Scheda sintetica
Il nostro ordinamento è particolarmente attento alla salute ed ai problemi che ne derivano.
Infatti, l’art. 32 della Costituzione definisce la salute come diritto fondamentale dell’individuo e come interesse della collettività.
Con riguardo ai rapporti di lavoro, l’art. 2110 del codice civile dispone che, in caso di malattia (oltre che di infortunio, gravidanza o puerperio), il rapporto di lavoro viene sospeso e che il datore di lavoro non può licenziare il lavoratore malato se non sia scaduto il termine di conservazione del posto (cosiddetto termine di comporto) appositamente previsto dai contratti collettivi.
In altre parole, il lavoratore non può essere licenziato per il semplice fatto di essere malato.
A seguito delle novità introdotte dalla legge 92/2012, è peraltro previsto che il giudice, qualora accerti la violazione dell’art. 2110 cod. civ., debba applicare, ove il caso rientri nell’ambito di applicazione dell’art. 18 S.L., la cd. tutela reintegratoria attenuata (che prevede la reintegrazione nel posto di lavoro ed il pagamento del risarcimento del danno da calcolarsi entro il limite delle 12 mensilità).
Si capisce dunque che diventa prioritario verificare la durata del termine di comporto disciplinato dal contratto collettivo.
Di solito, il contratto collettivo distingue due ipotesi:
- il comporto secco, ovvero il termine di conservazione del posto nel caso di un’unica malattia di lunga durata
- il comporto per sommatoria, ovvero il termine di conservazione del posto nel caso di più malattie.
Tuttavia, anche se quella appena indicata appare una normativa di garanzia a favore del lavoratore, si capisce che, scaduto il termine di comporto, il lavoratore può essere licenziato anche se effettivamente e seriamente malato.
Per ovviare a questo inconveniente, spesso i contratti collettivi di lavoro introducono un altro istituto, quello della aspettativa non retribuita: per un periodo massimo indicato dal contratto, il rapporto di lavoro può proseguire, sia pur in assenza della retribuzione, anche oltre il termine di comporto.
Si tratta di un istituto molto importante, tanto che alcune sentenze hanno dichiarato illegittimo il licenziamento intimato per superamento del termine di comporto, se il datore di lavoro non ha preventivamente comunicato al lavoratore la facoltà di fruire della citata aspettativa.
Pertanto, il lavoratore che sia seriamente malato e che, approssimandosi la scadenza del periodo di comporto, non può tornare al lavoro, può fruire dell’istituto di cui si è detto.
Il datore di lavoro non può rifiutare l’aspettativa, a meno che dimostri la sussistenza di seri motivi impeditivi alla concessione della stessa.
La giurisprudenza ha definito limiti alla legittimità del licenziamento conseguente a periodi di malattia, soprattutto quando questi si sono dimostrati riconducibili alla situazione di lavoro.
Controversie sono inoltre sorte per il calcolo del comporto con contratto di lavoro a tempo parziale (part time).
Da ultimo, sotto il profilo procedurale, va segnalato che l’art. 7, comma 6, della L. 604/66, così come modificato dal D.L. 76/13, stabilisce che il licenziamento per superamento del periodo di comporto non è sottoposto all’obbligo della preventiva procedura di conciliazione davanti alla Direzione territoriale del lavoro (obbligo introdotto dalla legge 92/2012 per le ipotesi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo).
Normativa di riferimento
- Codice civile
- Contratto collettivo di lavoro
- Legge 28 giugno 2012 n. 92, recante disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita
A chi rivolgersi
- Istituto di Patronato (ad esempio INCA-Cgil)
- Ufficio vertenze sindacale
- Studio legale specializzato in diritto del lavoro
Superamento del periodo di comporto dovuto a malattie conseguenza di condizioni di lavoro inadeguate
Nel caso in cui si accerti che la malattia sia imputabile ad un comportamento illecito del datore di lavoro, i giorni relativi non dovrebbero rientrare nel computo del periodo di comporto.
Infatti, per la giurisprudenza maggioritaria, tale computabilità nel periodo di comporto non si verifica nelle ipotesi in cui la malattia o l’infortunio non solo abbiano avuto origine in fattori di nocività insiti nelle modalità di esercizio delle mansioni e comunque presenti nell’ambiente di lavoro, e siano pertanto collegati allo svolgimento dell’attività lavorativa, ma altresì quando il datore di lavoro sia responsabile di tale situazione nociva e dannosa, per essere egli inadempiente all’obbligazione contrattuale a lui facente carico ai sensi dell’art. 2087 c.c.
Tale norma, infatti, impone al datore di lavoro di porre in essere le misure necessarie per la tutela dell’integrità fisica e della personalità morale del lavoratore; pertanto, in tali ipotesi, ossia quando il lavoratore sia costretto ad assentarsi dal lavoro a causa di una patologia che non si sarebbe verificata nell’ipotesi in cui il datore avesse adottato tutte le misure necessarie, l’impossibilità della prestazione lavorativa è imputabile al comportamento della stessa parte cui detta prestazione è destinata.
Naturalmente incombe sul lavoratore l’onere di provare il collegamento causale fra la malattia e l’inadempimento del datore di lavoro.
Calcolo del periodo di comporto per un lavoratore a tempo parziale
Di tale ipotesi si è occupata la Cassazione, a seguito del ricorso presentato da un lavoratore con contratto a tempo parziale ad orario di lavoro ridotto a 24 ore settimanali (sentenza n. 14065 del 14.12.99).
Tale lavoratore era stato licenziato sebbene non avesse superato il tetto massimo di assenza, pari a 180 giorni, previsto dal contratto collettivo nazionale di lavoro a lui applicato.
La società aveva difeso la propria decisione sostenendo che, trattandosi di lavoratore non a tempo pieno, aveva diritto ad un periodo di comporto inferiore, ovvero proporzionato alla durata del suo orario.
Tale tesi era stata accolta dal Giudice del lavoro, ma non dal Tribunale che, in sede di appello, aveva dichiarato l’illegittimità del licenziamento.
La Cassazione ha confermato la decisione del Tribunale, ma con una precisazione.
Nel caso in cui il rapporto di lavoro sia (come nell’ipotesi esaminata dalla Corte) un part–time cosiddetto orizzontale, ovvero distribuito sui tutti i giorni lavorativi, ma con una durata giornaliera ridotta, non vi è motivo di riconoscere un periodo di comporto inferiore rispetto a quello ordinario, effettuando tale lavoratore un numero di giornate lavorative analogo a quello dei colleghi a tempo pieno.
Al contrario, nel caso in cui il part–time sia verticale, ovvero con orario pieno ma per pochi giorni la settimana, potrebbe essere riconosciuto al lavoratore un periodo massimo di assenza ridotto, e ciò al fine di evitare conseguenze eccessivamente pesanti per il datore di lavoro.
In questo caso, toccherebbe al giudice determinare, in via equitativa, la durata di tale periodo.
Ovviamente, il problema potrebbe essere superato nel caso in cui la contrattazione collettiva regolasse espressamente la materia, prevedendo un periodo di comporto specifico per i lavoratori part time.
Casistica di decisioni della Magistratura in tema di licenziamento per malattia (superamento del periodo di comporto)
In genere
- Illegittimo il licenziamento di un lavoratore per problemi organizzativi aziendali dovuti alle reiterate assenze per malattia, prima del termine del periodo di comporto.
