Scheda sintetica
Il periodo o patto di prova è una condizione che può essere apposta al contratto di lavoro con la quale si subordina il carattere definitivo dell’assunzione al compimento di un periodo di prova.
In tale periodo entrambe la parti sono libere di recedere dal rapporto di lavoro: l’interesse ritenuto più rilevante è però quello del datore di lavoro, che con la prova giudica dell’idoneità fisica e attitudinale del lavoratore a svolgere la prestazione dedotta in contratto.
In ogni caso la giurisprudenza è intervenuta per precisare limiti e situazioni che rendono illegittimo licenziamento durante il periodo di prova.
L’art. 2096 c.c. richiede per il patto di prova la forma scritta; la giurisprudenza è pacifica nel ritenere che tale forma sia richiesta a pena di nullità, con la conseguenza che, in mancanza di essa, il patto di prova deve considerarsi nullo e la assunzione del lavoratore va considerata definitiva (Cass. 26/5/95, n. 5811: Cass. S.U. 9/3/83 n. 1756; Cass. 20/8/87 n. 6982; Cass. 24/8/91 n. 9101; Cass. 19/11/93, n. 11427).
Tuttavia, non è sufficiente neanche la mera esistenza di un patto di prova in forma scritta, essendo necessario per la sua validità che esso contenga pure la specifica indicazione delle mansioni da svolgersi, pena, anche in questa ipotesi, la nullità della clausola e l’automatica conversione del rapporto a tempo indeterminato (Cass. 26/5/95 n. 5811; Cass. 15/1/86 n. 200; Trib. Napoli 11/12/91).
La norma codicistica non fissa invece una durata massima della prova: questa, tuttavia, è generalmente fissata dai contratti collettivi.
Una durata massima è però indirettamente disposta dall’art. 10 L. 604/66 che, per i lavoratori in prova, prevede l’estensione della tutela contro i licenziamenti quando l’assunzione divenga definitiva e, in ogni caso, quando siano decorsi sei mesi dall’inizio del rapporto.
Se l’assunzione diviene definitiva, il periodo di prova è computato nell’anzianità.
Fonti normative
- Contratto Collettivo di Lavoro applicato (Nazionale o integrativo)
- Codice civile, art. 2096
- Legge 15 luglio 1966, n. 604, art. 10
Cosa fare – Tempi
Nel caso in cui ci siano sospetti sulla legittimità del licenziamento durante il periodo di prova è necessario agire con la massima tempestività, e comunque entro i primi giorni dalla comunicazione (scritta o verbale).
A chi rivolgersi
- Ufficio vertenze sindacale
- Studio legale specializzato in diritto del lavoro
Documenti necessari
- Copia del contratto e/o lettera di assunzione
- Eventuale ultima busta paga
- Nel caso in cui con la stessa azienda fosse intercorso in precedenza un altro rapporto di lavoro (ad esempio un Contratto a progetto o un contratto a termine) portare anche tutta la documentazione relativa a quel rapporto.
Quando il licenziamento durante il periodo di prova è illegittimo
Ai sensi dell’art. 2096 c.c. il datore di lavoro è tenuto a consentire l’esperimento che costituisce oggetto della prova.
In buona sostanza, al lavoratore deve essere data la possibilità di dimostrare la propria idoneità e capacità a svolgere la mansione dedotta in contratto.
E’ evidente, dunque, che il datore di lavoro è tenuto a dare all’esperimento una durata minima – benché non pattuita tra le parti – a consentirlo.
In altre parole, il datore di lavoro può liberamente recedere dal rapporto durante il periodo di prova, nel momento in cui abbia effettivamente consentito l’esperimento, sia assegnando realmente al lavoratore le mansioni per cui era stato assunto in prova, sia concedendogli un lasso di tempo ragionevole e sufficiente a verificare che la prova sia stata superata, o sia fallita.
Sulla scorta di questi principi, la giurisprudenza è pacifica nell’affermare l’illegittimità dei licenziamenti in prova intimati dopo un lasso di tempo troppo breve e comunque in assenza di una reale valutazione delle capacità professionali del lavoratore (Cass. 1/3/89 n. 1104; Cass. 15/7/86 n. 4578; Trib. Milano 26/10/99).
Pertanto, è certamente illegittimo il licenziamento in prova allorquando il lavoratore, per omessa concreta attribuzione delle mansioni, non sia stato posto in grado di sostenere la prova (Corte App. Bologna, 21/7/00).
Parimenti, è illegittimo il licenziamento in prova che si fondi su motivazioni estranee al contenuto del patto di prova (Cass. 4/8/98 n. 7644; Cass. 9/11/96 n. 9797; Cass. 21/4/93 n. 4669; Cass. 12/10/87; Cass. 17/3/86 n. 1833; Trib. Milano 29/6/00).
In quest’ottica è pacificamente ritenuto illegittimo il licenziamento del lavoratore in prova avviato obbligatoriamente, se il recesso appare determinato o, quanto meno, influenzato da considerazioni sul minor rendimento dovuto all’invalidità.
