Scheda sintetica
Rientrano nella categoria del lavoro a tempo parziale tutti i rapporti di lavoro che prevedono un orario di lavoro giornaliero o settimanale inferiore rispetto a quello giornaliero stabilito dalla legge o dal contratto collettivo.
La disciplina del lavoro a tempo parziale è stata, nel tempo, più volte modificata dal legislatore; l’ultima modifica risale a giugno 2015, quando è entrato in vigore il decreto legislativo n. 81/2015, attuativo della Legge delega n. 183 del 2014 (c.d. Jobs Act), che ha abrogato e sostituito la previgente disciplina contenuta nel decreto legislativo n. 61/2000.
Prima di quest’ultimo intervento normativo, la legge individuava 3 distinte tipologie di rapporto di lavoro a tempo parziale:
- orizzontale, quando la riduzione di orario era distribuita su ciascun giorno della settimana;
- verticale, quando la prestazione era resa solo in determinati periodi dell’anno, del mese o della settimana;
- misto, quando il rapporto di lavoro prevedeva sia la riduzione dell’orario giornaliero che dei periodi lavorati.
Queste definizioni sono venute meno con la riforma del 2015: l’attuale disciplina normativa si limita ora a precisare che ogni assunzione può avvenire a tempo pieno, ai sensi dell’art. 3 del decreto legislativo n. 66/2003, o a tempo parziale (art. 4, D.Lgs. 81/2015).
Salvo che non sia diversamente previsto dalla legge o dal contratto collettivo, al rapporto di lavoro part-time si applicano le stesse disposizioni che regolano il rapporto a tempo pieno, venendo tutti i diritti di carattere retributivo riparametrati in base alla quantità della prestazione concordata.
Il contratto di lavoro a tempo parziale deve contenere la puntuale indicazione della durata della prestazione lavorativa e della collocazione temporale dell’orario con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all’anno.
Qualora il contratto di lavoro manchi di determinare la durata della prestazione lavorativa, il lavoratore può rivolgersi al giudice chiedendo che sia dichiarata la sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo pieno; gli effetti della conversione del rapporto di lavoro, da tempo parziale a tempo pieno, operano dal giorno della relativa pronuncia.
Qualora, invece, il contratto di lavoro ometta di precisare la sola collocazione temporale dell’orario, il lavoratore non ha diritto alla conversione del rapporto di lavoro, ma può chiedere esclusivamente che il giudice determini le modalità temporali di svolgimento della prestazione lavorativa a tempo parziale; nel fare ciò, il giudice dovrà tenere conto delle responsabilità familiari del lavoratore e delle sue necessità di integrazione del reddito mediante lo svolgimento di altra attività lavorativa, nonché delle esigenze del datore di lavoro (art. 10, d.lgs. 81/2015).
In entrambi i casi, il lavoratore ha diritto, per il periodo antecedente alla pronuncia di conversione del rapporto ovvero di determinazione delle modalità temporali della prestazione, al risarcimento del danno.
Le parti che stipulano un contratto part-time possono concordare delle clausole accessorie che consentono al datore di lavoro una maggiore flessibilità nella definizione dell’orario di lavoro.
A tal proposito, prima della riforma del 2015, la legge distingueva tra clausole flessibili e clausola elastiche: le prime consentivano al datore di lavoro di modificare la collocazione temporale dell’orario di lavoro, mentre le seconde prevedevano il diritto del datore di lavoro di aumentare la durata della prestazione lavorativa nell’ambito dei rapporti di lavoro a tempo parziale di tipo verticale o misto. La legge stabiliva altresì che la pattuizione di tali clausole poteva avvenire solo nei limiti e secondo le modalità stabilite dalla contrattazione collettiva.
Nella nuova normativa si registra anzitutto una novità di tipo terminologico: il d.lgs. 81/2015 elimina la distinzione clausole elastiche/clausole flessibili, e parla soltanto di clausole elastiche, con le quali le parti possono ora pattuire sia la variazione della collocazione temporale della prestazione lavorativa, sia la variazione in aumento della sua durata.
La riforma del 2015 ha poi fortemente ridimensionato il ruolo della contrattazione collettiva. In base alla nuova disciplina, infatti, le parti sono ora libere di inserire clausole elastiche nel contratto di lavoro anche se ciò non è espressamente previsto dal contratto collettivo applicato al rapporto, purché la pattuizione avvenga per iscritto avanti alle commissioni di certificazione.
Le clausole elastiche devono contenere, a pena di nullità, l’indicazione delle condizioni e delle modalità con le quali il datore di lavoro può modificare la collocazione temporale ovvero variare in aumento la durata della prestazione; devono inoltre precisare la misura massima dell’aumento, che in ogni caso non può superare il limite del 25% della normale prestazione annua a tempo parziale.
Allorché, poi, il datore di lavoro decida di procedere alla modifica dell’orario di lavoro, il lavoratore ha diritto a un preavviso di almeno due giorni lavorativi e a una maggiorazione del 15% della retribuzione oraria globale di fatto.
Il decreto legislativo 81/2015 stabilisce altresì che il lavoratore, una volta dato il suo consenso alle clausole elastiche, può revocare detto consenso nei soli casi in cui (i) sia un lavoratore studente, (ii) sia affetto da patologie oncologiche o da gravi patologie cronico-degenerative, (iii) assista persone con patologie oncologiche, gravi patologie cronico-degenerative o gravi disabilità, ovvero (iv) conviva con figlio di età non superiore a 13 anni o portatore di handicap.
Diversamente dalla previgente disciplina, la riforma del 2015 non contempla più, invece, la possibilità per la contrattazione collettiva di individuare ulteriori casi in cui al lavoratore è data la facoltà di revocare il consenso alle clausole elastiche.
La legge precisa infine che il rifiuto del lavoratore di concordare variazioni dell’orario di lavoro non costituisce giustificato motivo di licenziamento.
Il datore di lavoro può richiedere (o in alcuni casi addirittura pretendere) prestazioni di lavoro supplementare, ossia aggiuntive rispetto all’orario concordato.
La normativa antecedente alla riforma del 2015 riconosceva alla contrattazione collettiva ampio spazio nella disciplina del lavoro supplementare, sia nella definizione del numero massimo di ore supplementari effettuabili, sia in ordine all’individuazione delle causali che consentivano al datore di lavoro di richiedere lo svolgimento di ore extra rispetto a quelle concordate. Ove non prevista e regolamentata dal contratto collettivo, l’effettuazione di prestazioni di lavoro supplementare poteva avvenire solo in presenza del consenso da parte del lavoratore.
La nuova disciplina, racchiusa nei primi due commi dell’art. 6 del d.lgs. 81/2015, ha anzitutto eliminato buona parte dei rinvii alla contrattazione collettiva; ma, soprattutto, ha escluso la necessità del consenso del lavoratore allo svolgimento delle prestazioni di lavoro supplementare, prestazioni che il datore di lavoro è ora libero di richiedere, in assenza di previsioni ad hoc da parte dei contratti collettivi, in misura non superiore al 25% delle ore di lavoro settimanali concordate.
Per le prestazioni di lavoro supplementare, il lavoratore ha diritto a una maggiorazione della retribuzione pari al 15%, ferma restando la possibilità di rifiutarne lo svolgimento in presenza di comprovate esigenze lavorative, di salute, familiari o di formazione professionale.
La legge prevede che il rapporto di lavoro possa essere trasformato da tempo pieno a tempo parziale, e viceversa; la trasformazione può avvenire solo su accordo delle parti, e l’eventuale rifiuto del lavoratore a trasformare il rapporto di lavoro non può costituire valido motivo di licenziamento.
In caso di trasformazione da tempo pieno a tempo parziale, l’accordo deve risultare da atto scritto e il lavoratore acquisisce il diritto di precedenza nelle assunzioni con contratto a tempo pieno per lo svolgimento delle stesse mansioni o di mansioni di pari livello e categoria legale rispetto a quello oggetto del rapporto a tempo parziale.
La legge stabilisce inoltre che, in caso di assunzione di lavoratori a tempo parziale, il datore di lavoro è tenuto a darne tempestiva comunicazione ai dipendenti già in servizio a tempo pieno e a prendere in considerazione eventuali domande di trasformazione del rapporto a tempo parziale da parte di questi ultimi.
La nuova disciplina non prevede più, invece, la possibilità di inserire nel contratto individuale di lavoro a tempo parziale una clausola che attribuisca un diritto di prelazione in caso di nuove assunzioni a tempo pieno.
La riforma del 2015 ha infine introdotto una importante novità in materia di trasformazione del rapporto, riconoscendo al lavoratore la facoltà di richiedere, una sola volta, in luogo del congedo parentale previsto dal decreto legislativo n. 151/2001, la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto a tempo parziale, per un periodo corrispondente a quello dell’aspettativa spettante; la riduzione d’orario, in questo caso, non può superare il limite del 50%.
Normativa
- Decreto legislativo 25 febbraio 2000, n. 61
- Decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276
- Decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66
- Legge 24 dicembre 2007 n. 247
- Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro
- Legge 28 giugno 2012, recante Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita
- Decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, recante disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell’articolo 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183
Scheda di approfondimento
Fino al 24 giugno 2015, il part-time è stato disciplinato dal decreto legislativo n. 61 del 2000. Tale normativa è stata recentemente abrogata, a seguito dell’entrata in vigore del decreto legislativo n. 81/2015, avvenuta il 25 giugno 2015, nei cui articoli da 4 a 12 è oggi interamente compendiata l’intera regolamentazione dei rapporti a tempo parziale.
La riforma non ha stravolto la precedente disciplina, ma ha comunque introdotto alcune significative novità, a partire dal forte ridimensionamento del ruolo della contrattazione collettiva nella regolazione delle clausole elastiche (le clausole che consentono al datore di lavoro di modificare unilateralmente l’orario di lavoro) e del lavoro supplementare (definizione che identifica il lavoro reso in aggiunta all’orario concordato dalle parti). Ulteriori novità si registrano anche in materia di trasformazione del rapporto di lavoro.
La fissazione degli orari
Come già previsto dalla precedente normativa, il contratto di lavoro a tempo parziale deve essere stipulato in forma scritta ai soli fini della prova e deve contenere la puntuale indicazione della durata della prestazione lavorativa, e la collocazione temporale della stessa, con riferimento al giorno, alla settimana, al mese ed all’anno.
Trattasi di una previsione di fondamentale importanza: il lavoratore deve sapere con precisione quando tenersi a disposizione del datore di lavoro, e ciò al fine di poter attendere, nel tempo restante, alle proprie occupazioni di carattere personale, ovvero per poter reperire una diversa attività lavorativa, nel caso in cui il ricorso al part time non sia frutto di una scelta per disporre di tempo libero.
