Questa voce è stata curata da Barbara Fezzi
Scheda sintetica
È vietato adibire al lavoro le lavoratrici nei due mesi precedenti la data presunta del parto e nei tre mesi successivi al parto.
Il divieto è anticipato a tre mesi dalla data presunta del parto quando le lavoratrici sono occupate in lavori che, in relazione all’avanzato stato di gravidanza, siano da ritenersi gravosi o pregiudizievoli.
Può inoltre essere disposta l’interdizione dal lavoro delle lavoratrici in stato di gravidanza anche in un momento precedente nei seguenti casi:
- nel caso di gravi complicanze della gravidanza o di preesistenti forme morbose che si presume possano essere aggravate dallo stato di gravidanza;
- quando le condizioni di lavoro o ambientali siano ritenute pregiudizievoli alla salute della donna e del bambino;
- quando la lavoratrice non possa essere spostata ad altre mansioni, non pregiudizievoli.
Ove il parto avvenga oltre la data presunta, l’astensione obbligatoria opera anche per il periodo intercorrente tra la data presunta e la data effettiva del parto, nonché durante gli ulteriori giorni non goduti prima del parto, qualora il parto avvenga in data anticipata rispetto a quella presunta.
Il d.lgs. 80/2015 – uno dei decreti attuativi del c.d. Jobs Act (legge delega n. 183/2014) – ha recentemente stabilito che, in caso di parto prematuro, i giorni non goduti prima del parto si aggiungono al periodo di congedo di maternità dopo il parto, anche quando la somma dei periodi (prima e dopo il parto) supera il limite di 5 mesi. Tale disposizione, originariamente prevista in via sperimentale per il solo anno 2015, è stata resa definitiva dal d.lgs. 148/2015.
Con lo stesso decreto 80/2015 è stato altresì previsto che, in caso di ricovero del neonato in una struttura pubblica o privata, la madre ha diritto di chiedere la sospensione del congedo post partum, riprendendo l’attività lavorativa e differendo la fruizione del congedo dalla data di dimissione del bambino.
Tale diritto può essere esercitato una sola volta per ogni figlio ed è subordinato alla produzione di attestazione medica che dichiari la compatibilità dello stato di salute della donna con la ripresa dell’attività lavorativa.
Anche tale misura è stata resa strutturale dal d.lgs. 148/2015, e si applica anche in caso di adozioni e affidamenti.
In presenza di certificazione medica che attesti che la prosecuzione dell’attività lavorativa anche nel corso dell’ottavo mese di gravidanza non comporti pericoli per la salute della gestante e del nascituro, le lavoratrici possono posticipare la decorrenza del periodo di astensione obbligatoria, scegliendo di astenersi dal lavoro a partire dal mese precedente la data presunta del parto e nei quattro mesi successivi al parto.
Prima dell’inizio del periodo relativo al congedo di maternità, le lavoratrici devono consegnare al datore di lavoro e all’istituto erogatore dell’indennità di maternità il certificato medico indicante la data presunta del parto.
Successivamente, la lavoratrice è tenuta a presentare, entro trenta giorni, il certificato di nascita del figlio, ovvero la dichiarazione sostitutiva.
Per tutto il periodo del congedo per maternità, le lavoratrici hanno diritto ad una indennità giornaliera pari all’80% della èretribuzione|retribuzione].
Molti contratti collettivi pongono a carico del datore di lavoro il pagamento del restante 20%, così da assicurare alla lavoratrice l’intera retribuzione.
L’indennità di maternità è dovuta anche in caso di:
- licenziamento per giusta causa della lavoratrice (questa ipotesi è stata introdotta dal d.lgs. 80/2015; il decreto, peraltro, non ha fatto altro che rendere esplicito quanto già era stato disposto dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 405 del 2001, che aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 24, comma 1, del d.lgs. 151/2001, nella parte in cui escludeva la corresponsione dell’indennità di maternità in caso di licenziamento per giusta causa della lavoratrice)
- cessazione dell’attività dell’azienda cui la lavoratrice è addetta;
- ultimazione della prestazione per la quale la lavoratrice è stata assunta;
- risoluzione del rapporto di lavoro per la scadenza del termine.
Le lavoratrici gestanti che si trovino, all’inizio del periodo di congedo di maternità, sospese, assenti dal lavoro senza retribuzione, ovvero disoccupate, sono ammesse al godimento dell’indennità giornaliera di maternità purché tra l’inizio della sospensione, dell’assenza o della disoccupazione e quello di detto periodo non siano decorsi più di sessanta giorni, per il calcolo dei quali non si tiene conto di:
- assenze per malattia o infortunio sul lavoro;
- congedi per precedente maternità;
- periodi di mancata prestazione lavativa prevista dal contratto di lavoro a tempo parziale di tipo verticale.