Per maggiori approfondimenti si veda anche la voce Licenziamento durante il periodo di prova
Casistica di decisioni della Magistratura in tema di periodo di prova
In genere
- È peggiorativa per il lavoratore ed è sostituita di diritto ex art. 2077, comma 2, c.c., la clausola del contratto individuale con cui il patto di prova è fissato in un termine maggiore rispetto a quello stabilito dal contratto collettivo, salvo che tale prolungamento si risolva in concreto in una posizione di favore per il lavoratore, con onere della prova a carico del datore di lavoro. (Cass. 26/5/2020 n. 9789, ord., Pres. Berrino Rel. Blasutto, in Lav. nella giur. 2020, 993)
- La causa del patto di prova va individuata nella tutela dell’interesse comune alle due parti del rapporto di lavoro, in quanto diretto ad attuare un esperimento mediante il quale sia il datore di lavoro che il lavoratore possono saggiare la reciproca convenienza del contratto, accertando il primo le capacità del lavoratore e quest’ultimo, a sua volta, verificando l’entità della prestazione richiestagli e le condizioni di svolgimento del rapporto. È, pertanto, ammissibile il patto di prova in due contratti di lavoro successivamente stipulati tra le stesse parti, purché risponda alle suddette finalità, potendo intervenire nel tempo molteplici fattori attinenti non solo alle capacità professionali, ma anche alle abitudini di vita o a problemi di salute. (Cass. 9/3/2020 n. 6633, Pres. Bronzini Est. De Gregorio, in Riv. It. Dir. lav. 2020, con nota di W. Chiaromonte, 454)
- È nullo per carenza di causa il patto di prova apposto a un contratto a tempo indeterminato, considerata l’identità delle mansioni svolte nell’ambito di precedenti rapporti di lavoro a tempo determinato intercorsi fra le stesse parti, non rilevando in particolare la diversa collocazione geografica di svolgimento degli stessi. (Cass. 9/3/2020 n. 6633, Pres. Bronzini Est. De Gregorio, in Riv. It. Dir. lav. 2020, con nota di W. Chiaromonte, 454)
- Sebbene la causa del patto di prova, avendo la funzione di tutelare l’interesse di entrambe le parti del rapporto a sperimentarne la convenienza, risulti insussistente ove la verifica sia già intervenuta con esito positivo per le medesime mansioni in virtù delle prestazioni rese dal lavoratore per un congruo lasso di tempo a favore dello stesso datore di lavoro, la ripetizione del patto di prova in due successivi contratti di lavoro tra le stesse parti è ammissibile se essa, in base all’apprezzamento del giudice di merito, risponda alla suddetta causa, permettendo all’imprenditore di verificare non solo le qualità professionali, ma anche il comportamento e la personalità del lavoratore in relazione all’adempimento della prestazione, elementi suscettibili di modificarsi nel tempo per l’intervento di molteplici fattori attinenti alle abitudini di vita o a problemi di salute (nel caso di specie il lavoratore era stato precedentemente licenziato dallo stesso datore di lavoro per giusta causa afferente ad addebiti di natura disciplinare). (Trib. Trento 6/2/2018, Rel. Flaimi, in Riv. it. dir. lav. 2018, con nota di F. Marinelli, “Il patto di prova all’indomani del Jobs Act: il punctum dolens continua a essere il profilo sanzionatorio”, 508)
- La specificazione delle mansioni costituenti oggetto del patto di prova può essere operata anche per relationem mediante il richiamo alle declaratorie del contratto collettivo qualora tale richiamo sia sufficientemente specifico. (Trib. Trento 6/2/2018, Rel. Flaimi, in Riv. it. dir. lav. 2018, con nota di F. Marinelli, “Il patto di prova all’indomani del Jobs Act: il punctum dolens continua a essere il profilo sanzionatorio”, 508)
- Ove le previsioni contrattuali applicabili utilizzino l’espressione “lavoro effettivo”, i “giorni di lavoro effettivo” sono solo quelli di concreta prestazione dell’attività lavorativa, esclusi i riposi settimanali e le festività; questi ultimi vanno invece computati nel periodo di prova solo in difetto di espressa previsione contrattuale di segno contrario (nel senso, cioè, dell’effettiva prestazione). (Trib. Milano 12/1/2016, Giud. Tomasi, in Lav. nella giur. 2016, con commento di Annamaria Minervini, 1009)
- La causa del patto di prova va individuata nella tutela dell’interesse comune alle due parti del rapporto di lavoro, in quanto diretto ad attuare un esperimento mediante il quale sia il datore di lavoro che il lavoratore possono verificare la reciproca convenienza del contratto, accertando il primo le capacità del lavoratore e quest’ultimo, a sua volta, valutando l’entità della prestazione richiestagli e le condizioni di svolgimento del rapporto. È, peraltro, ammissibile il patto di prova in due contratti di lavoro successivamente stipulati tra le stesse parti, purché risponda alle suddette finalità, potendo intervenire nel tempo molteplici fattori, attinenti non solo alle capacità professionali, ma anche alle abitudine di vita o a problemi di salute. (Cass. 22/4/2015 n. 8237, Pres. Vidiri Est. Maisano, in Riv. giur. lav. prev. soc. 2016, con nota di Angela Gambardella, “Le ragioni che legittimano la reiterazione del patto di prova”, 44)
- Salva una diversa previsione del contratto collettivo, il decorso del periodo di prova che sia stabilito in un complessivo arco di tempo, mentre non è sospeso nelle ipotesi di mancata prestazione che ineriscono al normale svolgimento del rapporto, quali i riposi settimanali e le festività, deve invece ritenersi escluso – in quanto preclude alle parti, sia pur temporaneamente, la sperimentazione della reciproca convenienza del contratto di lavoro – in relazione ai giorni in cui la prestazione non si è verificata per eventi non prevedibili al momento della stipulazione del patto stesso, quali la malattia, l’infortunio, la gravidanza e il puerperio, i permessi, lo sciopero, la sospensione dell’attività del datore e le ferie annuali. (Cass. 4/3/2015 n. 4347, Pres. Vidiri Rel. Doronzo, in Lav. nella giur. 2015, 636)
