n. 976, il quale, riscattando la concessione ferroviaria e disponendo la gestione commissariale governativa dell’azienda, faceva assumere natura pubblica al rapporto lavorativo medesimo, assicurando al personale dipendente la conservazione di tutti i diritti maturati in epoca anteriore, così da mantenere invariato l’orario lavorativo sino a diversa regolamentazione proveniente dalla contrattazione collettiva). (Cass. Sez. Un. 13/12/2007 n. 26107, Pres. Carbone Est. Amoroso, in Lav. nella giur. 2008, 420)
- L’art. 2070 c.c. detta una disciplina di natura pubblicistica e, come tale, inderogabile dalla volontà delle parti con il contratto individuale che, dunque, non può prevedere la regolamentazione del rapporto di lavoro sulla base di un contratto collettivo diverso da quello in concreto applicabile in base ai criteri indicati dal medesimo art. 2070 c.c. (Trib. Milano 17/11/2007, Est. Martello, in D&L 2008, con nota di Stefano Chiusolo, “Il giornalista grafico”, 124)
- Il contratto collettivo a tempo indeterminato non può rappresentare un vincolo perpetuo tra le parti contraenti, perchè in tal modo si vanificherebbe la causa e la funzione sociale della contrattazione collettiva, la cui disciplina deve parametrarsi su una realtà socio-economica in continua evoluzione; a tale contrattazione va quindi estesa la regola, di generale applicazione nei negozi privati, secondo cui il recesso unilaterale rappresenta una causa estintiva ordinaria di qualsiasi rapporto di durata a tempo indeterminato, anche limitatamente ad alcune norme del contratto medesimo e senza che con ciò sia preclusa la modifica in peius del trattamento economico dei lavoratori, fatti salvi i diritti quesiti, in quanto già entrati a far parte del patrimonio del lavoratore. (Cass. 18/9/2007 n. 19351, Pres. Sciarelli Est. Vidiri, in D&L 2007, con nota di Angelo Beretta, “La disdetta unilaterale limitatamente ad alcune norme del contratto integrativo aziendale”, 1021)
- La Corte Costituzionale, investita dal Tribunale di Genova in merito all’eventuale incostituzionalità degli art. 360, comma primo, n. 3 e 420 bis c.p.c., ha dichiarato infondate e pertanto inammissibili entrambe le questioni sottopostole (nella specie, il Giudice delle Leggi riferendosi all’art. 360 c.p.c., comma primo, n. 3, ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità poiché, nel caso proposto avanti al Tribunale di Genova, essa si era manifestata in una prospettiva eventuale, rispetto alla situazione processuale in essere, mentre riferendosi all’art. 420 bis c.p.c., riprendendo il modello già delineatosi con l’art. 64 del D.Lgs. n. 165/2001, in materia di pubblico impiego, ne ha ribadito la legittimità costituzionale). (Corte Cost. 17/7/2007 n. 298, Pres. Bile Rel. Mazzarella, in Lav. nella giur. 2008, 376, con commento di Giulio Graziani, 376)
- In virtù del principio dell’inderogabilità in peius del contratto collettivo, la garanzia del preventivo controllo sindacale previsto da un contratto collettivo in ordine all’esercizio del potere organizzativo del datore di lavoro non è disponibile a opera del singolo lavoratore, il quale, se fosse abilitato a concedere nel contratto individuale il potere negato dal contratto collettivo, potrebbe modificare in peius le garanzie da questo apprestate. (Cass. 21/2/2007 n. 4011, Pres. Mattone Est. Picone, in Riv. it. dir. lav. 2007, con nota di Federico Maria Putaturo Donati, “Lavoro supplementare di sabato: inderogabilità del contratto collettivo e legittimità del rifiuto di rendere la prestazione indebitamente richiesta”, 877)
- Qualora un contratto collettivo venga stipulato senza l’indicazione di una scadenza, la relativa mancanza non implica che gli effetti perdurino nel tempo senza limiti, atteso che – in sintonia con il principio di buona fede nell’esecuzione del contratto ex art. 1375 c.c. e in coerenza con la naturale temporaneità dell’obbligazione – deve essere riconosciuta alle parti la possibilitàdi farne cessare unilateralmente l’efficacia, previa disdetta, anche in difetto di previsione legale, non essendo a ciò di ostacolo il disposto dell’art. 1373 c.c. che, regolando il recesso unilaterale nei contratti di durata quando tale facoltà è stata prevista dalle parti, nulla dispone per il caso di mancata previsione pattizia al riguardo. (Cass. 18/12/2006 n. 27031, Pres. mattone Est. Di Cerbo, in Riv. it. dir. lav. 2007, con nota di Silvia Ciucciovino, “Sulla libertà di recesso dal contratto collettivo a contratto indeterminato”, 616)
- E’ illegittimo il recesso ad nutum dal contratto collettivo, con conseguente irrilevanza dell’indagine relativa alla sussistenza, o no, di una valida giustificazione. (Cass. 18/12/2006 n. 27031, Pres. mattone Est. Di Cerbo, in Riv. it. dir. lav. 2007, con nota di Silvia Ciucciovino, “Sulla libertà di recesso dal contratto collettivo a contratto indeterminato”, 616)
- La procedura prescritta dall’art. 17, tredicesimo comma, della L. n. 84 del 1994 per la stipulazione di un contratto collettivo di lavoro unico nazionale di riferimento riguarda il solo lavoro portuale temporaneo; pertanto, l’efficacia soggettiva di tale contratto collettivo non si estende a tutti i lavoratori portuali. (Cons. St. 22/6/2006 n. 3821, Pres. Schinaia rel. Volpe, in Lav. nella giur. 2007, con commento di Chiara Tincani, 1009)
- Sono manifestamente infondati i dubbi di legittimità costituzionale dell’art. 64 d.lgs. n. 165 del 2001 riguardo alla vincolatività dell’interpretazione autentica del contratto collettivo per le parti e il giudice; la fase stragiudiziale prevista dalla norma mira infatti alla soluzione negoziale della questione fondata sulla capacità rappresentativa dei sindacati e sulla valorizzazione del potere di autonomia negoziale – che configura una delle più significative espressioni delle loro prerogative istituzionali -, sicchè non concretizza nessuna violazione di principi costituzionali l’incisione anche sui diritti dei lavoratori attraverso una successione di disposizioni contrattuali volte a sostituire, pure in senso sfavorevole ai lavoratori stessi, precedenti trattamenti (normativi ed economici) di cui in precedenza godevano. (Cass. 1/6/2005 n. 11671, ord., Pres. Sciarelli Est. Vidiri, in Giust. Civ. 2006, 1011)
- Poiché l’art. 64 d.lgs. n. 165 del 2001 – che introduce un’eccezione alla regola generale e, pertanto, è in suscettibile di interpretazione estensiva o analogica – ha previsto il ricorso immediato per Cassazione avverso la sentenza del giudice di primo grado che abbia deciso solo su questioni concernenti l’efficacia, la validità o l’interpretazione delle clausole dei contratti o accordi collettivi nazionali del settore pubblico, è inammissibile il ricorso per Cassazione avverso la sentenza di primo grado che abbia deciso anche sul merito della domanda, che deve essere sottoposta ai normali mezzi di gravami. (Cass. 7/4/2005 n. 7208, Pres. Mercurio Est. Di Cerbo, in Giust. Civ. 2006, 1014)
- In tema di contrattazione collettiva, le cosiddette “ipotesi di accordo” possono non rappresentare la mera documentazione dello stato finale raggiunto dalle trattative, ma costituire espressione di un’effettiva volontà contrattuale, trovando giustificazione, in tal caso, l’adozione del termine “ipotesi” nel fatto che viene fatta salva una fase di ratifica della conclusa stipulazione negoziale, soprattutto nell’interesse della parte che rappresenta i lavoratori. Spetta al giudice del merito accertare quale natura possa in concreto attribuirsi a un’ipotesi di accordo, sulla base della volontà delle parti, che può anche essere implicita e desumibile da prassi – aziendali, settoriali ed eventualmente anche nazionali – sufficientemente concludenti. (Cass. 6/4/2005 n. 7115, Pres. Senese Est. Di Cerbo, in Orient. Giur. Lav. 222)
- L’art. 14, 3° comma, del Ccnl Enti Locali, nella parte in cui prevede l’estinzione del rapporto di lavoro in ipotesi di mancata ripresa del servizio allo scadere del periodo di aspettativa, è da ritenersi nullo ai sensi dell’art. 1418 c.c., dovendosi escludere che l’autonomia privata possa introdurre cause di risoluzione del rapporto di lavoro diverse ed ulteriori rispetto alla legge. (Corte d’appello Milano 14/1/2004, Pres. ed Est. De Angelis, in D&L 2004, 159)
- La contrattazione collettiva non può disporre se non in senso migliorativo dei diritti attribuiti al dipendente dal contratto individuale di lavoro, salvo che il dipendente stesso non consenta espressamente alla modificazione dei patti, non essendo sufficiente a ciò la semplice adesione al sindacato di categoria, ma risultando essenziale un esplicito ed espresso mandato (in applicazione di questo principio di diritto, la Suprema Corte ha cassato la sentenza di merito che aveva ritenuto legittima la variazione dell’orario di lavoro a tempo parziale risultante dal contratto di lavoro individuale disposta unilateralmente dal datore di lavoro, in quanto consentita dalla contrattazione collettiva aziendale, ma contro la volontà della dipendente). (Cass. 17/3/2003, n. 3898, Pres. Dell’Anno, Rel. Cellerino, in Lav. nella giur. 2003, 681)
- La perdurante ed uniforme applicazione della sola parte economica del Ccnl, da parte di datore di lavoro non iscritto ad associazioni firmatarie, comporta per quest’ultimo l’obbligo di dare applicazione all’intero Ccnl. (Trib. Milano 2/12/2003, ord., Est. Negri della Torre, in D&L 2003, 923)
- Nel caso in cui il datore di lavoro, non iscritto all’associazione sindacale firmataria del Ccnl, abbia recepito formalmente la disciplina contenuta nel medesimo, lo stesso datore di lavoro, con riferimento alle materie per cui è stato espresso un espresso pactum de contrahendo referentesi alla contrattazione decentrata, sarà tenuto ad applicare anche le eventuali successive modifiche o integrazioni apportate ad opera dei contratti collettivi territoriali purchè sussista un coordinamento logico tra la contrattazione nazionale e quella territoriale. (Corte d’Appello Trento, 28/4/2003, Pres. Zanon, in D&L 2003, 613, con nota di Angelo Beretta, “Efficacia soggettiva della contrattazione collettiva e recezione automatica dei rinnovi contrattuali”)
- Stipulando un’ipotesi di accordo soggetta all’approvazione da parte dei lavoratori, le organizzazioni sindacali stipulanti si autolimitano con riguardo all’efficacia dell’intesa già raggiunta, che deve essere perfezionata dall’approvazione, non soggetta a vincoli di forma, della maggioranza dei lavoratori. (Corte d’Appello Milano 8/2/2002, Pres. Ruiz, Est. De Angelis, in D&L 2002, 319, con nota di Maurizio Borali, “Ipotesi di accordo ed orientamento della giurisprudenza”)
- E’ valido l’accordo sindacale aziendale concluso con taluni dei (e non con tutti i) sindacati presenti in azienda, sempreché i sindacati sottoscrittori siano effettivamente rappresentativi del personale dell’azienda (rappresentatività non contestata, in fattispecie, dal ricorrente). Nel rispetto della condizione della rappresentatività, deve ritenersi che l’accordo raggiunto con due delle quattro sigle sindacali presenti in azienda, essendo conforme alla procedura delineata dalla legge (comunicazione a tutte le associazioni e trattativa con quante ne facciano richiesta e non necessario raggiungimento di una intesa con tutte le associazioni destinatarie della comunicazione), sia idoneo a spiegare gli effetti cui è destinato, e tra essi quello di fissare i criteri di scelta per la riduzione di personale, in deroga a quelli di cui all’art. 5, comma 1, l. n. 223/91. Ritenere, come assume il ricorrente, che ai fini della validità dell’accordo sia necessario che tutte le organizzazioni sindacali debbano necessariamente partecipare alla trattative e sottoscrivere l’accordo paralizzerebbe ogni possibilità di realizzare il meccanismo di controllo sindacale della materia che costituisce la ratio della norma, in quanto sarebbe sufficiente a realizzare l’effetto vanificatorio la mancata partecipazione o il dissenso anche di un solo sindacato (Cass. 3/12/01, n. 15254, pres. Mileo, est. Lupi, in Lavoro e prev. oggi 2002, pag. 134)
