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Scheda sintetica
La legge n. 108/1990 stabilisce che il licenziamento di un lavoratore assunto presso un’impresa che non raggiunge le soglie dimensionali indicate dall’art. 18 della legge 300/1970 (unità produttiva con più di 15 lavoratori, o più di 5 se si tratta di imprenditore agricolo, o più di 60 dipendenti in totale) deve essere fatto con atto scritto. Il licenziamento intimato a voce è inefficace.
A richiesta del lavoratore, il datore di lavoro deve fornire le motivazioni che lo hanno indotto a procedere al licenziamento.
Se le ragioni addotte dal datore di lavoro non appaiono convincenti, il dipendente licenziato può rivolgersi al Giudice del lavoro, che deve valutare se il licenziamento sia motivato da una giusta causa o da un giustificato motivo (oggettivo o soggettivo).
In caso di licenziamento illegittimo – cioè se non sussiste né la giusta causa né il giustificato motivo – il giudice applica i regimi sanzionatori previsti dalla legge.
A seguito dell’entrata in vigore del Decreto legislativo n. 23/2015, in tema di “contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti”, attuativo della legge delega 183 del 2014 (c.d. Jobs Act), il nostro ordinamento distingue due diversi regimi sanzionatori, a seconda che il licenziamento illegittimo riguardi lavoratori assunti prima o dopo il 7 marzo 2015.
A. Le tutele per i lavoratori assunti prima del 7 marzo 2015
Ai lavoratori assunti prima del 7 marzo 2015, si applicano le tutele previste dall’art. 8 della legge 604/1966, così come sostituito dall’art. 2 della Legge 108/1990, e dai primi tre commi dell’art. 18 della legge 300/1970, così come modificati dalla legge 92/2012 (c.d. Legge Fornero).
Sulla base di tali norme è previsto che i lavoratori delle piccole imprese possano beneficiare della tutela reintegratoria nei casi di:
- licenziamento nullo perché discriminatorio;
- licenziamento intimato in concomitanza con il matrimonio;
- licenziamento comminato in violazione delle disposizioni in materia di tutela della maternità e paternità;
- licenziamento determinato da motivo illecito determinante;
- altre ipotesi di licenziamento nullo previsto dalla legge;
- licenziamento inefficace perché intimato in forma orale.
In tutti questi casi, i lavoratori delle piccole imprese hanno diritto a ottenere:
- la reintegrazione nel posto di lavoro;
- il risarcimento del danno, ossia un’indennità commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del licenziamento al giorno dell’effettiva reintegrazione; detta indennità non può in ogni caso essere inferiore alle 5 mensilità (non è invece previsto un limite massimo). Dall’importo deve essere dedotto quanto eventualmente percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative;
- il versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali;
- il cd. diritto di opzione, ossia la possibilità di scegliere fra l’effettiva reintegra oppure un’indennità sostitutiva commisurata a 15 mensilità della retribuzione globale di fatto e non assoggettata a contribuzione previdenziale.
In tutte le altre ipotesi di licenziamento illegittimo, invece, il lavoratore assunto prima del 7 marzo 2015 avrà diritto a una tutela esclusivamente economica.
In particolare, l’art. 8 della legge 604/1966, nella sua attuale formulazione, prevede che quando il giudice accerta che non ricorrono gli estremi del licenziamento per giusta causa o giustificato motivo, il datore di lavoro è tenuto a riassumere il lavoratore entro il termine di tre giorni o, in mancanza, a versargli un’indennità di importo compreso tra un minimo di 2,5 e un massimo di 6 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.
L’esatto ammontare dell’indennità è determinato dal giudice in base al numero dei dipendenti occupati, alle dimensioni dell’impresa, all’anzianità di servizio del prestatore di lavoro, al comportamento e alle condizioni delle parti.
