Questa voce è stata curata da Andrea Stanchi
Arbitrato ex art. 7 Legge 300/1970
Le norme disciplinari relative alle sanzioni, alle infrazioni in relazione alle quali ciascuna di esse può essere applicata ed alle procedure di contestazione delle stesse, devono essere portate a conoscenza dei lavoratori mediante affissione in luogo accessibile a tutti.
Esse devono applicare quanto in materia è stabilito da accordi e contratti di lavoro ove esistano.
Il datore di lavoro non può adottare alcun provvedimento disciplinare nei confronti del lavoratore senza avergli preventivamente contestato l’addebito e senza averlo sentito a sua difesa.
Il lavoratore potrà farsi assistere da un rappresentante dell’associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato.
Fermo restando quanto disposto dalla Legge 15/07/1966 n. 604, non possono essere disposte sanzioni disciplinari che comportano mutamenti definitivi del rapporto di lavoro; inoltre la multa non può essere disposta per un importo superiore a quattro ore della retribuzione base e la sospensione dal servizio e dalla retribuzione per più di dieci giorni.
In ogni caso, i provvedimenti disciplinari più gravi del rimprovero verbale non possono essere applicati prima che siano trascorsi cinque giorni dalla contestazione per iscritto del fatto che vi ha dato causa.
Salvo analoghe procedure previste dai contratti collettivi di lavoro e ferma restando la facoltà di adire l’autorità giudiziaria, il lavoratore al quale sia stata applicata una sanzione disciplinare può promuovere, nei venti giorni successivi, anche per mezzo dell’associazione alla quale sia iscritto ovvero conferisca mandato, la costituzione, tramite l’ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione, di un collegio di conciliazione ed arbitrato, composto da un rappresentante di ciascuna delle parti e da un terzo membro scelto di comune accordo o, in difetto di accordo, nominato dal direttore dell’ufficio del lavoro.
La sanzione disciplinare resta sospesa fino alla pronuncia da parte del Collegio.
Qualora il datore di lavoro non provveda, entro dieci giorni dall’invito rivoltogli dall’ufficio del lavoro, a nominare il proprio rappresentante in seno al collegio di cui al comma precedente, la sanzione disciplinare non ha effetto.
Se il datore di lavoro adisce l’autorità giudiziaria, la sanzione disciplinare resta sospesa fino alla definizione del giudizio.
Non può tenersi conto ad alcun effetto delle sanzioni disciplinari decorsi due anni dalla loro applicazione.
Il lodo arbitrale irrituale ex art. 7 Legge n. 300 del 1970 (Statuto dei lavoratori) è impugnabile soltanto per vizi della manifestazione della volontà negoziale e non anche per nullità, ai sensi dell’art. 829 c.p.c.
Dalla affermata natura di arbitrato irrituale della procedura consegue che in sede giudiziale non è più ammessa la sindacabilità delle valutazioni di merito affidate alla discrezionalità degli arbitri, mentre rimane salvo il controllo dell’autorità giudiziaria sia sull’esistenza di vizi idonei ad inficiare la determinazione degli arbitri per alterata percezione o falsa rappresentazione dei fatti, sia sull’osservanza delle disposizioni inderogabili di legge ovvero di contratti o accordi collettivi.
Il lodo, emesso a seguito di arbitrato irrituale, non è censurabile in ordine alla ricostruzione e valutazione delle circostanze di fatto e alla loro riconducibilità ad una fattispecie di illecito disciplinare; pertanto, se gli arbitri accertano in via di fatto i presupposti per l’applicazione di una sanzione disciplinare nei confronti di un dipendente in conformità della previsione della contrattazione collettiva, non è possibile che tale apprezzamento di fatto sia successivamente rimesso in discussione con l’impugnazione del lodo, salva l’ipotesi in cui quest’ultimo – che ha natura strettamente negoziale – sia affetto da un vizio della volontà, quale l’errore, la violenza, o il dolo; ossia rileva solo l’errore sostanziale o essenziale (art. 1428 e 1429 c.c.), che attiene alla formazione della volontà degli arbitri e che ricorre quando questi ultimi abbiano avuto una falsa rappresentazione della realtà (Cass. 4025/06).