- Le disposizioni dei contratti collettivi non si incorporano nel contenuto dei contratti individuali e non danno luogo a diritti quesiti, onde il lavoratore non può far valere il diritto derivante da una disposizione collettiva, ove questa sia venuta a cadere. (Trib. Brescia 5/10/01, pres. e est. Tropeano, in Lavoro giur. 2002, pag. 665, con nota di Zavalloni, Il principio di non ultrattività nei contratti collettivi di diritto comune)
- In ipotesi di accordo aziendale stipulato da istanze territoriali delle associazioni sindacali, trova applicazione il principio generale dell’efficacia soggettiva operante per i contratti collettivi di diritto comune; ne consegue che detto accordo non può applicarsi al lavoratore che non abbia conferito alle associazioni stipulanti un espresso mandato, salvo che sia fornita prova di una ratifica successiva, espressa o anche a mezzo di comportamenti concludenti inconciliabili con la volontà di non aderire all’accordo. (Corte d’appello Trento 5/11/200, Pres. Zanon Est. Caracciolo, in D&L 2004, 125)
- I contratti collettivi contengono disposizioni cosiddette normative (che riguardano la disciplina dei rapporti di lavoro) e disposizioni cosiddette obbligatorie (i cui destinatari diretti sono le organizzazioni sindacali stipulanti). Peraltro, la contrattazione collettiva ha introdotto clausole in cui sono intrecciati elementi normativi ed elementi obbligatori e che, pertanto, posseggono natura bivalente, obbligatoria nei confronti dell’organizzazione sindacale, e normativa sul piano della disciplina del rapporto. Ne segue che tali clausole sono invocabili anche dal singolo lavoratore (Cass. 5/9/00, n. 11718, pres. De Musis, in Argomenti dir. lav. 2001, pag. 357)
- E’ manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 30 del d.lgs. 31/3/98, n. 80, sollevata – in riferimento all’art. 3, primo comma, Cost. – nella parte in cui prevede la possibilità di un accertamento pregiudiziale sull’efficacia, validità ed interpretazione dei contratti collettivi dei dipendenti pubblici da parte di un giudice ordinario, impugnabile direttamente con ricorso per cassazione, e non consente analogo esame diretto dei contratti collettivi di diritto comune nel settore dell’impiego privato, attesa la profonda diversità tra i contratti che regolano tali rapporti. (Cass. 18/8/00, n. 10974, pres. Grieco, est. Filadoro, in Argomenti dir. lav. 2001, pag. 707)
- Ai sensi dell’art. 1418 c.c., deve ritenersi nulla la disposizione del Ccnl contraria a norme imperative di legge (nella fattispecie, è stata dichiarata la nullità dell’art. 20 del Ccnl Aziende Municipalizzate di Igiene Urbana che sanciva l’obbligo dei lavoratori di provvedere personalmente al lavaggio degli indumenti utilizzati per lo svolgimento della prestazione lavorativa) (Trib. Milano 6 luglio 2000, est. Peregallo, in D&L 2000, 993)
- Non sono in contrasto con l’art. 39 Cost. le norme (art. 45 D. Lgs. 3/2/93 n. 29, modificato dal D. Lgs. 4/11/97 n. 396 e art. 47 bis D. Lgs. 3/2/93 n. 29, introdotto dall’art. 7 D. Lgs. 4/11/97 n. 396) che demandano al contratto collettivo di comparto il compito di individuare i soggetti del negoziato decentrato (Trib. Milano 10 maggio 2000 (decr.), est. Vitali, in D&L 2000, 681)
- Sebbene il contratto collettivo sia di norma vincolante soltanto per l’imprenditore iscritto a una delle associazioni stipulanti, non ne è preclusa l’adesione attraverso l’applicazione autonoma delle clausole contrattuali. Spetta altresì al giudice di merito accertare se lo svolgimento del rapporto di lavoro consenta di ravvisare un’adesione tacita. Quest’ultima evenienza è però legata all’applicazione di tutte le clausole contrattuali e non di alcune di esse soltanto, con l’ulteriore precisazione che l’osservanza di norme imperative di legge – ad esempio in materia di retribuzione, ferie, festività – non può essere equiparata a una spontanea manifestazione di volontà, anche se nella pratica fonti contrattuali e fonti legali possono, in relazione a determinati istituti quali quelli richiamati, prevedere discipline identiche (Cass. 12/4/00, n. 4705, pres. D’Angelo, est. Roselli, in Riv. Giur. Lav. 2001, pag. 168, con nota di Leotta, Brevi riflessioni in tema di efficacia soggettiva del contratto collettivo di diritto comune)
- Alla stipula di accordi aziendali sono legittimate, oltre che le rappresentanze sindacali aziendali (cui va riconosciuta una generale legittimazione negoziale all’interno di luoghi di lavoro) e le organizzazioni deputate statutariamente a rappresentare specifiche categorie di lavoratori, anche le organizzazioni nazionali (confederazioni, federazioni nazionali) rappresentative di tutte le categorie di lavoratori, in ragione di una naturale sovraordinazione delle organizzazioni nazionali su quelle locali e di raccordi dei diversi livelli di contrattazione sindacale, diretta non certo a vanificare l’autonomia e la indispensabile diversità di articolazione delle politiche aziendali, ma a fissarne un momento unitario per il perseguimento di finalità generali destinate invece a valorizzare detta autonomia (nella specie, si trattava della sottoscrizione da parte di sindacati nazionali dei bancari, aderenti alla CGIL, alla CISL e UIL, di un accordo per il rinnovo del contratto aziendale dell’Ipacri) (Cass. 12/2/00 n. 1576, pres. Lanni, in Riv. it. dir. lav. 2000, pag. 617, con nota di Bano, Alcuni problemi in materia di accordi collettivi aziendali)
- Il contratto collettivo post-corporativo – e quello aziendale in particolare – è stipulato dal sindacato in virtù di un potere di negoziazione collettiva che gli è attribuito dall’ordinamento a titolo originario, e non sulla base di un mandato rappresentativo conferito dai singoli lavoratori (Trib. Potenza 1/2/00, est. Colucci, in Riv. it. dir. lav. 2001, pag. 186, con nota di Cattani, Sul tentativo obbligatorio di conciliazione nelle controversie collettive di lavoro e sulla legittimazione attiva e passiva delle organizzazioni sindacali)
- Le limitazioni al potere di rappresentanza conferito mediante procura da una società per azioni a un soggetto che non sia amministratore della società sono opponibili ai terzi secondo le regole generali di cui all’art. 1396 c.c., posto che la regola dell’inopponibilità delle limitazioni a detto potere di rappresentanza di cui all’art. 2384, 2° comma, c.c. è dettata esclusivamente con riferimento alla rappresentanza “organica” degli amministratori; pertanto la società per azioni può legittimamente invocare l’inefficacia nei propri confronti del contratto sottoscritto da un procuratore non amministratore, allorché il terzo sia a conoscenza (o sarebbe potuto esserlo usando l’ordinaria diligenza) delle limitazioni poste dalla procura (Pret. Nola, sez. Pomigliano d’Arco, 25/2/99, est. Perrino, in D&L 1999, 607, n. Pavone)
- E’ nullo per indeterminatezza e indeterminabilità dell’oggetto l’accordo sindacale aziendale il cui contenuto vada individuato per relationem con riferimento ad altra ipotesi di accordo, il cui contenuto risulti a sua volta essere assolutamente incerto, in quanto rinegoziato in successivi accordi dei quali non si conosca l’esito (Pret. Nola, sez. Pomigliano d’Arco, 25/2/99, est. Perrino, in D&L 1999, 607, n. Pavone)
- È illegittimo, in riferimento all’art. 3 Cost., 1° comma, l’art. 36 SL nella parte in cui non prevede che la “clausola cd. sociale” – che impone all’appaltatore di opere pubbliche obbligo di applicare ai propri dipendenti condizioni non inferiori a quelle risultanti dai contratti collettivi di lavoro della categoria e della zona – debba essere inserita anche nelle concessioni di pubblico servizio; tale omissione infatti viola il principio di parità di trattamento, nonché di imparzialità e buon andamento della Pubblica Amministrazione e di tutela del lavoro subordinato (Corte Costituzione 19/6/98, pres. Granata, rel. Vari, in D&L 1998. 888)
- L’accordo sindacale non può legittimamente modificare i diritti individuali dei lavoratori garantiti dalla legge (Pret. Milano 6/12/95, est. Cecconi, in D&L 1996, 681)
CCNL applicabile
- L’applicazione sotto il profilo inquadramentale e retributivo del Ccnl del settore industriale esclude che il datore di lavoro iscritto all’albo delle imprese artigiane possa per ciò solo rivendicare l’applicabilità del Ccnl del settore artigiano. (Trib. Milano 31/1/2003, Est. Cincotti, in D&L 2003, 339)
- L’art. 2070 detta una disciplina di natura pubblicistica e, in quanto tale, inderogabile dalla volontà delle parti con contratto individuale; questo, pertanto, non può prevedere la regolamentazione del rapporto di lavoro sulla base di un contratto collettivo diverso da quello in concreto applicabile in base ai criteri indicati dalla norma suddetta. (Trib. Milano 14/9/2002, Est. Martello, in Lav. nella giur. 2003, 585)
- Per il contratto collettivo di diritto comune, che è disciplinato dal diritto privato, vige il principio della c.d. “autodefinizione della categoria professionale”, in forza del quale spetta unicamente alle organizzazioni stipulanti definire il campo di applicazione del contratto collettivo, senza possibilità alcuna, in base al principio di libertà (artt. 18, 39, 41 Cost. ), né di sindacato del giudice né di imposizione eteronoma, non avendo più l’art. 2070 c.c. natura pubblicistica (Trib. Milano 18/9/00, est. Negri della Torre, in Orient. giur. lav. 2000, pag. 610)
- Nel vigente ordinamento del rapporto di lavoro subordinato, regolato da contratti collettivi di diritto comune, l’individuazione del contratto collettivo che regola il rapporto di lavoro va fatta unicamente attraverso l’indagine della volontà delle parti risultante, oltre che da espressa pattuizione, anche implicitamente dalla eventuale protratta e non contestata applicazione di un contratto collettivo determinato. Il ricorso al criterio della categoria economica di appartenenza del datore di lavoro, fissato dall’art. 2070 c.c., è consentito al solo fine di individuare il parametro della retribuzione adeguata ex art. 36 Cost., quando non risulti applicato alcun contratto collettivo, e sia dedotta l’inadeguatezza della retribuzione contrattuale ex art. 36 Cost. rispetto alla effettiva attività lavorativa esercitata (nel caso di specie, la Corte ha cassato la sentenza di appello che aveva ritenuto insufficiente la retribuzione prevista da un contratto collettivo applicato dalle parti rispetto a quello oggettivamente applicabile ex art. 2070 c.c.) (Cass. 29/7/00, n. 10002, pres. Dell’Anno, est. Lupi, in Riv. it. dir. lav. 2001, pag. 395, con nota di Manganiello, La Sezione Lavoro riapre il contrasto sulla inapplicabilità dell’art. 2070 c.c. al contratto collettivo di diritto comune)
- Ai fini dell’individuazione del CCNL postcorporativo applicabile al rapporto di lavoro, l’appartenenza della categoria professionale si determina, ai sensi dell’art. 2070 c.c., secondo l’attività effettivamente esercitata dal datore di lavoro, senza che al riguardo abbia rilevanza la circostanza che le parti abbiano aderito ad associazioni sindacali di categoria non corrispondenti all’attività medesima, atteso che le parti non possono – in ragione della natura pubblicistica della citata disposizione – convenire di sottoporre il rapporto alla disciplina di un contratto collettivo di verso da quello applicabile ai sensi della norma stessa, a meno che il contratto individuale non risulti più favorevole al lavoratore (Cass. 6/11/95 n. 11554, pres. Taddeucci, est. Vidiri, in D&L 1996, 997)
- In ipotesi di accordo sindacale aziendale, che preveda l’applicabilità ai dipendenti di un determinato contratto collettivo nazionale, i rapporti di lavoro facenti capo all’azienda stipulante sono disciplinati dal contratto collettivo nazionale individuato dalla contrattazione collettiva aziendale, posto che il criterio dell’attività effettivamente esercitata, previsto dall’art. 2070 c.c., ai fini dell’individuazione del contratto collettivo applicabile, deve ritenersi superato dal principio della libera autodeterminazione sindacale, in base al quale il contratto collettivo di diritto comune è applicabile esclusivamente ai datori di lavoro iscritti all’associazione stipulante o, in difetto, a quelli che l’abbiano esplicitamente o implicitamente accettato (Pret. Lucca 2/1/95, est. Bartolomei, in D&L 1995, 647)
Rapporti tra contratti di diverso livello
- Niente indennità di rischio per i medici di base abruzzesi.
La Corte d’appello di L’Aquila aveva, tra l’altro, respinto la domanda proposta da alcuni medici di medicina generale abruzzesi, con funzione di medici di base, che rivendicavano il pagamento, quali addetti al servizio di continuità assistenziale, dell’indennità di rischio prevista dall’art. 13 dell’Accordo Integrativo Regionale (AIR) della Regione Abruzzo. Secondo i giudici di merito, la disposizione dell’AIR che prevede l’indennità risulta invalida, in particolare, in quanto, attribuendo il compenso aggiuntivo indistintamente e in maniera automatica a tutti i medici di medicina generale convenzionati che operano sul territorio abruzzese, si pone in contrasto con la disciplina prevista dall’Accordo Collettivo Nazionale (ACN), che riconosce alla contrattazione regionale la possibilità di prevedere incentivi aggiuntivi rispetto al compenso base solo in presenza di “particolari e specifiche” condizioni di “disagio e difficoltà”. La Cassazione, nel rigettare il ricorso dei medici, conferma che nel settore vige la regola che non consente al contratto collettivo di livello inferiore di violare quello di livello superiore. Ne consegue che l’accordo regionale che sia in contrasto con quello nazionale deve essere dichiarato nullo. Che è quanto la Cassazione ribadisce nel caso in esame, condividendo le ragioni illustrate dalla Corte d’appello a sostegno del rilevato contrasto. (Cass. 16/5/2023 n. 13396, ord., Pres. Manna Rel. Marotta, in Wikilabour, Newsletter n. 10/23) - Al fine di verificare se un accordo rientri tra quelli di prossimità occorre accertare non soltanto che le organizzazioni sindacali stipulanti siano comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale, ma anche che la volontà delle parti di stipulare un contratto ex art. 8, D.L. n. 138/2011, conv. in L. n. 148/2011, sia riconoscibile dal testo dell’accordo, dovendo essere esplicitati il fine perseguito, le norme cui si intende derogare e il nesso eziologico tra fini e deroghe. (Trib. Civitavecchia 17/12/2020, G.U. Vitello, in Lav. nella giur. 2021, con nota di F. Di Noia, Art. 8, D.L. n. 138/2011 e rapporti tra contratti di diverso livello, ovvero sul coraggio di chiamare le cose col proprio nome, 640)
- Il contrasto fra contratti collettivi di diverso ambito territoriale deve essere risolto secondo il principio di autonomia alla stregua del collegamento funzionale che le associazioni sindacali pongono, mediante statuti o altri idonei atti di limitazione, fra i vari gradi o livelli della struttura organizzativa e della corrispondente attività, sicché i contratti territoriali possono derogare anche in peius il ccnl. (Cass. 4/7/2018 n. 17421, Pres. Doronzo Rel. Esposito, in Riv. It. dir. lav. 2019, con nota di F. Fusco, “I rapporti tra contratti collettivi di diverso livello. Problemi aperti”, 979)
- L’art. 8 d.l. n. 138/2011 è una norma di carattere eccezionale e in quanto tale soggetta a stretta interpretazione, di talché l’esistenza di un contratto ex art. 8 non può mai riconoscersi ex post, dovendo lo stesso essere concluso e qualificato dalle parti come tale. L’accordo deve, poi, esplicitare il fine perseguito, le norme cui intende derogare e il fine eziologico tra fini e deroghe. (Corte app. Firtenze 20/11/2017, Est. Tarquini, in Riv. It. dir. lav. 2019, con nota di F. Fusco, “I rapporti tra contratti collettivi di diverso livello. Problemi aperti”, 979)
- L’efficacia soggettiva estesa del contratto aziendale sancita dall’AI 28 giugno 2011 non si estende alle pattuizioni peggiorative eccedenti la facoltà derogatoria accordata dall’AI stesso o dal ccnl. (Corte app. Firtenze 20/11/2017, Est. Tarquini, in Riv. It. dir. lav. 2019, con nota di F. Fusco, “I rapporti tra contratti collettivi di diverso livello. Problemi aperti”, 979)
- Gli accordi conclusi ai sensi degli artt. 4, 5 e 24 della l. n. 223/1991 fondano la loro peculiare efficacia nella procedimentalizzazione di un potere datoriale, sicché la stessa non può estendersi a pattuizioni pure contenute in accordi raggiunti al termine della procedura di mobilità, ma che vertano su materia diverse da quelle dalla stessa previste. (Corte app. Firtenze 20/11/2017, Est. Tarquini, in Riv. It. dir. lav. 2019, con nota di F. Fusco, “I rapporti tra contratti collettivi di diverso livello. Problemi aperti”, 979)
- Nel caso di contrasto tra contratti collettivi di diverso livello, occorre avere riguardo non ai criteri di gerarchia e specialità ma accertare l’effettiva volontà delle parti, da desumersi attraverso il coordinamento delle varie disposizioni della contrattazione collettiva, aventi tutti pari dignità e forza vincolante, sicché anche i contratti aziendali possono derogare in peius ai contratti nazionali, senza che osti il disposto dell’art. 2077 c.c., con la sola salvaguardia dei diritti già definitivamente acquisiti nel patrimonio dei lavoratori . (Cass. 15/9/2014 n. 19396, Pres. Roselli Rel. Maisano, in Lav. nella giur. 2015, 91)
- In tema di rapporto di lavoro della dirigenza medica, il contratto collettivo provinciale del lavoro della dirigenza medica e veterinaria del 25 maggio 2002 applicabile nelle Province autonome di Trento e Bolzano è integralmente sostitutivo del contratto collettivo nazionale del 1996 di settore. Ne consegue che, ove il contratto individuale, stipulato anteriormente alla sottoscrizione del nuovo contratto collettivo provinciale, abbia operato, per la disciplina del rapporto, un rinvio dinamico alla normativa via via vigente nel tempo, non si applicano le pregresse disposizioni collettive, dovendosi escludere che il richiamo da parte dell’art. 71, comma 10, dell’anzidetto contratto collettivo provinciale all’art. 15, comma 5, del D.Lgs. 20 dicembre 1992, n. 502, dove è affermato il principio della verifica del dirigente, comporti un differente risultato, atteso l’affidamento, operato da detta ultima norma, alla contrattazione collettiva per la determinazione dei criteri generali di graduazione delle funzioni dirigenziali e di valutazione e verifica dei dirigenti. (Cass. 2/3/2009 n. 5025, Pres. Sciarelli Est. Curcuruto, in Lav. nella giur. 2009, 838)
- La questione del concorso tra i diversi livelli contrattuali va risolta non secondo i principi della gerarchia e della specialità, propri delle fonti legislative, ma accertando quale sia l’effettiva volontà delle parti, da desumersi attraverso il coordinamento delle varie disposizioni della contrattazione collettiva, aventi tutti pari dignità e forza vincolante. Sicché anche i contratti aziendali possono derogare, anche in peius, ai contratti nazionali. (Trib. Milano 9/9/2008, Est. Mariani, in Orient. della giur. del lav. 2008, 517)
- Il contrasto fra contratti collettivi di diverso ambito territoriale (nazionale, regionale, provinciale, aziendale) deve essere risolto non già in base al criterio della gerarchia (che comporterebbe sempre la prevalenza della disciplina di livello superiore) né in base al criterio temporale (che comporterebbe sempre la prevalenza del contratto più recente e che è invece rilevante solo nell’ipotesi di successione di contratti nel medesimo livello), ma secondo il principio di autonomia e, reciprocamente, di competenza, alla stregua del collegamento funzionale che le associazioni sindacali pongono fra i vari gradi o livelli della struttura organizzativa e della corrispondente attività. (Cass. 26/5/2008 n. 13544, Pres. De Luca Est. Celentano, in Orient. giur. lav. 2009, 40)
- Il rapporto tra contratti collettivi – come è da qualificare anche il contratto aziendale – di diverso livello deve essere risolto in base non già al principio della subordinazione del contratto collettivo locale a quello nazionale (salva l’espressa previsione di disposizioni di rinvio), nè di quello cronologico (della prevalenza del contratto posteriore nel tempo), ma alla stregua dell’effettiva volontà delle parti operanti in area più vicina agli interessi disciplinati. (Nella specie, la S.C., sulla scorta dell’enunciato principio, ha confermato la sentenza impugnata e rigettato il ricorso proposto che, con riferimento alla domanda di riconoscimento di un lavoratore alle mansioni superiori, prospettava l’applicabilità dell’art. 5 del contratto collettivo nazionale di lavoro del 7 aprile 1992, anzichè del contratto integrativo aziendale del 22 aprile 1992 relativo alla disciplina dei preposti agli sportelli del servizio di riscossione esattoriale, da ritenersi, invece, come riferimento preferenziale alla stregua della volontà effettivamente manifestata dalle relative parti contraenti, anche in considerazione della loro operatività in un’area rientrante nella sfera degli interessi direttamente regolamentati dallo stesso contratto locale). (Cass. 19/4/2006 n. 9052, Pres. Ravagnani Est. Cuoco, in Lav. nella giur. 2006, 1015)
- Nell’ambito dei rapporti tra contratti collettivi di diritto comune, è ammissibile la deroga anche in senso peggiorativo delle previsioni contenute nel contratto collettivo nazionale da parte di un contratto collettivo di livello aziendale successivo cronologicamente, con il solo limite dei diritti quesiti. (Cass. 13/6/2005, n. 14511, Pres. Ravagnani Est. Filadoro, in Orient. Giur. Lav. 2005, 517)
- I regolamenti del personale degli enti pubblici economici, anche se assumono la forma di atti unilaterali, hanno natura contrattuale, in quanto all’atto unilaterale è sottesa la contrattazione collettiva; ne consegue che legittimamente essi possono essere modificati ad opera di successivi accordi aziendali, anche peggiorativi rispetto ai primi e il concorso tra discipline va risolto nel senso che connotazione di specialità che accomuna il regolamento aziendale alla contrattazione collettiva aziendale rende quest’ultima idonea a porre una nuova disciplina, derogatoria di quella già contemplata dal regolamento. (Nella specie, la Suprema Corte ha ritenuto logicamente e sufficientemente motivata la decisione di merito che aveva ritenuto applicabile ai dipendenti dell’Aman – attuale Arin – la contrattazione collettiva per i dipendenti delle aziende municipalizzate degli acquedotti piuttosto che il regolamento organico dell’Acquedotto di Napoli del 22 settembre 1945). (Cass. 17/8/2004 n. 16032, Pres. Senese Rel. Amoroso, in Lav. e prev. oggi 2005, 169)
- Poiché il contratto collettivo nazionale di lavoro comparto Ministeri costituisce una fonte normativa sovraordinata rispetto al contratto nazionale integrativo, che ha l’obbligo (e non la mera facoltà) di attuarne le previsioni, è nullo il contratto nazionale integrativo vigili del fuoco nella parte in cui non prevede l’inquadramento della posizione economica C2 del personale appartenente al profilo professionale di collaboratore tecnico antincendi che svolga mansioni c.d. “di rilevanza esterna”; a tale personale deve, di conseguenza, essere riconosciuto tale inquadramento con decorrenza dalla data di stipula del contratto collettivo nazionale di lavoro comparto Ministeroi. (Trib. Vibo Valentia 16/6/2004, Giud. Troianensi, in Giust. Civ. 2006, 208)
- In materia di criteri per le progressioni economiche orizzontali dei dipendenti del comparto sanità, se è vero che l’accordo aziendale può integrare, cioè aggiungere nuove condizioni o precisare meglio quelle già previste dall’accordo nazionale, del pari il contratto aziendale non può modificare in toto i criteri posti dal contratto nazionale, poiché ciò determina l’illegittimità, per questa parte, del contratto integrativo aziendale e l’arbitrarietà di escludere il passaggio alla fascia superiore sulla base di un criterio non conforme alla contrattazione nazionale (nel caso di specie il criterio dell’anzianità maturata nell’Azienda è stato assunto come unico criterio per il passaggio alla fascia retributiva superiore, escludendo quindi l’anzianità maturata in precedenti esperienze lavorative ed omettendo qualsiasi valutazione degli altri criteri indicati dal contratto nazionale). (Trib. Bologna 6/5/2004, Est. Molinaro, in Lav. nelle P.A. 2005, con commento di Monica Ferretti, “I limiti della contrattazione collettiva integrativa nell’ambito delle progressioni economiche orizzontali”, 167)
- Per l’individuazione del contratto applicabile ai rapporti di lavoro privati non è stata adottata la tecnica legislativa prevista dall’art. 40, terzo comma, d.lgs. n. 165/2001, vigente nel settore pubblico; pertanto, le regole di competenza fissate dal contratto collettivo nazionale sono inidonee a rendere invalide le clausole difformi dal contratto aziendale. Infatti, le clausole del contratto nazionale sulla competenza del contratto aziendale sono riconducibili alla parte obbligatoria del contratto collettivo e l’eventuale violazione delle stesse dà luogo ad un inadempimento degli obblighi che gli stipulanti hanno reciprocamente assunto, inadempimento rilevante solo sul piano delle relazioni intersindacali. (Corte d’Appello di Milano 4/3/2003, Pres. Est. Mannacio, in Riv. it. dir. lav. 2003, 511, con nota di Giorgio Bolego, Sull’efficacia obbligatoria delle clausole collettive che delimitano la competenza del contratto aziendale)
- Il contratto collettivo applicato direttamente come fonte collettiva non si incorpora nei contratti individuali di lavoro, con conseguente esclusione del diritto dei lavoratori di pretenderne l’efficacia successivamente alla sua disdetta da parte del datore di lavoro. L’art. 13 D. Lgs. 13/1/99 n. 18 che impone all’appaltatore di servizi aeroportuali di assistenza a terra il rispetto del Ccnl per gli addetti ai servizi a terra e di gestione aeroportuale, produce effetti limitatamente tra appaltante ed appaltatore ma non è idoneo a sovvertire il principio secondo il quale è rimessa alla libertà sindacale la scelta del contratto collettivo applicabile. In forza del principio di conservazione del contratto individuale di lavoro, nell’ipotesi in cui venga meno la disciplina del Ccnl per disdetta dello stesso da parte del datore di lavoro, è legittimo il contratto aziendale che preveda l’applicazione di un Ccnl indipendentemente dal suo ambito di efficacia soggettiva. (Corte d’Appello Milano 4/3/2003, Pres. Mannacio Est. De Angelis, in D&L 2003, 293, con nota di Filippo Capurro, “Profili di efficacia soggettiva e temporale del contratto collettivo”)
- Il contratto collettivo aziendale siglato dalla Rsu, in quanto soggetto autonomo ed indipendente rispetto alle organizzazioni sindacali firmatarie del Ccnl applicato nell’unità produttiva e dotato di rappresentanza e rappresentatività, può derogare, anche in peius, le disposizioni normative nelle materie già regolamentate dal Ccnl, in quanto l’eventuale violazione del limite di competenza opererebbe esclusivamente a livello di relazioni sindacali. (Corte d’Appello Milano 18/2/2003, Pres. Mannacio, in D&L 2003, 287, con nota di Angelo Beretta, ” Rsu ed efficacia erga omnes della contrattazione collettiva aziendale”)
- Verificata nel caso di specie la natura di contratto collettivo tacito del c.d. uso aziendale, ne consegue la sua modificabilità, anche “in peius “, da fonti collettive come i contratti collettivi nazionali ed aziendali (Trib. Milano 22/11/00, est. Taraborrelli, in Orient. Giur. Lav. 2000, pag. 1002) Il contratto collettivo aziendale, per quanto di livello inferiore, ben può derogare, anche in senso peggiorativo, al precedente contratto nazionale (Trib. Firenze 19/2/97, pres. Stanzani, est. De Matteis, in D&L 1998, 120, n. FIORAI, Deroga in pejus da parte di nuovo contratto collettivo e diritti acquisiti)
Successione nel tempo dei contratti
- La disposizione contenuta nell’articolo 2077 del codice civile, secondo il quale le clausole meno favorevoli previste dal contratto individuale sono sostituite di diritto da quelle del contratto collettivo, riguarda unicamente i rapporti tra il contratto individuale e quello collettivo e non si applica alle disposizioni, anche peggiorative, introdotte da parte di un successivo contratto collettivo, con l’unico limite dei diritti quesiti che siano già entrati definitivamente a far parte del patrimonio individuale del prestatore di lavoro. (Cass. 19/2/2014 n. 3982, Pres. Stile Rel. Buffa, in Lav. nella giur. 2014, 609)
- Gli unici diritti intangibili da parte di una norma collettiva successiva sono quelli che sono già entrati a far parte del patrimonio del lavoratore, quale corrispettivo di una prestazione già resa o di una fase del rapporto già esaurita. Per conseguenza, la tutela ad essi garantita non è estensibile a mere pretese alla stabilità nel tempo di discipline collettive più favorevoli, o di mere aspettative sorte alla stregua di tali precedenti regolamentazioni. (Cass. 29/8/2009 n. 18548, Pres. Di Cerbo Est. Matera, in Riv. it. dir. lav. 2010, con nota di A. Sartori, “Aspettative e diritti quesiti nella successione tra contratti collettivi: un cammino giurisprudenziale ancora zoppicante”, 928)
- Nel caso in cui a una disciplina collettiva privatistica succeda altra disciplina di analoga natura, si verifica l’immediata sostituzione delle nuove clausole a quelle precedenti, ancorché la nuova disciplina sia meno favorevole ai lavoratori, giacché il divieto di deroga in peius è posto dall’art. 2077 c.c. unicamente per il contratto individuale di lavoro in relazione alle disposizioni del contratto collettivo, con la conseguenza che i lavoratori non possono vantare posizioni di diritto quesito trovando i loro interessi individuali tutela solo tramite quella dell’interesse collettivo. (Cass. 14/6/2007 n. 13879, Pres. Ciciretti Est. D’Agostino, in Lav. nella giur. 2008, 81 e in ADL 2008, con commento di Barbara De Mozzi, “Aumenti periodici di anzianità e indennità di contingenza”, 177 e in Dir. e prat. lav. 2008, 913)
- Il divieto in deroga in peius posto dall’art. 2077 c.c. è relativo solo alle disposizioni contenute nel contratto individuale di lavoro, in relazione alle disposizioni del contratto collettivo di lavoro, in relazione alle disposizioni del contratto collettivo e non viceversa, mentre i rapporti di successione temporale tra contratti collettivi sono regolati non dall’art. 2077 c.c., ma dal principio della libera volontà delle parti contraenti. (Cass. 5/6/2007 n. 13092, Pres. Mercurio Rel. Battimiello, in Lav. e prev. oggi 2007, 1691)
- Nella successione di diversi contratti collettivi non è configurabile l’illegittimità della nuova disciplina per violazione dei principi di adeguatezza della retribuzione e di garanzia delle professionalità acquisite di cui agli artt.36 Cost. e 2103 c.c., nel caso in cui la modifica dei criteri di calcolo della retribuzione non determini un peggioramento del livello economico acquisito dai lavoratori e non incida sulla loro professionalità, comportando la loro assegnazione a mansioni meno qualificanti. (Cass. 12/2/00, n. 1576, pres. Lanni, in Riv. it. dir. lav. 2000, pag. 617, con nota di Bano, Alcuni problemi in materia di accordi collettivi aziendali)
- Un contratto collettivo successivo non può modificare diritti dei singoli lavoratori, non iscritti alle organizzazioni sindacali stipulanti, che siano già maturati ed entrati nel patrimonio giuridico dei lavoratori stessi (nel caso di specie il pretore ha ritenuto non vincolante per i lavoratori non iscritti alle organizzazioni sindacali stipulanti la previsione di un accordo collettivo che ha retroattivamente disposto l’erogazione di azioni dell’azienda in luogo di un’indennità) (Pret. Roma 9/3/99, est. Bonassi, in Riv. Giur. lav. 2000, pag. 66, con nota di Comanducci, Successione di contratti collettivi e interessi corrispettivi)
- I contratti collettivi di diritto comune sono abilitati anche a modificare in senso peggiorativo precedenti e più favorevoli clausole contrattuali, ma esplicano la loro efficacia esclusivamente riguardo ai soggetti iscritti e rappresentati, quali non sono per antonomasia i pensionati cessati dal servizio (per i quali è necessaria un’esplicita e documentata adesione alla specifica nuova pattuizione) e nei limiti dei diritti quesiti (Pretura Pistoia 31/12/97, est. Amato, in D&L 1998, 338)
- In ipotesi di successione nel tempo di più contratti collettivi, eventuali modifiche peggiorative devono far salvi gli intangibili diritti acquisiti di natura retributiva, per tali intendendosi quelli aventi a oggetto elementi retributivi collegati alla professionalità del lavoratore, e restandone esclusi quelli inerenti a particolari modalità della prestazione (Cass. 22/4/95 n. 4563, pres. De Rosa, est. Guglielmucci, in D&L 1995, 1012)
Contratti efficaci erga omnes
- Qualora la disciplina di un contratto collettivo (postcorporativo) reso efficace erga omnes ai sensi della L. 14/7/59, n. 741, contrasti con quella contenuta in un successivo contratto collettivo di diritto comune, tale contrasto deve essere risolto, ai sensi dell’art. 7 della citata legge, con riferimento ai trattamenti economici e normativi minimi, nel senso che deve essere data applicazione al contratto con efficacia obbligatoria generalizzata, non derogabile dai successivi contratti collettivi privi di tale efficacia o da contratti individuali, salvo che la disciplina propria di questi ultimi, valutata complessivamente, sia più favorevole ai lavoratori. Ne consegue che la mera denunzia di una clausola contrattuale sopravvenuta asseritamente derogativa in peius ove non accompagnata da un analitico esame di tutti gli elementi idonei ad una valutazione complessiva delle discipline contrattuali a confronto non è sufficiente a dimostrare il carattere globalmente peggiorativo della normativa nella quale la clausola denunciata è inserita (Cass. 9/10/99 n. 11338, pres. De Tommaso, in Riv. Giur. Lav. 2000, pag. 489, con nota di Terenzio, I rapporti tra contratti collettivi di diversa natura)
Ultrattività
- L’Accordo Aziendale Forfettario scaduto non può essere considerato ultrattivo. (Trib. Cassino 21/6/2012, in Lav. nella giur. 2012, 1225)
- In presenza di clausola collettiva di ultrattività che non precisa se la disdetta da parte sindacale debba essere espressione di tutte le sigle sindacali ovvero possa essere sufficiente la disdetta comunicata solo da alcune di dette organizzazioni, ciascuna sigla è autonoma, in qualità di distinto soggetto di libertà e poteri sindacali e in funzione del diverso orientamento degli interessi dei lavoratori che ciascuna legittimamente rappresenta. Non costituisce condotta antisindacale l’adesione del datore di lavoro ad altro testo contrattuale se non viene negata in concreto la vigenza del precedente contratto che resta applicabile in favore dei lavoratori iscritti all’associazione sindacale non disdettante e a quelli che tacitamente o espressamente aderiscano al contenuto del contratto unitario. (Trib. Torino 2/5/2011, Giud. Visaggi, in Lav. nella giur. 2011, con commento di Maria Dolores Ferrara, 716)
- Alla scadenza del contratto collettivo regolarmente disdetto secondo quanto previsto dalle parti stipulanti non è applicabile la disciplina di cui all’art. 2074 c.c. o comunque una regola di ultrattività del contratto medesimo: il rapporto di lavoro da questo in precedenza regolato resta disciplinato dalle norme di legge(in particolare, quanto alla retribuzione, dall’art. 36 Cost.) e da quelle convenzionali eventualmente esistenti, le quali ultime possono manifestarsi anche per facta concludentia, con la prosecuzione dell’applicazione delle norme precedenti. (Cass. 9/5/2008 n 11602, Pres. Mattone Est. Ianniello, in Riv. it. dir. lav. 2008, con nota di Raffaele Galardi, “Sulla (non più) controversa questione dell’ultrattività dei contratti collettivi”, 789)
- In caso di mancato rinnovo del Ccnl a seguito della sua scadenza, la disposizione che prevede il protrarsi della vigenza dello stesso anche dopo tale scadenza e sino alla stipula di un nuovo e diverso contratto si riferisce al contratto scaduto nella sua integrità (fattispecie relativa all’art. 131 del Ccnl Turismo Aica che ne stabilisce il rinnovo tacito e, comunque, la sua ultravigenza fino alla stipula di un eventuale nuovo e diverso contratto). (Trib. Milano 3/4/2007, decr., Est. Di Leo, in D&L 2007, 403)
- Poichè i contratti collettivi di diritto comune operano esclusivamente entro l’ambito temporale concordato dalle parti, le clausole a contenuto retributivo non hanno efficacia vincolante diretta per il periodo successivo alla scadenza contrattuale, mentre sul piano del rapporto individuale di lavoro – sul quale la norma collettiva opera dall’esterno, come fonte eteronoma di regolamento concorrente con la fonte individuale – la tutela è assicurata dall’art. 36 Cost. in relazione al quale può prospettarsi una lesione derivante da una riduzione del trattamento economico rispetto al livello retributivo già goduto. (Trib. Milano 24/2/2006, Est. D.ssa Ravazzoni, in Lav. nella giur. 2006, 1133)
- I contratti collettivi di diritto comune, costituendo manifestazione dell’autonomia negoziale degli stipulanti, operano esclusivamente entro l’ambito temporale concordato dalle parti, atteso che l’opposto principio di ultrattività sino ad un nuovo regolamento collettivo – secondo la disposizione dell’art. 2074 c.c. -, ponendosi come limite alla libera volontà delle organizzazioni sindacali, sarebbe in contrasto con la garanzia prevista dall’articolo 39 Costituzione; conseguentemente, le clausole di contenuto retributivo non hanno efficacia vincolante retributivo non hanno efficacia vincolante diretta per il periodo successivo alla scadenza contrattuale, anche se, sul piano del rapporto individuale di lavoro, opera la tutela assicurata dall’art. 36 Costituzione, in relazione alla quale può prospettarsi una lesione derivante da una riduzione del trattamento economico rispetto al livello retributivo già goduto. (Cass. 30/5/2005 n. 11325, Pres. Carbone Rel. Miani Canevari, in Lav. nella prev. oggi 2005, 1458)