L’art. 10 del d.lgs. 81/2015 disciplina le sanzioni applicabili nel caso in cui manchi la prova della stipulazione di un contratto di lavoro part-time, ovvero nel caso in cui il contratto non contenga una indicazione puntuale della durata della prestazione lavorativa o della collocazione dell’orario di lavoro. In particolare, tale norma prevede che:
- in mancanza di prova in ordine alla stipulazione a tempo parziale del contratto di lavoro (per esempio in caso di contratto verbale e non scritto), il lavoratore può chiedere che il giudice dichiari la sussistenza tra le parti di un rapporto di lavoro a tempo pieno; per il periodo antecedente alla data della pronuncia, il lavoratore ha diritto al pagamento della retribuzione e al versamento dei contributi previdenziali limitatamente alle prestazioni effettivamente svolte;
- il lavoratore può chiedere la conversione del contratto da tempo parziale a tempo pieno anche nel caso in cui il contratto scritto non precisi la durata della prestazione lavorativa; in questa ipotesi, per il periodo antecedente alla pronuncia, il lavoratore ha diritto alla retribuzione dovuta per le prestazioni effettivamente rese e al risarcimento del danno;
- se, invece, il contratto di lavoro non precisa la collocazione temporale dell’orario, il lavoratore può chiedere che sia il giudice a determinare le modalità temporali di svolgimento della prestazione lavorativa, che rimane a tempo parziale; nel fare ciò, il giudice dovrà tenere conto delle responsabilità familiari del lavoratore e delle sue necessità di integrazione del reddito mediante lo svolgimento di altra attività lavorativa, nonché delle esigenze del datore di lavoro (art. 10, d.lgs. 81/2015); per il periodo antecedente alla pronuncia del giudice, il lavoratore ha diritto alla retribuzione per le prestazioni rese e al risarcimento del danno.
Le clausole elastiche
La legge riconosce alle parti di un rapporto part-time la possibilità di inserire nel contratto delle clausole accessorie che consentono al datore di lavoro una maggiore flessibilità nella definizione dell’orario di lavoro.
A tal proposito, il decreto legislativo n. 61/2000 distingueva tra clausole flessibili e clausole elastiche: le prime consentivano al datore di lavoro di modificare la collocazione temporale dell’orario di lavoro (ossia di decidere in quali giorni e/o orari la prestazione a tempo parziale debba essere resa); le seconde, invece, prevedevano il diritto del datore di lavoro di aumentare la durata della prestazione lavorativa a tempo parziale (verticale).
Il medesimo decreto – a seguito di una modifica introdotta dalla Legge 247/2007 – stabiliva altresì che queste clausole si potessero applicare al contratto individuale solo nel caso in cui fossero state previste dai contratti collettivi stipulati dalle OO.SS. maggiormente rappresentative, i quali dovevano stabilire le condizioni e le modalità in relazione alle quali il datore poteva modificare o incrementare l’orario di lavoro, il limite massimo di tale aumento, nonché (per effetto della Riforma del 2012) anche le condizioni e le modalità che consentivano al lavoratore di richiedere l’eliminazione ovvero la modifica delle clausole flessibili e delle clausole elastiche.
Ebbene, con la riforma del 2015 è anzitutto venuta meno la distinzione tra clausole elastiche e clausole flessibili: il quarto comma dell’art. 6 del d.lgs. 81/2015, infatti, parla soltanto di clausole elastiche, con le quali le parti possono ora pattuire sia la variazione della collocazione temporale della prestazione lavorativa, sia la variazione in aumento della sua durata.
In base alla nuova disciplina, inoltre, le parti che intendono inserire dette clausole nel contratto di lavoro sono ora libere di farlo anche in assenza di specifiche previsioni da parte della contrattazione collettiva.
L’art. 6, comma 6, del d.lgs. 81/2015 prevede tuttavia che, nel caso in cui il contratto collettivo applicato al rapporto non disciplini le clausole elastiche, queste devono essere pattuite per iscritto e la relativa pattuizione deve avvenire avanti alle commissioni di certificazione, con facoltà del lavoratore di farsi assistere da un rappresentante dell’associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato o da un avvocato o da un consulente del lavoro.
A pena di nullità, le clausole elastiche devono indicare le condizioni e le modalità con le quali il datore di lavoro può modificare la collocazione temporale della prestazione e variarne in aumento la durata, nonché la misura massima dell’aumento, che non può in ogni caso eccedere il limite del 25 per cento della normale prestazione annua a tempo parziale.
La legge prevede altresì che, nel caso in cui il datore di lavoro intenda procedere alla modificazione dell’orario di lavoro, il lavoratore ha diritto a due giorni lavorativi di preavviso e a una maggiorazione del 15 per cento della retribuzione oraria globale di fatto, comprensiva dell’incidenza della retribuzione sugli istituti retributivi indiretti e differiti.
Il lavoratore che ha dato il suo consenso alle clausole elastiche può revocare detto consenso solo nelle seguenti ipotesi:
- se si tratta di un lavoratore studente;
- se è affetto da patologie oncologiche o da gravi patologie cronico-degenerative ingravescenti, dalle quali derivi una ridotta capacità lavorativa, che deve essere accertata da una commissione medica istituita presso l’azienda unità sanitaria territorialmente competente;
- in caso di patologie oncologiche o gravi patologie cronico-degenerative ingravescenti riguardanti il coniuge, i figli o i genitori;
- se assiste una persona convivente con totale e permanente inabilità lavorativa, che abbia necessità di assistenza continua;
- se convive con figlio di età non superiore a 13 anni o con figlio portatore di handicap.
Diversamente dalla previgente disciplina, la riforma del 2015 non contempla più, invece, la possibilità per la contrattazione collettiva di individuare ulteriori casi in cui al lavoratore è data la facoltà di revocare il consenso alle clausole elastiche.
La legge precisa infine che il rifiuto del lavoratore di concordare variazioni dell’orario di lavoro non costituisce giustificato motivo di licenziamento.
Il lavoro supplementare
Si intende per lavoro supplementare quello reso in aggiunta all’orario (ridotto) di lavoro concordato ma entro i limiti dell’orario a tempo pieno.
La disciplina del lavoro supplementare è stata significativamente modificata dalla riforma del 2015, attuata con il decreto legislativo n. 81/2015.
Prima dell’entrata in vigore di tale decreto, avvenuta a giugno 2015, la legge demandava alla contrattazione collettiva il compito di stabilire il numero massimo delle ore di lavoro supplementare effettuabili e le relative causali in relazione alle quali si consentiva di richiedere a un lavoratore a tempo parziale lo svolgimento di lavoro supplementare, nonché le conseguenze del superamento delle ore di lavoro supplementare consentite dai contratti collettivi stessi.
I contratti collettivi potevano inoltre prevedere una maggiorazione da applicarsi alle ore di lavoro supplementare prestate, maggiorazione che poteva anche costituire una forma di forfetizzazione dell’incidenza della retribuzione corrisposta per tali ore sugli istituti retributivi indiretti (ferie, festività, Tfr, ecc.).
La legge prevedeva infine che, se la prestazione di lavoro supplementare non era prevista e regolamentata dal contratto collettivo, per il suo svolgimento era necessario il consenso del lavoratore.
Le nuova disciplina del lavoro supplementare, racchiusa nei primi due commi dell’art. 6 del d.lgs. 81/2015, nel chiaro intento di ridurre la rilevanza dei contratti collettivi nella regolamentazione del part-time, ha anzitutto eliminato buona parte dei rinvii alla contrattazione collettiva.
In secondo luogo, la riforma del 2015 ha escluso la necessità del consenso del lavoratore allo svolgimento delle prestazioni di lavoro supplementare: anche in assenza di previsioni ad hoc da parte dei contratti collettivi, quindi, il datore di lavoro è comunque libero di pretendere dal lavoratore lo svolgimento di ore lavorative extra, purché tali ore non superino il 25% delle ore di lavoro settimanali concordate. Per lo svolgimento di lavoro supplementare, il lavoratore ha diritto a una maggiorazione della retribuzione pari al 15%.
La nuova normativa prevede infine che il lavoratore possa opporsi alla richiesta di lavoro supplementare solo in presenza di comprovate esigenze lavorative, di salute, familiari o di formazione professionale.
Incentivazione e trasformazione del lavoro a tempo parziale – Altre disposizioni
La legge prevede che il rapporto di lavoro possa essere trasformato da tempo pieno a tempo parziale, e viceversa; la trasformazione può avvenire solo su accordo delle parti risultante da atto scritto e l’eventuale rifiuto del lavoratore a trasformare il rapporto di lavoro non può costituire valido motivo di licenziamento.
Fino al 25 giugno 2015, l’unica deroga al principio secondo cui la trasformazione richiede necessariamente l’accordo di entrambe le parti era quella prevista dall’art. 12 bis del d.lgs. 61/2000, che riconosceva ai soli lavoratori affetti da patologie oncologiche con ridotta capacità lavorativa il diritto di ottenere la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in lavoro a tempo parziale verticale od orizzontale.
Il decreto legislativo n. 81/2015 ha esteso tale diritto anche ai lavoratori affetti da gravi patologie cronico-degenerative ingravescenti (art. 8, co. 2).
Ma, soprattutto, la nuova disciplina ha introdotto la possibilità per il lavoratore di richiedere, una sola volta, in luogo del congedo parentale previsto dal decreto legislativo n. 151/2001, la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto a tempo parziale, per un periodo corrispondente a quello dell’aspettativa spettante; la riduzione d’orario, in questo caso, non può superare il limite del 50%.
La legge individua inoltre una serie di ipotesi al ricorrere delle quali è riconosciuta la “priorità” nella trasformazione del contratto da tempo pieno a tempo parziale; si tratta, in particolare, dei casi di:
- patologie oncologiche che riguardino familiari;
- assistenza a familiare portatore di handicap grave;
- assistenza a figlio convivente di età non superiore a 13 anni o portatore di handicap.
In sostanza, allorché si versi in una delle condizioni sopra indicate, il lavoratore ha diritto di ottenere la trasformazione del rapporto, con priorità rispetto alle richieste provenienti da altri lavoratori, ma sempre e solo nel caso in cui il datore di lavoro intenda accogliere almeno in parte tali richieste.
A tal fine, la legge prevede che, in caso di assunzione di lavoratori a tempo parziale, il datore di lavoro è tenuto a darne comunicazione ai lavoratori in servizio (anche a mezzo avviso affisso in luogo accessibile) e a “prendere in considerazione le eventuali richieste di trasformazione” del rapporto provenienti dai lavoratori a tempo pieno.
Si tratta di una terminologia generica e che sicuramente non introduce uno specifico diritto, che peraltro sarebbe limitato all’ipotesi di nuove assunzioni a tempo parziale.
Anche per quanto riguarda l’ipotesi inversa (conversione del rapporto a tempo pieno), la legge riconosce un diritto di priorità nelle assunzioni a tempo pieno per i lavoratori che abbiano trasformato il rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale, purché si tratti di assunzioni relative a mansioni di pari livello e categoria legale rispetto a quelle già oggetto del rapporto di lavoro a tempo parziale.
La normativa previgente prevedeva, poi, la possibilità di inserire nel contratto individuale di lavoro a tempo parziale una clausola che attribuiva un diritto di prelazione in caso di nuove assunzioni a tempo pieno relative a mansioni uguali o equivalenti a quelle oggetto del rapporto a tempo parziale; tale possibilità non è più contemplata nella disciplina dettata dal decreto legislativo n. 81/2015.
Criteri di computo
Ai fini della determinazione dei requisiti dimensionali dell’azienda, i lavoratori part time vanno computati in proporzione all’orario svolto (art. 9, d.lgs. 81/2105).