La Corte d’appello, chiamata a pronunciarsi a seguito di cassazione della sentenza con rinvio, afferma l’illegittimità del licenziamento, adottato da una società nei confronti di un lavoratore per disagi organizzativi dovuti alle reiterate e discontinue assenze per malattia, per violazione dell’art. 2110 c.c.. Il periodo di comporto è posta a garanzia della salute del dipendente, indipendentemente dalle difficoltà, anche reali, che la malattia possa arrecare all’azienda, le quali non possono legittimare un recesso prima del termine di tale periodo. Solo una volta spirato il relativo termine, la società potrà recedere per superamento del periodo di comporto, senza la necessità di addurre una giustificazione oggettiva. (Corte app. Milano 24/6/2020, Pres. Picciau Rel. Vignati, in Wikilabour, Newsletter n. 14/2020) - Le assenze del lavoratore dovute ad infortunio sul lavoro o a malattia professionale, in quanto riconducibili alla generale nozione di infortunio o malattia contenuta nell’art. 2110 c.c. sono normalmente computabili nel previsto periodo di conservazione del posto, principio cui può derogare la contrattazione collettiva prevedendo un diversificato periodo di comporto dovuto ad infortunio. (Trib. Roma 23/3/2020, Giud. Lucarelli, in Lav. nella giur. 2020, 1000)
- Si rimette al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni unite la questione della natura del licenziamento per superamento del periodo di comporto intimato prima del decorso completo dello stesso periodo e quando il lavoratore è ancora assente per malattia, per stabilire se il licenziamento sia inefficace in via temporanea e, pertanto, possa acquisire efficacia con il successivo superamento del periodo di comporto o se, al contrario, il recesso sia da considerare nullo, perché intimato in contrasto con l’art. 2110 cod. civ. (Cass. 19/10/2017, n. 24766, Pres. Nobile Est. Pagetta, in Riv. It. Dir. Lav. 2018, con nota di G. F. Tempesta, “Il licenziamento per il ‘futuro’ superamento del periodo di comporto: nullità o temporanea inefficacia? La parola alle S.U.”, 72)
- In tema di licenziamento per superamento del comporto, anche nel regime successivo all’entrata in vigore dell’art. 1, comma 37, L. n. 92 del 2012 – che ha modificato l’art. 2 della L. n. 604 del 1966 imponendo la comunicazione contestuale dei motivi di licenziamento – il datore di lavoro non deve specificare nella comunicazione i singoli giorni di assenza, potendosi ritenere sufficienti indicazioni più complessive, idonee a evidenziare il superamento del comporto in relazione alla disciplina contrattuale applicabile, quali il numero totale di assenze verificatesi in un determinato periodo, fermo restando l’onere, nell’eventuale sede giudiziaria, di allegare e provare, compiutamente, i fatti costitutivi del potere esercitato. (Cass. 24/10/2016 n. 21377, Pres. Nobile Est. Ghinoy, in Lav. nella giur. 2017, 198)
- Le certificazioni mediche possono essere contestate dal datore di lavoro attraverso la valorizzazione di ogni circostanza di fatto volta a dimostrare l’insussistenza della malattia o quanto meno uno stato di incapacità lavorativa tale da giustificare l’assenza. (Cass. 16/8/2016 n. 17113, Pres. Di Cerbo Est. Amendola, in Lav. nella giur. 2016, 1123)
- In caso di recesso avvenuto per superamento del periodo di comporto, l’onere della prova circa il raggiungimento del numero massimo di giorni di assenza consentiti è posto a carico del datore di lavoro; da tale ammontare devono tuttavia essere scomputati i periodi di assenza dovuti alla violazione, da parte del datore di lavoro, delle norme poste a tutela della salute dei dipendenti. (Cass. 15/12/2014 n. 26307, Pres. Vidiri Rel. Doronzo, in Lav. nella giur. 2015, 309)
- Il licenziamento intimato prima del superamento del periodo di comporto e in costanza di malattia, è radicalmente nullo e non temporaneamente inefficace, per violazione dell’art. 2110 c.c. Ne consegue che deve ritenersi pienamente legittima l’intimazione di un successivo licenziamento, basato anch’esso sul superamento del periodo di comporto, superamento effettivamente avvenuto a seguito di comunicazione del lavoratore del prolungamento del periodo di malattia, tenuto conto che la continuità e la permanenza del rapporto di lavoro – non interrotto da un atto nullo – giustificano l’irrogazione di un secondo licenziamento basato su una nuova e diversa ragione giustificatrice. (Cass. 18/11/2014 n. 24525, Pres. Macioce Est. Tricomi, in Lav. nella giur. 2015, 311)
- Il lavoratore che, assente per malattia e impossibilitato a riprendere servizio, intende evitare la perdita del posto di lavoro conseguente all’esaurimento del periodo di comporto, deve comunque presentare la richiesta di fruizione delle ferie, affinché il datore di lavoro possa concedere al medesimo di beneficiarne durante il periodo di malattia, valutando il fondamentale interesse del richiedente al mantenimento del posto di lavoro; né le condizioni di confusione mentale del lavoratore per effetto della malattia fanno venir meno la necessità di una espressa domanda di fruizione delle ferie, indispensabile per superare il principio di incompatibilità tra godimento delle ferie e malattia. (Cass. 27/10/2014 n. 22753, Pres. Vidiri Est. Arienzo, in Lav. nella giur. 2015, 90)
- Se è vero che ordinariamente il lavoratore è in grado di verificarsi l’approssimarsi della scadenza del periodo di comporto, nel caso di situazioni di particolare gravità con condizione derivata di sostanziale “minorata difesa”, il richiamo ai principi di solidarietà sociale imponevano un diverso e più attivo comportamento da parte dell’azienda (NDR in parte motiva il giudicante sottolinea la necessità di informare: “quantomeno ai familiari della dipendente con i quali erano rimasti in contatto durante la malattia, anche per informare della possibilità di utilizzare la procedura prevista contrattualmente per salvare il posto di lavoro dall’art. 181”) e tale mancato intervento ha determinato una situazione di discriminazione indiretta. (Trib. Bologna 15/4/2014, Giud. Sorgi, in Lav. nella giur. 2014, 932)
- Il superamento dei termini previsti per il comporto e l’aspettativa rappresenta la condizione sufficiente a legittimare il recesso datoriale, escludendo ogni necessità di prova, da parte del datore di lavoro, sia in ordine al giustificato motivo oggettivo, sia in relazione all’impossibilità sopravvenuta della prestazione lavorativa che a quella della correlativa impossibilità di adibire il lavoratore a mansioni diverse. (Cass. 20/5/2013 n. 12233, Pres. Miani Canevari Est. Arienzo, in Lav. nella giur. 2013, 845)
- Nel caso in cui il contratto collettivo preveda che al termine del periodo di comporto, al fine di evitare il licenziamento, il lavoratore possa chiedere un periodo di aspettativa, il datore di lavoro che neghi la fruizione di tale periodo ha l’onere di indicare le ragioni poste a base del proprio rifiuto. (Cass. 12/3/2013 n. 6130, Pres. Coletti De Cesare Rel. D’Antonio, in Lav. nella giur. 2013, 519)
- Il ritardo nella spedizione di un certificato medico di continuazione della malattia non legittima il licenziamento nel momento in cui il ritardo è stato determinato dallo stato patologico del lavoratore. (Cass. 12/7/2012 n. 11798, Pres. Roselli Est. Meliadò, in Lav. nella giur. 2014, con commento di Stefano Muggia, 271)
- Le regole dettate dall’art. 2110 c.c. per le ipotesi di assenze determinate da malattia del lavoratore prevalgono, in quanto speciali, sia sulla disciplina dei licenziamenti individuali che su quella degli artt. 1256, 1463 e 1464 c.c., e si sostanziano nell’impedire al datore di lavoro di porre fine unilateralmente al rapporto sino al superamento del limite di tollerabilità dell’assenza (c.d. comporto) predeterminato dalla legge, dalle leggi o, in via equitativa, dal giudice, nonché nel considerare quel superamento unica condizione di legittimità del recesso; le stesse regole hanno quindi la funzione di contemperare gli interessi confliggenti del datore di lavoro (a mantenere alle proprie dipendenze solo chi lavora e produce) e del lavoratore (a disporre di un congruo periodo di tempo per curarsi senza perdere i mezzi di sostentamento e l’occupazione), riversando sull’imprenditore, in parte ed entro un determinato tempo, il rischio della malattia del dipendente. Ne deriva che il superameno del periodo di comporto è condizione sufficiente a legittimare il recesso, e pertanto non è necessaria, nel caso, la prova del giustificato motivo oggettivo né dell’impossibilità sopravvenuta della prestazione lavorativa né quella della correlativa impossibilità di adibire il lavoratore a mansioni diverse (Rigetta, App. Torino, 20/02/2008) (Cass. 31/1/2012 n. 1404, Pres. Lamorgese Rel. Arienzo, in Lav. nella giur. 2012, con commento di Daniele Iarussi, 689)