Il decreto legislativo 23/2015, sul contratto a tutele crescenti, ha introdotto un nuovo regime sanzionatorio per le ipotesi di licenziamento illegittimo. Le novità riguardano anche i dipendenti presso datori di lavoro che non raggiungono le soglie numeriche richieste per l’applicazione dell’art. 18 e si applicano a tutti i lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto (7 marzo 2015), oltre che nei casi di conversione, successiva all’entrata in vigore del decreto, di contratto a tempo determinato o di apprendistato in contratto a tempo indeterminato (art. 1, co. 2).
La nuova disciplina prevede anzitutto che i lavoratori delle piccole imprese possano beneficiare della tutela reintegratoria nei casi di (art. 2):
- licenziamento discriminatorio;
- licenziamento nullo per espressa previsione di legge (ad esempio perché intimato in concomitanza con il matrimonio o in violazione delle disposizioni in materia di tutela della maternità e paternità);
- licenziamento intimato per motivi relativi alla salute e disabilità fisica o psichica del lavoratore.
In tutte queste ipotesi, il giudice ordina al datore di lavoro la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro e lo condanna altresì al risarcimento del danno, stabilendo un’indennità commisurata all’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, corrispondente al periodo intercorrente tra il giorno del licenziamento e quello dell’effettiva reintegrazione. A tale indennità, che non può in ogni caso essere inferiore a 5 mensilità, va dedotto quanto eventualmente percepito dal lavoratore, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative (c.d. aliunde perceptum).
Per tutte le altre ipotesi di licenziamento illegittimo, l’art. 9 del decreto legislativo 23 del 2015 prevede l’applicazione del medesimo regime di tutele previsto per i dipendenti delle imprese di maggiori dimensioni, con due significative differenze: è esclusa la reintegrazione nell’ipotesi del licenziamento disciplinare dichiarato illegittimo per insussistenza del fatto materiale e la tutela economica risulta sostanzialmente dimezzata.
Ciò significa che, allorché il giudice accerti l’illegittimità del provvedimento espulsivo, il lavoratore avrà diritto esclusivamente a un indennizzo economico (non assoggettato a contribuzione previdenziale) di importo pari a una mensilità per ogni anno di servizio; in ogni caso, l’indennizzo non può essere inferiore a 2 mensilità, né può superare le 6 mensilità.
In caso di licenziamento illegittimo per violazione della procedura prevista dall’art. 7 della Legge 300 del 1970, al lavoratore spetterà, invece, un indennità (non assoggettata a contribuzione previdenziale) pari a mezza mensilità per ogni anno di servizio, con un limite minimo di 1 mensilità e un limite massimo di 6 mensilità.
B. L’offerta di conciliazione
Il decreto legislativo 23/2015 prevede una nuova procedura conciliativa, finalizzata a rendere più rapida la definizione del contenzioso sul licenziamento, che prevede l’immediato pagamento di un indennizzo da parte del datore di lavoro.
In particolare, l’art. 6 del decreto stabilisce che, in caso di licenziamento, il datore di lavoro, al fine di evitare il giudizio, entro i termini di impugnazione stragiudiziale del licenziamento (60 giorni), può convocare il lavoratore presso una delle sedi conciliative indicate dal quarto comma dell’art. 2113 c.c. (tra cui, in particolare, le commissioni di conciliazione presso le direzioni provinciali del lavoro) e dall’art. 76 del decreto legislativo 276 del 2003, e offrirgli un assegno circolare che, per i lavoratori delle piccole imprese, avrà un importo pari a mezza mensilità per ogni anno di servizio, e comunque non inferiore a 1 mensilità e non superiore a 6 mensilità.
Per incentivare questo tipo di soluzione, il legislatore ha previsto che detto indennizzo non costituisce reddito imponibile per il lavoratore e non è assoggettato a contribuzione previdenziale.
L’accettazione dell’assegno da parte del lavoratore comporta l’estinzione del rapporto alla data del licenziamento e la rinuncia all’impugnazione del licenziamento anche qualora il lavoratore l’abbia già proposta.