Casistica di decisioni della Magistratura in tema di lavoro a tempo parziale
In genere
- Un GOT che svolga attività reale ed effettiva, con carattere prevalente rispetto ad ogni altra attività lavorativa astrattamente esercitabile, percependo emolumenti, dev’essere considerato “lavoratore” ai sensi della clausola 2 dell’accordo quadro annesso alla Dir. 1997/81/CE e della clausola 2 dell’accordo quadro annesso alla Dir. 1999/70/CE, con conseguente applicazione al rapporto lavorativo ad esso riferibile del disposto della clausola 4 degli accordi quadro annessi alle citate direttive (recante il divieto di discriminazione dei lavoratori a tempo parziale e a tempo determinato rispetto ai lavoratori a tempo pieno e a tempo indeterminato comparabili per il solo motivo di essere occupati a tempo parziale o determinato, salvo che un trattamento differente sia giustificato da ragioni oggettive)
- Il datore di lavoro non può disporre della facoltà del proprio dipendente di reperire un’occupazione diversa in orario compatibile con la prestazione di lavoro a tempo parziale. In presenza di un regolamento aziendale che contempla il divieto assoluto, per il proprio dipendente, di svolgere ogni altra attività di lavoro, l’unica lettura interpretativa della previsione regolamentare coerente con il dettato costituzionale di cui agli artt. 4 e 35 Cost. è quella che legittima la verificabilità dell’incompatibilità in concreto della diversa attività con le finalità istituzionali e con i doveri connessi alla prestazione, ai sensi degli artt. 2104 e 2105 c.c., mentre sarebbe nulla una previsione regolamentare che riconoscesse al datore un potere incondizionato di incidere unilateralmente sul diritto del lavoratore in regime di part-time di svolgere un’altra attività lavorativa. (Cass. 25/5/2017, n. 13196, Pres. Macioce Est. Blasutto, in Riv. Giur. Lav. prev. soc. 2017, con nota di L. Viola, “Il diritto del dipendente di svolgere un’ulteriore attività lavorativa”, 583)
- Ammettere che il datore di lavoro abbia una facoltà incondizionata di negare l’autorizzazione o di sanzionare in sede disciplinare il fatto in sé dell’esercizio di un’altra attività lavorativa al di fuori dell’orario di lavoro sarebbe in contrasto con il principio del controllo giudiziale di tutti i poteri che il contratto di lavoro attribuisce al datore di lavoro, e proprio con riferimento ad aspetti incidenti sul diritto al lavoro. L’incompatibilità dev’essere verificata caso per caso, restando tale valutazione suscettibile di controllo, anche giudiziale. (Cass. 25/5/2017, n. 13196, Pres. Macioce Est. Blasutto, in Riv. Giur. Lav. prev. soc. 2017, con nota di L. Viola, “Il diritto del dipendente di svolgere un’ulteriore attività lavorativa”, 583)
- Il principio di non discriminazione di cui all’art. 4 del d.lgs. 25.2.2000, n. 61, prevede che il lavoratore a tempo parziale non deve ricevere un trattamento meno favorevole rispetto al lavoratore a tempo pieno comparabile, dovendosi intendere per tale quello inquadrato nello stesso livello di fonte contrattuale collettiva, a nulla rilevando criteri alternativi di comparazione quale quello del sistema della turnazione continua e avvicendata. (Cass. 23/9/2016 n. 18709, Pres. Nobile Est. De Gregorio, in Riv. giur. lav. e prev. soc. 2017, II, con nota di M.A. Carbone, “Part-time e svolgimento di turni avvicendati e continui”, 46)
- Pur ove si tratti di contratti part-time in eccedenza (rispetto al limite fissato dalla contrattazione collettiva), ma non nulli, il superamento del limite non appare determinare anche una fittizia insorgenza di un rapporto a tempo pieno (e conseguentemente dell’applicazione della contribuzione virtuale). (Trib. Reggio Calabria 5/11/2013, Giud. D’Ingianna, in Lav. nella giur. 2013, 1129)
- Con riferimento a una prestazione continuativa di un orario di lavoro pressoché corrispondente a quello previsto per il lavoro a tempo pieno, un rapporto di lavoro part-time può trasformarsi in rapporto a tempo pieno, nonostante la difforme, iniziale, manifestazione di volontà delle parti, non essendo necessario alcun requisito formale per la trasformazione di un rapporto a tempo parziale in rapporto di lavoro a tempo pieno, bastando in proposito dei fatti concludenti, in relazione alla prestazione lavorativa resa, costantemente secondo l’orario normale o, addirittura, superiore. (Cass. 13/8/2010 n. 21160, Pres. Sciarelli Rel. Morcavallo, in Lav. Nella giur. 2011, con commento di Gianluigi Girardi, 283)
- La clausola 4, punto 2, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale, allegato alla direttiva 97/81/CE, osta a una disposizione nazionale la quale preveda, ove il lavoratore sia passato dal tempo pieno al tempo parziale, che le ferie non utilizzate vengano proporzionalmente ridotte senza che il lavoratore abbia avuto la possibilità di fruire delle ferie maturate durante il periodo di attività lavorativa a tempo pieno, oppure che il lavoratore possa fruirne solo con un’indennità compensativa di importo inferiore. (Corte di Giustizia 22/4/2010, causa C-486/08, Pres. Tizzano Rel. Levits, in Riv. it. dir. lav. 2010, con nota di Rita Poggio, “Il rapporto tra difesa dei diritti sociali e tutela della libertà di iniziativa economica alla luce di una recente pronuncia della Corte di Giustizia”, 1030)
- In caso di cessione del contratto di lavoro a tempo parziale, è necessario il consenso del lavoratore alla variazione della matrice oraria osservata presso la società cedente ed espressamente richiamata all’atto della cessione del contratto. (Trib. Roma 8/1/2009, Est. Perra, in Orient. Giur. Lav. 2009, 106)
- Ai fini della determinazione della natura, a tempo parziale o a tempo pieno, del rapporto di lavoro non rileva il negozio costitutivo del rapporto medesimo e l’iniziale manifestazione di volontà delle parti, ma la concreta attuazione del contratto di lavoro stipulato tra le parti. Ne consegue che, ove sia stata dimostrata la costante effettuazione di un orario di lavoro prossimo (o anche superiore) a quello stabilito per il lavoro a tempo pieno, restando privo di rilievo il richiamo alla disciplina codicistica in tema di conversione del contratto nullo e la ricerca di una volontà novativa delle parti. (Cass. 28/10/2008 n. 25891, Pres. De Luca Est. Bandini, in Lav. nella giur. 2009, 301, e in Riv. it. dir. lav. 2009, con nota di Massimiliano Delfino, “Nella trasformazione da part-time a full-time rileva la volontà implicita delle parti”, 287)
- Anche in caso di part-time verticale, il principio di non discriminazione di cui all’art. 4 D.Lgs. 25/2/2000 n. 61 vieta – in assenza di regolamentazione collettiva specifica – il riproporzionamento del periodo di comporto fissato dal contratto collettivo per i lavoratori a tempo pieno in relazione al periodo di prestazione effettiva. (Trib. Milano 6/9/2007, Est. Sala, in D&L 2007, 812)
- Costituendo la collocazione temporale della prestazione lavorativa un elemento essenziale del contratto di lavoro part-time, ai sensi dell’art. 5, 2° comma, della L. n. 863/1984, è nulla la clausola del contratto individuale di lavoro che preveda semplicemente l’articolazione dell’orario in 4 ore al giorno per tutti i giorni della settimana e lo svolgimento della prestazione su turni alternati con orari sempre diversi. Nell’ipotesi di violazione delle norme sulla collocazione dell’orario di lavoro, il Giudice provvede, ai sensi dell’art. 8 D.Lgs. n. 61/2000 a determinare, per il futuro, la modalità temporale di svolgimento della prestazione lavorativa, con riferimento alla previsione dei Ccnl o, in mancanza, con valutazione equitativa mentre, per il passato, il lavoratore avrà diritto al risarcimento del danno subito a fronte della maggiore onerosità e penosità dell’attività lavorativa prestata. (Trib. Milano 23/11/2006, Est. Peragallo, in Lav. nella giur. 2007, 834)
- L’inderogabilità della disposizione di cui all’art. 2, comma 2, D.Lgs. n. 61/2000 – relativa alla necessaria indicazione nel contratto di lavoro part-time della collocazione temporale dell’orario con riferimento a giorno, mese, settimana e anno – comporta la nullità delle clausole del contratto collettivo che prevedano la possibilità di inserire i lavoratori part-time in turni avvicendati, legittimando, così, il datore di lavoro a operare una continua variazione dei turni per ciascun lavoratore in tutto l’arco della giornata lavorativa. (Trib. Milano 2/1/2006 Est. Tanara, in Lav. Nella giur. 2006, 922)
- Non può considerarsi a tempo parziale il contratto di lavoro che nel concreto svolgimento sia stato caratterizzato da un orario sempre eccedente il normale orario di lavoro a tempo pieno. Ne consegue la nullità della clausola a tempo parziale e la configurabilità di un rapporto a tempo pieno fin dall’inizio. (Trib. Milano 31/8/2005, Est. Atanasio, in Orient. Giur. Lav. 2005, 623)
- Nei rapporti di lavoro a tempo parziale, nel rispetto della regola di non discriminazione, si applica il principio di proporzionamento in base al quale, non solo la retribuzione, ma anche gli altri istituti, possono subire riduzioni proporzionate alle ore lavorative ovviamente nei limiti in cui il proporzionamento è possibile; e, pertanto, poiché in base agli artt. 36, comma 3, Cost. e 2109 c.c. il riposo settimanale non può essere inferiore a 24 ore, tale periodo minimo non può subire alcun proporzionamento per i lavoratori a tempo parziale, mentre il proporzionamento è possibile allorchè il riposo settimanale sia superiore alle 24 ore. (Cass. sez. III pen. 18/7/2005 n. 26391, Pres. Savignano Est. Petti, in Dir. e prat. lav. 2005, 2057)
- I requisiti di validità di un contratto part-time stipulato prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. 61/2000 e successive modificazioni ed integrazioni – devono essere valutati non alla luce dell’interpretazione giurisprudenziale della L. n. 863/1984 non più vigente nel periodo, da novembre 2002 in avanti, al quale si riferiscono le domande avanzate con il ricorso,bensì con riferimento al nuovo quadro normativo. (Trib. Milano 25/2/2005, Est. Di Ruocco, in Lav. nella giur. 2005, 1097, e in Orient. Giur. Lav. 2005, 68)
- Il part time cosiddetto verticale rientra nella previsione dell’art. 76 R.D.L. n. 1827/35 in quanto si tratta di un caso in cui la disoccupazione consegue a periodi di sosta dipendenti dal tipo di lavorazione, “soggetta a normali periodi di sospensione” e pertanto il lavoratore con contratto part time verticale ha pieno titolo al riconoscimento del diritto all’indennità di disoccupazione a requisiti normali, se il contratto è di durata superiore a sei mesi, a requisiti ridotti, se è di durata inferiore (Pret. Ravenna 12/9/00, est. Riverso, in Lavoro giur. 2001, pag. 69, con nota di Paci, Evoluzione, e involuzione, della giurisprudenza sull’indennità di disoccupazione nel part time verticale)
- Nel caso di licenziamento per eccessiva morbilità di lavoratore a tempo parziale, il periodo di comporto applicabile è, in assenza di regola contrattuale collettiva specifica, quello previsto dalla disciplina collettiva per i lavoratori a tempo pieno qualora si tratti di part-time orizzontale, cioè con orario ridotto ma uniforme per tutti i giorni, dovendo invece, il periodo stesso qualora si tratti di part-time verticale e cioè con orario normale per alcuni mesi dell’anno o per alcune settimane al mese, essere determinato dal giudice, eventualmente con ricorso alle fonti sussidiarie degli usi e dell’equità di cui all’art. 2110 c.c., diminuendo la durata prevista per i lavoratori a tempo pieno in proporzione alla quantità della prestazione, in modo che, avuto riguardo alla particolarità del rapporto, resti salva la causa del contratto e sia mantenuto costante l’equilibrio di scambio tra prestazione e contro prestazione, con l’osservanza dei limiti derivanti dall’art. 1464 c.c. (nella specie si trattava di part-time orizzontale) (Cass. 14/12/99 n. 14065, in Foro it. 2000, pag. 52; in D&L 2000, 359, n. Veraldi, Rapporto di lavoro a tempo parziale e periodo di comporto)