- In tema di licenziamento per giusta causa, la mancata prestazione lavorativa in conseguenza dello stato di malattia del dipendente trova tutela nelle disposizioni contrattuali e codicistiche – in ispecie, nell’art. 2110 c.c. – in quanto questo non sia imputabile alla condotta volontaria del lavoratore medesimo, il quale scientemente assuma un rischio elettivo particolarmente elevato che supera il livello della “mera eventualità” per raggiungere quello della “altissima probabilità”, tenendo un comportamento non improntato ai principi di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 c.c. e 1375 c.c. che debbono presiedere all’esecuzione del contratto e che, nel rapporto di lavoro, fondano l’obbligo in capo al lavoratore subordinato di tenere, in ogni caso, una condotta che non si riveli lesiva dell’interesse del datore di lavoro all’effettiva esecuzione della prestazione lavorativa. (Nella specie, il lavoratore, dirigente di un istituto di credito, si era recato ripetutamente in Madagascar, dove era stato soggetto a ripetuti attacchi di malaria, con conseguente assenze dal posto di lavoro per lunghi periodi; la S.C., nel rigettare il ricorso, ha sottolineato che non veniva in discussione la libertà del lavoratore di utilizzare il periodo di ferie nella maniera ritenuta più opportuna, ma solo che il lavoratore non aveva tenuto una condotta prudente e oculata essendo “prevedibilissima” l’insorgenza di attacchi della malattia, tant’è che, in una occasione, aveva motivato la richiesta di fruizione delle ferie, poi trascorse nel paese straniero, con le esigenze di cure della madre malata). (Cass. 25/1/2011 n. 1699, Pres. Foglia Est. Zappia, in Orient. Giur. Lav. 2011, 147)
- È corretta l’interpretazione del giudice del merito secondo cui la clausola del contratto collettivo nazionale di lavoro, nella parte in cui prevede che, superato il periodo di comporto di 12 mesi, su richiesta del lavoratore, impossibilitato a riprendere servizio, potrà essere concessa un’aspettativa, gli attribuisce il diritto o, quanto meno, un interesse qualificato a un ulteriore periodo di sospensione del rapporto. (Cass. 21/12/2010 n. 25863, Pres. Roselli Est. Meliadò, in Lav. nella giur. 2011, 318)
- Le assenze conseguenti a infortunio sul lavoro non possono essere considerate ai fini del comporto nel caso in cui l’infortunio era imputabile a responsabilità della datrice di lavoro e le sue conseguenze non potevano quindi concorrere alla maturazione del comporto e alla conseguente giustificazione del licenziamento ex art. 2110 c.c. (Corte app. Milano 1/9/2010, Pres. Castellini Rel. Cella, in Lav. nella giur. 2010, 1141)
- Per il licenziamento per superamento del periodo di comporto, opera ugualmente il criterio della tempestività del recesso, sebbene, difettando gli estremi di urgenza che si impongono nell’ipotesi di giusta causa, la valutazione del tempo fra la data di detto superamento e quella del licenziamento – al fine di stabilire se la durata di esso sia tale da risultare incompatibile con la volontà di porre fine al rapporto – vada condotta con criteri di minor rigore che tengano conto delle circostanze significative, così contemperando da un lato l’esigenza del lavoratore alla certezza della vicenda contrattuale e, dall’altro, quella del datore di lavoro al vaglio della gravità di tale comportamento, soprattutto con riferimento alla sua compatibilità con la continuazione del rapporto. (Cass. 11/5/2010 n. 11342, Pres. Battimiello Est. Mammone, in Orient. Giur. Lav. 2010, 518)
- Dato che il licenziamento per superamento del periodo di comporto non è regolato dalla L. 15/7/66 n. 604 e successive modificazioni, ma dall’art. 2110, 2° comma, c.c., in questa ipotesi l’impugnazione da parte del prestatore di lavoro non è soggetta al termine di decadenza stabilito dall’art. 6 della stessa legge. (Cass. 28/1/2010 n. 1861, in D&L 2010, con nota di Matteo Paulli, “Un altro passo verso l’autonomia dalla L. 604/66”, 580)
- E’ illegittimo il licenziamento per superamento del periodo di comporto, laddove la malattia del lavoratore sia stata determinata dalla violazione dell’obbligo di sicurezza ex art. 2087 c.c. anche sotto il profilo del mancato reperimento, nel quadro dell’organizzazione aziendale, di altro posto di lavoro più adatto alle condizioni di salute del lavoratore, incompatibili con le mansioni e l’ambiente di lavoro assegnati. (Trib. Bari 11/6/2009, Est. Napoliello, in D&L 2009, 783)
- In tema di licenziamento per superamento del periodo di comporto, ove la disciplina contrattuale non contenga esplicite previsioni di diverso tenore, devono essere inclusi nel calcolo anche i giorni festivi che cadano durante il periodo di malattia indicato dal certificato medico, operando, in difetto di prova contraria (che è onere del lavoratore fornire), una presunzione di continuità, in quei giorni, dell’episodio morboso addotto dal lavoratore quale causa dell’assenza dal lavoro e del mancato adempimento della prestazione dovuta, e la prova idonea a smentire la suddetta presunzione di continuità può essere costituita soltanto dalla dimostrazione dell’avvenuta ripresa dell’attività lavorativa, atteso che solo il ritorno in servizio rileva come causa di cessazione della sospensione del rapporto, con la conseguenza che i soli giorni che il lavoratore può legittimamente richiedere che non siano conteggiati nel periodo di comporto sono quelli successivi al suo rientro in servizio. Né, ai fini del computo complessivo del periodo di assenza, possono essere detratti i giorni di ferie ove non sia stata avanzata una espressa domanda da parte del lavoratore per la fruizione del periodo maturato e non goduto. (Nella specie, la S.C., nel rigettare il ricorso, ha rilevato che, correttamente, il giudice di merito, in applicazione dei principi di cui alla massima, aveva disatteso la domanda del lavoratore, il quale aveva maturato assenze per mille e ventotto giorni, periodo di gran lunga superiore a quello consentito dalla disciplina collettiva, e, senza contestarne l’entità, si era limitato a censurare l’erroneo computo dei giorni festivi e delle ferie). (Rigetta, App. Roma, 9 novembre 2005). (Cass. 15/12/2008 n. 29317, Pres. Mattone Est. Lamorgese, in Lav. nella giur. 2009, 407)
- Mentre nel licenziamento disciplinare vi è l’esigenza dell’immediatezza del recesso, volta a garantire la pienezza del diritto di difesa dell’incolpato, nel licenziamento per superamento del periodo di comporto per malattia, l’interesse del lavoratore alla certezza della vicenda contrattuale va contemperato con un ragionevole spatium deliberandi che va riconosciuto al datore di lavoro perché egli possa valutare convenientemente nel complesso la sequenza di episodi morbosi del lavoratore, ai fini di una prognosi di compatibilità della presenza in azienda del lavoratore in rapporto agli interessi aziendali; ne consegue che in questo caso la tempestività del licenziamento non può risolversi in un dato cronologico fisso e predeterminato, ma costituisce valutazione di congruità che il giudice di merito deve fare caso per caso, con riferimento all’intero contesto delle circostanze significative. (Trib. Novara 2/12/2008, d.ssa Mariani, in Lav. nella giur. 2009, 422)
