Questa voce è stata curata da Arianna Castelli
Scheda sintetica
Nell’ambito delle riforme operate dal cd. Jobs Act, è stato ridisegnato il sistema di tutela previdenziale dei lavoratori in caso di interruzione del rapporto di lavoro o di sospensione e riduzione dell’orario lavorativo.
In particolare, oltre a rimodulare i requisiti soggettivi e oggettivi richiesti ai fini del riconoscimento delle relative indennità, il legislatore ha fortemente valorizzato le cd. politiche attive, ossia tutte quelle misure volte a favorire il reinserimento del prestatore disoccupato nel mercato del lavoro.
Generalmente le politiche attive consistono in una serie di interventi finalizzati al supporto del lavoratore nella ricerca di un impiego, ossia attività volte all’orientamento, alla formazione e a rafforzare le competenze per la ricerca di un lavoro.
Oltre a ciò, nel d.lgs. 14 settembre 2015, n. 150, sono stati previsti una serie di meccanismi di condizionalità finalizzati a subordinare il riconoscimento e il mantenimento dei sussidi a uno specifico comportamento attivo del lavoratore che, dunque, non viene più considerato solo come un soggetto passivo destinatario di una prestazione di sostegno da parte dello Stato, bensì come un soggetto che deve essere in grado di esplicare pienamente le proprie potenzialità partecipando alle politiche attive previste dell’ordinamento.
Infatti, il nuovo sistema stabilisce che il lavoratore disoccupato (o beneficiario della CIG) concordi con i Centri per l’impiego una serie di impegni volti a rafforzare le proprie competenze professionali e a facilitare la ricerca di un nuovo lavoro. Nel caso in cui il prestatore non si mostri collaborativo e non rispetti tali accordi, l’indennità viene decurtata o persino eliminata, a seconda della gravità dell’inadempimento.
La previsione di una serie di misure volte a facilitare il reinserimento lavorativo del prestatore viene considerata come una forma di tutela complementare a quella classica, poiché dovrebbe facilitare il passaggio da un’occupazione all’altra, rendendo dunque superflua l’erogazione di sussidi. D’altro canto, i meccanismi di condizionalità disincentivano comportamenti opportunistici del lavoratore che, essendo minacciato di perdere il sussidio, è indirettamente costretto rispettare gli obblighi di attivazione concordati con i Centri per l’Impiego nell’ambito dell’attuazione delle politiche attive.
Il legislatore del 2015 ha ridisegnato la struttura del sistema del collocamento, razionalizzando l’organizzazione delle misure di politica attiva sia a livello regionale che a livello centrale. La nuova articolazione complessiva del sistema delle politiche attive, nelle intenzioni del legislatore, dovrebbe favorire il raccordo delle attività degli operatori pubblici e privati, in modo tale da ottimizzare le chance dei lavoratori di inserirsi nel mercato del lavoro.
Fonti Normative
- Decreto Legislativo 14 settembre 2015, n. 150
A chi rivolgersi
- Studio legale specializzato in diritto del lavoro
- Ufficio di vertenze sindacale
La nuova Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro (ANPAL) e la Rete per i servizi del lavoro istituiti dal d.lgs. 150/2015
Come anticipato, il d.lgs. n. 150/2015 ha riformato l’organizzazione complessiva dei servizi per il lavoro e delle politiche attive, istituendo l’Agenzia Nazionale per le politiche del lavoro (ANPAL) e una Rete nazionale dei servizi e delle politiche attive al fine di favorire una più rapida ricollocazione dei soggetti inattivi nel mercato del lavoro.
L’ANPAL, cui spetta il ruolo di coordinatore della stessa Rete nazionale, è un soggetto di diritto pubblico, dotato di autonomia organizzativa, regolamentare, amministrativa, contabile e di bilancio, e posto sotto la vigilanza del Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
Tale organismo è principalmente deputato a organizzare la gestione della Naspi, dell’assegno di ricollocazione e, in generale, le politiche di attivazione dei soggetti disoccupati che sono destinatari delle misure di reinserimento.