- Un rapporto di lavoro subordinato formalmente a tempo parziale va qualificato come a tempo pieno laddove le concrete modalità di svolgimento del rapporto risultino essere quelle tipiche del contratto di lavoro a tempo pieno senza che al riguardo possa essere attribuita rilevanza alcuna alle formalità e cautele previste dall’art. 5, L.18/12/84 n. 863 in quanto inapplicabili alla trasformazione del contratto da tempo parziale a tempo pieno (Pret. Milano 11/7/98, est. Marasco, in D&L 1998, 1011)
Questioni di legittimità costituzionale
- È infondata la questione di legittimità dell’art. 5, secondo comma, del decreto legge 30 ottobre 1984 n. 726 (Misure urgenti a sostegno e a incremento di livelli occupazionali), convertito, con modificazioni, nella legge 19 dicembre 1984, n. 863, nella parte in cui – nel regime precedente all’entrata in vigore del decreto legislativo 25 febbraio 2000 n. 61 – prescriveva che il contratto di lavoro a tempo parziale dovesse stipularsi ad substantiam per iscritto. (Cost. 15 luglio 2005 n. 283, Pres. Capotasti, in Orient. Giur. Lav. 2005, 304)
- Non è manifestamente infondata, in relazione agli artt. 3 e 36 Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, secondo comma, decreto-legge 30 ottobre 1984 n. 726, convertito con modificazioni nella legge 19 dicembre 1984 n. 863, nella parte in cui, prevedendo – secondo l’interpretazione della giurisprudenza di legittimità – la nullità dell’intero contratto di lavoro a tempo parziale stipulato verbalmente, riduce la tutela offerta al lavoratore al solo riconoscimento delle retribuzioni relative alle prestazioni eseguite, ex art. 2126 c.c., con esclusione della normativa sul licenziamento (vedasi Corte Cost. n. 210 del 1992). (Cass. 24/8/2004 n. 16755, Pres. Sciarelli Rel. De Renzis, in Lav. e prev. oggi 2004, 2010)
- L’art. 5, 11° comma, DL 30/10/84 n. 726 convertito in L. 19/12/84 n. 863 – in forza del quale l’ammontare della pensione deve essere calcolato tenendo conto per l’intero dell’anzianità inerente i periodi di lavoro a tempo pieno e proporzionalmente all’orario effettivamente svolto per l’anzianità inerente i periodi di lavoro a tempo parziale – configura un sistema di calcolo della pensione complessivamente più favorevole per il lavoratore a orario ridotto e trova applicazione sia in caso di trasformazione del rapporto a tempo pieno a part-time, sia nei casi di rapporti sorti sin dall’inizio a tempo parziale; così interpretata, la norma è costituzionalmente legittima e deve pertanto essere rigettata la relativa eccezione sollevata con riferimento agli artt. 38, 2° comma, e 3 Cost. (Corte Cost. 28/5/99 n. 202, pres. Granata, rel. Ruperto, in D&L 1999, 487)
- E’ costituzionalmente legittimo l’art. 5, 11° comma, DL 30/10/84 n. 726 convertito in L. 19/12/84 n. 863, nella parte in cui dispone che il più favorevole sistema di calcolo pensionistico ivi previsto trovi applicazione solo per i periodi di lavoro successivi all’entrata in vigore della legge; rientra infatti nella discrezionalità del legislatore fissare termini di decorrenza per determinati benefici, salvo il solo limite della ragionevolezza e della non arbitrarietà (Corte Cost. 28/5/99 n. 202, pres. Granata, rel. Ruperto, in D&L 1999, 487)
Forma scritta
- La nullità parziale del contratto di lavoro part-time, per carenza di forma scritta circa la distribuzione dell’orario, non determina propriamente un problema di “conversione”, ma essendo la stessa configurazione di un rapporto come part-time inscindibilmente connessa alla clausola che limita le prestazioni che ne sono oggetto a un orario inferiore al normale, la mancanza o l’invalidità di detta clausola comporta l’automatica espansione dell’orario ridotto ai livelli dell’orario normale facendo così venir meno, insieme alla sua conditio sine qua non, la stessa configurabilità già a monte del rapporto come part-time. Non è dunque questione di convertire un rapporto di lavoro part-timje in rapporto full-time, ma solo di dar atto della sua già originaria natura di contratto a tempo pieno, peraltro anche assecondata dalle concrete modalità della sua esecuzione. (Trib. Milano 14/8/2008, Dott. Casella, in Lav. nella giur. 2009, 93)
- In tema di rapporto di lavoro a tempo parziale, il difetto di forma scritta prevista ad substantiam per la conclusione del contratto preclude a esso, per il periodo in cui il rapporto di lavoro ha avuto esecuzione, di produrre gli effetti propri del lavoro a tempo parziale. Ne consegue che va esclusa l’applicazione del particolare trattamento previdenziale previsto, con disposizioni di favore per il rapporto a tempo parziale, all’art. 5, comma undicesimo, del D.L. n. 726 del 1984, convertito con modificazioni nella L. n. 863 del 1984, e deve invece applicarsi il regime contributivo ordinario, prevedente anche i i minimi giornalieri di retribuzione imponibile. (Cass. 5/5/2008 n. 11011, Pres. Ciciretti Est. Bandini, in Lav. nella giur. 2008, 956, e in Dir. e prat. lav. 2008, 2658)
- Nel regime del D.Lgs. n. 61/2000 viene confermata l’impostazione argomentativa (già indicata dalla giurisprudenza in base alla disciplina previgente) secondo la quale, nel caso di contratto part-time privo di forma scritta, l’obbligo contributivo deve essere commisurato al minimale retributivo e non a quello giornaliero. (Trib. Treviso 11/7/2007, Est. De Luca, in Lav. nella giur. 2008, 318)
- In caso di contratto di lavoro a tempo parziale, che abbia avuto esecuzione pur essendo nullo perché privo della forma scritta richiesta a pena di nullità dall’art. 5, secondo comma, della legge n. 863 del 1984, la misura della contribuzione dovuta non è commisurata alla minore retribuzione spettante in conseguenza della minor durata della prestazione lavorativa, ma va determinata applicando l’ordinario regime di contribuzione, prevedente anche i minimali giornalieri di retribuzione imponibile a fini contributivi. (Cass. 28/8/2004 n. 17271, Pres. Ravagnani Rel. La Terza , in Dir. e prat. lav. 2005, 759)
- Al contratto di lavoro a tempo parziale che abbia trovato esecuzione nonostante la nullità per difetto di forma scritta non può applicarsi la disciplina in tema di contribuzione previdenziale posta dall’art. 5, 5° comma , del d.l. 30/10/84, n. 726, convertito in legge 19/12/84, n. 863, ma deve invece essere applicato il regime ordinario di contribuzione di cui al d.l. 9/10/89, n. 338, convertito in l. 7/12/89, n. 389, in tema di limite minimo di retribuzione imponibile ai fini contributivi (Cass. 2/12/99, n. 13445, pres. Mileo, in Argomenti dir. lav. 2000, pag. 410. In senso contrario, v. Cass. 29/12/99, n. 14692, pres. Sciarelli, in Argomenti dir. lav. 2000, pag. 407)
- La mancata stipulazione per iscritto del contratto di lavoro a part – time determina, ai sensi dell’art. 1419 c. 1 c.c., la nullità parziale dello stesso, normalmente limitata pertanto alla relativa clausola, cui consegue, ex art. 36 Cost. e 2099 c. 2 c.c., in ragione della mancata valida predeterminazione della collocazione temporale dell’orario di lavoro nella giornata, un’integrazione retributiva parametrata sulla disponibilità effettivamente offerta dal lavoratore, eccedente le ore lavorate (Trib. Torino 17/3/95, pres. Parnisari, est. Rossi, in D&L 1995, 937)
Orario di lavoro
- Le clausole dei contratti collettivi nazionali di lavoro che prevedono, nel caso di lavoro a tempo parziale, un orario minimo di lavoro, sono inderogabili ai sensi dell’art. 2077 c.c., con la conseguenza che eventuali clausole derogative presenti nel contratto di lavoro individuale, che prevedano un orario inferiore, sono legittime solamente ove il datore di lavoro provi che la deroga sia nei fatti migliorativa per il lavoratore, e ove ciò non avvenga questi avrà diritto a percepire le differenze retributive fino a concorrenza dell’orario pieno che non ha potuto lavorare (fattispecie relative al Ccnl per le aziende del settore servizi di pulizia). (Corte app. Milano 19/2/2009, pres. ed est. Ruiz, in D&L 2009, 778)
- Nel contratto di lavoro a tempo parziale devono essere indicate, oltre le mansioni, anche la distribuzione dell’orario di lavoro, con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all’anno. Il ricorso al termine distribuzione e il riferimento congiunto a tutti i parametri temporali denotano con chiarezza che il legislatore non ha considerato sufficiente che il contratto specifichi il numero di ore di lavoro al giorno in cui la prestazione lavorativa deve svolgersi, ma ha inteso stabilire che, se le parti si accordano per un orario giornaliero di lavoro inferiore a quello ordinario, di tale orario giornaliero deve essere determinata la distribuzione e cioè la collocazione nell’arco della giornata; se le parti hanno convenuto che il lavoro abbia a svolgersi in un numero di giorni alla settimana inferiore a quella normale, la distribuzione di tali giorni nell’arco della settimana deve essere preventivamente stabilita; se le parti hanno pattuito che la prestazione lavorativa debba occupare solo alcune settimane o alcuni mesi, deve essere preventivamente deterimanto dal contratto quali sono le settimane e i mesi in cui l’impegno lavorativo dovrà essere adempiuto. In definitiva il legislatore ha escluso l’ammissibilità di qualunque forma di contratto a chiamata o a comando. (Trib. Milano 12/9/2008, dott. Mariani, in Lav. nella giur. 2009, 201)
- Qualora il giudice accerti nel contratto di lavoro individuale a tempo parziale l’omissione della collocazione temporale della prestazione lavorativa dedotta in obbligazione, lo stesso deve procedere sia all’integrazione della lacuna contrattuale (avendo riguardo in via prioritaria alla necessità, in capo al prestatore di lavoro, di integrazione del reddito derivante dal rapporto a tempo parziale mediante lo svolgimento di altra attività lavorativa e solo da ultimo alle esigenze del datore di lavoro) sia alla quantificazione del risarcimento del danno automaticamente conseguente all’omissione e spettante al lavoratore (nella fattispecie, in assenza di previsioni contrattuali collettive utili alla determinazione della collocazione temporale della prestazione, il giudice ha fatto riferimento ai criteri equitativi indicati dal legislatore e ha liquidato il danno nella misura del 15% della retribuzione). Corte app. Milano 7/1/2008, Est. Castellini, in D&L 2008, con nota di Roberta Maddalena Paris, “Contratto a tempo parziale: necessità della predeterminazione della collocazione temporale della prestazione lavorativa e regime sanzionatorio”, 605)
- Nella nuova disciplina del part-time non c’è alcuna norma che vieti il lavoro su turni avvicendati, sicché, ove questo sia concordato preventivamente o a livello individuale o a livello collettivo e siano specificate le fasce orarie entro le quali può essere collocata la prestazione di lavoro del dipendente, il requisito legale di cui all’art. 2 del D.Lgs. n. 61/2000 può dirsi soddisfatto. (Trib. Milano 11/6/2007, Est. Di Ruocco, in Lav. nella giur. 2008, 319)