Per approfondimenti vedi la voce Licenziamento individuale
Normativa – Cosa fare – Tempi – A chi rivolgersi
Per ulteriori informazioni su questi aspetti, si veda la voce licenziamento individuale
Casistica di decisioni della Magistratura in tema di licenziamento nelle piccole imprese
In genere
- Gli effetti della inefficacia dl licenziamento per vizi di forma sono diversi a seconda che si sia in presenza della c.d. tutela reale ex art. 18, l. n. 300/70 ovvero di quella obbligatoria ai sensi della l. n. 604766: nel primo caso, infatti, le conseguenze sono le stesse del licenziamento privo di giusta causa o di giustificato motivo, mentre per i rapporti assistiti dalla tutela obbligatoria il recesso non produce efficacia sulla continuità del rapporto ed il lavoratore ha diritto – trattandosi di contratto a prestazioni corrispettive – non già alle retribuzioni, ma al risarcimento del danno, da determinarsi secondo le regole generali dell’inadempimento delle obbligazioni (Cass. 12/10/00, n. 13625, pres. Ianniruberto, , in Orient. Giur. Lav. 2000, pag. 1078)
- Il licenziamento inefficace per motivi di forma, in impresa priva della tutela reale, non è assoggettato al regime di cui all’art. 8 L. 15/7/66 n. 64, non produce effetti sulla continuità del rapporto e determina il diritto alla riammissione in servizio, oltre all’obbligo di risarcire il danno, commisurato alle retribuzioni non percepite (detraendo l’aliunde perceptum) (Cass. 27/7/99 n. 508, pres. Grossi, est. Ianniruberto, in D&L 1999, 889, n. Muggia, Violazioni gravi, tutela maggiore e in Dir. lav. 2000, pag.359, con nota di Mocella, Le Sezioni Unite risolvono il contrasto sulle conseguenze del licenziamento inefficace nell’area di stabilità obbligatoria. In senso conforme, v. Cass. 21/3/00 n. 3345, pres. Genghini, in Orient. Giur. Lav. 2000, pag. 467; in Argomenti dir. lav. 2003, 357)
- L’art. 8, L. 15/7/66 n. 604 costituisce norma derogabile in melius da parte della contrattazione collettiva, che ben può prevedere l’applicazione del regime di stabilità reale anche alle imprese di minori dimensioni; tale derogabilità non è in contrasto né con l’art. 3 né con l’art. 44, 1° comma, Cost. non essendo ravvisabili, in tale materia, interessi generali idonei a comprimere la libertà di contrattazione (Corte Cost. 23/4/98 n. 143, pres. Granata, rel. Santosuosso, in D&L 1998, 621)
Licenziamento orale
- Nell’area della tutela obbligatoria, l’inefficacia del licenziamento, ai sensi dell’art. 2, 1° e 3° comma, L. 15/7/66 n. 604, in quanto comunicato oralmente, comporta le conseguenze stabilite dall’art. 8 della medesima legge per il caso di licenziamento privo di giusta causa o giustificato motivo (Pret. La Spezia 24 settembre 1999, est. Fortunato, in D&L 2000, 467)
- L’inefficacia del licenziamento orale che, nel caso di azienda con un numero di dipendenti non superiore a 15, comporta la nullità dello stesso e il ripristino del rapporto di lavoro (con conseguente diritto del lavoratore al pagamento delle retribuzioni maturate) si protrae fino a quando non intervenga un atto scritto con cui il datore di lavoro manifesti chiaramente la volontà di recedere (come ad esempio la lettera di risposta all’impugnazione del licenziamento); incombe da quel momento al lavoratore l’onere di impugnazione nel termine di 60 giorni, con le conseguenze previste dall’art. 8 L. 15/7/66 n. 604 (Pret. Parma 28/6/99, est. Vezzosi, in D&L 1999, 912)