La Rete nazionale dei servizi e delle politiche attive, oltre alla stessa ANPAL, ricomprende i seguenti soggetti:
- le strutture regionali per le politiche attive,
- l’INPS (in relazione alle competenze in materia di incentivi e strumenti a sostegno del reddito),
- l’INAIL (in relazione alle competenze in materia di reinserimento e integrazione lavorativa delle persone con inabilità da lavoro),
- la Agenzie per il lavoro,
- i fondi interprofessionali per la formazione continua,
- i fondi bilaterali,
- l’ISFOL e Italia S.a.
- il sistema delle Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, le università e gli istituti di scuola secondaria di secondo grado.
Appare evidente come il legislatore abbia voluto ricomprendere all’interno della Rete tutti i soggetti che già operavano nel mercato del lavoro così da permettere un maggiore coordinamento e, conseguentemente, un incremento delle possibilità di successo dei percorsi di reinserimento.
Pare opportuno sottolineare come vi sia una ripartizione tra le competenze conferite all’ANPAL e quelle proprie dell’Inps: alla prima spettano infatti tutte le attribuzioni relative alle politiche attive e alla direzione degli altri soggetti istituzionali, mentre al secondo è demandata la gestione delle politiche passive. Tuttavia, questi due aspetti sono tra loro fortemente correlati pertanto una distinzione netta nella loro gestione potrebbe pregiudicare la funzionalità dell’intero sistema; al fine di evitare questo rischio, il legislatore ha previsto -oltre alla Rete nazionale- due ulteriori mezzi di coordinamento tra ANPAL e Inps: la sottoscrizione di apposite convenzioni e l’istituzione di un sistema informativo unitario.
Per quanto riguarda il primo aspetto, l’ANPAL è tenuta a sottoscrivere delle convenzioni volte a facilitare il raccordo tra i due istituti; per quanto attiene il secondo profilo, invece, il legislatore ha stabilito che l’Agenzia deve provvedere alla creazione di uno spazio informativo unico destinato a inglobare anche quello già operante presso l’Inps.
Il sistema informatico unico però non si limita a favorire il coordinamento tra ANPAL e Inps, bensì mira a consentire la condivisione di informazioni tra tutti gli operatori nazionali e regionali. Infatti, esso si compone di quattro elementi:
- il sistema informativo dei percettori di ammortizzatori sociali originariamente istituito dall’Inps;
- l’archivio informatizzato delle comunicazioni obbligatorie previste all’atto dell’assunzione dei lavoratori;
- i dati relativi alla gestione dei servizi per il lavoro e delle politiche attive del lavoro;
- il sistema informativo della formazione professionale.
Il nuovo riparto di competenze tra Stato e Regioni in materia di politiche attive
Oltre all’istituzione dell’ANPAL e della Rete nazionale dei servizi e delle politiche del lavoro, il d.lgs. n. 150/2015 ha razionalizzato l’organizzazione delle misure di politica attiva sia a livello regionale che a livello centrale.
Infatti, il legislatore ha individuato esattamente i compiti spettanti allo Stato e quelli di competenza regionale.
Anzitutto spetta al ministero del Lavoro e delle politiche sociali determinare le linee di indirizzo triennali e gli obiettivi annuali dell’azione in materia di politiche attive, con particolare riguardo alla riduzione della durata media della disoccupazione, ai tempi di servizio, alla quota di intermediazione tra domanda e offerta di lavoro. Inoltre, sempre il Ministero del Lavoro fissa i livelli essenziali delle prestazioni che dovranno poi essere attuati in concreto a livello regionale, coerentemente a quanto stabilito in apposite Convenzioni stipulate tra il Ministero del Lavoro e le Regioni stesse.
Queste ultime erogano i servizi connessi alle politiche attive del lavoro tramite i Centri per l’impiego; tuttavia, è anche possibile che talune operazioni siano devolute direttamente all’ANPAL (salvo eccezioni) o ad appositi soggetti privati accreditati.