- La malattia non è considerata come possibile causa di discriminazione né della direttiva europea né nella legge attuativa italiana. Nel nostro ordinamento la malattia del lavoratore ha poi una particolare tutela, che consente la conservazione del posto di lavoro per un periodo di tempo determinato di volta in volta dai contratti collettivi di settore. Esistendo quindi una tutela specifica non vi è motivo per ricercare nella normativa comunitaria una norma da applicare in via analogica o estensiva, ben potendo il lavoratore che ritenga illegittimo il licenziamento a seguito di superamento del comporto impugnare il recesso con ricorso in via cautelare, ove sussistano particolari ragioni d’urgenza, o introducendo un’azione ordinaria di merito, al fine di dimostrare che la malattia è in realtà addebitabile alla legittima condotta del datore di lavoro. (Trib. Milano 25/2/2008, Est. Ravazzoni, in Lav. nella giur. 2008, 850)
- Nel caso in cui la società, nell’intimare al lavoratore il licenziamento per superamento del periodo di comporto, faccia riferimento alla norma del contratto collettivo che disciplina il comporto “secco”, ritenere che sia stato, invece, superato il termine del comporto “per sommatoria” integra un inammissibile mutamento motivo di licenziamento e viola il diritto di difesa del lavoratore. (Corte app. Napoli 1/6/2007, Pres. Bavoso Rel. Rossi, in Lav. nella giur. 2008, 321)
- Qualora il datore di lavoro intimi il licenziamento per giusta causa contestando l’inesistenza della malattia risultante dal certificato medico inviato dal lavoratore e confermata dalla visita fiscale, deve ritenersi inammissibile il ricorso alla consulenza tecnica d’ufficio volta ad accertare l’inesistenza della malattia in mancanza dell’indicazione da parte del datore di lavoro di fatti o elementi la cui prova possa essere decisiva per la persuasività delle contestazioni mosse al dipendente. (Trib. Milano 14/3/2007, Est. Di Leo, in D&L 2007, con nota di sara Huge, “Simulazione della malattia e accertamenti giudiziari”, 533)
- In linea di principio il datore di lavoro, a seguito di specifica richiesta del dipendente, ha l’onere di comunicare i giorni di malattia dallo stesso usufruiti e i criteri di computo del rapporto. La mancata comunicazione al lavoratore, a richiesta avvenuta, integra un comportamento contrario a buona fede e correttezza, tale da poter invalidare il licenziamento. Tuttavia, a fronte del comportamento del dipendente che, in violazione dei doveri di correttezza e buona fede nel rapporto di lavoro, resta assente per un periodo di oltre quattro anni utilizzando tutti i possibili motivi di assenza, dalla gravidanza morbosa alla maternità, alla malattia dei figli e alla propria, alle ferie l’azienda non ha l’obbligo di comunicare i giorni di malattia e i criteri di computo degli stessi, consentendogli di ricostruire esattamente le causali delle assenze. (Trib. Milano 22/1/2007, Dott. frattin, in Lav. nella giur. 2007, 1150)
- Durante la malattia è possibile licenziare il lavoratore solo in ipotesi di giusta causa stante la generica tutela a favore del prestatore. (Cass. 1/6/2005 n. 11674, Pres. Mileo Rel. Filadoro, in Lav. nella giur. 2006, 94)
- Il licenziamento per superamento del periodo di comporto è assimilabile non già ad un licenziamento disciplinare, sibbene ad un licenziamento per giustificato motivo oggettivo, causale di licenziamento a cui si fa riferimento anche per le ipotesi di impossibilità della prestazione riferibile alla persona del lavoratore diverse dalla malattia. Solo impropriamente, riguardo ad esso, si può parlare di contestazione delle assenze, non essendo necessaria la completa e minuta descrizione delle circostanze di fatto relative alla causale e trattandosi di eventi, l’assenza per malattia, di cui il lavoratore ha conoscenza diretta. Ne consegue che il datore di lavoro non deve indicare i singoli giorni di assenza, potendosi ritenere sufficienti indicazioni più complessive, idonee ad evidenziare un superamento del periodo di comporto in relazione alla disciplina contrattuale applicabile, come l’indicazione del numero totale delle assenze verificatesi in un determinato periodo, fermo restando l’onere, nell’eventuale sede giudiziaria, di allegare e provare, compiutamente i fatti costitutivi del potere esercitato. (Cass. 26/5/2005 n. 11092, Pres. Mattone Rel. Toffoli, in Dir. e prat. lav. 2006, 300)
- L’immutabilità delle motivazioni che presuppongono il licenziamento deve essere rispettata anche in occasione del licenziamento per superamento del periodo di comporto. (Cass. 22/3/2005 n. 6143, Pres. Mattone Rel. Lamorgese, in Lav. nella giur. 2005, 688)
- La malattia del lavoratore trova tutela nell’art. 2120 c.c. che impone al datore di lavoro di conservare il posto di lavoro al lavoratore assente per malattia per tutta la durata del periodo di comporto; tuttavia quando il lavoratore, non assente per lavoro, imputi l’inadempimento ad una infermità, non è preclusa al datore di lavoro la utilizzabilità dello strumento del recesso dal contratto, a mezzo del licenziamento per giustificato motivo, in quanto la situazione è regolata dai principi generali, ed in particolare dall’art. 1464 c.c., che disciplina gli effetti della impossibilità parziale della prestazione nel contratto a prestazioni corrispettive, e, pur in presenza di una causa di inadempimento non imputabile al lavoratore, non obbliga la controparte a mantenere in vita un contratto di durata con un soggetto che non è più in grado di svolgere le mansioni per le quali è stato assunto. (Cass. 13/2/2003, n. 2152, Pres. Ianniruberto, Rel. Celentano, in Lav. nella giur. 2003, 574)
- L’art. 2 L. 15/7/66 n. 604 trova applicazione anche in caso di licenziamento per superamento del periodo di comporto; conseguentemente il datore di lavoro, a fronte della tempestiva richiesta del lavoratore, ha l’onere di indicare i giorni di assenza con un grado di specificità tale da consentire al lavoratore di rendersi conto delle assenze contestate e di replicare adeguatamente, prima ancora dell’eventuale giudizio (nella specie la Corte ha ritenuto insufficiente l’indicazione del numero complessivo di assenze ogni anno). (Cass. 20/12/2002 n. 18199, Pres. Sciarelli Est. De Matteis, in D&L 2003, 151, con nota di Stefano Muggia, “Superamento del periodo di comporto ed obbligo di motivazione del licenziamento”)
- Le reiterate assenze per malattia di un dipendente di un’impresa concessionaria di un servizio pubblico di trasporto non possono dar luogo a licenziamento per superamento del periodo di comporto, in quanto tale ipotesi non è contemplata dall”art. 27 del RD 8/1/31 n. 148, recante la disciplina delle cause di esonero dal servizio dei dipendenti di tali imprese, non essendo peraltro ipotizzabile l’applicazione analogica della disciplina codicistica. (Trib. Milano 13/12/2002, Est. Ianniello, in D&L 2003, 395, con nota di Andrea Bordone, “Sul licenziamento per reiterate assenze per malattia degli autoferrotranvieri”)
- In applicazione dei principi di logica, di ragionevolezza e di parità di trattamento tra lavoratori assenti per malattia per periodi rientranti o meno nell’anno di calendario, la disposizione di cui all’art. 3, D. Lgs.C.p.S. 31 ottobre 1947, n. 1304 deve essere interpretata nel senso che la base annua cui va rapportato il periodo di comporto (nella specie, per concorde dato normativo e contrattuale, pari a 180 giorni) si identifica nell’anno solare, e cioè nell’intervallo di 365 giorni decorrente dal primo episodio morboso, dall’inizio della malattia, se continuativa, ovvero, a ritroso, dalla data del licenziamento. (Cass. 13/9/2002, n. 13396, Pres. Senese, Rel. Foglia, in Lav. nella giur. 2003, 75)
- In caso di licenziamento disposto ai sensi dell’art. 2110 c.c. non è sufficiente il semplice riferimento al superamento del periodo di comporto, quando la malattia è conseguenza di una sindrome depressiva che impedisce lo svolgimento delle mansioni proprie del dipendente e che trova causa nelle stesse. In tal caso la disposta risoluzione del rapporto trova la sua disciplina nell’ipotesi di impossibilità parziale della prestazione con conseguente obbligo per il datore di lavoro di reperire mansioni più adatte allo stato di salute del dipendente. (Cass. 21/1/2002 n. 572, Pres. Sciarelli Est. Mileo, in D&L 2002, 426, con nota di Roberto Muggia, “Licenziamento per comporto ed impossibilità della prestazione”)