- La ritenuta inapplicabilità ai contratti collettivi post-corporativi del principio di ultrattività di cui all’art. 2074 c.c. non comporta l’automatica cessazione delle clausole relative al trattamento economico, stante la loro incidenza su beni di rilevanza costituzionale. (Trib. Firenze 16/2/2002, Est. Lococo, in D&L 2002, 855, con nota di Filippo Pirelli, “Ultrattività del contratto collettivo e giustificato motivo oggettivo di licenziamento”)
- I contratti collettivi di diritto comune operano esclusivamente entro l’ambito temporale concordato dalle parti, costituendo manifestazione dell’autonomia negoziale delle parti; non si applica pertanto ai suddetti contratti il disposto dell’art. 2074 c.c. (circa la perdurante efficacia del contratto dopo la scadenza), valevole esclusivamente per i contratti collettivi corporativi, con la conseguenza che le clausole di contenuto retributivo vengono meno per il periodo successivo alla scadenza contrattuale (Trib. Brescia 5/10/01, pres. e est. Tropeano, in Lavoro giur. 2002, pag. 665, con nota di Zavalloni, Il principio di non ultrattività nei contratti collettivi di diritto comune)
- Il contratto collettivo di diritto comune è regolato dalla libera volontà delle parti, le quali possono fissare il termine entro il quale cessa di efficacia. In presenza di detto termine, solo l’espressa previsione nel contratto collettivo di una clausola di ultrattività può determinare il protrarsi degli effetti oltre la naturale scadenza. Al fine di protrarre gli effetti del contratto collettivo oltre la sua naturale scadenza non può poi addursi il fatto che una delle parti non abbia dato disdetta nella forma prevista dal contratto stesso, richiedendo l’ultrattività degli accordi sindacali il consenso di entrambe le parti sociali (Cass. 12/2/00, n. 1576, pres. Lanni, in Riv. it. dir. lav. 2000, pag. 617, con nota di Bano, Alcuni problemi in materia di accordi collettivi aziendali)
- In assenza di clausola espressa, deve essere esclusa l’ultrattività del contratto collettivo scaduto, ed è legittima la retroattività del patto collettivo se prevista da questo (Trib. Firenze 19/2/97, pres. Stanzani, est. De Matteis, in D&L 1998, n. FIORAI, Deroga in pejus da parte di nuovo contratto collettivo e diritti acquisiti, 120)
Condotta antisindacale
- La stipulazione di un contratto collettivo costituisce una delle principali manifestazioni della forza e della rappresentatività del sindacato che si accredita come interlocutore delle contrapposte organizzazioni di categoria e del datore di lavoro. La disdetta di un contratto collettivo nazionale operata anzitempo rispetto alla data di scadenza a opera soltanto di alcune delle parti contrattuali e la successiva sottoscrizione di un nuovo accordo tra le parti disdettanti non sono atti giuridicamente idonei a risolvere interamente il precedente contratto collettivo nazionale, non avendo la parte non disdettante prestato il proprio consenso. Costituisce, pertanto, una condotta antisindacale l’adesione del datore di lavoro ad altro testo contrattuale e la sua generale applicazione ai propri dipendenti se accompagnata alla negazione della perdurante vigenza del precedente contratto. (Trib. Torino 18/4/2011, Giud. Cirvilleri, in Lav. nella giur. 2011, con commento di Maria Dolores Ferrara, 720)
- Non può essere antisindacale, ex art. 28, L. n. 300/1970, qualsiasi comportamento antagonistico del datore che non consente l’utile esplicazione dell’attività sindacale, ma soltanto il comportamento lesivo dei diritti del sindacato riconosciuti dall’ordinamento (dalla legge e dalla contrattazione collettiva). In particolare tutto il conflitto e l’antagonismo che riguarda il merito di trattative e negoziati, condotti secondo le regole del gioco, appartiene all’area delle valutazioni di politica sindacale e alla difesa degli interessi contrapposti di cui sono portatori le parti sociali, e su ciò non si può dispiegare il controllo giudiziale ex art. 28, L. n. 300/1970, perchè si tratta di questioni che vanno misurate all’interno dell’ordinamento sindacale e non col metro dell’antindacalità e del diritto, che non può servire per far ottenere risultati di natura negoziale nei confronti del datore e tanto meno a scapito della posizione assunta nel conflitto da altri sindacati, nei cui confronti non è neppure concepibile l’utilizzo dello strumento ex art. 28, L. n. 300/1970. (Trib. Ravenna 2/5/2006, Est. Riverso, in Lav. nella giur. 2007, con commento di Marta Vendramin, 294)
- Rientra nell’ambito di una efficace azione e rivendicazione sindacale la possibilità di inserire riserve o dichiarazioni a verbale nel momento della sottoscrizione del contratto insieme alle altre parti. Tuttavia si deve negare che il mancato raggiungimento di questo risultato, dovuto a contrasti con gli altri sindacati e/o con il datore di lavoro o alle incongrue modalità di condotte tenute dal medesimo sindacato proponente, possa essere oggetto di una pretesa protetta sul piano giuridico e possa essere surrogato da un giudizio di antisindacalità emesso nei confronti del datore. (Trib. Ravenna 2/5/2006, Est. Riverso, in Lav. nella giur. 2007, con commento di Marta Vendramin, 294)
- E’ antisindacale il comportamento del datore di lavoro che pretenda di escludere un’organizzazione sindacale dalla contrattazione per il rinnovo del contratto aziendale, quando il precedente contratto preveda l’impegno di tutte le organizzazioni sindacali stipulanti alla convocazione congiunta per ogni ipotesi di contrattazione. (Trib. Milano 6/12/2001, Decr., Est. Curcio, in D&L 2002, 329)
- Integra gli estremi del comportamento antisindacale la tipula di un contratto collettivo integrativo con una sola organizzazione dei lavoratori, sulla scorta di una piattaforma discussa esclusivamente con quest’ultima, in assenza delle restanti componenti della delegazione sindacale (Trib. Patti 26/3/01 decreto, est. Randazzo, in Lavoro nelle p.a. 2001, pag. 398, con nota di Campanella, Contrattazione integrativa e pluralismo sindacale (a proposito della legittimazione a trattare e stipulare il contratto collettivo) )
- L’art. 28, l. 300/70 non tende a risolvere ogni tipo di condotta conflittuale tra le parti sociali che possa nascere dall’interpretazione o dalla esecuzione di un contratto collettivo, ma solo a sanzionare l’ipotesi in cui l’inadempimento alla contrattazione collettiva sia diretto a frustrare le libertà e l’attività sindacale (Trib. Torino 8/1/01, pres. e est. Re, in Orient. giur. lav. 2001, pag. 37)
- Si configura una condotta antisindacale quando il datore di lavoro viola la disciplina contrattuale (nella fattispecie è stato riconosciuto il carattere dell’antisindacalità al comportamento del datore di lavoro che abbia omesso di svolgere la procedura di informazione e consultazione con le organizzazioni sindacali, prevista dal contratto collettivo applicato, in relazione in particolare alla gestione degli straordinari) (Trib. Pistoia 29 febbraio 2000 (decr.), est. Amato, in D&L 2000, 916, n. Valluri)
- Costituisce comportamento antisindacale la violazione di un accordo sindacale attuata con modalità tale da screditare il ruolo del sindacato firmatario dell’accordo stesso (Trib. Milano 30/6/99, pres. ed est. Mannacio, in D&L 1999, 812)
- La violazione di accordi con le OO.SS. integra gli estremi dell’antisindacalità, per gli evidenti riflessi sull’immagine e la credibilità del sindacato nei confronti dei propri assistiti (nella fattispecie il datore di lavoro ritenendo erroneamente non sussisterne più i presupposti, non aveva applicato un accordo sulle pause retribuite) (Pret. Milano 30/9/98, est. Porcelli, in D&L 1999, 69)
- È antisindacale il comportamento del datore di lavoro consistente nella violazione di accordi collettivi riguardanti diritti economici dei lavoratori, allorché tale violazione si realizzi con modalità tali da ledere l’immagine e la credibilità del sindacato (nella fattispecie è stato ritenuto antisindacale il comportamento della società consistito nel disapplicare un accordo aziendale che prevedeva il riconoscimento, a favore dei lavoratori, della quattordicesima mensilità, mentre era ancora in corso la trattativa con le OO. SS. in relazione alla modifica di tale accordo) (Pret. Lecco 27/4/98, est. Cecchetti, in D&L 638)
- Un sindacato che non abbia sottoscritto un accordo, non avendo speso la sua immagine e credibilità di fronte ai lavoratori, non può ricevere alcun pregiudizio dalla sua eventuale violazione e non ha quindi alcun interesse giuridicamente apprezzabile ad agire ex art. 28 S.L. per il suo inadempimento (Trib. Milano 24/2/96, pres. Siniscalchi, est. Ruiz, in D&L 1996, 632)
- Costituisce condotta antisindacale l’applicazione, ai dipendenti iscritti a un’organizzazione sindacale, di un contratto collettivo aziendale che tale organizzazione non ha sottoscritto e rispetto al quale ha anzi manifestato aperto dissenso (Pret. Milano 30/3/95, est. Vitali, in D&L 1995, 569)
- Pone in essere un comportamento antisindacale il datore di lavoro che violi diritti sindacali di informazione – consultazione, derivanti da norme di accordi collettivi (nella fattispecie, è stata dichiarata antisindacale la violazione, da parte del datore di lavoro, dell’obbligo di negoziare con il sindacato un nuovo criterio di distribuzione dell’orario di lavoro) (Pret. Milano 3/3/95, est. Canosa, in D&L 1995, 572. In senso conforme, v. Pret. Sondrio 3/10/94, est. Della Pona, in D&L 1995, 301, con nota redazionale: nella fattispecie, si trattava dell’informazione dovuta per il caso di lavoro straordinario; Pret. Milano 3/11/94, est. Ianniello, in D&L 1995, 301, con nota redazionale: nella fattispecie si trattava dell’informazione dovuta per lavoro straordinario e il Pretore ha ordinato all’azienda di convocare una riunione con il sindacato ricorrente per il confronto sul tema ipotesi di straordinario, vietando, nel caso di inadempienza a questo primo obbligo, il ricorso al lavoro straordinario oltre i limiti stabiliti dalla contrattazione collettiva)
- Costituisce comportamento antisindacale la violazione di accordi presi con le OO. SS. che escludevano il ricorso a licenziamenti collettivi (Pret. Milano 12/11/94, est. Peragallo, in D&L 1995, 323)
Interpretazione del contratto collettivo
- In tema di interpretazione dei contratti collettivi nazionali di lavoro, l’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto del negozio si traduce in una indagine di fatto, affidata al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità nella sola ipotesi di motivazione inadeguata ovvero di violazione di canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 ss. cod. civ., con la conseguenza che il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate e ai princìpi in esse contenuti, ma è tenuto a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice di merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche o insufficienti, non essendo consentito il riesame in sede di legittimità. (Cass. 11/10/2013 n. 23174, Pres. Napoletano Est. Maisano, in Riv. giur. lav. prev. soc. 2014, con nota di G. Trisorio Liuzzi, “Sul contrasto nella sezione lavoro in tema di limiti al ricorso per cassazione per violazione di norma collettiva”, 493)
- Quando viene denunciata la violazione della norma di un contratto collettivo nazionale di lavoro, il giudice di legittimità procede autonomamente alla diretta interpretazione del contenuto del contratto collettivo senza essere vincolato a una specifica opzione interpretativa prospettata nella formulazione del motivo, ben potendo ricercare liberamente all’interno del contratto collettivo ciascuna clausola, anche non oggetto dell’esame delle parti e del primo giudice, comunque ritenuta utile all’interpretazione. (Cass. 7/5/2013 n. 10559, Pres. Lamorgese Est. Napoletano, in Riv. giur. lav. prev. soc. 2014, con nota di G. Trisorio Liuzzi, “Sul contrasto nella sezione lavoro in tema di limiti al ricorso per cassazione per violazione di norma collettiva”, 494)