Le attività, svolte dalle Regioni, che garantiscono il rispetto dei cd. livelli essenziali delle prestazioni individuati a livello statale sono:
- orientamento di base, analisi delle competenze in relazione alla situazione del mercato del lavoro locale e profilazione;
- ausilio alla ricerca di una occupazione, anche mediante sessioni di gruppo, entro tre mesi dalla registrazione;
- orientamento specialistico e individualizzato, mediante bilancio delle competenze ed analisi degli eventuali fabbisogni in termini di formazione, esperienze di lavoro o altre misure di politica attiva del lavoro, con riferimento all’adeguatezza del profilo alla domanda di lavoro espressa a livello territoriale, nazionale ed europea;
- orientamento individualizzato all’autoimpiego e tutoraggio per le fasi successive all’avvio dell’impresa;
- avviamento ad attività di formazione ai fini della qualificazione e riqualificazione professionale, dell’autoimpiego e dell’immediato inserimento lavorativo;
- accompagnamento al lavoro, anche attraverso l’utilizzo dell’assegno individuale di ricollocazione;
- promozione di esperienze lavorative ai fini di un incremento delle competenze, anche mediante lo strumento del tirocinio;
- gestione, anche in forma indiretta, di incentivi all’attività di lavoro autonomo;
- gestione di incentivi alla mobilità territoriale;
- gestione di strumenti finalizzati alla conciliazione dei tempi di lavoro con gli obblighi di cura nei confronti di minori o di soggetti non autosufficienti;
- promozione di prestazioni di lavoro socialmente utile.
Diversamente da quanto previsto nelle riforme precedenti, il legislatore accentrato il controllo e il coordinamento delle politiche attive del lavoro a livello centrale, in modo tale da cercare di garantire prestazioni uniformi sul territorio nazionale ed evitare inefficienze.
Nuova nozione di soggetto disoccupato
La riforma del 2015 ha finalmente introdotto nel nostro ordinamento una nozione unitaria di soggetto disoccupato.
In passato, infatti, l’applicazione della disciplina in materia di politiche attive e di quella concernente le politiche passive (ossia l’erogazione delle relative indennità previdenziali) presupponevano due autonome definizioni di “lavoratore disoccupato”, basate su caratteristiche differenti e contenute in testi di leggi differenti (rispettivamente all’art. 4 lett. a) c) e d) del d.lgs. n. 181/2000 e all’art. 40 co. 40-42 della l. n. 92/2012).
Attualmente invece il dettato normativo individua contestualmente quali prestatori devono considerarsi disoccupati ai fini dell’applicazione di entrambe le discipline sulla base di requisiti comuni. In questo modo vengono superati i problemi di coordinamento preesistenti poiché non è più possibile che vi sia una non coincidenza tra i soggetti inseriti nei percorsi di reinserimento e quelli che beneficiano della Naspi. In particolare, l’art. 19 sancisce espressamente che devono essere considerati disoccupati solo i lavoratori privi di impiego che dichiarano, in forma telematica, al portale nazionale delle politiche del lavoro la loro immediata disponibilità a svolgere un’attività lavorativa e a partecipare alle misure di politica attiva del lavoro concordate con il centro per l’impiego.
Allo scopo di evitare l’ingiustificata registrazione come disoccupato da parte di soggetti non disponibili allo svolgimento dell’attività lavorativa, le norme nazionali o regionali ed i regolamenti comunali che condizionano prestazioni di carattere sociale allo stato di disoccupazione si intendono riferite alla condizione di non occupazione.
Obblighi di attivazione dei beneficiari degli strumenti di sostegno al reddito
Stante la nuova definizione di lavoratore disoccupato, nel nuovo sistema delineato dal d.lgs. n. 150/2015 le misure di politica attiva sono comunque rivolte a un insieme eterogeneo di prestatori. Infatti, possono beneficiare di tali misure non solo i lavoratori disoccupati in senso stretto di cui si è detto al paragrafo precedente, ma anche i percettori della CIG.