- Le assenze del lavoratore dovute ad infortunio sul lavoro e a malattia professionale sono da computare ai fini della determinazione del periodo di comporto, atteso che l’art. 2110 c.c. ne impone l’assoggettamento alla medesima particolare disciplina, ferma restando la possibilità in capo alle parti stipulanti il contratto collettivo di diversamente ed autonomamente regolamentare le due diverse tipologie di assenze. Le assenze dovute ad infortunio non sul lavoro e a malattia sono cumulabili tra di loro e concorrono al superamento del comporto (applicazione relativa all’art. 28 CCNL impiegati agricoli) (Corte Appello Bologna 17/7/00, pres. e est. Castiglione, in Lavoro giur. 2001, pag. 757, con nota di Zavalloni, Un “cocktail” d’eccezione: licenziamento per giustificato motivo oggettivo e per successivo superamento del comporto)
- La malattia o le malattie del lavoratore non giustificano il licenziamento intimato per superamento del periodo di comporto ove l’infermità abbia avuto causa, in tutto o in parte, nella nocività insita nelle modalità di esercizio delle mansioni o comunque esistente nell’ambiente di lavoro, della quale il datore di lavoro sia responsabile per aver omesso le misure atte a prevenirla o ad eliminare l’incidenza, in adempimento dell’obbligo di protezione ed eventualmente anche delle specifiche norme di legge connesse alla concretizzazione di esso, incombendo peraltro al lavoratore di dare la prova del collegamento causale fra le malattia che ha determinato l’assenza ed il carattere morbigeno delle mansioni espletate (Cass. 18/4/00, n. 5066, pres. De Musis, in Lavoro giur. 2000, pag. 985)
- Nella comunicazione scritta il datore di lavoro deve indicare in modo analitico, specifico e completo i motivi del recesso, delimitando gli stessi il thema decidendum nell’eventuale successivo giudizio promosso dal lavoratore: ne deriva che nel licenziamento per eccessiva morbilità – soggetto alla disciplina della L. 604/66, con consequenziale obbligo del datore di lavoro di provarne, ai sensi dell’art. 5 della medesima, la giusta causa o il giustificato motivo – non può tenersi conto delle assenze dal lavoro non contestate nella lettera di licenziamento (Cass. 13/12/99 n. 13992, pres. De Tomasoni, in Riv. it. dir. lav.2000, pag. 688, con nota di Cattani, Sulla distribuzione dell’onere probatorio nel licenziamento per superamento del periodo di comporto)
- Nel caso in cui il datore di lavoro intimi per iscritto il licenziamento asserendo che il lavoratore è stato assente per malattia per un periodo superiore a quello di comporto, senza tuttavia specificare il numero delle assenze, il lavoratore esaurisce l’onere posto a suo carico dalla legge con l’impugnazione tempestiva del recesso (Cass. 13/12/99, n. 13992, pres. De Tomasoni, in Riv. it. dir. lav.2000, pag. 688, con nota di Cattani, Sulla distribuzione dell’onere probatorio nel licenziamento per superamento del periodo di comporto)
- In caso di licenziamento intimato per superamento del periodo di comporto, ma anteriormente alla scadenza di questo, l’atto di recesso è nullo per violazione della norma imperativa di cui all’art. 2110 c.c., che vieta il licenziamento stesso in costanza della malattia del lavoratore, e non già temporaneamente inefficace, con differimento dei relativi effetti al momento della scadenza suddetta; il superamento del comporto costituisce, infatti, ai sensi del citato articolo 2110 c.c., una situazione autonomamente giustificatrice del recesso, che deve, perciò, esistere già anteriormente alla comunicazione dello stesso, per legittimare il datore di lavoro al compimento di quest’atto ove di esso costituisca il solo motivo (Cass. 26/10/99, n. 12031, in Mass. Giur. lav. 2000, pag. 61, con nota di Figurati, Questioni in tema di licenziamento intimato durante la malattia: la richiesta di ferie interrompe il comporto?)
- In materia negoziale il silenzio, in sé considerato, non può valere come consenso se non quando la parte abbia l’onere o il dovere, per legge, per consuetudine o per contratto, di formulare una dichiarazione; conseguentemente la mancata contestazione stragiudiziale dell’elenco di assenze per malattia fornito dal datore di lavoro alla dipendente in vista del successivo licenziamento per asserito superamento del periodo di comporto, non costituisce prova sufficiente circa la veridicità di detto elenco e non preclude la successiva contestazione giudiziale delle predette assenze (Cass. 29/7/99 n. 8235, pres. Amirante, est. De Matteis, in D&L 1999, 907)
- La c.d. eccessiva morbilità, dovuta a reiterate assenze per malattia, integra gli estremi dello scarso rendimento quando la prestazione di lavoro non è più utile al datore di lavoro. In tal caso, il fatto del lavoratore – indipendentemente dalla sua colpevolezza – è oggettivamente idoneo a provocare la risoluzione del rapporto (Cass. 22/11/96 n. 10286, pres. Mollica, est. Battimiello, in D&L 1997, 373, n. Panduri, Corte di cassazione e scarso rendimento: un passo (o più?) indietro)
Comporto per sommatoria
- Il superamento del periodo di comporto rappresenta un elemento unitario rispetto al superamento anche del successivo periodo di aspettativa che sia stata richiesta, ai sensi di quanto previsto dal contratto collettivo, da parte del lavoratore ammalato; ne consegue che il datore di lavoro che intenda procedere al licenziamento ha l’obbligo di dare contezza dei giorni di assenza computati nell’uno e nell’altro periodo. (Cass. 10/12/2012 n. 22392, Pres. De Renzis Rel. Rosa, in Lav. nella giur. 2013, 196)
- Le assenze dovute alle conseguenze di un infortunio sul lavoro non sono utili ai fini del computo del periodo di comporto ove l’azienda non dimostri di non esserne stata a conoscenza senza sua colpa; in difetto della prova di tale circostanza non è quindi consentita la riduzione dell’ammontare del risarcimento economico spettante al lavoratore illegittimamente licenziato. (Cass. 20/12/2011 n. 27689, Pres. Amoroso Rel. Tria, in Lav. nella giur. 2012, 305)
- In caso di licenziamento per superamento del periodo di comporto in cui l’atto di intimazione del licenziamento non precisi le assenze in base alle quali sia ritenuto superato il periodo di conservazione del posto di lavoro, il lavoratore, il quale, particolarmente nel caso di comporto per sommatoria, ha l’esigenza di essere messo nelle condizioni di formulare eventualmente rilievi, ha l’onere di chiedere al datore di lavoro di specificare, per l’appunto, tale aspetto fattuale delle ragioni del licenziamento, con la conseguenza che, nel caso di non ottemperanza con le modalità di legge a tale richiesta, il licenziamento deve considerarsi illegittimo. (Trib. Nocera Inferiore 24/3/2011, Giud. Ruggiero, in Lav. nella giur. 2011, 745)
- L’avvenuto superamento del periodo di comporto, anche di quello c.d. per sommatoria conseguente al verificarsi di una serie distinta di episodi morbosi, determina il diritto del datore di lavoro di recedere dal contratto per giustificato motivo oggettivo, senza che debba sussistere uno specifico onere di contestare le singole assenze, ben potendo il datore limitarsi a indicare il numero complessivo di queste nel periodo di valutazione considerato utile. (Cass. 17/1/2011 n. 916, Pres. Foglia Rel. Toffoli, in Lav. nella giur. 2011, 411)
- Qualora l’atto di intimazione del licenziamento non precisi le assenze in base alle quali sia ritenuto superato il periodo di conservazione del posto di lavoro, il lavoratore – il quale, particolarmente nel caso di comporto per sommatoria, ha l’esigenza di poter opporre propri specifici rilievi – ha la facoltà di chiedere al datore di lavoro di specificare tale aspetto fattuale delle ragioni del licenziamento, e solo nel caso di non ottemperanza con le modalità di legge a tale richiesta, delle assenze non contestate non può tenersi conto ai fini della verifica del superamento del periodo di comporto. (Cass. 13/7/2010 n. 16421, Pres. Vidiri Rel. Picone, in Lav. nella giur. 2010, 944)