- È legittima la stipulazione di un nuovo patto di prova della durata di 6 mesi, ove finalizzata all’assunzione a tempo indeterminato da parte di un ente pubblico in mansioni di responsabilità, dopo che il medesimo dipendente sia stato precedentemente assunto a tempo determinato con un periodo di prova di 15 giorni. (Cass. 3/11/2014 n. 23381, Pres. Vidiri Rel. Venuti, in Lav. nella giur. 2015, 198)
- La necessità di specificazione delle mansioni su cui verte la prova si fa maggiormente stringente al crescere della qualifica. Se alla specificazione delle mansioni richiesta a un operaio semplice da sottoporre a prova ben può bastare il riferimento alla declaratoria contrattuale e la verifica del suo operato può seguire anche a un mese di lavoro, nel caso in cui il lavoratore sia chiamato a compiti di responsabilità, va da sé che gli spazi necessariamente lasciati vuoti dalla contrattazione collettiva per ciò che concerne modalità e contenuti operativi delle relative mansioni siano da colmare con la precisa indicazione degli obiettivi concretamente raggiungibili nel periodo di prova concordato, altrimenti rimanendo innegabile, in assenza di contenuti riscontrabili, o comunque suscettibili di alternative valutazioni, che il patto di prova, del incoerentemente con la sua causa, si risolverebbe in un agevole strumento di insindacabile potere di recesso datoriale in ragione di altrettanto insindacabile giudizio di gradimento del lavoratore, avulso da qualsivoglia possibilità di verifica delle qualità o capacità professionali del sottoposto a prova e del rendimento della sua opera, dunque in totale dissonanza con la ratio di tutela del comune interesse delle parti contrattuali a valutare la reciproca convenienza alla prosecuzione del rapporto che l’art. 2096 attribuisce all’assunzione in prova. (Corte app. Campobasso 16/9/2014, Pres. Pupilella Rel. Paolino, in Lav. nella giur. 2015, 96)
- Il patto di prova apposto al contratto di lavoro, oltre a dover risultare da atto scritto, deve contenere la specifica indicazione delle mansioni che ne costituiscono l’oggetto, che, tuttavia, specie quando trattasi di lavoro intellettuale e non meramente esecutivo, non debbono necessariamente essere indicate in dettaglio, essendo sufficiente che, in base alla formula adoperata nel documento contrattuale, siano determinabili. (Cass. 4/8/2014 n. 17591, Pres. Roselli Est. Arienzo, in Lav. nella giur. 2014, 1126)
- È valido il patto di prova nel quale il riferimento alle mansioni oggetto di valutazione avvenga mediante il rinvio a quanto previsto dal contratto collettivo, e che altresì sia stato sottoscritto da un soggetto privo del potere di rappresentare l’azienda, il cui operato sia stato tuttavia ratificato anche solo per fatti concludenti. (Cass. 23/5/2014 n. 11582, Pres. Roselli Rel. Arienzo, in Lav. nella giur. 2014, 925)
- È legittima l’apposizione del patto di prova laddove vi sia un’assai significativa differenza di inquadramento fra quello attribuito nel precedente rapporto di lavoro e quello successivo con il medesimo datore (nel caso di specie le deduzioni di parte ricorrente non hanno consentito di far dubitare il giudicante che vi fosse divergenza fra mansioni effettivamente svolte ed inquadramento attribuito in contratto). (Trib. Milano 4/4/2014, Giud. Greco, in Lav. nella giur. 2014, 825)
- La motivazione in caso di recesso per mancato superamento del periodo di prova non è necessaria, nemmeno in caso di contestazione successiva, dovendosi invece all’opposto far ricadere sul prestatore l’onere di impugnativa e illustrazione delle doglianze in tema di incongruità del tempo e delle mansioni o di sussistenza di altri motivi. (Trib. Milano 3/5/2013, Giud. Taraborrelli, in Lav. nella giur. 2013, 854)
- Il patto di prova apposto al contratto di lavoro mira a tutelare l’interesse di entrambe le parti contrattuali di sperimentare la reciproca convenienza al contratto, con la conseguenza che deve ritenersi illegittimamente apposto un patto in tal senso che non sia funzionale alla suddetta sperimentazione per essere questa già intervenuta con esito positivo nelle specifiche mansioni, fatto che può essere provato, anche per presunzioni, essendo desumibile dalla sussistenza di un precedente rapporto di lavoro tra le parti. (…) Non rileva in senso contrario né il fatto che i soci della resistente fossero nel frattempo mutati né che il ricorrente fosse stato in precedenza destinatario di richiami disciplinari. (Trib. Roma 19/12/2012, Giud. Amone, in Lav. nella giur. 2013, 204)
- Nel lavoro subordinato, il patto di prova tutela l’interesse di entrambe le parti del rapporto a sperimentarne la convenienza, dovendosi ritenere l’illegittimità del fatto ove la suddetta verifica sia già intervenuta, con esito positivo, per le specifiche mansioni in virtù di prestazione resa dallo stesso lavoratore, per un congruo lasso di tempo, a favore del medesimo datore di lavoro. Ne consegue che la ripetizione del patto di prova in due successivi contratti di lavoro tra le stesse parti è ammissibile solo se essa, in base all’apprezzamento del giudice di merito, risponda alla suddetta causa, permettendo all’imprenditore di verificare non solo le qualità professionali, ma anche il comportamento e la personalità del lavoratore in relazione all’adempimento della prestazione, elementi suscettibili di modificarsi nel tempo per l’intervento di molteplici fattori, attinenti alle abitudini di vita o a problemi di salute. (Nella specie, in applicazione del principio, la S.C. ha respinto il ricorso del datore di lavoro avverso la declaratoria di nullità del secondo patto di prova, apposto al contratto a tempo indeterminato stipulato appena quindici giorni dopo la scadenza del rapporto a termine, durato tra le stesse parti per quasi sette mesi, non avendo l’imprenditore dimostrato l’esistenza di uno specifico motivo di rivalutazione delle caratteristiche del lavoratore. (Cass. 22/6/2012 n. 10440, Pres. Stile Est. Maisano, in Orient. Giur. Lav. 2012, 339)