- Nel giudizio di legittimità le censure relative all’interpretazione del contratto collettivo offerta dal giudice di merito possono essere prospettate unicamente sotto il profilo della mancata osservanza dei criteri legali di ermeneutica contrattuale e della insufficienza o contraddittorietà della motivazione, mentre la semplice contrapposizione dell’interpretazione proposta dal ricorrente a quella accolta nella sentenza impugnata non rileva ai fini dell’annullamento di quest’ultima; la denuncia della violazione delle regole di ermeneutica e la denuncia del vizio di motivazione esigono la specifica indicazione del modo attraverso il quale si è realizzata l’anzidetta violazione e delle ragioni dell’obiettiva deficienza o contraddittorietà del ragionamento del giudice, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione di un’interpretazione diversa da quella criticata. (Cass. 2/5/2012 n. 6641, Pres. Miani Canevari Est. Mancino, in Riv. It. Dir. lav. 2012, con nota di Giuseppe Ianniruberto, “Il ricorso in Cassazione per violazione o falsa applicazione del contratto collettivo”, 896)
- In sede di interpretazione delle clausole di un contratto collettivo relative alla classificazione del personale in livelli o categorie occorre considerare la capacità connotativa e discriminatoria in concreto dei profili professioni contenuti nell’accordo e, ove gli stessi siano generici in quanto suscettibili di assumere svariate concretizzazioni, è necessario integrare le indicazioni con le declaratorie di carattere generale della categoria, che assumono valore determinante circa l’effettiva portata degli specifici profili. (Cass. 17/1/2011 n. 919, Pres. Foglia Est. Toffoli, in Orient. giur. lav. 2011, 35)
- L’interpretazione di una clausola di un contratto collettivo non può operarsi compiendo un esame parziale della stessa e tralasciando l’esame delle altre clausole con cui essa si integra e vicendevolmente si completa, anche in relazione all’esigenza della contrattazione in questione di apprestare una disciplina completa della realtà lavorativa del settore che è chiamata a regolare. Infatti nella contrattazione collettiva la comune intenzione delle parti non sempre è ricostruibile attraverso il mero riferimento “al senso letterale delle parole”, atteso che la natura di detta contrattazione sovente articolata su diversi livelli (nazionale, provinciale, aziendale etc.), la vastità e la complessità della materia trattata in ragione dell’interdipendenza di molteplici profili della posizione lavorativa (che sovente consigliano alle parti il ricorso a strumenti sconosciuti alla negoziazione tra parti private come preambolo, premesse, note a verbale, etc.), il particolare linguaggio in uso nel settore delle relazioni industriali non necessariamente coincidente con quello comune e, da ultimo, il carattere vincolante che non di rado assumono nell’azienda l’uso e la prassi, costituiscono elementi che rendono indispensabile nella materia una utilizzazione dei generali criteri ermeneutici che tenga conto di dette specificità, con conseguente assegnazione di un preminente rilievo al canone interpretativo dettato dall’art. 1363 c.c. (Cass. 12/7/2010 n. 16295, Pres. Vidiri Est. De Renzis, in Orient. giur. lav. 2011, 25)
- Nell’interpretazione del contratto collettivo, è necessario procedere al coordinamento delle varie clausole contrattuali, prescritto dall’art. 1363 c.c., anche quando l’interpretazione possa essere compiuta sulla base del senso letterale delle parole, senza residui di incertezza poiché l’espressione “senso letterale delle parole” deve intendersi come riferita all’intera formulazione letterale della dichiarazione negoziale e non già limitata a una parte soltanto, qual è una singola clausola del contratto composto da più clausole, dovendo il giudice collegare e confrontare fra loro frasi e parole al fine di chiarirne il significato (in applicazione di tale principio, la Suprema Corte ha cassato la sentenza impugnata, che, nell’interpretazione dell’accordo sindacale del 24 marzo 1993, concernente la collocazione in cassa integrazione e la rotazione dei dipendenti della Alenia aeronavali spa, già officine aeronavali spa, non aveva preso in esame la clausola transitoria secondo cui l’accordo annullava e sostituiva la precedenti intese in ordine ai criteri di rotazione del personale, omettendo di valutare i criteri di collegamento che le parti sociali avevano inteso realizzare fra l’accordo del 1993 e le precedenti intese del 1992). (Cass. 17/2/2010 n. 3685, Pres. Sciarelli Est. Meliadò, Orient. giur. lav. 2010, 28)
- È riservata al giudice di merito l’interpretazione dell’accordo aziendale, in ragione della sua efficacia limitata (diversa da quella propria degli accordi e contratti collettivi nazionali, oggetto di esegesi diretta da parte della Corte di Cassazione, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., come modificato dal d. leg. n. 40 del 2006), ed essa non è censurabile in cassazione se non per vizio di motivazione o per violazione di canoni ermeneutici (nella specie, la Suprema Corte ha confermato la sentenza impugnata la quale, nell’interpretare l’accordo aziendale 22 giugno 1974 per il personale del poligrafico dello stato, aveva ritenuto che la previsione in esso contenuta di assorbimento dei compensi relativi al ritmo di produzione si riferisse solo ai compensi analoghi riguardanti comunque la produttività, e fosse estranea, invece, ai compensi percepiti dai lavoratori per la prestazione di lavoro straordinario. (Cass. 4/2/2010 n. 2625, Pres. De Luca Est. Morcavallo, in Orient. giur. lav. 2010, 33)
- E’ rimesso alla decisione del giudice di merito non promuovere il procedimento interpretativo di cui al d.lgs. n. 165 del 200, art. 64, qualora l’apprezzamento della questione interpretativa della norma collettiva deponga nel senso di non ritenerla di spessore tale da doverne rimettere la soluzione alle parti stipulanti. (Cass. 15/9/2008 n. 23696, Pres. De Luca Rel. Mammone, in Lav. nelle P.A. 2008, 885)
- L’art. 7 del c.c.n.l. l. 31 marzo 1999 Comparto Regioni, nel prevedere l’inquadramento del personale in servizio alla data di stipulazione dell’accordo collettivo nel nuovo sistema di classificazione, ha operato una diretta valutazione dei profili della V qualifica, ritenendo che andassero ricondotti alla più alta posizione (la 3) della categoria di inquadramento B e non, invece, in una categoria superiore (la C); né, in senso contrario, è invocabile, per il conseguimento di una qualifica superiore, la previsione di cui all’art. 3, comma 6 del citato c.c.n.l. (che autorizza gli enti a una collocazione autonoma dei profili professionali non individuati nell’allegato A del c.c.n.l. o comunque aventi contenuti diversi), la cui operatività è espressamente rimessa alle derminazioni dei singoli enti in relazione al rispettivo modello organizzativo, dovendosi conseguentemente escludere la possibilità per il giudice di sostituire la proprie determinazioni a quelle dell’ente. (Cass. 9/9/2008 n. 22928, Pres. Celentano Est. Curcuruto, in Lav. nella giur. 2009, 197)
- L’interpretazione di una norma contrattuale contenuta in un contratto collettivo di diritto comune si sostanzia in un accertamento di fatto, riservato al giudice di merito e incensurabile in cassazione, se non per vizi attinenti ai criteri legali di ermeneutica o a una motivazione carente o contraddittoria nella relativa applicazione. (Nella specie, la S.C. nell’affermare il richiamato principio, ha confermato l’impugnata sentenza che aveva ritenuto che, sebbene l’art. 5 del C.C.N.G. qualificasse “redattore” il corrispondente operante nell’ufficio di corrispondenza di New York, ai fini della definizione del trattamento economico dei redattori ivi residenti dovesse essere riconosciuta l’equiparazione al “capo servizio” come indicato dall’art. 11 del medesimo contratto, avendo le parti collettive valutato che, in ragione dell’esperienza professionale occorrente e della natura della prestazione svolta, fosse congruo equiparare quoad mercedem il corrispondente presso taluni uffici di corrispondenza – delle principali capitali estere o grandi metropoli, come appunto New York – al capo servizio, pur senza automatica attribuzione della corrispondente qualifica). (Cass. 4/6/2008 n. 14784, Pres. Sciarelli Est. Cuoco, in Lav. nella giur. 2008, 1164)
- Lo speciale procedimento ex art. 420 bis c.p.c. di accertamento pregiudiziale sull’efficacia, validità e interpretazione dei contratti e accordi collettivi, è finalizzato ad assicurare l’uniforme applicazione delle relative clausole e presuppone perciò un’idonea istruttoria al fine della soluzione della questione pregiudiziale con portata generale ed esaustiva, capace cioè di definire in termini chiari e univoci ogni possibile questione in materia; ove la necessaria istruttoria da parte del giudice di merito sia mancata, non essendo tale lacuna rimediabile in sede di legittimità, ne deriva l’accoglimento del ricorso per cassazione proposto ai sensi del 3° comma della norma, con cassazione dell’impugnata sentenza e rimessione degli atti al giudice di merito (fattispecie in tema di disciplina delle sostituzioni per assenza nel periodo feriale contenuta nel c.c.n.l. del personale dipendente di società concessionarie di autostrade e trafori). (Cass. 24/1/2008 n. 1578, Pres. Ciciretti Est. Vidiri, in Riv. it. dir. lav. 2009, con nota di Passanante, “Un precedente in cerca di identità? Nuovi arrêts della Cassazione sull’art. 420 bis c.p.c.”, 135)
- L’interpretazione dei contratti collettivi di diritto comune è riservata al giudice di merito ed è censurabile in sede di legittimità solo per vizi di motivazione o per violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale. (Nella specie, relativa all’interpretazione dell’art. 111 del contratto collettivo per i dipendenti delle Ferrovie dello Stato del 1998, la S.C., nel confermare la sentenza impugnata ha rilevato che, in caso di impugnazione del licenziamento disciplinar, il diritto all’attribuzione di un assegno alimentare può sorgere solo successivamente al decorso di sessanta giorni dalla data della cessazione del rapporto; ne consegue che, nell’ipotesi in cui sia stato proposto, e definito non favorevolmente, un procedimento d’urgenza entro il sessantesimo giorno e, successivamente, sia stata esercitata l’azione ordinaria di impugnazione del licenziamento, l’assegno resta comunque attribuibile a far data dal sessantunesimo giorno dalla fine del rapporto). (Cass. 10/1/2008 n. 282, Pres. Mattone Est. Roselli, in Lav. nella giur. 2008, 519)
- La sentenza di accertamento pregiudiziale sull’interpretazione di un contratto collettivo, resa in grado di appello, nonn essendo riconducibile nel paradigma dell’art. 420 bis c.p.c., non incorre in un vizio che inficia la pronuncia, bensì nel rimedio impugnatorio proprio, risultante dal combinato disposto dell’art. 360, terzo comma, e 361, primo comma, c.p.c.; laddove, tuttavia, il giudice di appello abbia frazionato la domanda unica in due o più domande e abbia deciso una di esse con sentenza non definitiva, si verifica una violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, che vizia la sentenza non definitiva, immediatamente ricorribile per cassazione (Nella specie la S.C. ha rilevato che le parti non si erano dolute di tale vizio, accettando il frazionamento dell’originaria domanda, sia pure irrituale, operato dalla sentenza di appello). (Cass. 24/9/2007 n. 19695, Pres. Mattone Est. Amoroso, in Lav. nella giur. 2008, 185, e in Dir. e prat. lav. 2008, 1528)
- Nell’ambito dei canoni di interpretazione delineati dagli artt. 1362 ss. c.c. e, in particolar modo, nell’interpretazione delle norme dei contratti collettivi di lavoro di diritto comune, non esiste un principio di gerarchia tra i canoni ermaneutici, nè tantomeno un preteso principio dell’autosufficienza del criterio letterale in ragione di una affermata chiarezza delle espressioni adottate nel testo contrattuale. La lettera, infatti, costituisce solo una preliminare presa di cognizione (di cui all’art. 1362 segnala l’insufficienza con la precisazione che l’interprete non deve “limitarsi al senso letterale delle parole”), che deve essere integrata attraverso gli ulteriori strumenti previsti dall’art. 1363, quali la connessione delle singole clausole e il senso che risulta dal complesso dell’atto, atteso che la lettera (il senso letterale), la connessione (il senso coordinato) e l’integrazione (il senso complessivo) sono strumenti legati da un rapporto di necessità e sono tutti necessari all’esperimento del procedimento interpretativo della norma contrattuale. (Cass. 8/3/2007 n. 5287, Pres. Mercurio Est. Cuoco, in Lav. nella giur. 2007, 1139)