- Qualora l’applicato Ccnl determini il periodo di comporto in mesi e si sia in presenza di assenze non continuative, per la verifica del superamento del comporto è necessaria la previa traduzione del termine espresso in mesi in un corrispondente numero di giorni (nel caso di specie la comune volontà delle parti collettive stipulanti l’applicato Ccnl per i dipendenti delle aziende di credito è stata interpretata nel senso che a ogni mese corrispondono 30 giorni, con la conseguenza che è stato considerato legittimo il licenziamento intimato al dipendente per superamento del previsto periodo di comporto di 30 mesi una volta raggiunto il 901° giorno di malattia nell’arco temporale di riferimento. (Trib. Milano 28/3/2008, Est. Mennuni, in D&L 2008, 1033)
- L’art. 2 L. 15/7/66 n. 604, trova applicazione anche in caso di licenziamento per superamento del periodo di comporto; conseguentemente il datore di lavor, a fronte della tempestiva richiesta del lavoratore, ha l’onere di indicare i giorni di assenza con un grado di specificità tale da consentire al lavoratore di rendersi conto delle assenze contestate (nella fattispecie, in presenza di un rapporto part-time verticale, il datore di lavoro aveva ridotto il periodo di comporto contrattuale riproporzionandolo al tempo parziale senza dare spiegazione di ciò nella lettera di licenziamento e il lavoratore aveva chiesto tempestivamente i motivi del licenziamento, anche in relazione al mancato raggiungimento del periodo di comporto contrattualmente definito. (Trib. Milano 5/11/2007, ord., Pres. Martello Est. Cincotti, in D&L 2008, con nota di Matteo Paulli, “Licenziamento per superamento del periodo di comporto: oneri fiscali e rapporti part-time”, 312)
- L’istituto della presupposizione quale elemento determinante della volontà trova applicazione anche in materia di dimissioni da un rapporto di lavoro a tempo detrminato successivamente dichiarato illegittimo; pertanto, l’atto di dimissioni, determinato dall’erronea rappresentazione della sussistenza di un valido rapporto a termine, non ha alcun effetto qualora venga dichiarata l’illegittimità del termine e quindi la sussistenza tra le parti di un assetto contrattuale del tutto diverso da quello rappresentato dal lavoratore al momento di presentazione delle dimissioni. (Corte app. Firenze 15/10/2007, Pres. Amato Est. Nisticò, in D&L 2008, con nota di Andrea D. Conte, “Illegittimità del termine ed effetto “moviola”: orientamenti della giurisprudenza verso una tutela “integrale””, 547)
- Ai fini del calcolo del periodo di comporto, per anno solare deve intendersi non già l’anno civile decorrente dal 1 gennaio al 31 dicembre, ma il periodo di 365 giorni decorrenti dalla data del primo episodio morboso o, a ritroso, da quella del licenziamento. (Trib. Milano 3/10/2007, Est. Ravazzoni, in Lav. nella giur. 2008, 199)
- Ove il contratto collettivo contempli soltanto il comporto secco e non anche quello per sommatoria, il giudice deve procedere alla integrazione della norma contrattuale secondo equità, fissando in tre anni il periodo massimo (termine esterno) nel quale va sommata la durata di tutti i molteplici episodi morbosi (termine interno), contemperando il diritto alla salute del lavoratore con il diritto del datore a ricevere la regolare prestazione dedotta in contratto. (Corte app. MIlano 20/1/2006, Pres. Ruiz Rel. Sbordone, in Lav. nella giur. 2006, 1029)
- In caso di malattia del lavoratore, l’art. 2110 c.c., comma secondo c.c. – il quale prevede che il recesso del datore di lavoro può essere esercitato solo dopo il protrarsi dell’impossibilità della prestazione per il periodo di tempo stabilito dalla legge, dalle norme collettive, dagli usi e secondo equità (cosiddetto comporto) – non va riferito esclusivamentealla malattia a carattere unitario e continuativo, ma deve ritenersi comprensivo anche dell’ipotesi di un succedersi di malattie a carattere intermittente o reiterato, ancorchè frequenti e discontinue in relazione ad uno stato di salute malfermo (cosiddetta eccessiva morbilità). Ne consegue, stante la prevalenza dell’art. 2110 c.c. (disposizione speciale) sulla disciplina generale della risoluzione del rapporto di lavoro, che, anche nelle ipotesi di reiterate assenze per malattie del dipendente, il datore di lavoro non può licenziare per giustificato motivo, ai sensi dell’art. 3 della legge 15 luglio 1966, n. 604, ma può esercitare il recesso solo dopo il periodo all’uopo fissato dalla contrattazione collettiva, ovvero, in difetto, determinato secondo equità. (Cass. 22/7/2005 n. 15508, Pres. Senese Rel. Cellerino, in Lav. e prev. oggi 2005, 1839)
- È illegittimo, per violazione degli obblighi di buona fede e di correttezza, il licenziamento intimato per superamento del periodo di comporto, allorquando il datore di lavoro non abbia provveduto con congruo anticipo a comunicare l’imminenza del superamento di tale limite al lavoratore. (Trib. Milano 23/5/2005, Est. Frattin, in orient. Giur. Lav. 2005, 692)
- In caso di cosiddetto comporto secco, che si riferisce all’ipotesi di un unico evento morboso e non prevede il cosiddetto comporto per sommatoria che riguarda l’ipotesi di una pluralità di eventi morbosi frazionati o intermittenti, è facoltà del giudice determinare con criterio di equità il limite di conservazione del posto con riferimento al periodo previsto dal contratto collettivo per il comporto secco, fissando, come termine esterno (cioè il periodo entro cui sono computabili tutti gli episodi di malattia verificatisi) un periodo di durata pari a quello previsto dal contratto per il comporto secco. (Trib. Milano 28/2/2005, Est. Salmeri, in Orient. Giur. Lav. 2005, 154)
- Nel licenziamento per superamento del comporto di malattia non sussiste l’eadem ratio che sostiene l’esigenza di immediatezza del recesso nel licenziamento disciplinare. L’esigenza di tempestività, in questo caso, deve essere contemperata con il ragionevole spatium deliberandi che va riconosciuto al datore di lavoro perchè egli possa convenientemente valutare nel suo complesso la sequenza di episodi morbosi del lavoratore. La valutazione dell’equo contemperamento delle cennate esigenze e, in definitiva, della congruità o no del tempo intercorso tra la ripresa del lavoro e il licenziamento, compete al giudice di merito e deve essere operata con riferimento all’intero contesto delle circostanze significative. (Cass. 7/1/2005 n. 253, Pres. Ciciretti, Est. Balletti, in Riv. it. dir. lav. 2006., con nota di Elena Signorini, “Sul diverso contenuto della regola dell’immmediatezza nel licenziamento disciplinare e in quello per superamento del comporto”, 89)
- Ai fini della determinazione del periodo di comporto spettante al lavoratore nel caso di assenze per malattia intermittenti, il termine esterno è correttamente fissato in misura equivalente al normale triennio di durata dell’efficacia del contratto collettivo, sicchè il comporto va calcolato con riferimento alle assenze complessive del lavoratore ancorchè iniziate prima dell’entrata in vigore dell’ultimo contratto collettivo nell’ambito della cui vigenza è stato intimato il licenziamento. (Corte d’appello Milano 22/12/2004, Pres. Ruiz Rel. Sbordone, in Lav. nella giur. 2005, 592)
- La tolleranza del datore di lavoro – il quale, pur rilevando che il dipendente ha realizzato un numero di assenze che consentirebbe il licenziamento per superamento del periodo di comporto, non esercita subito tale diritto – non può definitivamente essere pregiudicata se si realizzino nuove assenze che si aggiungono a quelle per le quali il comporto era stato già superato. (Corte d’appello Milano 11/6/2004, Pres. De Angelis Rel. Accardo, in Lav. nellagiur. 2005, 192)
- È illegittimo il licenziamento intimato per superamento del periodo di comporto per malattia qualora il datore di lavoro, a fronte di richiesta del dipendente formulata prima del superamento, si sia dichiarato disponibile a concedere l’aspettativa non retribuita prevista dal Ccnl. (Cass. 9/4/2004 n. 6978, Pres. Senese Est De Matteis, in D&L 2004, 411)
- Ai fini della motivazione del licenziamento per superamento del periodo di comporto per sommatoria è sufficiente l’indicazione del numero complessivo delle assenze effettuate. Non incorre nell’inadempimento delle obbligazioni di cui all’art. 2087 c.c. il datore di lavoro che si sia attenuto alle indicazioni mediche ricevute, pur in presenza di CtuPres. Mannacio Est. Accardo, in D&L 2003, 391, con nota di Patrizia Testa, “Superamento del periodo di comporto per sommatoria: osservazioni sul rispetto dell’art. 2 L. 604/66 nella motivazione del recesso e sugli obblighi derivanti dal datore di lavoro dall’art. 2087 c.c.”) medico legale che accerti il nesso di causalità tra le mansioni svolte dal lavoratore, il peggioramento della patologia di quest’ultimo e le assenze causa del licenziamento per superamento del comporto. (Corte d’Appello Milano 21/2/2003,