- Nell’impiego pubblico, il valore del patto di prova non può ritenersi strettamente limitato alla sola valutazione circa l’idoneità allo svolgimento delle mansioni da parte del lavoratore, in quanto a tale aspetto (connaturato al patto) si affiancano ulteriori motivazioni strettamente connesse alla natura del rapporto che rendono quindi obbligatorio e non certamente facoltativo il medesimo patto. (Trib. Milano 26/1/2012, Giud. Perillo, in Lav. nella giur. 2012, 413)
- Ai sensi dell’art. 2096 c.c., il patto di prova sottoscritto dopo che il lavoratore si è già stabilmente inserito nell’organizzazione del datore di lavoro con assoggettamento al potere direttivo del datore di lavoro è nullo con conseguente illegittimità del recesso del datore di lavoro per mancato superamento della prova e applicazione della tutela contro i licenziamenti illegittimi. (Trib. Milano 12/6/2009, Est. Di Leo, in D&L 2009, 711)
- Con la decisione in esame, la Corte di Cassazione ribadisce il principio, peraltro pressoché pacifico, in base al quale il licenziamento di un lavoratore, per mancato superamento della prova, non necessita di ulteriori specifiche motivazioni, a meno che queste non siano espressamente previste dal contratto collettivo di lavoro applicabile nella specie. (Cass. 1/12/2008 n. 28531, Pres. Ianniruberto, in Lav. nella giur. 2009, con commento di Gianluigi Girardi, 266)
- Il patto di prova apposto al contratto di lavoro mira a tutelare l’interesse di entrambe le parti contrattuali di sperimentare la reciproca convenienza del contratto, con la conseguenza che deve ritenersi illegittimamente apposto un patto che non sia funzionale alla suddetta sperimentazione, per essere questa già intervenuta con esito positivo mediante lo svolgimento di un piano di inserimento professionale avente a oggetto le medesime mansioni. (Cass. 17/11/2008 n. 27330, Pres. Ianniruberto Rel. Vidiri, in Lav. nella giur. 2009, con commento di Luca Iero, 367)
- Anche nei rapporti di lavoro “privatizzati” alle dipendenze di pubblica amministrazione, il recesso del datore di lavoro nel corso del periodo di prova ha natura discrezionale e dispensa dall’onere di provarne la giustificazione (altrimenti sarebbe equiparato a un recesso assoggettato alla l. n. 604 del 1966), fermo restando che l’esercizio del potere di recesso deve essere coerente con la finalità della prova che consiste nel consentire alle parti del rapporto di lavoro di verificarne la reciproca convenienza. (Cass. 13/8/2008 n. 21586, Pres. Senese Est. Picone, in Riv. it. dir. lav. 2009, con nota di Edoardo Ales, “Il periodo di prova nel lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni: parziale specialità della disciplina legale e specificità della disciplina contrattuale collettiva”, 377)
- In presenza di un obbligo di motivare il recesso in periodo di prova, contrattualmente previsto (nella specie, dal contratto collettivo di comparto), con riferimento al lavoro pubblico è ammessa la verificabilità giudiziale della coerenza delle ragioni rispetto, da un lato, alla finalità della prova e, dall’altro, all’effettivo andamento della prova stessa, senza che resti escluso il potere di valutazione discrezionale dell’amministrazione datrice di lavoro, non potendo omologarsi la giustificazione del recesso per mancato superamento della prova a quella della giustificazione del licenziamento per giusta causa o giustificato motivo, dovendosi, di conseguenza, escludere che l’obbligo di motivazione possa spostare l’onere della prova sul datore di lavoro. (Cass. 13/8/2008 n. 21586, Pres. Senese Est. Picone, in Riv. it. dir. lav. 2009, con nota di Edoardo Ales, “Il periodo di prova nel lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni: parziale specialità della disciplina legale e specificità della disciplina contrattuale collettiva”, 377)
- Il generico riferimento alla qualifica del livello – posto che la relativa contrattazione collettiva prevede una molteplicità di mansioni e di figure professionali – in assenza di ulteriori elementi di specificazione e atteso il tenore generico della dizione del contratto, determina un’indeterminatezza dell’oggetto dell’esperimento e comporta la dichiarazione di nullità del patto di prova e, poiché si tratta di clausola che vitiatur sed non vitiat, il contratto di lavoro deve essere dichiarato definitivo sin dall’origine. (Trib. Milano 12/7/2008, Est. Martello, in Orient. della giur. del lav. 2008, 631)
- E’ illegittimo il licenziamento per esito negativo della prova qualora l’esperimento consentito al lavoratore sia inadeguato rispetto alla durata complessiva della prova, con conseguente diritto del lavoratore al risarcimento del danno da perdita di chances, che deriva dall’inadempimento dell’obbligo del datore di lavoro di effettuare l’esperimento. (Trib. Milano 1/2/2008, Est. Porcelli, in D&L 2008, con nota di Eleonora Pini, “La brevità del periodo di prova”, 540)
- Un patto di prova di durata coincidente con quella del contratto a tempo determinato non può essere funzionalmente diretto a consentire alle parti del rapporto di lavoro di verificarne la reciproca convenienza e, dal punto di vista del datore, le capacità del lavoratore; appare piuttosto idoneo a svincolare il datore di lavoro dal regime di temporanea stabilità del rapporto, che può venire meno solo nell’ipotesi di sussistenza di giusta causa ex art. 2119 c.c. (Trib. Pistoia 11/1/2008, Est. De Marzo, in D&L 2008, con nota di Francesco Alvaro, 560)
- Il patto di prova è nullo in caso di mancata indicazione delle specifiche mansioni alle quali verrà adibito il lavoratore durante il periodo di prova. Il requisito della specificità non è soddisfatto né dalla presenza di una generica espression, alla quale non sia possibile attribuire alcun significato, se non quello dell’individuazione del reparto presso cui sarà adibito il lavoratore, né dal richiamo al livello e alla qualifica previste dalla contrattazione collettiva, qualora il livello e la qualifica contengano vari profili professionali. Conseguenza della nullità è la costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato. (Trib. Milano 20/12/2007, d.ssa Scudieri, in Lav. nella giur. 2008, 960)