- Deve escludersi, perchè in contrasto con l’art. 36 Cost. sulla condizione del lavoratore e con le disposizioni di legge di cui al d.lgs. n. 61 del 2000, la possibilità per il datore di lavoro di modificare unilateralmente la dispiosizione giornaliera dell’orario di lavoro, soprattutto quando la modifica non sia fondata preventivamente su esplicite e imprescindibili necessità organizzative. L’invocata clausola contrattuale, che prevede in astratto la variabilità di detta articolazione, è certamente contraria alla legge e, quindi, nulla, sia perchè, tenuto conto anche dell’ampiezza delle fasce orarie, rimette alla sola volontà del datore di lavoro la facoltà di adeguare l’orario del dipendente a una turnazione non preventivamente precisata, laddove invece le clausole flessibili di cui al settimo comma dell’art. 3 debbono essere concordate, richiedendo sempre il consenso del lavoratore formalizzato attraverso uno specifico patto scritto, non essendo sufficiente un generico riferimento alla possibilità di utilizzare tale tipo di clausola; sia perchè, tale oggettiva indeterminazione delle modalità con cui le variazioni dell’orario di lavoro vengono comunicate, violando il diritto anche a quel minimo preavviso e a specifiche conmpensazioni previste dalla legge, comporta un aggravamento della penosità e un aumento dell’onerosità della prestazione lavorativa del tutto insopportabili. (Trib. Lecce 27/4/2006, ord., Pres. ed est. Fiorella, in ADL 2007, con nota di Alessia Muratorio, “I patti di flessibilità, ovvero il delicato equilibrio tra esigenze organizzative e tutela del lavoratore”, 269)
- La stipulazione di un contratto di lavoro a tempo parziale senza l’indicazione della distribuzione dell’orario di lavoro in violazione dell’art. 5, 2° comma, DL 30/10/84 n. 726 conv. In L. 863/84 comporta la nullità parziale del contratto limitatamente alla clausola relativa all’orario di lavoro, con conseguente determinazione giudiziale della distribuzione dell’orario di lavoro ai sensi di quanto previsto dall’art. 8, 2° comma, D. Lgs. 25/2/2000 n. 61; dalla violazione da parte del datore di lavoro del divieto di determinare unilateralmente l’orario di lavoro consegue inoltre il diritto del lavoratore a ottenere il risarcimento dei danni derivanti dalla riduzione del suo tempo libero (nella fattispecie, avendo la lavoratrice prospettato di aver sempre lavorato in fasce orarie collocate dalle 7 del mattino alle 23.00 di sera con turni articolati su tutti i giorni della settimana, il giudice ha ritenuto equo quantificare il risarcimento del danno connesso all’eccessiva variabilità dell’orario in misura tra il 15% e il 5% della retribuzione corrisposta per le ore effettivamente lavorate in ragione del progressivo aumentare dell’orario di lavoro settimanale). (Trib. Milano 2/1/2006, Est. Tanara, in D&L 2006, con n. Alessandro Corrado, “Mancata indicazione della distribuzione dell’orario di lavoro part-time e potere di determinazione giudiziale: una conferma dal Tribunale di Milano”, 501)
- Non è fondata, in riferimento agli art. 3 e 36 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 2, d.l. 30 ottobre 1984 n. 726 (abrogato dall’art. 11 d.lgs. 25 febbraio 2000 n. 61, ma ancora applicabile ratione temporis), nella parte in cui prescriveva che il contratto di lavoro a tempo parziale dovesse stipularsi per iscritto, onde il mancato rispetto di tale requisito di forma, previsto ad substantiam, comportava la nullità del contratto ed escludeva la sua conversione in contratto di lavoro a tempo pieno, atteso che tale norma deve, invece, essere interpretata nel senso che, in forza dell’art. 1419, comma 1, c.c., la nullità della clausola sul tempo parziale, per difetto di forma scritta, non implica l’invalidità dell’intero contratto (a meno che non risulti che i contraenti non loCost. 15/7/2005 n. 283, avrebbero concluso senza quella parte che è colpita da nullità), ma comporta che il raporto di lavoro deve considerarsi a tempo pieno. (Cost. 15/7/2005 n. 283, Pres. Capotosti Red. Bile, in Giust. civ. 2006, 1695)
- La stipulazione di un contratto di lavoro a tempo parziale senza l’indicazione della distribuzione dell’orario di lavoro in violazione dell’art. 5, 2° comma, DL 30/10/84 n. 726 comporta la nullità parziale del contratto limitatamente alla clausola relativa all’orario di lavoro, con conseguente determinazione giudiziale della distribuzione dell’orario di lavoro ai sensi di quanto previsto dall’art. 8, 2° comma, D. Lgs. 25/2/2000 n. 61; dalla violazione da parte del datore di lavoro del divieto di determinare unilateralmente l’orario di lavoro consegue inoltre il diritto del lavoratore ad ottenere il risarcimento dei danni derivanti dalla riduzione del suo tempo libero (nella fattispecie, non avendo il lavoratore prospettato l’impossibilità di svolgere altra attività lavorativa o di adempiere ad incombenti familiari o propri della vita di relazione o comunque una significativa lesione di tali interessi, si è ritenuto equo quantificare il risarcimento in misura pari al 20% della differenza tra la retribuzione percepita e quella relativa ad un rapporto di lavoro a tempo pieno). (Trib. Milano 28/1/2004, Est. Porcelli, in D&L 2004, 365, con nota di Alessandro Corrado, “La disciplina delle c.d. clausole elastiche nel contratto di lavoro a tempo parziale tra il D. Lgs. 61/2000ed il D. Lgs. 276/03”)
- In mancanza di indicazioni concernenti le responsabilità familiari della lavoratrice e l’eventuale necessità di integrazione del reddito derivante dal rapporto a tempo parziale mediante lo svolgimento di altra attività lavorativa non può farsi luogo alla determinazione equitativa della collocazione temporale dell’orario in relazione al singolo giorno della settimana ex art. 8, 2° comma, D. Lgs. 25/2/2000 n. 61.(Trib. Milano 31/1/2003, Est. Cincotti, in D&L 2003, 339)
- La facoltà concessa alla contrattazione collettiva di stabilire le modalità temporali della prestazione nel rapporto di lavoro a tempo parziale non può consentire una regolamentazione contrattuale che autorizzi il datore di lavoro a modificare ripetutamente la distribuzione dell’orario di lavoro, poiché in tale modo verrebbero vanificati la ratio ed i principi cui è ispirata la disciplina legale. (Trib. Milano 16/7/2002, Est. Mascarello, in D&L 2003, 118, con nota di “Illegittima turnazione nel part-time: accordi collettivi e danni”)
- L’istituto del lavoro a part-time fonda la sua compatibilità con l’art. 36 Cost., sulla condizione che il lavoratore non possa vedersi modificare senza il suo consenso la cadenza giornaliera e settimanale della prestazione: pertanto, deve considerarsi nulla quella clausola apposta al contratto individuale che consenta al datore di adeguare l’orario del dipendente ad una turnazione preventivamente non precisata, violando così il diritto del lavoratore di conoscere ab initio l’esatta collocazione giornaliera e settimanale della prestazione. (Trib. Firenze 23/11/2001, Est. Bronzini, in D&L 2002, 391, con nota di Irene Romoli, “Collocazione temporale della prestazione e possibilità di modifica nel contratto a tempo parziale”)
- I requisiti richiesti dall’art. 3, 7° ed 8° comma D. Lgs. 25/2/2000 n. 61 ai fini della legittimità della clausola elastica di collocazione temporale della prestazione apposta al contratto individuale di lavoro a tempo parziale, devono considerarsi inderogabili, anche qualora la contrattazione collettiva abbia il carattere dell’elasticità di quelle clausole che dispongono articolazioni non precisate dell’orario di lavoro del dipendente a part-time. (Trib. Firenze 23/11/2001, Est. Bronzini, in D&L 2002, 391, con nota di Irene Romoli, “Collocazione temporale della prestazione e possibilità di modifica nel contratto a tempo parziale”)
- La violazione del divieto di determinazione unilaterale dell’orario di lavoro non comporta la conversione del contratto di lavoro a tempo parziale in contratto a tempo pieno, ma il diritto del lavoratore al risarcimento del danno che gli deriva dalla riduzione del suo tempo libero, in quanto le esigenze di organizzazione e programmazione del proprio tempo, caratteristiche della particolare natura del contratto part-time, possono dirsi garantite solo dall’esistenza di un orario lavorativo la cui collocazione temporale, nella giornata e nella settimana, sia stabilmente predefinita. Tale risarcimento deve compensare la maggiore onerosità e penosità che di fatto viene ad assumere l’attività lavorativa a seguito della messa a disposizione per un tempo maggiore di quello effettivamente lavorato, anche se la disponibilità alla chiamata del datore di lavoro non è equiparabile a lavoro effettivo (nella fattispecie, considerato che la variazione dell’orario era stata attuata dal datore di lavoro con preavviso di quindici giorni, si è ritenuto equo quantificare il risarcimento dei danni in un importo pari al 30% della retribuzione erogata in forza dell’orario contrattuale). (Trib. Milano 13/10/2001, Est. Porcelli, in D&L 2002, 139)
- L’art. 5 D.L. n. 726/84, convertito nella l. n. 863/84, deve essere interpretato nel senso che il requisito della pattuizione per iscritto dell’orario di svolgimento delle prestazioni a tempo parziale è soddisfatto allorché, anche mediante rinvio alle tipologie contrattuali previste in sede collettiva, risultino precisate la riduzione quantitativa della prestazione lavorativa e la distribuzione di tale riduzione per ciascun giorni (cosiddetto part-time orizzontale) ovvero con riferimento alle giornate di lavoro comprese in una settimana, in un mese o in un anno (cosiddetto part-time verticale). Ne consegue che è perfettamente valido un contratto di lavoro a tempo parziale che non specifichi l’orario di inizio e di cessazione della prestazione lavorativa nei giorni in cui deve essere resa (Cass. 26/5/00, n. 6903, pres. De Musis, in Lavoro giur. 2001, pag. 462, con nota di Putaturo Donati, Corsi e ricorsi giurisprudenziali sulla collocazione temporale della prestazione di lavoro part-time)
- In materia di contratto di lavoro part-time, l’art. 5, comma terzo, D.L. n. 726/84, convertito nella l. n. 863/84, conferisce alla contrattazione collettiva, anche aziendale, il potere di determinare, fra l’altro, le modalità temporali di svolgimento delle prestazioni a tempo parziale. Tale disposizione deve essere interpretata in armonia con il principio generale secondo il quale la contrattazione collettiva non può disporre se non in senso migliorativo dei diritti attribuiti al dipendente dal contratto individuale di lavoro, salvo che il dipendente stesso consenta alla modificazione dei patti (Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva escluso che la contrattazione aziendale potesse influire sul diritto dei lavoratori a tempo parziale ricorrenti ad osservare, sulla base dei contratti individuali da essi precedentemente stipulati, turni esclusivamente collocati in ore pomeridiane qualora i lavoratori stessi non avessero accettato una diversa collocazione dell’orario di lavoro) (Cass. 26/5/00, n. 6903, pres. De Musis, in Lavoro giur. 2001, pag. 462, con nota di Putaturo Donati, Corsi e ricorsi giurisprudenziali sulla collocazione temporale della prestazione di lavoro part-time)
- La mancata predeterminazione contrattuale della collocazione delle ore di lavoro nella giornata nel contratto di lavoro part-time non determina la nullità del contratto, ma obbliga il datore di lavoro a integrare la retribuzione del lavoratore in relazione alla maggiore disponibilità richiesta allo stesso lavoratore (Trib. Milano 6 novembre 1999, est. Ianniello, in D&L 2000, 151)