- Il canone costituzionale della ragionevole durata del processo (art. 111, secondo comma, Cost., coniugato con quello dell’immediatezza della tutela giurisdizionale (art. 24 Cost.), orienta l’interpretazione dell’art. 420-bis c.p.c. nel senso di ritenere che tale disposizione trovi applicazione solo nel giudizio di primo grado e non anche in grado di appello. Questa opzione interpretativa è poi in sintonia con le scelte del legislatore delegato (d.lgs. n. 40/2006), che più in generale ha limitato la possibilità di ricorso immediato per Cassazione avverso sentenze non definitive rese in grado d’appello, lasciando invece inalterata la disciplina dell’impugnazione immediata delle sentenze definitive rese in grado di appello. (Cass. 19/2/2007 n. 3770, Pres. Ianniruberto Est. Amoroso, in Riv. it. dir. lav. 2008, con nota di Raffaele Galardi, “La lettura costituzionalmente orientata dell’art. 420-bis c.p.c., in materia di accertamento pregiudiziale sulla validità e interpretazione dei contratti collettivi”, 218)
- L’interpretazione dei contratti collettivi di diritto comune è riservata al giudice di merito ed è censurabile in sede di legittimità soltanto per vizi di motivazione e per violazione dei canoni ermeneutici. (Nella specie, la Corte ha cassato la sentenza di merito che, in relazione alla configurabilità o meno del diritto del ricorrente di percepire l’incentivo per la redditività previsto da accordo aziendale di azienda municipale di trasporto – AMAT di Palermo -, aveva interpretato la locuzione “personale in forza”, contenuta nell’accordo, come comprensiva anche del personale non ancora in servizio alla data indicata in un precedente accordo, senza dare adeguata motivazione di tale interpretazione estensiva e senza esaminare l’accordo nella sua interezza). (Cass. 22/6/2006 n. 14463, Pres. Sciarelli Est. La Terza, in Lav. nella giur. 2006, 1221, e in Dir. e prat. lav. 2007, 436)
- L’interpretazione dei contratti collettivi di diritto comune è riservata alla valutazione del giudice di merito ed è incensurabile in cassazione salvo che per violazione delle regole legali di ermeneutica contrattuale e per vizio di motivazione. (Nella specie, la S.C. ha escluso la configurabilità di alcun vizio nella sentenza di merito che, in relazione al Ccnl per i medici convenzionati con il Servizio Sanitario Nazionale, ne aveva interpretato l’art. 5, che prevede il riconoscimento di una indennità di esclusività in favore di chi abbia prestato un’attività lavorativa esclusiva a tempo determinato o indeterminato per oltre cinque anni in favore del S.s.n., come facente riferimento esclusivamente ad attività inerenti a un rapporto di lavoro subordinato, e non anche a forme di collaborazione autonoma, quali quelle del professionista che eserciti, fuori dall’orario di servizio, attività professionale inframuraria). (Cass. 20/3/2006 n. 6148, Pres. Mattone Rel. Vigolo, in Lav. Nella giur. 2006, 910)
- Nell’interpretazione dei contratti collettivi, l’art. 1362 c.c. prescrive, in sede ermeneutica, la prevalenza della comune intenzione dei contraenti sul senso letterale delle parole, ossia la ricerca del significato più attendibile in relazione alle loro posizioni giuridiche ed economiche; inoltre, seppure nell’ambito dell’impresa privata non operi il principio costituzionale di eguaglianza, il dubbio interpretativo deve essere superato realizzando l’uniformità di trattamento dei lavoratori, salve deroghe specificatamente giustificate. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di merito che, nel dubbio interpretativo, aveva escluso che un accordo collettivo inteso, attraverso l’assunzione di una nuova impresa, a evitare la disoccupazione di lavoratori già dipendenti da imprese in liquidazione potesse produrre, per loro, un ingiustificato privilegio rispetto ai colleghi dipendenti della nuova impresa). (Cass. 12/1/2006 n. 434, Pres. Mercurio rel. Roselli, in Lav. Nella giur. 2006, 698)
- L’interpretazione del contratto collettivo di diritto comune (a prescindere dal livello, sia cioè esso aziendale o nazionale), è riservata al giudice del merito. (Cass. 27/10/2005 n. 20860, Pres. Mileo Rel. De Luca, in Lav. Nella giur. 2006, 595)
- Nell’interpretazione della disciplina contrattuale collettiva dei rapporti di lavoro, censurabile in cassazione solo per violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale e per vizi di motivazione, deve farsi applicazione, oltre che del criterio dell’interpretazione letterale di cui all’art. 1362 c.c., anche del principio di coerenza con l’ordinamento statale, comportate la necessità che gli accordi stessi siano letti in coerenza con gli istituti legali su cui vengano a incidere, con il consequenziale rifiuto di opzioni dirette a contraddire la disciplina legale. (Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza di merito che, interpretando l’art. 33 del CCNL dei giornalisti – nel senso che l’anzianità contributiva che consente, in caso di crisi aziendale, il licenziamento al raggiungimento di una determinata età anagrafica è solo quella maturata presso l’I.N.P.G.I. (Istituto Nazionale Previdenza Giornalisti Italiani) e non anche quella complessiva risultante dal cumulo con i contributi maturati presso l’INPS – aveva trascurato, senza motivazione, il dato letterale e non aveva tenuto conto del carattere unitario del trattamento pensionistico risultante da contribuzioni differenti, quale risultante dalla disciplina dettata dall’art. 3 della legge n. 1122 del 1955, valorizzando, invece, una norma regolamentare emanata dall’I.N.P.G.I. (Cass. 4/7/2005 n. 14158, Pres. Ciciretti Est. Spanò, in Orient. Giur. Lav. 2005, 513)
- In considerazione della natura contrattuale delle clausole dei contratti collettivi del settore pubblico, valgono per la loro interpretazione i criteri fissati dagli art. 1362 ss. C.c. e non già quelli posti in tema di interpretazione della legge dall’art. 12 disp. prel. (Cass. 5/5/2005 n. 9342, in Giust. Civ. 2006, 1012)
- In considerazione della natura contrattuale delle clausole dei contratti collettivi del settore pubblico e in mancanza di una previsione legislativa in tal senso, non può trovare applicazione alle norme contenute nelle suddette clausole il principio iura novit curia; tuttavia, nell’interpretazione di tali clausole, la Corte di cassazione non può essere condizionata dal comportamento delle parti che abbiano riprodotto in tutto o in parte le clausole da interpretare, potendo ricercarle aliunde, al pari di tutte le altre norme contrattuali ritenute utili alla interpretazione, nei limiti del fascicolo processuale nella sua interezza e, dunque, dei documenti prodotti dinanzi al giudice di merito o dallo stesso acquisiti. Gli art. 30, commi 2 e 7, e 32-bis c.c.n.l. comparto autonomie locali 14 settembre 2000 (c.d. “code contrattuali”) devono essere interpretati nel senso che è consentito all’amministrazione esigere dagli insegnanti delle scuole comunali, durante il periodo estivo e al di fuori del periodo di ferie, la partecipazione a corsi di formazione e aggiornamento professionale; tale richiesta è legittima, anche in assenza di preventiva concertazione sindacale, se l’attività di formazione e aggiornamento si mantiene nei limiti delle venti ore mensili, o nel diverso e più ristretto limite, individuato su base annua, non inferiore alle centoventi ore (nella specie, la Corte suprema non ha escluso l’impugnabilità con ricorso immediato per Cassazione ex art. 64 d.lgs. n. 165 del 2001 della sentenza di primo grado che abbia deciso solo sull’interpretazione delle clausole di contratto collettivo nazionale nell’ambito del procedimento per la repressione della condotta antisindacale ai sensi dell’art. 28 St. lav. (Cass. 5/5/2005 n. 9342, in Giust. Civ. 2006, 1012)
- L’interpretazione dei contratti collettivi di diritto comune è riservata al giudice di merito, le cui valutazioni soggiacciono, in sede di legittimità, a un sindacato che è limitato alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica contrattuale ed al controllo di una motivazione coerente e logica. Pertanto, sia la denuncia della violazione delle regole di ermeneutica che la denuncia del vizio di motivazione esigono una specifica indicazione, e cioè la precisazione del modo attraverso il quale si è realizzata la violazione anzidetta e delle ragioni dell’obiettiva deficienza e contraddittorietà del ragionamento del giudice, non potendo le censure risolversi, in contrasto con la qualificazione loro attribuita dalla parte ricorrente, nella mera contrapposizione di un’interpretazione diversa da quella criticata. (Nella specie, la Corte Cass. ha confermato la sentenza impugnata che, con motivazione logica e coerente, aveva individuato nel DM 14 maggio 1985, n. 1085 e nelle declaratorie di carattere generale successive (Ccnl 1987/1989), le norme applicabili per l’inquadramento del personale ferroviario nel periodo controverso, riferendo puntualmente le previsioni che descrivono le mansioni del capo stazione sovrintendente (ottava categoria) e del capo settore stazioni (nona categoria) ed aveva ritenuto di dover affermare, dalla comparazione tra le mansioni svolte e quelle previste, che le mansioni espletate dal dipendente, sin dall’aprile 1988, andavano ricondotte alla nona categoria). (Cass. 18/4/2005 n. 7936, Pres. Ianniruberto Rel. Stile, in Dir. e prat. lav. 2005, 2060)
- L’interpretazione dei contratti collettivi di diritto comune è incensurabile in sede di cassazione se sorretta da adeguata motivazione e conforme ai criteri soggettivi di ermeneutica contrattuale. (Cass. 18/4/2005 n. 7936, Pres. Ianniruberto Rel. Stile, in Lav. nella giur. 2005, 789)
- In tema di accertamento pregiudiziale sull’efficacia, validità e interpretazione dei contratti collettivi per il settore pubblico (di cui all’art. 64, d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165), il sub-procedimento che si instaura nel corso del processo relativo a controversie individuali (di cui all’art. 63) è appunto volto a “risolvere in via pregiudiziale” questioni concernenti clausole di un contratto o accordo collettivo nazionale sottoscritto dall’ARAN (ex artt. 40 ss.), ogniqualvolta, per la definizione della controversia, risulti “necessario” risolvere una di tali questioni. Pertanto, quando venga meno la clausola contrattuale che costituisce oggetto dell’accertamento pregiudiziale, in quanto sostituita, sin dall’inizio della vigenza, dal sopravvenuto accordo di interpretazione autentica, ovvero di modifica della stessa clausola con effetto retroattivo, si verifica – in qualsiasi stato e grado dello stesso subprocedimento – la cessazione della materia del contendere. (Cass. 22/3/2005 n. 6113, Pres. Sciarelli Est. De Luca, in Riv. it. dir. lav. 2007, con nota di Chiara Ianniruberto, “Riflessioni sull’interpretazione del contratto collettivo”, 449)
- Poiché il procedimento speciale disciplinato dall’art. 64 d.lgs. n. 165 del 2001 è diretto esclusivamente all’accertamento pregiudiziale della corretta interpretazione dei contratti collettivi nazionali di lavoro del pubblico impiego privatizzato, è inammissibile il ricorso per Cassazione avverso la sentenza non definitiva che decida questioni di diritto non attinenti all’interpretazione della clausola controversa e che, quindi, non rientrano nell’accertamento pregiudiziale. L’art. 64 d.lgs. n. 65 del 2001, nell’ambito dello speciale procedimento di accertamento pregiudiziale ivi disciplinato, attribuisce alla Corte di cassazione un potere-dovere di interpretare direttamente i contratti o accordi collettivi nazionali dei pubblici dipendenti, che non è ricollegabile alla natura delle clausole da interpretare, atteso che a tali disposizioni contrattuali non è possibile riconoscere forza e valore di norma giuridiche secondarie, trattandosi di disposizioni che trovano la loro fonte nella volontà delle parti collettive che le stipulano; dalla natura negoziabile dei contratti collettivi dei pubblici dipendenti discende che l’interpretazione di tali atti debba avvenire secondo i criteri di cui agli art. 12 e 14 disp. prel. Il c.c.n.l. del comparto ministeri 16 febbraio 1999 (all. A) non ricomprende tra le mansioni proprie del profilo lavorativo relativo alla posizione economica “C3” le funzioni di reggenza della posizione lavorativa dirigenziale, che presuppone la vacanza nella titolarità dell’ufficio (mentre la sostituzione è prevista solo temporaneamente per il caso di assenza o impedimento del titolare), atteso che, – in base alle parole ed espressioni utilizzate nel contratto – deve ritenersi che i contraenti, omettendo l’indicazione della reggenza tra le mansioni proprie della qualifica della posizione economica “C3”, abbiano inteso consapevolmente escludere tale figura dalla relativa declaratoria. (Cass. 17/3/2005 n. 5892, Pres. Ravagnani Est. D’Agostino, in Giust. Civ. 2006, 1015)