- La nullità del patto di prova per mancata indicazione specifica delle mansioni può essere rilevata d’ufficio in appello, anche qualora il ricorrente non abbia mai espressamente allegato questo motivo di nullità, purché in primo grado il lavoratore abbia chiesto l’attuazione del contratto (sia pure nella forma del risarcimento del danno per il suo inadempimento), e il datore di lavoro abbia contrastato tale domanda, facendo valere gli effetti impeditivi connessi all’esercizio da parte sua di una facoltà di recesso fondata sul patto di prova, e facendo così valere il patto di prova stesso. (Cass. 4/12/2007 n. 25264, Pres. Sciarelli Est. Toffoli, in Lav. nella giur. 2008, 418)
- Deve ritenersi la piena legittimità delle pattuizioni di una durata minima del rapporto di lavoro, con previsione di un obbligo risarcitorio in caso di dimissioni anticipate rispetto a tale durata minima, in quanto il lavoratore subordinato può liberamente disporre della propria facoltà di recesso del rapporto di lavoro e in quanto tali pattuizioni non contrastano con alcuna norma o principio del nostro ordinamento. (Trib. Milano 8/11/2007, D.ssa Porcelli, in Lav. nella giur. 2008, 427)
- L’indicazione sia nella lettera d’impegno all’assunzione che nel contratto di lavoro della qualifica di dirigente e delle mansioni di “responsabile amministrativo finanziario, acquisti e EDP alla dipendenza diretta della presidenza” soddisfa pienamente l’esigenza di specificità delle mansioni di assunzione ai fini dell’esperimento della prova di cui all’art. 2096 c.c. (Corte app. Milano 17/9/2007, Pres. Salmeri Est. Trogni, in Lav. nella giur. 2008, 201)
- Il patto di prova, oltre a dover risultare da atto scritto, deve contenere la specifica indicazione delle mansioni che ne costituiscono l’oggetto, la quale può essere operata per relationem alla qualifica di assunzione e al profilo professionale, ma unicamente laddove corrispondano a una declaratoria del contratto collettivo che definisca le mansioni comprese nella qualifica (nella specie, è stato ritenuto insufficiente il riferimento alla VI categoria di Ccnl di settore e al profilo di developer, in difetto di ulteriori allegazioni che descrivessero il contenuto dell’attività oggetto di prova). (Trib. Milano 11/8/2007, Est. Vitali, in D&L 2007, con nota di Giuseppe Bulgarini D’Elci, “Sul licenziamento durante la prova”, 1243)
- E’ illegittimo il licenziamento del lavoratore in prova per esito negativo della stessa ove l’esperimento non sia effettuato per un periodo di tempo sufficiente a consentire al datore di lavoro una corretta valutazione dell’esperimento medesimo. In tal caso, è applicabile l’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, dato che con il patto di prova è apposta al contratto di lavoro una “condizione sospensiva” e che il recesso ante tempus del datore di lavoro rientra nella previsione dell’art. 1359 c.c. per il quale la condizione – nella specie, il superamento della prova – si considera avverata qualora sia mancata per causa imputabile alla parte che aveva interesse contrario all’avveramento di essa. (Trib. Milano 4/6/2007, Est. Di Leo, in Lav. nella giur. 2008, 320, e in D&L 2007, con nota di Giuseppe Bulgarini D’Elci, “Sul licenziamento durante la prova”, 1243)
- L’indicazione specifica delle mansioni oggetto della prova costituisce uno dei requisiti di validità del patto, sebbene non indicato espressamente nell’art. 2096 c.c., in quanto è indispensabile per il controllo giudiziale del recesso datoriale in prova. Il riferimento al livello di inquadramento del CCNL di settore, nel caso in cui questo comprenda molteplici profili professionali, non è sufficiente in quanto privo di specificità. (Trib. Milano 18/12/2006, D.ssa Tanara, in Lav. nella giur. 2007, 633)
- Il patto di prova, positivamente disciplinato, ex art. 2096 c.c. solo con riferimento al rapporto di lavoro subordinato, non può essere legittimamente apposto a un contratto di lavoro a progetto, disciplinato esclusivamente dal D.Lgs. 10/9/03 n. 276 e dalle clausole pattizie più favorevoli al lavoratore, dal quale il committente può recedere ante tempus per giusta causa o per le causali previste nel contratto individuale. (Trib. Roma 6/12/2006 Est. Marrocco, in D&L 2007, con nota di Emanuela Fiorini, “Nullità del patto di prova nel contratto a progetto”, 754)
- La causa del patto di prova va ravvisata nella tutela dell’interesse del datore di lavoro a sperimentare le capacità professionali del dipendente e nell’interesse di entrambi le parti a valutare la convenienza reciproca al contratto di lavoro. E’ illegittimo pertanto un patto di prova apposto a il contratto di un lavoratore che abbia svolto presso la medesima impresa le stesse mansioni in forza di un contratto diverso, in un congruo periodo di tempo precedente, dal momento che, in tal caso, le parti hanno già potuto sperimentare la reciproca convenienza del contratto.n (Trib. Milano 11/7/2006, Dott. Vitali, in Lav. nella giur. 2007, 530)
- La rilevata carenza di contestualità tra inizio di fatto del rapporto di lavoro e sottoscrizione del patto di prova determina la nullità del patto medesimo e, trattandosi di clausola che vitiatur sed non vitiat, il contratto di lavoro deve essere dichiarato a tempo indeterminato sin dall’origine. (Trib. Milano 31/5/2005, Est. Martello, in Orient. Giur. Lav. 2005, 823)