- Ove il licenziamento impugnato in sede giurisdizionale sia stato intimato verbalmente, non è dovuto né il tentativo di conciliazione eventualmente previsto dal CCNL né quello di cui all’art. 5 L. 108/90, dovendosi ritenere che quest’ultima procedura preventiva sia stata prevista solo riguardo ai licenziamento per giusta causa o giustificato motivo, nei quelli gli accertamenti e le valutazioni in fatto rendano utile l’intervento conciliativo, non anche in ordine al recesso inefficace per mancanza di forma scritta (Pret. Napoli 2/2/96, est. Ingala, in D&L 1997, 169)
- Ai sensi dell’art. 2 c. 3 L. 604/66, il licenziamento intimato oralmente comporta l’inefficacia dello stesso e, pertanto, il lavoratore, anche se dipendente di una impresa con meno di sedici addetti, ha diritto al ripristino del rapporto di lavoro e al pagamento di tutte le retribuzioni maturate dal licenziamento sino al momento del verificarsi di una valida causa di risoluzione del rapporto di lavoro (Pret. Roma 2/9/94, est. Salato, in D&L 1995, 363)
Mancata comunicazione dei motivi
- In caso di rapporto di lavoro ricadente nell’area della c.d. tutela obbligatoria, il datore di lavoro, ove ometta, a seguito della richiesta del lavoratore licenziato, di comunicargli tempestivamente i motivi del suo recesso, con conseguente inefficacia del licenziamento, è obbligato a riassumere il dipendente o, in alternativa, a risarcirgli il danno nella misura stabilita dall’art. 8 L. n. 604/1966. Occorre infatti distinguere l’inefficacia quale conseguenza di una situazione di invalidità (nullità o annullabilità) dall’atto derivante da vizi o difetti che attengono agli elementi essenziali e costitutivi dello stesso dall’inefficacia quale conseguenza della mancanza di elementi esterni alla struttura negoziale, di per sé integra e completa, i quali condizionano però l’operatività del negozio. (Trib. Milano 17/7/2003, Est. Cincotti, in Lav. nella giur. 2004, 189)
- Nei rapporti di lavoro sottratti al regime della tutela reale ai sensi dell’art. 18, l. 20/5/70, n. 300, come modificato dall’art. 1, l. 11/5/90, n. 108, qualora il datore di lavoro, a seguito di richiesta del lavoratore, non provveda ad indicare i motivi del licenziamento entro i termini previsti dall’art. 2, l. 15/7/66, n. 604, come modificato dall’art. 2, l. 11/5/90, n. 108, il recesso non produce effetti sulla continuità del rapporto ed il lavoratore ha diritto – trattandosi di contratto a prestazioni corrispettive – non già alle retribuzioni, ma al risarcimento del danno, da determinarsi secondo le regole generali dell’inadempimento delle obbligazioni. (Cass. 9/2/01, n. 1879, pres. Trezza, est. Celentano, in Orient. giur. lav. 2001, pag. 355)
- Nell’area della tutela obbligatoria, l’inefficacia del licenziamento per mancata comunicazione dei motivi nell’ipotesi prevista dall’art. 2, 2° e 3° comma, L. 15/7/66 n. 604, comporta le conseguenze stabilite dall’art. 8 della medesima legge per il caso di licenziamento privo di giusta causa e giustificato motivo Trib. Milano 7 febbraio 2000, est. Negri della Torre, in D&L 2000, 467)
- Qualora non ricorrano i presupposti di applicazione della tutela reale, il licenziamento inefficace per mancata comunicazione dei motivi (art. 2 L. 108/90) deve considerarsi come non intimato (tamquam non esset) con conseguente applicazione dei principi generali in materia di inadempimento contrattuale (nel caso di specie, il Pretore ha condannato la società datrice a corrispondere al lavoratore le retribuzioni maturate dalla data del licenziamento a quella dell’effettivo ripristino del rapporto) (Pret. Pordenone 6/2/95, est. Passannante, in D&L 1995, 1053)