- Nel caso in cui il CCNL di riferimento regolamenti solo l’ipotesi del comporto cd. “secco”, compete al giudice la determinazione di quello per sommatoria: in tale ipotesi pare congrua ed osservante dei criteri di equità integrativa di cui all’art. 2110 c.c. l’utilizzazione del periodo di comporto previsto per la malattia unitaria, da valutarsi nell’ambito del triennio, termine di durata media dei contratti nazionali di lavoro (Corte Appello Bologna 17/7/00, pres. e est. Castiglione, in Lavoro giur. 2001, pag. 757, con nota di Zavalloni, Un “cocktail” d’eccezione: licenziamento per giustificato motivo oggettivo e per successivo superamento del comporto)
- In caso di malattia del lavoratore, l’art.2110, 2°comma, c.c. – il quale prevede che il recesso del datore di lavoro può essere esercitato solo dopo il protrarsi dell’impossibilità della prestazione per il periodo di tempo stabilito dalla legge, dalle norme collettive, dagli usi o secondo equità (cd. Periodo di comporto) – non va riferito esclusivamente alla malattia a carattere unitario e continuativo, ma deve ritenersi comprensivo anche dell’ipotesi di un succedersi di malattie a carattere intermittente o reiterato, ancorchè frequenti e discontinue in relazione a uno stato di salute malfermo (cd. Eccessiva morbilità); ne consegue, stante la prevalenza dell’art. 2110 c.c. (disposizione speciale) sulla disciplina generale della risoluzione del rapporto di lavoro, che, anche nella ipotesi di reiterate assenze per malattia del dipendente, il datore di lavoro non può licenziarlo per giustificato motivo, ai sensi dell’art. 3, l. 15/7/66, n. 604, ma può esercitare il recesso solo dopo il periodo all’uopo fissato dalla contrattazione collettiva, ovvero, in difetto, determinato secondo equità (Cass. 14/12/99, n. 10465, est. Castiglione, in Riv. Giur. Lav. 2000, pag. 439, con nota di Valente, Lavoro a tempo parziale e periodo di comporto tra vecchia disciplina e nuove disposizioni; in D&L 2000, 359, n. Veraldi, Rapporto di lavoro a tempo parziale e periodo di comporto)
Tempestività del licenziamento
- In tema di licenziamento del lavoratore per superamento del periodo di comporto, opera ugualmente il criterio della tempestività del recesso, sebbene, difettando gli estremi dell’urgenza che si impongono nell’ipotesi di giusta causa, la valutazione del tempo decorso fra la data di detto superamento e quella del licenziamento – al fine di stabilire se la durata di esso sia tale da risultare oggettivamente incompatibile con la volontà di porre fine al rapporto – vada condotta con criteri di minor rigore che tengano conto di tutte le circostanze all’uopo significative, così da contemperare da un lato l’esigenza del lavoratore alla certezza della vicenda contrattuale e, dall’altro, quella del datore di lavoro al vaglio della gravità di tale comportamento, soprattutto con riferimento alla sua compatibilità o meno con la continuazione del rapporto. (Nella specie, la S.C., nel rigettare il ricorso del datore di lavoro, ha confermato la sentenza impugnata che aveva ritenuto la concessione al lavoratore di un congedo parentale, dopo il superamento del periodo di comporto, incompatibile con la volontà di rescindere il rapporto). (Cass. 23/1/2008 n. 1438, Pres. Senese Rel. De Renzis, in Lav. nella giur. 2008, 523)
- La valutazione in ordine alla tempestività del recesso per superamento del periodo di comporto deve essere operata dal giudice di merito avendo riguardo non solo al mero dato temporale, ma anche a tutte quelle circostanze che possono apparire significative di un’eventuale rinuncia implicita del datore di lavoro, per fatti concludenti, al potere di recesso (nella specie la sentenza di merito, cassata dalla Corte, aveva ritenuto tempestivo il licenziamento intimato a cinque mesi dal rientro in servizio della dipendente) (Cass. 29/7/99 n. 8235, pres. Amirante, est. De Matteis, in D&L 1999, 907 e in Dir. Lav. 2000, pag. 293con nota di Pennisi, Licenziamento per superamento del periodo di comporto e “ spatium deliberandi”)
- In ipotesi di avvenuto superamento del periodo di comporto, l’accettazione, da parte del datore di lavoro, della ripresa dell’attività lavorativa del dipendente non equivale di per sé a rinuncia al diritto di recedere dal rapporto, ai sensi dell’art. 2110 c.c., e quindi non preclude (salvo diversa previsione della disciplina collettiva) l’esercizio di tale diritto, ferma peraltro la necessità della sussistenza di un nesso causale fra la intimazione del licenziamento ed il fatto (superamento del periodo di comporto) addotto a sua giustificazione; la prova della sussistenza di tale nesso (che è in re ipsa in ipotesi di licenziamento intimato non appena superata la soglia del comporto) deve essere fornita dal datore di lavoro nel caso di licenziamento intimato dopo un apprezzabile intervallo, e cioè dopo alcune settimane (o addirittura mesi), mentre, nel caso di licenziamento intimato dopo pochi giorni dalla riammissione in servizio, è onere del lavoratore provare che tale riammissione costituisce nel caso concreto – eventualmente in concorso con altri elementi – una manifestazione tacita della volontà del datore di lavoro di rinunciare al diritto di recesso. Spetta comunque al giudice del merito valutare la congruità o meno del tempo intercorso fra la ripresa del lavoro ed il licenziamento (Cass. 6/7/00, n. 9032, pres. Amirante, in Argomenti dir. lav. 2001, pag. 361)
- Il periodo di comporto previsto dal Ccnl delle aziende municipalizzate di nettezza urbana riguarda la sola malattia, dovendosi escludere la possibilità di computare anche le assenze dovute ad infortunio. Il licenziamento ex art. 2110 c.c. va intimato tempestivamente e deve risultare inequivocabilmente connesso all’avvenuto superamento del periodo di comporto. In assenza di tale nesso temporale-causale, il recesso del datore di lavoro, in occasione di una nuova assenza per malattia del lavoratore alla quale consegua un nuovo superamento del periodo di comporto, è legittimo soltanto qualora il nuovo episodio morboso sia diverso, per natura o gravità, da quello precedente e tale, comunque, da giustificare un mutamento dell’interesse dell’imprenditore alla prosecuzione del rapporto. (Trib. Milano 23/5/2002, Est. Atanasio, in D&L 2002, 991, con nota di Patrizia Testa, “Gli effetti della tardività della reazione datoriale nel caso di plurimi superamenti del periodo di comporto”)
- Il recesso per superamento del periodo di comporto non deve essere immediato – come quando sia allegata da parte del datore di lavoro una giusta causa di recesso ai sensi dell’art. 2119 c.c. – ma solo tempestivo; tale requisito è infatti necessario per non lasciare il rapporto di lavoro in un prolungato stato di risolubilità. Tuttavia, il datore di lavoro che abbia lasciato riprendere l’attività ad un lavoratore che abbia già superato il periodo massimo di comporto, può legittimamente intimare il licenziamento a seguito di una ripresa di morbilità che abbia comportato il superamento del periodo di comporto in un diverso e successivo arco temporale (calcolato a ritroso a partire dall’ultima assenza), a nulla rilevando che parte di quelle assenze fossero già calcolabili in un arco temporale di riferimento già trascorso (Cass. 2/5/00, n. 5485, pres. Grieco, in Argomenti dir. lav. 2001, pag. 367)
- Anche nell’ipotesi di comporto per sommatoria, deve essere valutato secondo il principio di buona fede – con conseguente illegittimità del licenziamento intimato in violazione dello stesso – il comportamento del datore di lavoro che ometta di comunicare il recesso subito dopo il superamento del periodo di comporto e mantenga in servizio il dipendente per molti mesi – durante i quali peraltro il lavoratore si assenta dal servizio solo per pochi giorni – senza che in tale lungo periodo sia avvenuto un fatto nuovo tale da giustificare una diversa valutazione, da parte del datore, relativa alla morbilità del prestatore di lavoro. (Trib. Milano 23/4/2003, Est. Marasco, in Lav. nella giur. 2003, 1172)