- Nel rapporto di lavoro a tempo parziale, laddove si sia provveduto a determinare ab initio la dislocazione temporale della prestazione lavorativa, la distribuzione dell’orario di lavoro, in qualità di elemento essenziale del contratto, non può essere modificata unilateralmente dall’amministrazione (Trib. Larino 9/9/99, pres. Sanarico, Est. Cordisco, in Lavoro nelle p.a. 2000, pag. 101, con nota di Alaimo, Diritto di variazione dell’orario e “clausole elastiche” nel part-time: al banco di prova nel settore pubblico le soluzioni applicate nel pivato)
- Il contratto di lavoro a tempo parziale, nel quale la collocazione temporale della prestazione lavorativa nell’ambito della giornata (ovvero della settimana o del mese o dell’anno) dipenda, non da criteri oggettivi, bensì dal mero arbitrio del datore di lavoro, è nullo e si converte in contratto a tempo pieno (Pret. Parma 14/8/95, est. Ferraù, in D&L 1996, 434)
- Nel contratto di lavoro a tempo parziale l’orario giornaliero, già stabilito nel contratto individuale, non può essere legittimamente modificato in via unilaterale dal datore di lavoro; né tale modifica può essere legittimamente attuata mediante accordi stipulato da organizzazione sindacale non autorizzatavi con esplicito mandato (Pret. Milano 29/4/95, est. Frattin, in D&L 1995, 957)
- La mancata predeterminazione contrattuale della collocazione delle ore di lavoro nella giornata nel contratto di lavoro part – time e la connessa pretesa datoriale di decidere tale collocazione settimana per settimana, in corso di rapporto, non determina la nullità del part – time, ma concreta un inadempimento del datore di lavoro a un’obbligazione essenziale, con conseguente obbligo di questi di risarcire al lavoratore il danno derivatone in termini di riduzione di disponibilità di tempo libero (Trib. Firenze 22/3/94, pres. ed est. Stanzani, in D&L 1995, 121)
- Poiché nel rapporto di lavoro subordinato entrambe le parti sono vincolate al rispetto del concordato programma della prestazione lavorativa, al datore non è consentita una modifica unilaterale dell’orario di lavoro prescelto, in virtù del suo potere organizzativo dell’attività aziendale; pertanto per la trasformazione del rapporto a tempo parziale in rapporto a tempo pieno è necessario il mutuo consenso delle parti e, al riguardo, non è sufficiente la semplice disponibilità del dipendente ad accettare il tempo pieno, ove essa sia stata manifestata solo come alternativa alla risoluzione del rapporto (Pret. Milano 18/10/94, est. Porcelli, in D&L 1995, 379)
Trasformazione del rapporto
- Illegittima l’unilaterale trasformazione del rapporto da tempo pieno a tempo parziale del dipendente in sede di reintegrazione.
A seguito della declaratoria di illegittimità del licenziamento per sopravvenuta inidoneità fisica intimato a un dipendente, la società datrice di lavoro aveva reintegrato il lavoratore in questione assegnandogli mansioni diverse da quelle svolte in precedenza e trasformando unilateralmente il contratto da tempo pieno a tempo parziale. A fronte del rifiuto del dipendente di riprendere il lavoro a tali condizioni, la società aveva proceduto a un nuovo licenziamento per assenza ingiustificata, licenziamento che veniva annullato dalla Corte d’appello, con applicazione della tutela reintegratoria c.d. “minore”. La Cassazione, nel confermare la sentenza di merito, ribadisce anzitutto che costituisce inadempimento all’ordine di reintegrazione nel posto di lavoro la trasformazione unilaterale del rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto a tempo parziale. Altrettanto consolidato è l’ulteriore principio secondo cui, qualora il comportamento addebitato al lavoratore, consistente nel rifiuto di rendere la prestazione secondo determinate modalità, sia giustificato dall’accertata illegittimità dell’ordine datoriale e dia pertanto luogo a una legittima eccezione di inadempimento, il fatto contestato deve ritenersi insussistente perché privo dell’illiceità, il che comporta l’applicazione della tutela reintegratoria attenuata. (Cass. 5/6/2023 n. 15676, Pres. Raimondi Rel. Michelini, in Wikilabour, Newsletter n. 12/23) - L’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale, concluso il 6 giugno 1997, che figura nell’allegato alla direttiva 97/81/CE del Consiglio, del 15 dicembre 1997, relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale concluso dall’UNICE, dal CEEP e dalla CES, e in particolare la sua clausola 5, punto 2, deve essere interpretato nel senso che esso non osta, in circostanze come quelle oggetto del procedimento principale, a una normativa nazionale in base alla quale il datore di lavoro può disporre la trasformazione di un contratto di lavoro da contratto a tempo parziale in contratto a tempo pieno senza il consenso del lavoratore interessato. (Corte di Giustizia UE 15/10/2014, causa C-221/13, Pres. Ilesic Rel. Jarasiunas, in Lav. nella giur. 2015, con commento di Marina Brollo, 29)
- L’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale, allegato alla direttiva 97/81/CE del Consiglio, del 15 dicembre 1997, e in particolare la sua clausola 5, punto 2, deve essere interpretato nel senso che esso non osta a una normativa nazionale in base alla quale il datore di lavoro può disporre la trasformazione di un contratto di lavoro da contratto a tempo parziale in contratto a tempo pieno senza il consenso del lavoratore interessato. (Corte di Giustizia 15/10/2014, C-221/13, Pres. Ilesic Est. Jarasiunas, in Riv. it. dir. lav. 2015, con nota di M. Delfino, “La Corte di Giustizia e la via tortuosa della tutela del consenso individuale nel part time”, 352)
- A fronte del diritto del dipendente-genitore alla trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale per i primi tre anni di vita del bambino – previsto dall’art. 87 Ccnl commercio – il datore di lavoro non può opporre proprie esigenze organizzative, se non quelle della assoluta infungibilità delle mansioni e del superamento del limite numerico contrattuale del 3% della forza lavoro occupata presso l’unità produttiva. Quanto poi alla misura della riduzione di orario e alla collocazione temporale della prestazione, il dipendente non ha un diritto di scelta assoluto, ma il datore di lavoro ha l’obbligo di assegnare al dipendente turni che non contrastino con le esigenze di cura che hanno indotto il genitore a chiedere il part-time. (Trib. Milano 24/12/2007, ord., pres. ed est. Mascarello, in D&L 2008, con nota di Maria Cristina Romano, “L’art. 87 Ccnl commercio: diritto al “part-time” o diritto a uno specifico orario”, 207)
- In caso di violazione da parte del datore di lavoro del diritto di precedenza previsto dall’art. 5, 3° comma bis, DL 30/10/84 n. 726, convertito nella L. 19/12/84 n. 863, a favore del lavoratore a tempo parziale per l’ipotesi di assunzioni a tempo pieno, consegue, dalla data della nuova assunzione, la conversione dei contratto a tempo parziale in contratto a tempo pieno, con conseguente diritto del lavoratore alle relative differenze retributive (Trib. Milano 6 novembre 1999, est. Ianniello, in D&L 2000, 151)
- In caso di violazione da parte del datore di lavoro del diritto di precedenza previsto dall’art. 5 DL 30/10/84 n. 726, convertito nella L.19/12/84 n. 863, a favore del lavoratore a tempo parziale per l’ipotesi di nuova assunzione a tempo pieno, il lavoratore ha diritto alla costituzione del rapporto di lavoro a tempo pieno, ai sensi dell’art. 2932 c.c., oltre al risarcimento del danno, in misura pari alle differenze retributive che avrebbe potuto percepire in ragione del trattamento economico corrispondente al contratto di lavoro a tempo pieno, nel periodo compreso tra la data della nuova assunzione e quella del dispositivo della sentenza di accoglimento del ricorso (Pret. Milano 20/2/98, est. Frattin, in D&L 1998, 1009)
- In caso di violazione da parte del datore di lavoro del diritto di precedenza previsto dall’art. 5 c. 3 bis DL 726/84, convertito nella L. 863/84, a favore del lavoratore a tempo parziale per l’ipotesi di nuove assunzioni a tempo pieno, il lavoratore a tempo parziale ha diritto a ottenere il risarcimento del danno da responsabilità contrattuale in misura pari alle differenze retributive che avrebbe potuto percepire in ragione del trattamento economico corrispondente al contratto di lavoro a tempo pieno nel periodo compreso tra la data delle nuove assunzioni e quella del dispositivo della sentenza di accoglimento del ricorso (Pret. Siracusa 5/12/94, est. Carlesso, in D&L 1995, 622, nota SCORCELLI, Lavoro a tempo parziale e diritto di precedenza del lavoratore part – time nel caso di nuove assunzioni a tempo pieno)
Questioni retributive
- L’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2003/88/CE, concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro, e la clausola 4, punto 2, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale, concluso il 6 giugno 1997, che figura nell’allegato alla direttiva 1997/81/CE relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale, come modificata dalla direttiva 98/23/CE del Consiglio del 7 aprile 1998, deve essere interpretato nel senso che osta a disposizioni o prassi nazionali in forza delle quali il numero di giorni di ferie annuali retribuite di cui un lavoratore occupato a tempo pieno non ha potuto beneficiare nel corso del periodo di riferimento – essendo passato a un regime di lavoro a tempo parziale – viene ridotto proporzionalmente alla differenza esistente tra il numero di giorni di lavoro settimanale effettuati da tale lavoratore prima e dopo tale passaggio a tempo parziale. (Corte di Giustizia 13/6/2013 C-415/12, Pres. Malenovsky Rel. Safjan e Prechal, in Riv. It. Dir. lav. 2014, con nota di Marco Peruzzi, “Il principio di effettività del diritto alle ferie in caso di trasformazione del contratto a part-time”, 263)
- L’indennità di mensa va corrisposta integralment, e non può riproporzionata e ridotta in ragione dell’orario di lavoro a tempo parziale, quando la fonte contrattuale (Accordo provinciale) che la prevede si limita a stabilire una misura mensile, senza alcuna ulteriore distinzione tra lavoratori a tempo pieno e lavoratori a orario ridotto. (Trib. Milano 3/4/2008, Est. Sala, in D&L 2008, con nota di Marcella Mensi, “La questione del riproporzionamento dell’indennità sostitutiva mensa nel rapporto di lavoro part-time”, 1003)
- Nella nozione di istituti indiretti e differiti forfetizzati dai Ccnl ai sensi dell’art. 3, 4° comma, D.Lgs. 25/2/2000 n. 61, non rientrano malattia, ferie e maternità, talché per essi la base di calcolo deve essere determinata con riferimento all’effettivo rapporto prestato. (Trib. Milano 18/6/2007, Est. Ravazzoni, in D&L 2007, con nota di Filippo Capurro, “Questioni retributive nel lavoro a tempo parziale”, 1180)
- Nel rapporto di lavoro a tempo parziale l’indennità di mensa deve essere riproporzionata in ragione della ridotta entità del lavoro prestato. (Trib. Milano 18/6/2007, Est. Ravazzoni, in D&L 2007, con nota di Filippo Capurro, “Questioni retributive nel lavoro a tempo parziale”, 1180)
- Ai lavoratori impiegati a tempo parziale, secondo il tipo cosiddetto verticale a base annua, non spetta l’indennità di disoccupazione per i periodi di inattività, posto che la stipulazione di tale tipo di contratto, dipendendo dalla libera volontà del lavoratore contraente, non dà luogo a disoccupazione involontaria nei periodi di pausa, con la conseguenza che a tali lavoratori neanche può estendersi in via analogica, in mancanza di una eadem ratio, la disciplina della disoccupazione involontaria vigente per i contratti stagionali, la cui stipulazione è invece resa necessaria dalle oggettive caratteristiche della prestazione. (Cass. 21/12/2066 n. 27287, Pres. Mercurio Rel. Lamorgese, in Lav. nella giur. 318)