In caso di scelta iniziale del lavoratore di avvalersi del collegio arbitrale alla stregua del disposto di cui all’art. 7, 6º comma, Legge 20 maggio 1970 n. 300 (Statuto dei lavoratori) – che dà luogo ad un arbitrato irrituale – l’azione rivolta all’accertamento della nullità del provvedimento disciplinare è esperibile davanti al giudice del lavoro, sempre che il giudizio arbitrale, non abbia avuto inizio, il che si verifica nel momento in cui tutti gli arbitri abbiano accettato l’incarico, dovendo l’alternativa tra procedura arbitrale e giudizio ordinario valere sino a quando non sia iniziata la procedura arbitrale (Cass. 12798/03).
Per ulteriori chiarimenti quanto al contenuto della richiesta rivolta alla Direzione provinciale del lavoro della costituzione del collegio arbitrale si veda anche il sito www.governo.it
L’arbitrato previsto nei CCNL per i Dirigenti
Qualche cenno sulla tutela arbitrale in materia di rapporto di lavoro dirigenziale.
La maggior parte dei contratti collettivi prevede una tutela imperniata sul giudizio di giustificatezza del recesso datoriale, affidato ad apposito collegio arbitrale, e su un’indennità supplementare prevista in favore del dirigente ingiustificatamente licenziato, graduabile tra un minimo ed un massimo in relazione alla maggiore o minore “giustificatezza” del licenziamento.
L’intenso dibattito interpretativo sorto in passato sulla possibilità da parte del dirigente di ricorrere alla magistratura ordinaria in alternativa al collegio arbitrale, pare oggi assestato su una linea unitaria (Cass. 4566/02 dopo Cass. Sez. Un. 1463/87), nel senso della fungibilità tra la tutela arbitrale e quella giurisdizionale.
L’ampia formulazione dei contratti collettivi (il riferimento è in genere alla “giustificatezza”, senza distinzioni) fa propendere per la possibilità di adire la tutela arbitrale sia nelle ipotesi di licenziamento con preavviso sia in quelle di licenziamento in tronco, con conseguente possibilità di determinare in sede arbitrale non soltanto l’indennità supplementare ma anche (nell’ipotesi di licenziamento riconosciuto privo di giusta causa) l’indennità sostitutiva del mancato preavviso (cfr. Coll. Arb. 17.02.2005; Coll. Arb. 12.12.2002).
La giurisprudenza è ormai unanime nel qualificare la procedura arbitrale prevista dalle clausole collettive come arbitrato irrituale (Cass. 4014/98; Cass. 12223/92).
A tale conclusione la Cassazione è giunta escludendo che il collegio arbitrale previsto dalla contrattazione collettiva abbia natura di arbitratore. Esso pertanto non è chiamato ad integrare il licenziamento come fattispecie, ma è al contrario chiamato a conoscere della liceità di una fattispecie già in sé compiuta e perfetta.
Sulle impugnative del lodo irrituale di lavoro decide il Tribunale in unico grado nella cui circoscrizione è la sede dell’arbitrato, in deroga all’art. 413 c.p.c., secondo la disciplina dettata dall’art. 412 quater c.p.c., introdotto dall’art. 39, c. 1, d.lgs. n. 80 del 1998. Viene, quindi, esclusa l’impugnazione in appello della sentenza del Tribunale, solamente ricorribile per Cassazione.
Quanto al termine di impugnazione, è previsto un termine di trenta giorni decorrenti dalla notificazione del lodo.
Il comma 2 del nuovo art. 412 quater c.p.c, infine, prevede la possibilità che anche il lodo irrituale diventi esecutivo mediante deposito dello stesso nella cancelleria del tribunale una volta che sia decorso il termine decadenziale previsto per la sua impugnazione o che questa sia stata rigetta con sentenza passata in giudicato.
Secondo la giurisprudenza, il lodo irrituale è insindacabile in sede giudiziale sul punto degli apprezzamenti di merito devoluti alla discrezionalità degli arbitri, mentre è consentito il controllo dell’autorità giudiziaria sulla sussistenza di vizi idonei ad inficiare la determinazione degli arbitri per alterata percezione o falsa rappresentazione dei fatti, sull’osservanza delle norme imperative che regolano il rapporto, nonché sul rispetto dei limiti del mandato ricevuto dagli arbitri (Cass. 1500/84).
Anche per non incorrere nei divieti di cui all’art. 808, comma 2, cod. proc. civ., l’arbitrato non è infine obbligatorio (nel senso che non pregiudica la facoltà delle parti di adire l’autorità giudiziaria) ed il giudizio rimesso al giudice (privato o statale) avviene secondo diritto.
Per approfondimenti sul rapporto di lavoro dirigenziale, si veda la voce Dirigenti