- E’ illegittimo per mancanza del requisito della tempestività il licenziamento per superamento del periodo di comporto per malattia, intimato dopo uno “spatium deliberandi” non adeguato e proporzionato alle procedure d’accertamento del caso (Trib. Milano 31/7/99, est. Porcelli, in Dir. Lav. 2000, pag. 293, con nota di Pennisi, Licenziamento per superamento del periodo di comporto e “ spatium deliberandi”)
- Anche nel caso di superamento da parte del dipendente del periodo di comporto cosiddetto per sommatoria, il recesso del datore di lavoro deve essere caratterizzato da tempestività, requisito la cui sussistenza va verificata dal giudice di merito con riferimento all’intero contesto delle circostanze al riguardo significative (ivi compresa la eventuale complessità strutturale e organizzativa del datore di lavoro) non potendo il detto recesso considerarsi giustificato a norma dell’art. 2110 c.c. qualora il datore di lavoro, valutati nel loro complesso gli episodi morbosi del lavoratore riammesso in servizio, lasci trascorrere un ulteriore e prolungato lasso di tempo prima di esercitare la facoltà di sciogliere il rapporto, potendo tale atteggiamento rilevare come implicita rinuncia a tale facoltà, in una valutazione complessiva del comportamento delle parti, condotta secondo il fondamentale principio di buona fede e di correttezza (Cass. 17/6/98, n. 6057, pres. Rapone, in Argomenti dir. lav. 2001, pag. 364)
- E’ illegittimo il licenziamento per superamento del periodo di comporto, ove l’esercizio del potere di recesso intervenga con notevole ritardo rispetto al momento del superamento del periodo stesso (nella fattispecie concreta, sei mesi); infatti, le vicende successive al superamento del periodo di comporto, quali la ripresa dell’attività lavorativa e il godimento delle ferie da parte del lavoratore, integrano la rinuncia, per fatti concludenti, del datore di lavoro al potere di recesso (Pret. Milano 25/10/95, est. Taraborrelli, in D&L 1996, 246. In senso conforme, v. Pret. Milano 3/10/94, est. Porcelli, in D&L 1995, 435)
- Nel caso di mancato tempestivo esercizio della facoltà di recesso per superamento del periodo di comporto, è illegittimo il licenziamento successivamente intimato al termine di una nuova assenza per malattia avvenuta a distanza di tempo (nella fattispecie la lavoratrice era stata licenziata al termine di una breve malattia intervenuta ad oltre 10 mesi dall’avvenuto superamento del periodo di comporto) (Pret. Milano 3/10/94, est. Porcelli, in D&L 1995, 435)
Interruzione del comporto
- Il lavoratore che, assente per malattia ed impossibilitato a riprendere servizio intenda evitare la perdita del posto di lavoro a seguito dell’esaurimento del periodo di comporto, deve comunque presentare la richiesta di fruizione delle ferie, affinché il datore di lavoro possa concedere al medesimo di fruire delle ferie durante il periodo di malattia, valutando il fondamentale interesse del richiedente al mantenimento del posto di lavoro, né le condizioni di confusione mentale del lavoratore per effetto della malattia fanno venir meno la necessità di una espressa domanda di fruizione delle ferie, indispensabile a superare il principio di incompatibilità tra godimento delle ferie e malattia. (Cass. 27/2/2003, n. 3028, Pres. Ciciretti, Rel. Toffoli, in Lav. nella giur. 2003, 680)
- Il periodo di comporto di malattia è suscettibile di interruzione per effetto della richiesta del lavoratore di godere del periodo feriale che il datore di lavoro deve concedere anche in costanza di malattia del dipendente. Questi, investito della richiesta di ferie da parte del lavoratore, deve tenere conto, nell’assumere la relativa decisione, del fondamentale interesse del lavoratore di evitare in tal modo la possibile perdita del posto di lavoro per scadenza del periodo di comporto (Cass. 26/10/99, n. 12031, in Mass. Giur. lav. 2000, pag. 61, con nota di Figurati, Questioni in tema di licenziamento intimato durante la malattia: la richiesta di ferie interrompe il comporto?)
- La richiesta di godimento delle ferie in costanza di malattia sospende il periodo di comporto contrattuale fino all’esaurimento dei giorni di ferie spettanti al lavoratore, con la conseguente illegittimità del licenziamento intimato per superamento del comporto senza la preventiva concessione di fruire delle ferie maturate, e ciò indipendentemente dalla previsione del contratto collettivo che ne escluda la fruibilità in costanza di malattia (Pret. Milano 22/4/98 (ord.), est. Atanasio, in D&L 1998, 1040)
- Poiché con la sentenza n. 616/87 la Corte Costituzionale ha sancito la prevalenza della malattia sul decorso delle ferie, la prima determinando la sospensione del decorso delle seconde, sarebbe contraddittorio affermare la prevalenza delle ferie sulla malattia nel caso di computo del periodo di comporto, di guisa che, una volta esaurito quest’ultimo, il lavoratore non può invocare la conversione delle assenze per malattia imputandole alle ferie residue maturate e non godute (Pret. Nola, sez. Pomigliano d’Arco, 12/10//96, est. Perrino, in D&L 1997, 638, nota Manna)
Invalidi
- Discriminatorio applicare alle assenze per inabilità lo stesso comporto previsto per le assenze per malattia.
Un operatore ecologico, riconosciuto portatore di handicap con capacità lavorative ridotta del 75%, aveva impugnato il licenziamento intimatogli per superamento del periodo di comporto (c.d. per sommatoria), sostenendone la natura discriminatoria. Sia i giudici di merito che la Cassazione riconoscono il carattere indirettamente discriminatorio del licenziamento, dichiarandolo pertanto nullo, con le conseguenze di legge. Secondo la Corte, infatti, per il personale disabile il rischio di accumulare giorni di assenza per malattia è maggiore di quello riferibile al restante personale; il che impone, alla stregua del diritto comunitario, prima ancora che del diritto interno di tutela dei disabili, una disciplina del comporto riferita a questi ultimi diversa e con un maggior numero di giorni tutelati. La sentenza in esame apre un grosso problema, dato che il Italia molti contratti collettivi prevedono un’unica disciplina del comporto per tutto il personale e sono pertanto a rischio di essere dichiarati parzialmente nulli, mentre l’alternativo ricorso all’equità, più che a usi in materia inesistenti, appare piuttosto problematico. (Cass. 31/3/2023 n. 9095, Pres. Raimondi Rel. Michelini, in Wikilabour, Newsletter n. 8/23) - E’ illegittimo il licenziamento intimato al lavoratore invalido per superamento del periodo di comporto se la malattia sia dovuta all’adibizione a mansioni parzialmente incompatibili con il suo stato di invalidità, a seguito dell’illegittimo esercizio dello ius variandi del datore di lavoro (Pret. Napoli 16/1/95, est. Ingala, in D&L 1995, 673, nota PERRINO, Un’ipotesi di inadempimento reciproco nel diritto del lavoro)
Lavoratori a tempo parziale
- Nel caso di licenziamento per eccessiva morbilità di un lavoratore part-time, in assenza di una specifica disciplina contrattuale collettiva, il comporto applicabile è quello previsto dalla stessa disciplina per i lavoratori a tempo pieno (full-time) qualora si tratti di rapporto di lavoro part-time orizzontale, con orario ridotto ma uniforme tutti i giorni; nel caso, invece, di rapporto di part-time verticale è affidato al giudice di merito il compito di ridurre il detto periodo in proporzione alla quantità della prestazione, eventualmente facendo ricorso alle fonti sussidiarie indicate dall’art. 2110 c.c. (usi e equità), di modo che, avuto riguardo alla particolarità del rapporto, resti salva la causa del contratto e sia mantenuto costante l’equilibrio dello scambio fra prestazione e controprestazione, con l’osservanza dei limiti derivanti dall’art. 1464 c.c. (Cass. 14/12/99 n. 10465, est. Castiglione, in Riv. Giur. Lav. 2000, pag. 439, con nota di Valente, Lavoro a tempo parziale e periodo di comporto tra vecchia disciplina e nuove disposizioni)