- Qualora il datore di lavoro non abbia comunicato, ai sensi dell’art. 2 L. 108/90, i motivi del licenziamento, la preventiva richiesta di conciliazione ai sensi dell’art. 5, legge citata, non costituisce condizione di procedibilità della domanda di accertamento giudiziale dell’inefficacia del recesso, in considerazione del fatto che la possibilità di comporre in una sede stragiudiziale la controversia presuppone, necessariamente, lo svolgimento di un confronto concreto circa la sussistenza d una giusta causa o di un giustificato motivo, confronto viceversa privo del suo oggetto nel caso di specie (nella fattispecie, infatti, il datore di lavoro aveva replicato alla richiesta dei motivi da parte del lavoratore, asserendo l’insussistenza di un obbligo di tale natura) (Pret. Pordenone 6/2/95, est. Passannante, in D&L 1995, 1053)
- Al licenziamento inefficace per omessa comunicazione dei motivi si applicano le conseguenze previste dal diritto speciale e pertanto dall’art. 8 L. 604/66 (Trib. Milano 9/2/94, pres. ed est. Mannacio, in D&L 1995, 220, nota GUARISO, Licenziamenti nulli e inefficaci: crisi e resurrezione del diritto comune)
Licenziamento disciplinare
- E’ illegittimo per violazione delle procedure previste dall’art. 7, l. n. 300/70, il licenziamento disciplinare intimato a seguito di una contestazione del tutto generica, con adduzione di motivi non preventivamente contestati e senza la concessione al lavoratore del termine per rendere le proprie giustificazioni. Da tale illegittimità derivano le conseguenze previste dalla legge per il licenziamento ingiustificato (nella specie, il risarcimento del danno previsto dall’art. 8, l. n. 604/96). (Corte Appello Milano 5/6/00, pres. e est. Ruiz, in Orient. giur. lav. 2001, pag. 371)
- Il licenziamento disciplinare intimato senza l’osservanza delle garanzie previste dal 2° e 3° comma dell’art. 7 SL, concreta, nella natura e negli effetti, un licenziamento privo di giustificazione, con la conseguenza che gli effetti di un tale licenziamento dipendono dal tipo di tutela (reale, obbligatoria, o consistente nel mero diritto alle indennità stabilite contrattualmente o per legge), spettante al lavoratore in ipotesi di recesso datoriale ingiustificato (Cass. 7/3/96 n.1793, pres. Micali, est. Picone, in D&L 1997, 353)
- Nel caso del mancato rispetto della procedura di cui all’art. 7 S.L. prevista per i licenziamenti aventi natura disciplinare, ne consegue, anche per i datori di lavoro che occupino meno di 16 dipendenti, la nullità del recesso per violazione di norme inderogabile, con l’obbligo di immediato ripristino del rapporto e di pagamento delle retribuzioni maturate dalla data del licenziamento (Pret. Milano 6/10/95, est. De Angelis, in D&L 1996, 235. In senso conforme, v. Pret. Ferrara 27/12/95, est. Benassi, in D&L 1996, 237. In senso conforme, v. Pret. Roma 28/11/94, in D&L 1995, 707. In senso contrario, nel senso cioè del solo risarcimento danni ex art. 8 L. 604/66, v. Pret. Milano 2/11/95, est. Atanasio, in D&L 1996, 479)
- Il licenziamento disciplinare intimato dal datore di lavoro con violazione delle regole procedimentali previste dall’art. 7 SL a garanzia del contraddittorio (quale, nella specie, la mancata previa contestazione dell’addebito), non è nullo, ma illegittimo; va quindi corretta la motivazione della sentenza che abbia ritenuto la conversione in recesso ad nutum del licenziamento disciplinare intimato nell’area della libera recedibilità in violazione delle suddette regole procedimentali, mentre va confermata nella parte in cui ha riconosciuto al lavoratore il diritto all’indennità sostitutiva del preavviso (Cass. S.U. 18/5/94 n. 4846, pres. Brancaccio, est. Genghini, in D&L 1995, 179, nota MUGGIA, Illegittimità senza sanzione: gli ultimi approdi della Cassazione in tema di licenziamento disciplinare)