Qualora invece il periodo di congedo di maternità abbia inizio dopo che siano trascorsi sessanta giorni dalla risoluzione del rapporto di lavoro (o dalla sospensione):
- se la lavoratrice si trova – all’inizio del congedo – disoccupata e con diritto al godimento dell’indennità di disoccupazione, ha diritto all’indennità giornaliera di maternità, anziché all’indennità ordinaria di disoccupazione;
- se la lavoratrice non è titolare di diritto al godimento di indennità di disoccupazione, ha diritto all’indennità giornaliera di maternità purché al momento dell’inizio del congedo di maternità non siano trascorsi più di centottanta giorni dalla data di risoluzione del rapporto e, nel biennio che precede il suddetto periodo, risultino a suo favore, nell’assicurazione obbligatoria per le indennità di maternità, ventisei contributi settimanali;
- se la lavoratrice si trova – all’inizio del congedo – sospesa e in godimento del trattamento di integrazione salariale a carico della Cassa integrazione Guadagni, ha diritto all’indennità giornaliera di maternità, anziché al trattamento integrativo.
I periodi di congedo di maternità sono computati nell’anzianità di servizio a tutti gli effetti, compresi quelli relativi alla tredicesima mensilità e alle ferie.
Le ferie che spettano alla lavoratrice non devono essere godute contemporaneamente ai periodi di congedo per maternità.
La lavoratrice che abbia adottato un minore ha diritto all’astensione dal lavoro nei cinque mesi successivi all’ingresso del minore nella famiglia.
Nel caso di affidamento di minore, il congedo può essere fruito entro cinque mesi dall’affidamento, per un periodo di tre mesi.
La normativa relativa al congedo di maternità si applica alle lavoratrici dipendenti (comprese le lavoratrici a domicilio, le lavoratrici domestiche e quelle con contratto a tempo parziale) ed alle titolari di collaborazioni a progetto (per le quali, in caso di gravidanza, è prevista la proroga della durata del rapporto di lavoro per 180 giorni).
Godono di una indennità di maternità (erogata dall’INPS) anche le lavoratrici autonome e le imprenditrici agricole.
L’indennità è erogata per i due mesi antecedenti la data del parto e per i tre mesi successivi ed è pari all’80 per cento della retribuzione minima giornaliera prevista rispettivamente per gli impiegati e per gli operai agricoli a tempo indeterminato.
Alle libere professioniste, iscritte a una cassa di previdenza e assistenza, è corrisposta un’indennità di maternità (in misura pari all’80 per cento di cinque dodicesimi del reddito percepito e denunciato ai fini fiscali dalla libera professionista nel secondo anno precedente a quello della domanda) per i due mesi antecedenti la data del parto e i tre mesi successivi.
L’indennità è corrisposta, indipendentemente dall’effettiva astensione dall’attività, dalla competente cassa di previdenza e assistenza, a seguito di apposita domanda presentata dall’interessata a partire dal compimento del sesto mese di gravidanza ed entro il termine perentorio di centottanta giorni dal parto.
Va infine segnalato che la riforma del 2012 ha introdotto, in via sperimentale per il triennio 2013-2015, un periodo di astensione obbligatoria anche a favore del padre lavoratore dipendente, il quale, entro 5 mesi dalla nascita del figlio, ha l’obbligo di astenersi dal lavoro per un periodo di un giorno, con un’indennità giornaliera, a carico dell’INPS, pari al 100 per cento della sua retribuzione.
La medesima riforma ha inoltre previsto, sempre in via sperimentale, che, nello stesso periodo, il padre lavoratore ha la facoltà di assentarsi dal lavoro per un ulteriore periodo di due giorni, anche continuativi, previo accordo con la madre e in sua sostituzione in relazione al periodo di astensione obbligatoria spettante a quest’ultima. L’utilizzo delle ulteriori giornate di congedo facoltativo da parte del padre comporta la riduzione del congedo di maternità della madre per il medesimo numero di giorni, con conseguente anticipazione del termine finale dell’astensione post-partum.
Per il periodo di due giorni goduto in sostituzione della madre è riconosciuta un’indennità giornaliera a carico dell’INPS pari al 100 per cento della retribuzione.
La legge n. 208/2015 (c.d. Legge di stabilità 2016), da ultimo, ha prorogato per l’anno 2016 l’applicazione della disciplina di entrambi i congedi (obbligatorio e facoltativo) a favore del padre, aumentando a due giorni la durata del congedo obbligatorio.
Per approfondimenti si vedano le voci: