Questa voce è stata curata da Alessandro Giovannelli
Nozione
Il danno esistenziale viene tradizionalmente definito come l’ingiusta lesione alle attività realizzatrici, alle abitudini di vita e agli assetti relazionali della persona.
Consiste nelle conseguenze negative che un fatto illecito extracontrattuale (art. 2043 c.c.) o un inadempimento contrattuale (art. 1218 c.c.) hanno avuto sulla sfera delle relazioni sociali, umane, affettive di un soggetto.
In dottrina, si specifica che il danno esistenziale corrisponde ad una lesione del fare areddituale del soggetto, con questo significando che il pregiudizio avviene nella sfera non patrimoniale dell’individuo (areddituale), intaccando le sue possibili azioni o relazioni esterne (il fare)
Al soggetto, a causa dell’illecito, viene impedito di fare, o è stato costretto a fare diversamente, qualcosa, e tale impedimento o costrizione ha comportato scelte dagli effetti negativi per il suo sviluppo umano e sociale.
L’indennizzo, che il giudice determina in via equitativa, va a ristorare, dunque, l’individuo leso in un proprio interesse non patrimoniale, costituzionalmente qualificato e protetto.
Sia in dottrina quanto in giurisprudenza, il danno esistenziale è tradizionalmente considerato una delle tre voci che compongono la più ampia categoria del danno non patrimoniale (che comprende, oltre all’esistenziale, anche il danno morale e il danno biologico).
Circa la possibilità di configurare il danno esistenziale come categoria autonoma (e autonomamente risarcibile) di danno non patrimoniale, però, numerosi e recenti interventi della Cassazione hanno posto seri dubbi.
Nella ricostruzione delle Sezioni Unite, infatti, appare chiaro l’intento di semplificare il sistema di risarcimento del danno a due sole macrocategorie: il danno patrimoniale (art. 2043 c.c.) e il danno non patrimoniale (2059 c.c.).
L’interpretazione della Suprema Corte, dunque, vorrebbe configurare il danno esistenziale come una delle voci in cui è possibile declinare il danno non patrimoniale, senza il riconoscimento della natura di categoria autonoma di danno.
Dal punto di vista pratico, una simile impostazione consente al giudice di determinare il danno non patrimoniale in maniera complessiva (e omnicomprensiva), con una analoga liquidazione unica, a ristoro totale delle lesioni morali, biologiche o esistenziali.
Il rischio è quello di una minor attenzione, in sede di giudizio, alle specifiche esigenze di tutela delle singole voci di danno, con la conseguenza di un ristoro non sempre congruo.
Fonti normative
La fonte normativa che fonda la risarcibilità del danno esistenziale è l’art. 2059 c.c.
La norma contiene, peraltro, una riserva di legge: ossia, per quanto stabilito dall’art. 2059 c.c. il danno non patrimoniale potrebbe essere risarcito soltanto in presenza di una espressa previsione legislativa che tipizzi fattispecie di danno e diritto al risarcimento.
Secondo una ormai consolidata interpretazione della norma, la riserva di legge si intende soddisfatta dal riferimento alle norme costituzionali che proteggono valori assoluti della persona, cui l’ordinamento garantisce – almeno – la tutela minima indispensabile dell’indennizzo in caso di lesione.
In questo senso, dunque, l’art. 2059 c.c. permetterebbe l’indennizzo delle lesioni alla vita relazionale del soggetto così come rintracciabili negli articoli della Costituzione (artt. 2, 3, 4, etc.)
Come chiarito in maniera netta, da ultimo, dalle Sezioni Unite di Cassazione (11.11.2008, n. 26972), il danno non patrimoniale, per simmetrica costruzione concettuale con il danno patrimoniale, può nascere da situazioni extracontrattuali, sia da un inadempimento contrattuale.
Il danno esistenziale nel rapporto di lavoro
Nell’ambito del rapporto di lavoro, la richiesta di risarcimento del danno non patrimoniale si fonda sull’art. 2087 c.c. (l’onere del datore di lavoro di garantire l’incolumità fisica e la protezione della personalità morale del lavoratore), letto anch’esso come norma in grado di sciogliere il rinvio di cui all’art. 2059 c.c.
Come esempi inadempimenti del datore di lavoro, cause di danno esistenziale riconosciuto dalla giurisprudenza lavoristica possono essere indicati:
- la dequalificazione professionale (in quanto pregiudizio alla vita di relazione del lavoratore)
- il demansionamento (per le analoghe ragioni della dequalificazione professionale, aggravate se il demansionamento è sorretto da motivazioni discriminatorie)
- la soppressione del riposo settimanale o delle ferie (danno da usura psicofisica, da qualificarsi come esistenziale finché non rientri nella lesione medicalmente accertabile)
- il mobbing
- il provvedimento disciplinare o il licenziamento ingiusto o ingiurioso (quando lesivo del decoro, della dignità o dell’onore del lavoratore colpito dal provvedimento datoriale).
Il danno esistenziale nel processo: oneri probatori a carico del lavoratore
Il lavoratore che intenda ottenere giudizialmente il ristoro del danno esistenziale sofferto in conseguenza di un inadempimento del datore di lavoro ha l’onere di prova dei fatti costitutivi della pretesa: il lavoratore dovrà dimostrare i mutamenti alla propria vita di relazione, le scelte cui è stato costretto, i pregiudizi alla propria sfera affettiva o sociale causati dall’illecito del datore di lavoro.
Un mero onere di allegazione, invece, riguarda l’inadempimento contrattuale colposo che si imputa al datore: al lavoratore sarà sufficiente prospettare l’inadempimento e la colpa, gravando invece l’onere probatorio inverso sullo stesso datore che, nelle eccezioni, potrà dimostrare l’inesistenza dell’inadempimento o l’assenza di colpa.
Approfondimenti
Distinzioni con il danno morale e il danno biologico e origini del danno esistenziale
Nella distinzione tradizionale – ma che può considerarsi sostanzialmente superata dopo le pronunce della Cassazione del 2003 (nn. 7282 e 8828), del 2006 (n. 6572) e del 2008, nonché della Corte Costituzionale n. 233/2003 – il danno esistenziale si differenzia dalle altre due voci (o categorie) di danno non patrimoniale perché l’indennizzo sarebbe accordato in ragione della protezione non tanto della sfera intima del soggetto danneggiato, quanto delle sue propensioni esteriori: la sua vita di relazione intesa in senso lato, ossia quello che sinteticamente viene definito il fare areddituale del soggetto.
A differenza del danno esistenziale, infatti, entrambe le altre figure di danno non patrimoniale sono caratterizzate un’alterazione della sfera personalissima dell’individuo.
Il danno morale viene concepito come la sofferenza, lo stato psichico di angoscia, il malessere acuto e interno della vittima, diretta o indiretta, di un illecito o di un inadempimento (che corrisponda o meno ad un’astratta fattispecie di reato, dopo il superamento del collegamento necessario ed esclusivo tra art. 2059 c.c. e art. 185 c.p.)
Il danno biologico – da considerarsi risarcibile anch’esse entro l’alveo del danno non patrimoniale e non già, come a lungo avvenuto in passato, in forza del combinato disposto dell’art. 2043 c.c. con l’art. 32 Cost. – si sostanza nella menomazione, medicalmente accertabile, dello stato psico-fisico del soggetto, il risarcimento anche in questo caso andando a retribuire una diminuzione individualissima della sfera intima del soggetto, il corpo.
Il risarcimento del danno esistenziale, invece, copre la sfera di relazione del soggetto, ossia rende ragione e protezione, più che all’individuo classicamente inteso – proprietario e sovrano del sé – alla persona, in tutta la sua complessità costituzionale.
Un fatto illecito, un inadempimento contrattuale, in altre parole, ha conseguenze negative anche nei luoghi dove il singolo si fa persona: nella famiglia e nelle formazioni sociali, sul lavoro, nell’ambiente naturale e sociale in cui il soggetto opera.
In questo senso, l’elaborazione concettuale e pratica del danno esistenziale deve essere considerata come l’avanguardia verso quel riconoscimento dell’integrale ristoro dei danni alla persona cui anche la Suprema Corte di Cassazione (sent. 11.11.2008, n. 26972) sembra voler tendere.
Il danno esistenziale è figura di origine dottrinaria, quanto alla sua definizione concettuale, ma di derivazione giurisprudenziale circa l’emersione delle situazioni soggettive meritevoli di tutela non riconducibili agli stretti limiti del danno biologico o del danno morale soggettivo.
L’interpretazione classica, che aveva condotto alla riparazione della menomazione psico-fisica (danno biologico), argomentando a partire dall’art. 2043 c.c. combinato con l’art. 32 Cost., congiunta alla tradizionalmente pacifica ristorazione del c.d. danno morale soggettivo transeunte derivante da reato (art. 2059 c.c. combinato con l’art. 185 c.p.), lasciava infatti prive di tutela risarcitoria tutta una serie di situazioni soggettive decisive per quella piena realizzazione della persona umana sancita dalla Carta costituzionale e relative alla sfera sociale di un individuo (affetti e famiglia, lavoro, ambiente) che non poteva essere più compresso negli stretti spazi della proprietà e dell’intangibilità fisica.
D’altra parte – e qui sta l’ineliminabile fragilità ontologica e concettuale della figura del danno esistenziale – l’allargamento delle situazioni meritevoli di tutela risarcitoria così prospettato rischiava di collidere con la riserva di legge (e la tipicità) che sembrava imporre l’art. 2059 c.c. laddove stabilisce che il danno non patrimoniale deve essere risarcito solo nei casi determinati dalla legge.
Per come è stata tradizionalmente individuata, la categoria del danno esistenziale è, infatti, la più capace, tra le tre, di evadere le colonne d’ercole dell’art. 2059 c.c., intesa come norma che fonda la risarcibilità del danno non patrimoniale soltanto in ipotesi tipizzate dalla legge.
Emergono, dalla prassi, specialmente sul terreno del rapporto di lavoro, fattispecie inedite di danno: si percepiscono come meritevoli di tutela anche gli interessi che riguardano la sfera esteriore, relazionale, esistenziale dell’uomo. O meglio, si ritengono risarcibili quelle lesioni conseguenti ad eventi che si frappongono tra la persona e la possibilità di piena realizzazione predicata dall’art. 2 Cost.
Dunque, quella del danno esistenziale è la categoria senz’altro più ampia tra le voci di danno non patrimoniale; quella più difficile da delimitare e che porta in sé il germe della residualità (risarcibili come esistenziali tutti i danni non patrimoniali non inquadrabili come morali o biologici?); più capace, di conseguenza, di violare il limite della tassonomia imposto dall’art. 2059 c.c.; più fragile perché, per ricondurre l’evento lesivo ad una norma che protegga l’interesse leso, l’interprete, in primo luogo il giudice, è chiamato ad un’operazione ermeneutica complessa, che tenga conto non solo del dato positivo della norma costituzionale, ma anche dell’evoluzione dell’intero ordinamento.
Si potrebbe sostenere, quindi, che il danno esistenziale è la frontiera dell’evoluzione teorica sul danno non patrimoniale, il punto di massima estensione (o di rottura) della tutela offerta dal 2059 c.c. prima di sforare nella completa atipicità e dunque, allo stato attuale della legislazione, nel non risarcibile.
La nascita e lo sviluppo della figura dei danni esistenziali rispondono, dunque, all’esigenza di arrivare ad una tutela complessiva della persona, tendenzialmente verso quella dicotomia perfetta del risarcimento (danno patrimoniale e danno non patrimoniale) che, secondo i principi generali del neminem laedere e della tutela minima dei diritti inviolabili, dovrebbe consentire alla persona di essere ristorata per ogni lesione ingiusta, indipendentemente dagli angusti limiti del 2059 c.c.
Casistica di decisioni della Magistratura in tema di danno esistenziale
- Con riferimento al risarcimento del danno esistenziale per perdita del rapporto parentale e del danno morale e biologico iure successionis in favore degli eredi di un lavoro deceduto dopo alcuni giorni dall’infortunio, non è risarcibile il danno esistenziale (in quanto duplicazione del danno morale iure proprio già riconosciuto) e il danno morale iure successionis (in quanto duplicazione del danno biologico richiesto allo stesso titolo), mentre deve essere riconosciuto nella misura del 100% il danno biologico terminale iure successionis, considerando, più che il lasso temporale tra l’infortunio e la morte, l’intensità della sofferenza provata dalla vittima dell’illecito per la presenza di una sofferenza e di una disperazione esistenziale di intensità tale da determinare nella percezione dell’infortunato un danno catastrofico, in una situazione di attesa lucida e disperata dell’estinzione della vita. (Cass. 18/1/2011 n. 1072, Pres. Vidiri Est. Zappia, in Orient. Giur. Lav. 2011, 114)
- Il danno c.d. esistenziale, non costituendo una categoria autonoma di pregiudizio, ma rientrando nel danno morale, non può essere liquidato separatamente solo perché diversamente denominato. Il diritto al risarcimento del danno morale, in tutti i casi in cui è ritenuto risarcibile, non può prescindere dalla allegazione da parte del richiedente, degli elementi di fatto dai quali desumere l’esistenza e l’entità del pregiudizio. (Cass. S.U. 16/2/2009 n. 3677, Pres. Prestipino Est. La Terza, in Lav. nella giur. 2009, con commento di Alessia Muratorio, 576)
- Il danno non patrimoniale è categoria generale non suscettiva di suddivisione in sottocategorie variamente etichettate. In particolare, non può farsi riferimento a una generica sottocategoria denominata “danno esistenziale”, perché attraverso questa si finisce per portare anche il danno non patrimoniale nell’atipicità, sia pure attraverso l’individuazione della apparente tipica figura del danno esistenziale, in cui tuttavia confluiscono fattispecie non necessariamente previste dalla norma ai fini della risarcibilità di tale tipo di danno, mentre tale situazione non è voluta dal legislatore ordinario né necessita dell’interpretazione costituzionale dell’art. 2059 c.c., che rimane soddisfatta dalla tutela risarcitoria di specifici valori della persona presidiati da diritti inviolabili secondo la Costituzione. (S.U. 11/11/2008 n. 26972, Pres. Carbone Est. Preden, in Orient. della giur. del lav. 2009, 1)
- Nessun danno esistenziale può essere ravvisato nel divieto di svolgimento di lavoro straordinario, in quanto il lavoratore non ha un diritto allo svolgimento del lavoro straordinario e non può pertanto lamentare alcun danno nell’ipotesi in cui il datore di lavoro decida unilateralmente di vietargli la prestazione di attività straordinaria. Nessun danno esistenziale può essere ricollegato alla privazione totale dell’attività lavorativa, allorquando la situazione di inattività si protragga per un periodo breve (nella specie, circa tre mesi), per un lavoratore ormai prossimo alla pensione. (Corte App. Torino, in Orient. Giur. Lav. 2005, 548)
- In ipotesi di infortunio sul lavoro in relazione al quale sia stata accertata la responsabilità datoriale, compete al lavoratore, per le lesioni dell’integrità psicofisica subite, sia il risarcimento del danno biologico, sia il risarcimento del danno morale, sia il risarcimento del danno esistenziale, inteso quale modificazione peggiorativa della qualità della vita, patita dalla vittima a conseguenza dell’infortunio, in relazione alla menomazione delle possibilità di esplicazione della propria individualità e personalità.