Infatti, nella logica della riforma anche quest’ultima categoria di soggetti non può limitarsi a percepire passivamente l’indennità, ma deve dimostrare un comportamento proattivo.
Tuttavia tale impostazione suscita qualche perplessità poiché il rapporto di lavoro dei percettori della CIG non si è formalmente interrotto quindi può risultare contraddittorio incentivare la ricerca di un nuovo impiego quando la sospensione dell’attività lavorativa dovrebbe essere solo temporanea.
Coerentemente a quanto affermato nel paragrafo precedente, il legislatore ha stabilito che i lavoratori che percepiscono la Naspi o la DIS-COLL sono tenuti ad effettuare un’apposita dichiarazione in forma telematica al Portale nazionale delle politiche attive del lavoro, in cui manifestano la propria immediata disponibilità allo svolgimento di un’attività lavorativa e alla partecipazione alle misure di politica attiva concordate con il Centro per l’impiego.
In attesa della piena entrata a regime di tale Portale, questa dichiarazione può essere sottoscritta presso il Centro per l’impiego o essere rilasciata ai sistemi informativi regionali già esistenti.
La domanda di Naspi o di DIS-COLL, resa dall’interessato all’INPS, equivale a una dichiarazione di immediata disponibilità. In questi casi, la registrazione viene resa disponibile per i sistemi regionali attraverso il canale di cooperazione applicativa.
In seguito alla registrazione, sulla base delle informazioni fornite, gli utenti dei servizi per l’impiego vengono assegnati ad una classe di profilazione, allo scopo di valutarne il livello di occupabilità secondo una procedura automatizzata. In particolare, il legislatore ha previsto un cd. profiling dinamico poiché è previsto l’aggiornamento del profilo ogni 90 giorni.
Successivamente, i lavoratori disoccupati sono tenuti a contattare il centro per l’impiego, entro 15 giorni dalla data della dichiarazione, allo scopo di confermare lo stato di disoccupazione e di stipulare un cd. patto di servizio personalizzato. Qualora il dipendente non provveda, è lo stesso Centro per l’impego a convocarlo; nel caso in cui non si attivi neppure tale organismo, il lavoratore ha diritto a richiedere telematicamente la profilazione direttamente all’ANPAL.
Il beneficiario può essere convocato nei giorni feriali dai competenti servizi per il lavoro con preavviso di almeno 24 ore e non più di 72 ore secondo le modalità concordate.
Il patto di servizio personalizzato deve contenere questi elementi:
- l’individuazione di un responsabile delle attività;
- la definizione del profilo personale di occupabilità secondo le modalità tecniche predisposte dall’ANPAL;
- la definizione degli atti di ricerca attiva che devono essere compiuti e la tempistica degli stessi;
- la frequenza ordinaria di contatti con il responsabile delle attività;
- le modalità con cui la ricerca attiva di lavoro è dimostrata al responsabile delle attività.
Inoltre, nel patto il richiedente deve anche manifestare la propria disponibilità a partecipare a laboratori per il rafforzamento delle proprie competenze nella ricerca attiva di un lavoro, nonché ad iniziative di carattere formativo o di riqualificazione. Il lavoratore deve altresì dichiararsi disponibile ad accettare congrue offerte di lavoro che potrebbero pervenirgli durante il periodo in cui percepisce l’indennità.
Un’apposita regolamentazione ANPAL ha chiarito come, in seguito al colloquio tenuto in sede di sottoscrizione del patto, si deve procedere a un’ulteriore profilazione che tenga conto delle specificità del singolo utente.