- Va dichiarata non fondata la questione di legittimità costituzionale, sollevata in riferimento all’art. 3 Cost., dell’art. 7 c. 2 e 3 SL, per quanto concerne i licenziamenti disciplinari intimati da datore di lavoro con meno di sedici dipendenti, laddove il diritto vivente, ravvisabile nell’orientamento delle Sezioni unite della Cassazione, sancisce che dall’inosservanza delle garanzie procedimentali conseguono gli stessi effetti stabiliti per le ipotesi di licenziamento senza giusta causa o giustificato motivo, ovvero quelli di cui all’art. 8 L. 604/66, così come sostituito dall’art. 2 L. 108/90 (Corte cost. 23/11/94 n. 398, pres. Casavola, rel. Santosuosso, in D&L 1995, 69)
Indennizzo ex art. 8 L. 604/66
- In caso di licenziamento illegittimo, mentre negli ambiti della tutela reale – in forza dell’efficacia ripristinatoria del rapporto attribuita dalla legge – l’indennità sostitutiva del preavviso non è dovuta, e se percepita va restituita, in presenza di stabilità obbligatoria essa è dovuta, quale che sia la causa del licenziamento addotta (giusta causa o giustificato motivo), in virtù dell’avvenuta risoluzione del rapporto che si produce tanto in caso di riassunzione, quanto in ipotesi di liquidazione di indennità risarcitoria. In quest’ultimo caso la indennità prevista dall’art. 8 della legge n. 604/1966 va a compensare i danni derivanti dalla mancanza di giusta causa e giustificato motivo, mentre l’indennità sostitutiva del preavviso va a compensare il fatto che il recesso, oltre che illegittimo, è stato intimato in tronco. (Cass. 8/6/2006 n. 13380, Pres. Sciarelli Est. La Terza, in Riv. it. dir. lav. 2007, con nota di Francesca Chiantera, “Licenziamento ingiustificato e indennità sostitutiva del preavviso nel regime della tutela obbligatoria”, 156)
- La regola del preavviso di cui all’art. 2118 c.c. esplica i suoi effetti, per la sua portata generale – fuori dall’ipotesi di giusta causa ex art. 2119 c.c. – in tutti i casi in cui il recesso ha efficacia estintiva del rapporto di lavoro. La garanzia prevista dall’art. 2118 c.c. non può invece trovare applicazione quando la sanzione di invalidità del licenziamento esclusa il suddetto effetto estintivo, assicurando la continuità giuridica del rapporto di lavoro. (Cass. 14/6/2006 n. 13732, Pres. ravagnani Est. Miani Canevari, in Riv. it. dir. lav. 2007, con nota di Francesca Chiantera, “Licenziamento ingiustificato e indennità sostitutiva del preavviso nel regime della tutela obbligatoria”, 156)
- Dal raffronto tra i due sistemi di tutela delineati dal codice civile (artt. 2118 e 2119), da un canto, e dall’art. 8, L. n. 604/1966, dall’altro, l’uno relativo al licenziamento legittimo e l’altro a quello illegittimo, ed attesa la peculiarità della tutela introdotta con l’art. 8, risulta evidente che tale tutela risarcitoria è inconciliabile con l’indennità sostitutiva del preavviso di cui all’art. 2118 prevista unicamente per il licenziamento illegittimo. (Corte d’appello Milano 2/8/2003, Pres. Mannaccio Rel. Sala, in Lav. nella giur. 2004, 87)
- Nel regime di tutela obbligatoria contro il licenziamento, il lavoratore ha diritto all’indennizzo anche se imputabile al suo rifiuto la mancata ricostituzione del rapporto. (Cass. 26/2/2002, n. 2846, Pres. Amirante, Est. Foglia, in Riv. it. dir. lav. 2003, 120, con nota di Vincenzo Marino, A chi spetta la scelta tra reintegrazione ed indennizzo nel regime di tutela obbligatoria contro il licenziamento illegittimo).
- Il lavoratore ha diritto all’indennità prevista dall’art. 8 L. 604/66, anche se ha rifiutato la riassunzione, cui il datore di lavoro aveva optato, in quanto una diversa interpretazione sarebbe contraria al dettato costituzionale (Pret. Roma 10/2/95, est. Petrucci, in D&L 1995, 685, nota MUGGIA, Una questione che sembrava ormai chiusa)