- In ipotesi di infortunio sul lavoro da cui siano derivate lesioni dell’integrità psicofisica del lavoratore, il risarcimento del danno esistenziale in aggiunta al risarcimento del danno morale e biologico non costituisce ingiustificata duplicazione delle voci di danno, in quanto il danno esistenziale differisce sia dal danno morale che dal danno biologico. Dal danno morale, in quanto il danno esistenziale si traduce nell’impossibilità di svolgere precedenti attività quotidiane realizzatrici della propria personalità, mentre il danno morale attiene alle sofferenze fisiche e morali patite a cagione dell’altrui comportamento; dal danno biologico, in quanto tale voce di danno concerne le sole lesioni dell’integrità psicofisica suscettibili di accertamento medico legale, mentre il danno esistenziale riguarda le limitazioni subite dall’attività realizzatrice della propria personalità a conseguenza della condotta illecita altrui. (Trib. Parma 17/4/2003, Est. Brusati, in D&L 2003, 668, con nota di Giampaolo Tagliagambe, “Risarcibilità cumulativa del danno biologico e del danno esistenziale in ipotesi di lesioni dell’integrità psicofisica”)
- L’utilizzazione da parte del datore di lavoro dell’immagine del proprio dipendente che a tal fine non lo abbia espressamente autorizzato costituisce condotta illegittima per violazione degli artt. 10 e 2043 c.c. e fonda il diritto del dipendente ad ottenere il risarcimento del danno extracontrattuale non patrimoniale; tale danno rientra nella categoria del danno esistenziale da intendersi come danno riferibile ad ogni lesione di diritti fondamentali della persona e deve essere liquidato in via equitativa (nella specie l’Amministrazione comunale datrice di lavoro aveva predisposto una riproduzione a grandezza naturale di un dipendente vigile urbano e l’aveva esposta in alcuni punti della città, con finalità di prevenzione delle infrazioni nelle ore notturne). L’utilizzazione da parte del datore di lavoro dell’immagine del proprio dipendente nell’atto di svolgere le sue ordinarie mansioni costituisce violazione dell’art. 2087 c.c. in quanto lede la dignità professionale dello stesso e ne fonda il diritto ad ottenere il risarcimento del danno contrattuale non patrimoniale; tale danno rientra nella categoria del danno esistenziale e deve essere liquidato in via equitativa utilizzando come parametro la retribuzione mensile che il datore di lavoro avrebbe erogato ove avesse utilizzato, in luogo dell’immagine, la persona fisica del dipendente. La competenza funzionale del Giudice del lavoro sussiste in ordine all’accertamento della sola responsabilità contrattuale del datore di lavoro nei confronti del dipendente e non anche di quella extracontrattuale; ma qualora concorrano entrambi i titoli di responsabilità detta competenza sussiste per tutta la materia in forza del principio di specialità. (Trib. Forlì 9/10/2002, Est. Sorgi, in D&L 2002, 915)
- La lesione della personalità morale del dipendente costituisce violazione dell’art. 2087 c.c. e dà luogo ad un danno esistenziale, la cui nozione è distinta da quella del danno biologico, che presuppone un pregiudizio alla salute fisica o psichica, e da quella del danno morale, che consegue quando il fatto lesivo costituisce ipotesi di reato; l’ammontare del danno esistenziale è quantificabile in via equitativa, ai sensi del combinato disposto degli artt. 2056 e 1226 (nella fattispecie, affermata la lesione della personalità morale della dipendente che aveva subito molestie sessuali, il datore di lavoro ed il molestatore sono stati condannati in solido al risarcimento del danno esistenziale, quantificato in via equitativa in L. 30 milioni, utilizzando il parametro delle quindici mensilità previsto in caso di licenziamento; il solo molestatore è stato inoltre condannato al risarcimento del danno morale, quantificato in L. 15 milioni). (Trib. Pisa 6/10/2001, Est. Nisticò, in D&L 2002, 126)