Anche i lavoratori che subiscono una sospensione dell’orario di lavoro superiore al 50 per cento nell’arco di dodici mesi a causa della CIG, di un contratto di solidarietà o dell’intervento di un fondo di solidarietà bilaterale devono essere convocati dal centro per l’impiego per stipulare il patto di servizio personalizzato. In questo caso però il patto ha un contenuto ridotto, dovendo prevedere esclusivamente l’individuazione di un responsabile delle attività, la definizione del profilo personale di occupabilità e la frequenza ordinaria di contatti con il responsabile. Infatti, il patto non deve contenere accordi inerenti le modalità di ricerca di un nuovo impiego.
Tuttavia, nelle intenzioni del legislatore, la sottoscrizione del patto risponde alla necessità di mantenere o sviluppare le competenze in vista della conclusione della sospensione dell’attività lavorativa ed in connessione con la domanda di lavoro espressa dal territorio. Per questa ragione, è possibile che il prestatore, benché non formalmente disoccupato, si debba comunque rendere disponibile a partecipare alle stesse iniziative previste per i percettori della Naspi e della DISS-COL.
In quest’ipotesi però il lavoratore non è tenuto ad accettare offerte di lavoro alternative.
Regime sanzionatorio
Infine, il legislatore ha previsto un articolato sistema sanzionatorio così da disincentivare i lavoratori dal non adempiere agli obblighi di attivazione illustrati nel paragrafo precedente.
Il regime sanzionatorio, così come gli obblighi di attivazione, è differenziato a seconda che il soggetto benefici di un’indennità in seguito all’interruzione del rapporto oppure percepisca un’integrazione salariale durante una mera sospensione/riduzione dell’orario di lavoro.
In particolare, i percettori di Naspi e DIS-COLL, in caso di mancata presentazione, senza un giustificato motivo, alle convocazioni o agli appuntamenti con i Centri per l’impiego oppure alle iniziative formative precedentemente concordate, subiscono:
- la decurtazione di un quarto di una mensilità, in caso di prima mancata presentazione;
- la decurtazione di una mensilità, alla seconda mancata presentazione;
- la decadenza dalla prestazione e dallo stato di disoccupazione, in caso di ulteriore mancata presentazione;
Se invece i lavoratori non partecipano alle iniziative di politica attiva o di attivazione, ovvero non partecipano ai lavori di pubblica utilità, perdono una retribuzione alla prima mancata convocazione, mentre decadono dall’intera prestazione e dallo stato di disoccupazione in caso di recidiva.
Infine, la decadenza opera immediatamente nell’ipotesi di mancata accettazione -sempre senza un giustificato motivo- di una congrua offerta di lavoro.
In ogni caso, una volta decaduti dallo stato di disoccupazione, i lavoratori non possono registrarsi nuovamente prima che siano trascorsi due mesi.
Analogamente a quanto previsto per i lavoratori disoccupati, i beneficiari di un’integrazione salariale, che non rispettano le prescrizioni del Patto o che non si presentano alle convocazioni dei Centri per l’impiego, sono soggetti alle sanzioni della decurtazione del trattamento o della perdita del diritto a seconda della gravità dell’inadempimento.
In questo caso, logicamente non è prevista la decadenza dal beneficio in caso di rifiuto di una congrua offerta di lavoro, stante la sussistenza del rapporto originario che è solo sospeso temporaneamente.
Il legislatore, in generale, esclude l’applicazione delle sanzioni solo in presenza di un giustificato motivo, tuttavia nel d.lgs. n. 150/2015 non è possibile trovare alcuna indicazione circa il reale significato di tale espressione. Pertanto, sul punto è intervenuto il Ministero del lavoro delle politiche sociali che, con un’apposita nota, ha fornito alcuni esempi chiarificatori, precisando tuttavia che ogni dubbio potrà essere risolto dal Centro per l’impiego interessato tramite la presentazione di un interpello all’ANPAL in cui propone direttamente la soluzione che ritiene essere più opportuna.
Nel caso in cui l’ANPAL non fornisca alcuna risposta entro 20 giorni, si deve ritenere valida la prospettazione del Centro per l’impiego che dunque godrebbe di un ampio margine di discrezionalità nell’applicazione delle sanzioni.