- Il contratto di lavoro con clausola di prova, costituendo una fattispecie negoziale unitaria e ab inizio completa, non può che essere stipulato – correlativamente – uno actu, nel quale sia definito lo specifico assetto di interessi perseguito dalle parti; ne consegue che la espressa previsione della prova deve essere apposta non solo prima, o almeno contestualmente all’inizio della prestazione, ma sin dal momento della formazione del consenso tra le parti (nella fattispecie la clausola di prova era stata inserita prima dell’inizio effettivo delle prestazioni lavorative, ma dopo la conclusione di un contratto di lavoro non contenente tale clausola; la corte, confermando la tesi dei giudici di appello, ha affermato che doveva ritenersi invalido il contratto successivo per la parte in cui, attraverso la introduzione della clausola di prova, veniva a derogare alla previsione concernente la stabilità del rapporto di lavoro, che, in assenza di ogni strumento condizionale, era stata inizialmente concordata). (Cass. 26/11/2004 n. 22308, Pres. Mattone Est. Filadoro, in Orient. Giur. Lav. 2005)
- La specifica indicazione delle mansioni da svolgere nell’ambito del periodo di prova costituisce requisito di validità del patto, ma a tal fine il riferimento al sistema classificatorio contenuto nella contrattazione collettiva può messere sufficiente a integrare il requisito, ove la classificazione contenga una nozione dettagliata del profilo professionale (nella specie, è stata ritenuta sufficiente la seguente indicazione: “mansioni di impiegata, 5° livello Ccnl Alimentari industria”). (Trib. Pavia 27/4/2006, Est. Balba, 458)
- Il patto di prova apposto al contratto di lavoro deve non solo risultare da atto scritto, ma contenere anche la specifica indicazione delle mansioni da espletare, atteso che la facoltà del datore di lavoro di esprimere la propria insindacabile valutazione sull’esito della prova presuppone che questa debba effettuarsi in ordine a mansioni esattamente identificate ed indicate; a tal fine, il riferimento al sistema classificatorio della contrattazione collettiva è sufficiente ad integrare il requisito della specificità dell’indicazione delle mansioni del lavoratore in prova solo se rispetto alla scala definitoria di categorie, qualifiche, livelli e profili professionali il richiamo contenuto nel patto di prova sia fatto alla nozione più dettagliata. (Cass. 19/8/2005 n. 17045, Pres. Ciciretti Rel. Amoroso, in Dir. e prat. lav. 2006, 474)
- Poiché il patto di prova mira esclusivamente a valutare le capacità professionali del lavoratore, al rapporto di lavoro del lavoratore riassunto per lo svolgimento delle medesime precedenti mansioni e con il medesimo inquadramento non è validamente apponibile la clausola prevedente lo svolgimento di un periodo di prova. (Trib. Milano 16/5/2005, Est. Peragallo, in Orient. Giur. Lav. 2005, 594)
- È nullo il patto di prova nel caso in cui il dipendente abbia già svolto le medesime mansioni presso la medesima impresa in forza di un precedente rapporto di lavoro, poiché in tale ipotesi le parti hanno già potuto sperimentare la proficuità della collaborazione (nella specie la lavoratrice aveva iniziato a lavorare per l’impresa un mese prima della formale assunzione, svolgendo le medesime mansioni di cui alla lettera di assunzione). (Trib. Milano 29/11/2004, Est. Ravazzoni, in D&L 2005, con nota di Eleonora Bocciola, “Il patto di prova nell’evoluzione giurisprudenziale”, 149)
- Il patto di prova apposto ad un contratto di lavoro che è stato preceduto da contratti di lavoro interinale è valido solo se l’obiettivo di valutare la convenienza del rapporto risulti per qualche motivo (parziale difformità delle mansioni, diversità del contesto, lasso di tempo intercorso, etc.) e il patto possa, pertanto, dirsi ancora funzionale al suo scopo naturale. Nel caso in cui tra i contratti precedenti e l’assunzione in prova non vi sia alcuna soluzione di continuità e il lavoratore abbi svolto sempre le stesse mansioni, il patto di prova, inserito in un contratto di contenuto identico ai precedenti, è privo di causa giustificatrice. (Trib. Treviso 17/11/2004, Est. De Luca, in Lav. nella giur. 2005, con commento di Francesca Marchesan, 681)
- Affinché sia possibile il controllo giudiziale del recesso datoriale in periodo di prova, occorre necessariamente che siano ben note e specificate, fin dall’inizio della prova, le mansioni che il lavoratore sarà chiamato ad esercitare. Ai fini della specificazione è insufficiente l’indicazione della qualifica di consulente aziendale, termine generico che lascia nel vago l’area di specifica competenza professionale; è, tuttavia, sufficiente integrare tale indicazione con il richiamo del reparto nell’ambito del quale il lavoratore sarà occupato, ove tale richiamo individui un’area di professionalità che, sia pure di vasta portata, abbia un significato specifico per il dipendente rendendogli facilmente e sicuramente riconoscibili le mansioni sulle quali si svolgerà la prova. (Corte d’appello Milano 10/5/2004, Est. Sbordone, in Lav. nella giur. 2004, 1309)
- Il patto di prova apposto al contratto di lavoro mira a tutelare l’interesse di entrambe le parti contrattuali a sperimentare la reciproca convenienza al contratto, sicchè deve ritenersi illegittimamente apposto un patto in tal senso che non sia funzionale alla suddetta sperimentazione per essere questa già avvenuta con esito positivo nelle specifiche mansioni e per avere in precedenza il lavoratore prestato per un congruo tempo la propria opera per il datore di lavoro. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che, con riferimento a due successivi contratti a termine, aveva ritenuto legittimo il recesso del datore di lavoro dal secondo rapporto per mancato superamento della prova, senza tuttavia verificare se, alla data della stipulazione di tale contratto, vi fosse effettiva necessità per il datore di lavoro di verificare le qualità professionali, il comportamento e la personalità complessiva del lavoratore in relazione all’adempimento della prestazione). (Cass. 11/3/2004 n. 5016, Pres. Senese Rel. Filadoro, in Dir. e prat. lav. 2004, 2158)
- Il patto di prova apposto al contratto di lavoro mira a tutelare l’interesse di entrambe le parti contrattuali di sperimentare la reciproca convenienza al contratto, con la conseguenza che deve ritenersi illegittimamente apposto un patto in tal senso che non sia funzionale alla suddetta sperimentazione per essere questa già intervenuta con esito positivo, attraverso lo svolgimento di un precedente rapporto di lavoro tra le parti, avente ad oggetto le medesime mansioni. (Fattispecie in cui la clausola di prova era stata apposta unilateralmente ad un rapporto immediatamente succeduto ad altro precedente, senza soluzione di continuità e con il mantenimento della medesima qualifica, oltre che dell’anzianità di servizio già maturata). (Cass. 5/2/2004, Pres. Dell’Anno Rel. Foglia, in Dir. e prat. lav. 2004, 2581)
- Nell’ipotesi di un patto di prova legittimamente stipulato con uno dei soggetti protetti assunti in base alla legge 2 aprile 1968 n. 482, il recesso dell’imprenditore durante il periodo di prova è sottratto alla disciplina limitativa del licenziamento individuale anche per quanto riguarda l’onere dell’adozione della forma scritta, e non richiede pertanto una formale comunicazione delle ragioni del recesso; la manifestazione di volontà del datore di lavoro, in quanto riferita all’esperimento in corso, si qualifica del resto come valutazione negativa dello stesso, e comporta, senza necessità di ulteriori indicazioni, la definitiva e vincolante identificazione della ragione che giustifica l’esercizio del potere di recesso. (Cass. 27/1/2004 n. 1458, Pres. Dell’Anno Rel. Morcavallo, in Dir. e prat. lav. 2004, 1505)
- Poiché anche ai lavoratori a tempo parziale si applica il principio, di cui all’art. 4 RDL 13/11/23 n. 1825, in forza del quale il patto di prova, per gli impiegati direttivi e dirigenti, non può in nessun caso superare i sei mesi e per gli impiegati non direttivi i tre mesi di calendario, è illegittimo il patto di prova commisurato ai giorni di effettiva presenza quando, in considerazione delle peculiarità di svolgimento del rapporto a tempo parziale, la durata complessiva del patto di prova ecceda i limiti sanciti dalla norma sopra richiamata (nella fattispecie, un impiegato non direttivo a tempo parziale con orario di lavoro settimanale di otto ore, era stato assunto con un patto di prova di 45 giorni di effettiva presenza). (Trib. Milano 20/11/2003, Est. Ianniello, in D&L 2004, 85)
- E’ nullo il patto di prova nel quale non siano specificate le mansioni alle quali il lavoratore sarà assegnato. Il solo richiamo all’inquadramento del lavoratore (nel caso di specie C2 “operaio generico”) non è elemento sufficiente per l’individuazione delle mansioni del lavoratore. (Corte d’appello Torino 22/7/2003, Est. Girolami, in Lav. nella giur. 2003, 1173)
- Sussiste la facoltà per la Pubblica Amministrazione di reiterare il periodo di prova nell’ambito di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sorto a seguito di selezione pubblica, nell’ipotesi in cui il vincitore del concorso –il cui bando prevedeva un’iniziale periodo di prova, abbia in precedenza superato, positivamente altro periodo di prova afferente ad un contratto di lavoro a tempo determinato intercorso con la medesima Pubblica Amministrazione e per identiche mansioni. (Trib. Udine 16/5/2003 n. 43, Est. Vitulli, in Lav. nella giur. 2004, con commento di Nadir Plasenzotti, 795)
- Il periodo di prova allorché la durata dello stesso sia espressamente collegata ad un periodo di lavoro effettivo, non è sospeso da ogni evento che renda temporaneamente impossibile la prestazione lavorativa, dovendosi valutare nel caso concreto se, in base ai parametri della durata della prova e della durata della sospensione, l’esperimento lavorativo abbia avuto regolare esecuzione e se quindi il potere di libero recesso risulti esercitato in modo corretto o strumentale. (Trib. Napoli 26/2/2003, Est. Caroppoli, in D&L 2003, 800)
- È inammissibile l’intervento di un ordine professionale nel giudizio promosso da un suo iscritto contro il provvedimento di recesso della pubblica amministrazione per mancato superamento del periodo di prova. Nel rapporto di lavoro del dirigente pubblico sanitario il periodo di prova non resta sospeso né durante le domeniche e le festività infrasettimanali, né durante i giorni impiegati nella formazione e nell’aggiornamento professionale che, per espressa previsione contrattuale, sono considerati servizio utile a tutti gli effetti. Nel rapporto di lavoro del dirigente pubblico sanitario, il provvedimento di recesso che risulti illegittimo per comunicazione tardiva del mancato superamento della prova, non determina le conseguenze di cui all’art. 18 SL, ma il pagamento dell’indennità risarcitoria prevista dalla contrattazione collettiva di settore; detta indennità è comprensiva di ogni aspetto risarcitorio connesso all’illegittimità del recesso non potendo pertanto configurarsi un ulteriore risarcimento per danno alla professionalità. (Trib. Firenze 6/12/2002, Est. Bronzini, in D&L 2003, 759, con nota di Gaia Giappichelli, “Licenziamento in prova del dirigente sanitario ed intervento nel processo dell’ordine professionale”)
- La forma scritta necessaria, a norma dell’art. 2096 c.c., per il patto di assunzione in prova è richiesta ad substantiam, e tale essenziale requisito di forma, la cui mancanza comporta la nullità assoluta del patto di prova, deve sussistere sin dall’inizio del rapporto, senza alcuna possibilità di equipollenti o sanatorie, potendosi ammettere solo la non contestualità della sottoscrizione di entrambe le parti prima dell’esecuzione del contratto, ma non anche la successiva documentazione della clausola verbalmente pattuita mediante la sottoscrizione, originariamente mancante, di una delle parti atteso che ciò si risolverebbe nella inammissibile convalida di un atto nullo, con sostanziale diminuzione della tutela del lavoratore. (Nella specie la Suprema Corte ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto la nullità del patto di prova sottoscritto dal dipendente il giorno successivo all’inizio dell’attività, restando irrilevante il fatto che il dipendente avesse ritardato la sottoscrizione, essendo a conoscenza dell’esistenza del patto ed avendo manifestato il proprio consenso verbalmente). (Cass. 26/7/2002, n. 11122, Pres. Prestipino, Rel. Figurelli, in Lav. nella giur. 2003, 356, con commento di Gianluigi Girardi)