- In caso di contratto di lavoro a tempo parziale, che abbia avuto esecuzione pur essendo nullo perché privo della forma scritta richiesta a pena di nullità dell’art. 5, secondo comma, L. n. 863/1983, la misura della contribuzione dovuta non è commisurata alla minore retribuzione spettante in conseguenza della minore durata della prestazione lavorativa, ma va determinata applicando l’ordinario regime di contribuzione, prevedente anche i minimali giornalieri di retribuzione imponibile a fini contributivi. (Cass. 28/8/2004 n. 17271, Pres. Ravagnani Rel. La Terza , in Lav. nella giur. 2005, 179)
- Alla violazione del limite orario minimo di 14 ore settimanali previsto per il lavoro a tempo parziale dall’art. 26 del Ccnl per le imprese di pulizie consegue la condanna del datore di lavoro al pagamento della retribuzione per la prestazione minima che il lavoratore aveva diritto di eseguire (e che, nella fattispecie, risultava in concreto eseguita, alla luce di diverse circostanze di valore indiziario). (Trib. Milano 31/1/2003, Est. Cincotti, in D&L 2003, 339)
- Nell’ipotesi di trasformazione del rapporto di lavoro da full-time in part-time, la proporzionale riducibilità della retribuzione è riferibile anche agli scatti di anzianità (Cass. 28/12/99 n. 14633, pres. Trezza, in Riv. it. dir. lav. 2000, pag. 684, con nota di De Falco, Lavoro a part-time e riducibilità degli scatti di anzianità)
- La retribuzione complessiva è costituita dal prodotto tra valore specifico della prestazione lavorativa e quantità della medesima, cosicché la riduzione della quantità della prestazione e, cioè, dell’orario di lavoro, determina una proporzionale riduzione della retribuzione complessiva in tutte le sue componenti compresi gli scatti di anzianità (Nel caso di specie la S.C. ha cassato la sentenza del tribunale che aveva riconosciuto il diritto del lavoratore con contratto a tempo parziale a percepire per intero gli scatti di anzianità maturati nel periodo in cui il rapporto era a tempo pieno, in base al rilievo che gli scatti di anzianità retribuirebbero direttamente l’esperienza complessiva maturata dal lavoratore) (Cass. 24/11/99 n. 13093, in Mass. Giur. lav. 2000, pag. 234, con nota di Sbrocca, Passaggio dal tempo pieno al tempo parziale e aumenti di anzianità “pregressi”)
- Ai sensi dell’art. 26 Ccnl per i dipendenti delle imprese di pulimento, disinfezione, disinfestazione e derattizzazione, gli elementi retributivi indiretti, legali e contrattuali, dovuti ai lavoratori a tempo parziale, vanno calcolati unicamente sulla base dell’orario contrattuale e non delle ore effettivamente lavorate, comprensive di lavoro supplementare, computabile soltanto per il calcolo della tredicesima e della quattordicesima (Pret. Milano 15 febbraio 1999, est. Porcelli, in D&L 2000, 177, n. Alessi, Flessibilità senza regole. Su un’interpretazione distorta delle norme contrattuali in materia di part-time)
Diritto di precedenza
- In caso di violazione da parte del datore di lavoro del diritto di precedenza di cui all’art. 12 ter, D.Lgs. n. 25/2/2000 n. 61, come inserito dall’art. 1, comma 44, L. 24/12/07 n. 247, il lavoratore avrà diritto alla conversione del rapporto di lavoro da tempo parziale a tempo pieno, nonché al risarcimento del danno consistente nella differenza tra la retribuzione percepita e quella che avrebbe ricevuto lavorando a tempo pieno, oltre che interessi legali e rivalutazione monetaria dal dovuto al saldo. (Trib. Perugia 14/7/2012, Est. Gambaracci, in D&L 2012, con nota di Norma Iurlano, “Il diritto di precedenza nel lavoto part-time: l’evoluzione normativa”, 729)
- Il diritto soggettivo di precedenza, previsto, in caso di nuove assunzioni, in favore dei lavoratori a tempo parziale dall’art. 5, 3° comma bis, DL 30/10/84 (convertito con modifiche nella L. 19/12/84 n. 863) comporta la trasformazione del rapporto di lavoro da tempo parziale a tempo pieno, con la modifica dell’assetto negoziale preesistente solo rispetto alla quantità e alla distribuzione temporale delle prestazioni lavorative; ciò peraltro a condizione che il datore di lavoro compia delle nuove assunzioni a tempo pieno, e purchè i nuovi assunti vengano adibiti a mansioni fungibili con quelle dei lavoratori a tempo parziale e non siano adibiti a unità produttive territorialmente remote. (Corte app. Milano 16/12/2005, Pres. Ed est. Ruiz, in D&L 2006, con n. Alessandro Ribaldi, “Il diritto di precedenza nel lavoro part-time tra vecchia normativa e recenti novità”, 433)
- Ai fini della tutela del diritto di preferenza che compete al lavoratore part-time che abbia richiesto il tempo pieno nell’ipotesi di nuove assunzioni a tempo pieno, l’equivalenza delle mansioni – che astrattamente può essere anche rinvenuta nelle mansioni rientranti nella medesima qualifica – non può essere valutata che con riferimento alla situazione concreta, considerando, quindi, anche lo stato di salute del lavoratore part-time che lo renda inidoneo alle mansioni destinate ai lavoratori di nuova assunzione. (Corte d’appello Milano 22/12/2004, Pres. Castellini Rel. Curcio, in Lav. nella giur. 2005, 590)
- In caso di assunzione di personale a tempo pieno, ai sensi dell’art. 5 del D. Lgs. 25/2/2000 n. 61, il datore di lavoro è tenuto a riconoscere un diritto di precedenza in favore dei lavoratori assunti a tempo parziale, adibiti alle stesse mansioni o in mansioni equivalenti a quelle per le quali è prevista l’assunzione, con la conseguenza che in caso di violazione della precedenza il lavoratore ha diritto al risarcimento del danno in misura pari alla differenza tra l’importo della retribuzione percepita e quella che gli sarebbe stata corrisposta a seguito del passaggio al tempo pieno nei sei mesi successivi al passaggio. (Corte d’Appello Milano 4/4/2003, Pres. Mannacio Est. De Angelis, in D&L 2003, 646)
- L’art. 5, 3° comma bis, L. 19/12/84 n. 863-che prevede il diritto di precedenza a favore del lavoratore già occupato a tempo parziale per il caso di successive assunzioni a tempo pieno – non trova applicazione né nell’ipotesi di stipulazione di contratti di formazione e lavoro né nel caso di trasformazione di tali rapporti di lavoro a tempo indeterminato, stante la specifica funzione assegnata dal legislatore a questo tipo di contratto sul piano occupazionale al fine di favorire l’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro. (Trib. Milano 17/11/2001, Est. Negri della Torre, in D&L 2002, 395)
- Ai sensi dell’art. 5, 2° comma, D. Lgs. 25/2/2000 n. 61, il diritto di precedenza riconosciuto al lavoratore già occupato a tempo parziale per il caso di nuova assunzione di personale a tempo pieno presuppone che la nuova assunzione sia effettuata per le medesime mansioni o per mansioni equivalenti, a nulla rilevando l’eventuale identità del livello di inquadramento. (Trib. Milano 13/10/2001, Est. Porcelli, in D&L 2002, 139)
- Il disposto dell’art. 14, 8° comma, del Ccnl per i dipendenti Alitalia dell’ 11/2/97, secondo cui ai fini dell’applicazione del diritto di precedenza previsto dall’art. 5, 3° comma bis, L. 19/12/84 n. 863, le domande di conversione del rapporto di lavoro da tempo parziale a tempo pieno devono essere valutate dal datore di lavoro tenuto conto delle esigenze organizzative nonché dell’anzianità aziendale, della professionalità e dei carichi di famiglia di ciascun lavoratore interessato, si applica non solo nell’ipotesi di nuove assunzioni a tempo pieno ma anche nel caso di trasformazione di un preesistente rapporto di lavoro da tempo pieno in tempo parziale. (Trib. Milano 17/11/2001, Est. Negri della Torre, in D&L 2002, 395)
Lavoro supplementare
- In tema di lavoro a tempo parziale, la violazione del divieto di espletamento di lavoro supplementare – previsto dall’art. 5, quarto comma, del d.l. 30 ottobre 1984, n. 276, convertito in legge 19 dicembre 1984, n. 863 – comporta per il datore di lavoro l’irrogazione della sanzione amministrativa quando non sia giustificato dalle eccezionali esigenze previste dalla contrattazione collettiva. (Cass. 30/3/2011 n. 5714, Pres. Miani Canevari Est. Berrino, in Orient. giur. lav. 2011, 101)
- In tema di lavoro a tempo parziale, poiché il lavoro supplementare, oggetto del divieto di cui all’art. 5, comma 4, D.L. 30 ottobre 1984, n. 726 viene individuato non già con riferimento all’orario di lavoro di fatto ma esclusivamente con riferimento all’orario di lavoro quale indicato nel contratto scritto e comunicato all’ufficio provinciale del lavoro, il divieto risulta violato qualora il lavoratore svolga una prestazione lavorativa ulteriore (supplementare) rispetto al suddetto orario indicato nel contratto scritto, senza che di conseguenza rilevi l’eventuale differente orario su cui le parti si erano eventualmente accordate e la natura simulata del primo. Alle parti, dunque, non è consentito modificare un contratto di lavoro a tempo parziale recante, nel testo comunicato all’organo pubblico, la riduzione quantitativa della prestazione lavorativa e la distribuzione di tale riduzione per ciascun giorno (cosiddetto part-time orizzontale), mediante il riferimento alle giornate di lavoro comprese in una settimana, mese o anno (cosiddetto part-time verticale). (Cass. 8/9/2008 n. 22579, Pres. Senese Est. Picone, in Lav. nella giur. 2009, 82)
- Nel rapporto di lavoro a tempo parziale la maggiorazione prevista dal combinato disposto dell’art. 3, 4° comma, D.Lgs. 25/2/2000 n. 61 e dell’art. 34 Ccnl Imprese di pulizia, relativa alla forfetizzazione degli istituti retributivi indiretti e differiti, non è assorbita dalla maggiorazione prevista dal medesimo Ccnl per le ore di lavoro supplementare oltre le 8 ore al giorno e le 250 ore annuali, avendo tali maggiorazioni funzioni diverse. (Trib. Milano 18/6/2007, Est. Ravazzoni, in D&L 2007, con nota di Filippo Capurro, “Questioni retributive nel lavoro a tempo parziale”, 1180)
- Nella disciplina del lavoro part-time antecedente il D. Lgs. 10/9/03 n. 276, il lavoro supplementare prestato oltre il limite annuo previsto dal contratto collettivo di categoria deve essere retribuito, ai sensi dell’art. 3, 6° comma, D. Lgs. 25/2/2000, con una maggiorazione del 50% da calcolarsi sulla stessa base retributiva su cui si calcola la diversa maggiorazione di cui all’art. 3, 4° comma, D. Lgs. Cit. (Corte d’appello Milano 29/4/2004, Pres. Ruiz Est. De Angelis, in D&L 2004, 381, con nota di Vincenzo Ferrante, “Lavoro supplementare nel part-time: conseguenze per il superamento dei limiti contrattuali”)
- La clausola di un contratto collettivo che, a norma dell’art. 5, quarto comma, l. 19 dicembre 1984, n. 863, autorizzi prestazioni di lavoro supplementare in presenza di situazioni di carattere eccezionale espressamente individuate e, anche fuori di esse, consenta altresì genericamente di farvi ricorso per un periodo massimo di tre mesi, per quest’ultima parte non è idonea a derogare al divieto legale di lavoro supplementare, perché non integra il requisito del “riferimento a specifiche esigenze organizzative”. (Cass. 5/3/2003, n. 3171, Pres. D’Angelo, Est. De Matteis, in Riv. it. dir. lav. 2003, 78, con nota di Marco Ferraresi, Il lavoro supplementare tra vecchia e nuova disciplina).