- Le clausole dei contratti collettivi del settore pubblico devono essere interpretate sulla base degli artt. 1362 ss. C.c. (Corte d’appello Venezia 29/6/2004, Pres. Pivotti Est. Santoro, in Lav. nelle P.A. 2005, con commento di Enrico Gragnoli, “Interpretazione del contratto collettivo, procedimento disciplinare ed esercizio dell’azione penale”, 93)
- L’interpretazione dei contratti collettivi di diritto comune è riservata, salva l’eccezione dei contratti collettivi dell’ex pubblico impiego introdotta dall’art. 68, comma 5, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 23, aggiunto dall’art. 29 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80, al giudice del merito ed è censurabile in sede di legittimità solo per violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale o per vizi di motivazione. (Nella specie, la sentenza impugnata, confermata dalla S.C., aveva ritenuto che l’art. 34 del Ccnl del 1992 per il settore grafico, così come l’art. 36 del Ccnl del 1996, nel disporre che il Tfr si computa sommando per ciascun anno una quota di retribuzione, dovesse essere interpretato alla luce della nozione di retribuzione definita dai medesimi Ccnl come quanto complessivamente percepito per la prestazione lavorativa nell’orario normale, con conseguente esclusione della possibilità di computare nel Tfr il compenso per lavoro straordinario che, per definizione, non è percepito per la prestazione resa nell’orario normale). (Cass. 11/3/2004 n. 5004, Pres. Capitanio Rel. Celentano, in Dir. e prat. lav. 2004, 2157)
- L’interpretazione dei contratti collettivi di diritto comune è rimessa al giudice di merito ed è censurabile in sede di legittimità solo per vizi di motivazione o per violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, che, in tema di rapporto di lavoro dei dipendenti delle Ff. Ss., aveva ritenuto dovuta nella misura massima della terza l’indennità di posizione prevista dall’accordo sindacale del 13 maggio 1993 per i Dirigenti centrali coordinatore trazione (Dcct) in favore del ricorrente, il quale aveva successivamente acquistato una diversa qualificazione rientrante nei Dirigenti centrali trasposto (Dct), sostenendo -con motivazione immune da vizi- la continuità tra le posizioni professionali Dcct e Dct sulla base dell’Accordo del 3 marzo 1995). (Cass. 26/1/2004 n. 1355, Pres. Ciciretti Rel. Cuoco, in Dir. e prat. lav. 2004, 1443)
- L’interpretazione delle disposizioni collettive di diritto comune è riservata al giudice di merito, le cui valutazioni soggiacciono, in sede di legittimità, alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica contrattuale ed al controllo della sussistenza di una motivazione coerente e logica. (Nel caso di specie, la Suprema Corte ha ritenuto carente la motivazione del giudice di merito il quale, in relazione al contratto collettivo del 26 novembre 1994 dei postelegrafonici, aveva omesso di verificare se alle tre posizioni retributive differenziate esistenti all’interno dell’area operativa corrispondessero differenti qualifiche collegate a mansioni afferenti a distinti profili professionali, omissione rilevante in quanto, se così fosse risultato, la norma inderogabile contenuta nell’art. 2103 c.c. non avrebbe consentito di considerare equivalenti, ai fini dell’inquadramento, mansioni diverse, ciascuna corrispondente ad un diverso livello retributivo). (Cass. 17/3/2003, n. 3918, Pres. Sciarelli, Rel. Balletti, in Lav. nella giur. 2003, 675)
- L’interpretazione dei contratti collettivi di diritto comune è devoluta al giudice di merito ed è censurabile in cassazione solo per vizi di motivazione e per violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale (nel caso di specie, la Suprema Corte ha confermato la sentenza del giudice di merito il quale, avendo ritenuto, sulla base dell’interpretazione letterale del Ccnl del 1994, che con esso le parti avessero inteso sopprimere retroattivamente i csompensi premiali previsti dalla precedente contrattazione collettiva nazionale, aveva riconosciuto il diritto dei ricorrenti-dipendenti delle Ferrovie dello Stato andati in pensione negli anni 1993-1994-a percepire gli elementi retributivi premiali previsti dall’art. 33, secondo comma, lettera n, del Ccnl del 1990-1992 dalla data di maturazione del diritto fino alla data del loro collocamento a riposo, ritenendo che il diritto al compenso premiale fosse già entrato nel patrimonio dei lavoratori al momento della cessazione del rapporto. (Cass. 3/2/2003, n. 1557, Pres. Sciarelli, Rel. Figurelli, in Lav. nella giur. 2003, 570)
- L’interpretazione dei contratti collettivi di diritto comune è devoluta al giudice di merito ed è censurabile in cassazione solo per vizi di motivazione e violazione dei canoni dei canoni di ermeneutica contrattuale. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto non sufficientemente né logicamente motivata la sentenza di merito che, escludendone la natura retributiva, aveva attribuito all’indennità di cantiere corrisposta ai lavoratori dipendenti dell’Enel natura di rimborso spese, essendosi detta sentenza fondata sul rilievo che l’indennità è prevista nella stessa disposizione contrattuale che prevede i rimborsi, senza considerare che ai lavoratori che operino in determinate condizioni possono essere corrisposti tanti rimborsi spese che indennità volte a compensare le particolari modalità della prestazione. La Corte ha inoltre ritenuto che non rileva la previsione della fissazione in sede locale dell’esatta misura dell’indennità stessa, tra il minimo ed il massimo previsto dal CCNL, giustificandosi tale variabilità con la possibilità di differenziazione delle condizioni di lavoro nei vari cantieri). (Cass. 27/8/2002, n. 12573, Pres. Ciciretti, Rel. Celentano, in Lav. nella giur. 2003, 73)
- In tema d’interpretazione degli atti negoziali, l’art. 1362 c.c., nel prescrivere all’interprete di non limitarsi al senso letterale delle parole, non intende svalutare l’elemento letterale nell’interpretazione, ma anzi ribadire il valore fondamentale e prioritario che esso assume nella ricerca della comune intenzione delle parti, onde il giudice può ricorrere ad altri criteri ermeneutici solo quando le espressioni letterali non siano chiare, quando le suddette esporessioni si presentino univoche secondo il linguaggio corrente, il giudice può attribuire alle parti una volontà diversa da quella risultante dalle parole adoperate soltanto se individua ed esplicita le ragioni per le quali predette parti, pur essendosi espresse in un determinato modo, abbiano in realtà inteso manifestare una volontà diversa. (Cass. 2/8/2002, n. 11609, Pres. Ciciretti, Rel. Di Iasi, in Lav. nella giur. 2003, 73)
- Nell’interpretazione del contratto collettivo è prioritario e prevalente il criterio di coerenza tra atto da interpretarsi e valori fondamentali del diritto vivente del lavoro la cui violazione è censurabile in sede di legittimità (nel caso di specie, il c.c.n.l. del 1995 per i dipendenti del Casinò di Sanremo disponeva l’automatica sospensione dal lavoro del dipendente colpito da ordinanza di custodia cautelare in carcere; una volta che questi era stato rimesso in libertà, il datore aveva rifiutato di riammetterlo in servizio; sulla base dell’art. 29 del citato c.c.n.l. la S.C. ha statuito l’onere del datore di lavoro di comunicare al dipendente le ragioni che ostano alla revoca della sospensione e alla ripresa dell’attività lavorativa). (Cass. 1/7/2002, n. 9538, Pres. Prestipino, Est. Guglielmucci, in Riv. it. dir. lav. 2003, 501, con nota di Andrea Pardini, Interpretazione della clausola collettiva ambigua secondo il criterio di armonizzazione)
- In tema d’interpretazione dei contratti collettivi, l’individuazione della comune intenzione delle parti, in considerazione della loro peculiare natura e della specificità dell’oggetto della contrattazione, non è sempre facilmente individuabile facendosi ricorso al solo criterio letterale; in tal caso il canone ermeneutico dettato dall’art. 1363 c.c. assume una portata ancora più incisiva. (Cass. 9/5/2002, n. 6656, Pres. Mercurio, Est. Picone, in Riv. it. dir. lav. 2003, 14, con nota di Cristina Saisi, Clausole collettive in materia di contribuzione sindacale e criteri della relativa interpretazione)
- Ai fini dell’applicazione dell’art. 64, D.Lgs. n. 165/2001, relativo al rinvio pregiudiziale all’Aran in caso di questioni attinenti all’efficacia, validità od interpretazione di clausole di contratto collettivo, la normativa contrattuale sottoposta al vaglio del giudicante, poiché interamente pattizia e di tipo privatistico, deve essere innanzitutto interpretata dal giudice alla stregua delle ordinarie regole di ermeneutiche fissate dagli artt. 1362 ss. c.c. Soltanto ove, dopo aver applicato i criteri ermeneutici previsti dagli artt. 1362-1365 c.c., non si possa attribuire alla norma contrattuale un significato univoco, essendo la stessa priva di alcun significato o ammettendo una pluralità di significati tutti astrattamente conformi alla comune intenzione delle parti, deve ritenersi che il contenuto della norma sia oscuro con conseguente attivazione del meccanismo pregiudiziale. (Trib. Gorizia 8/1/2002, Est. Masiello, in Lav. nella giur. 2003, 254, con commento di Domenico Pizzonia)
- Nell’interpretazione della disciplina contrattuale collettiva dei rapporti di lavoro – la quale spesso è articolata su diversi livelli (nazionale, provinciale, aziendale etc.), regola una materia vasta e complessa in ragione della interdipendenza dei molteplici profili della posizione lavorativa, e utilizza il linguaggio delle cosiddette relazioni industriali, non necessariamente coincidente con quello comune – assume un rilievo preminente il criterio, dettato dall’art. 1363 c.c., dell’interpretazione complessiva delle clausole, mentre il criterio letterale cui fa riferimento l’art. 1362 non deve essere utilizzato in contrasto con la finalità della ricerca della concorde volontà delle parti contraenti – secondo il medesimo articolo costituente l’obiettivo dell’attività ermeneutica -, e trascurando la frequente mancanza di una chiara corrispondenza tra il tenore testuale delle espressioni e la volontà delle parti (Cass. 9/8/00, n. 10500, pres. Ianniruberto, est. Vidiri, in Orient. giur. lav. 2001, pag. 30)
- All’interpretazione della contrattazione collettiva, che, anche quando è di diritto comune, ha una funzione di “norma regolamentare settoriale”, non sono automaticamente estensibili le regole ermeneutiche proprie dell’interpretazione dei negozi di diritto privato, e, ove si prospettino più interpretazioni, deve preferirsi quella rispondente al criterio dell’armonizzazione tra la clausola della disciplina settoriale – cioè della clausola contrattuale- e le regole di portata generale che connotano il diritto vivente del lavoro (Nella specie, con la sentenza impugnata era stato riconosciuto il diritto di un dipendente delle Ferrovie dello Stato all’inquadramento in una categoria superiore per lo svolgimento per oltre 90 giorni delle relative mansioni in sostituzione di dipendenti con diritto alla conservazione del posto di lavoro, poiché l’azienda, in violazione dell’art. 41 del contratto collettivo, non gli aveva comunicato, prima dell’inizio dello svolgimento delle mansioni superiori, i nominativi dei dipendenti sostituiti, con la specificazione dei corrispondenti incarichi; la S.C. ha confermato tale decisione, rilevando che il giudice di merito aveva interpretato la clausola contrattuale come impositiva di rigide garanzie, e cioè come diretta alla salvaguardia più piena della dignità del lavoratore in caso di esercizio dello “ius variandi”, disattendendo invece l’ipotesi interpretativa formulata dal datore di lavoro, che prospettava l’esigenza di un contemperamento degli interessi delle parti, con il riconoscimento anche delle esigenze di funzionalità aziendale) (Cass. 18/7/0, n. 9430, pres. Trezza, in Orient. Giur. Lav. 2000, pag. 893)
- Nell’interpretazione del contratto collettivo è utilizzabile anche il criterio del comportamento posteriore delle parti di cui all’art. 1362, secondo comma, c.c., quest’ultimo potendo essere integrato da un successivo contratto collettivo che presupponga una determinata interpretazione di una complessa ed organica disciplina di istituti contrattuali articolata nel tempo e nel corso di più contratti collettivi. (Cass. 5/2/00, n. 1311, pres. Santojanni, est. De Matteis, in Argomenti dir. lav. 2001, pag. 712)
- Sulla base dei principi in tema di interpretazione dei contratti ex art. 1362 ss. c.c., non è ammissibile l’interpretazione analogica di un contratto integrativo aziendale (Pret. Parma 19/5/98, est. Ferraù, in D&L 1998, 999, nota Pavone).