- Ai sensi dell’art. 2096 c.c. il periodo di prova è finalizzato all’accertamento da parte del datore di lavoro delle capacità professionali del lavoratore; deve pertanto ritenersi nullo il patto di prova allorché il dipendente abbia svolto le medesime mansioni presso la medesima impresa in forza di un contratto di lavoro interinale, poiché in tale ipotesi le parti hanno già potuto sperimentare la proficuità della collaborazione (nella specie i due rapporti si erano succeduti senza soluzione di continuità). Trib. Busto Arsizio, 22/1/2002, Est. Perfetti, in D&L 2002, 345, con nota di Alberto Guariso, “Gli esami non finiscono mai: la Moltiplicazione delle prove nella corsa al posto di lavoro”)
- Il patto di prova deve contenere, a pena di nullità, l’indicazione scritta delle mansioni oggetto dell’esperimento, essendo a tale fine insufficiente il richiamo della qualifica e del livello di inquadramento, allorchè da tali indicazioni non possa pervenirsi, neppure per relationem, all’individuazione delle mansioni. (Trib. Busto Arsizio, 22/1/2002, Est. Perfetti, in D&L 2002, 345, con nota di Alberto Guariso, “Gli esami non finiscono mai: la Moltiplicazione delle prove nella corsa al posto di lavoro”)
- L’art. 6, l. n. 190/85 deve essere interpretato nel senso che, in considerazione della particolare posizione lavorativa dei quadri e dei dirigenti, alla contrattazione collettiva (non certo all’arbitrio del datore di lavoro) è attribuita la possibilità, in relazione alle concrete realtà aziendali e nel segno di un’attenuazione delle rigidità imposte dall’art. 2103 c.c., di stabilire un periodo superiore a tre mesi per conseguire il diritto, in forza delle mansioni di fatto svolte, ad una qualifica propria della categoria dei quadri o dei dirigenti, che può essere una soltanto (coincidente con l’appartenenza alla categoria) o più, e, in questo secondo caso, indipendentemente dalla circostanza che il dipendente interessato rivesta già una qualifica compresa nella categoria dei quadri (o dei dirigenti) (Cass. 27/9/01, n. 12073, pres. Mileo, est. Picone, in Lavoro e prev. oggi 2001, pag. 1615)
- Ai fini della validità del patto di prova non è necessaria la specifica indicazione delle mansioni da espletare (nella specie, il Tribunale ha ritenuto sufficiente che nella lettera di assunzione fossero indicate genericamente le mansioni impiegatizie con l’attribuzione del II livello di cui al c.c.n.l. del commercio) (Trib. Milano 21/3/01, est. Sala, in Orient. giur. lav. 2001, pag. 107)
- Il patto di prova apposto al contratto di lavoro deve non solo risultare da atto scritto, ma contenere anche la specifica indicazione delle mansioni da espletare, atteso che la facoltà del datore di lavoro di esprimere la propria insindacabile valutazione sull’esito della prova presuppone che questa debba effettuarsi in ordine a mansioni esattamente identificate ed indicate. A tal fine il riferimento al sistema classificatorio della contrattazione collettiva è sufficiente ad integrare il requisito della specificità dell’indicazione delle mansioni del lavoratore in prova solo se rispetto alla scala definitoria di categorie, qualifiche, livelli, profili professionali il richiamo contenuto nel patto di prova è fatto alla nozione più dettagliata (Cass. 18/11/00, n. 14950, pres. Sciarelli, in Lavoro giur. 2001, pag. 439, con nota di Girardi, Periodi di prova nel rapporto di lavoro e indicazione specifica delle mansioni)
- Con riferimento al patto di prova inserito nel contratto di lavoro, per il quale l’ordinamento – per evidenti ragioni antifrodatorie – prescrive non solo la forma scritta, ma anche la predeterminazione della durata, entro limiti massimi, gli spazi di autonomia negoziale sono limitati, proprio per una valutazione “a priori ” del carattere sfavorevole del rapporto in prova per il lavoratore, ma non sino al punto da non consentire alle parti una predeterminazione della durata “per relationem”, con rinvio esplicito alla disciplina collettiva, del tutto legittima ove esplicantesi entro i limiti inderogabili fissati dalla legge (Cass. 13/10/00, n. 13700, pres. De Musis, in Orient. Giur. Lav. 2000, pag. 988)
- E’ nullo il patto col quale, in esecuzione di quanto convenuto nel contratto di lavoro, le parti concordano la proroga del periodo di prova, ancorché in data antecedente alla sua scadenza (Pret. Milano 27/4/96, est. Mascarello, in D&L 1996, 957)
- E’ illegittimo il recesso datoriale per mancato superamento della prova, intimato prima dell’integrale decorso del termine di durata dell’esperimento costituente oggetto del relativo patto (Pret. Milano16/2/96, est. Canosa, in D&L 1996, 651)
- Il requisito della forma scritta prescritto per il patto di prova concerne anche la specifica indicazione delle mansioni oggetto di questo, la cui mancanza, pertanto, determina la conversione dell’assunzione in prova in contratto di lavoro fin dall’inizio definitivo (Cass. 26/5/95 n. 9811, pres. Pontrandolfi, est. Ciciretti, in D&L 1996, 650)
Le segnalazioni della Newsletter di Wikilabour in tema di periodo di prova
- Nullo il patto di prova dopo altri rapporti di lavoro a termine.
La Corte ribadisce il principio della nullità del patto di prova apposto a un contratto a tempo indeterminato, preceduto da altro o altri rapporti di lavoro a tempo determinato con la medesima impresa e con le medesime mansioni, in un caso in cui una portalettere, licenziata per mancato superamento della prova, aveva in precedenza intrattenuto col medesimo datore di lavoro e per mansioni identiche altri rapporti a termine, contenenti un patto di prova superato. (Cass. 9/3/2020 n. 6633, ord., Pres. Bronzini Rel. De Gregorio, in Wikilabour, Newsletter n. 7/2020)