- La clausola del contratto collettivo con la quale vengono autorizzate prestazioni di lavoro supplementare, nel contratto di lavoro a tempo parziale, deve essere giustificata con riferimento a specifiche esigenze lavorative dell’impresa, non essendo sufficiente la mera ripetizione del disposto legislativo (Cass. 17/6/2002, n. 8718, Pres. Ianniruberto, Est. Toffoli, in Riv. it. dir. lav. 2003, 566, con nota di Marco Mocella, Il consenso del lavoratore a tempo parziale allo svolgimento del lavoro supplementare)
- Lo svolgimento del lavoro supplementare da parte del lavoratore part-time nonché la modificazione ad opera del datore dei turni di lavoro in violazione dell’orario contrattualmente previsto non determinano di per sé un automatico diritto al risarcimento, dovendo il lavoratore dedurre e provare il danno concretamente subito a causa della condotta datoriale. Incombe, quindi, al lavoratore dimostrare la maggiore penosità ed onerosità della prestazione effettuata in ragione degli effetti pregiudizievoli prodotti dalla disponibilità richiesta. (Trib. Milano, 4/6/2002, Est. Atanasio, in Lav. nella giur. 2003, 386)
- In base all’art. 3, 6° comma, D. Lgs. 25/2/00 n. 61 (“Attuazione della direttiva 97/81/Ce relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale concluso dall’ Unice, dal Ceep e dalla Ces”), spetta la maggiorazione del 50% sulla retribuzione ordinaria per tutte le ore di lavoro supplementare, prestate dal lavoratore con contratto a tempo parziale, eccedenti il limite massimo stabilito dalla contrattazione collettiva. L’eventuale maggiorazione stabilita dalla contrattazione collettiva quale compenso forfettario sugli istituti indiretti e differiti ha natura e finalità diversa dalla maggiorazione prevista dall’art. 3 D. Lgs. 25/2/2000 n. 61, la quale si cumula quindi con la prima, senza però che possa essere utilizzata quale base di calcolo della maggiorazione del 50% la retribuzione oraria già comprensiva della forfettizzazione degli istituti indiretti e differiti. (Trib. Milano 23/11/2001, Est. Mascarello, in D&L 2002, 159, con nota di Lorenzo Franceschinis, “Part-time e lavoro supplementare dopo il D. Lgs. 61/2000: la maggiorazione del 50% sulle ore eccedenti il tetto annuo”)
Pubblico impiego
- L’art. 16 della l. 4 novembre 2010, n. 183 (Collegato lavoro) non è in contrasto con gli artt. 10, 35 e 117, primo comma, Cost., né con l’art. 5, comma 2, dell’Accordo quadro sul lavoro a tempo parziale, allegato alla direttiva 97/81/CE del 15 dicembre 1997, sul rifiuto del lavoratore di trasformare il proprio rapporto a tempo pieno a tempo parziale o viceversa. Ciò in quanto il potere di rivalutazione dei rapporti di lavoro a tempo parziale attribuito al datore di lavoro pubblico deve essere esercitato in modo non arbitrario, essendo necessariamente ancorato alla presenza oggettiva di esigenze di funzionalità dell’amministrazione e condizionato dal rispetto dei canoni generale di correttezza e buona fede. (Corte Cost. 19/7/2013 n. 224, Pres. Gallo Est. Mazzella, in Riv. It. Dir. lav. 2014, con nota di Elena Pasqualetto, “Il potere di nuova valutazione dei part-time già concordati con la PA e il ripudio della logica del consenso”, 320)
- In base ai principi di buona fede e correttezza (da intendersi in senso oggettivo), l’esercizio del potere di cui all’art. 16 della l. n. 183/2010 non può prescindere, non solo dalla sussistenza di obiettive esigenze funzionali e da una effettiva ponderazione degli interessi in conflitto, ma anche da un’adeguata motivazione delle ragioni di esercizio dello stesso potere; il mancato esercizio dell’onere di motivazione, infatti, violando i precetti di correttezza e buona fede espressamente richiamati dalla l. n. 183/2010, preclude al lavoratore, sottoposto all’esercizio unilaterale del detto potere, di verificare la sussistenza dei presupposti normativamente richiesti, nonché di potere apprestare un’adeguata tutela in sede stragiudiziale o giudiziale, assoggettando, in sostanza, il dipendente a possibili arbitri o abusi o condizionamenti da parte della dirigenza o del vertice politico-amministrativo. (Trib. Modica 17/12/2011, ord., Giud. Fiorentino, in Lav. nella giur. 2012, 315)
- Il potere attribuito alle pubbliche amministrazioni dall’art. 16 della l. n. 183/2010 non consente in nessun caso la modifica unilaterale degli accordi contenuti nei singoli contratti individuali già stipulati, ma attribuisce solo al datore di lavoro pubblico la possibilità di riesaminare, alla luce dei più stringenti criteri previsti dall’art. 73, d.l. n. 112/2008, i provvedimenti di concessione del part time elativi ai rapporti di lavoro trasformati (da tempo pieno a tempo parziale) prima del 25 giugno 2008 (data di entrata in vigore del d.l. n. 112/2008); con la possibilità per l’Ente pubblico di trasformare unilateralmente tali rapporti di lavoro in tempo pieno anche contro la volontà del lavoratore. (Trib. Rimini 27/6/2011, Giud. Ardigò, in Lav. nella giur. 2011, 960)
- La carenza di motivazione formale del provvedimento di revoca dell’orario part-time, ai sensi dell’art. 16, l. n. 183/2010, in assenza di un obbligo espresso di legge, non costituisce ex se una violazione dei canoni generali di correttezza e buona fede. L’atto di revoca è legittimo se sostenuto da reali ragioni di interesse pubblico, benché la relativa motivazione sia formalmente insufficiente. (Trib. Firenze 7/3/2011, ord., Pres. ed Est. Rizzo, in Riv. It. Dir. lav. 2012, con nota di A. Ventura, “Il ripensameto del datore di lavoro pubblico: prime pronunce giurisprudenziali sul diritto di revoca del part-time già autorizzato”, 458)
- Nel settore pubblico a seguito del passaggio dal tempo pieno a tempo parziale il rapporto di lavoro del dipendente si qualifica a tempo parziale orizzontale nei casi in cui la riduzione dell’orario rispetto al tempo pieno (fissato dalla legge o dai contratti collettivi di comparto) si riflette su alcuni o su tutti i giorni lavorativi, dato questo che segna la distinzionedal part-time verticale, che ricorre negli altri casi in cui invece la riduzione dell’orario lavorativo si articola su alcuni soltanto dei giorni della settimana, del mese e dell’anno, determinando una modifica nell’ordine e nella successione delle giornate lavorative. (Cass. 18/3/2008 n. 7313, Pres. Ciciretti Rel. Vidiri, in Lav. nelle P.A. 2008, 398)
- Il dipendente in part-time orizzontale ha il diritto a usufruire del medesimonumero di giorni di ferie dei colleghi a tempo pieno. (Cass. 18/3/2008 n. 7313, Pres. Ciciretti Rel. Vidiri, in Lav. nelle P.A. 2008, 398)
- E’ legittima la trattenuta stipendiale corrispondente alle ore che il docente avrebbe dovuto prestare a favore della istituzione scolastica per la partecipazione alle attività funzionali all’insegnamento, se l’amministrazione abbia previamente calendarizzato tali impegni specificando quelli ai quali il docente avrebbe dovuto partecipare e se la quantità di ore nel complesso richiesto al docente per gli stessi sia proporzionato alla quantità di part-time pattuito. La partecipazione del docente ai predetti impegni è doverosa, a prescindere dalla circostanza che gli stessi ricadano nelle giornate o nelle ore contrattualmente prescelte per lo svolgimento della (parziale) attività lavorativa. (Nel caso, il Giudice ha rilevato che la quantificazione operata dall’amministrazione in 22 ore di attività funzionali all’insegnamento a fronte di un part-time a 10 ore di attività didattica era assolutamente proporzionato al rapporto ordinario 40/18 e che l’assistenza alle sedute calendarizzate nel rispetto di tale monte ore non era stata assolutamente giustificata dal docente, nonostante le ripetute richieste dell’amministrazione). (Trib. Ferrara 8/2/2008 n. 322/07, Est. Vignati, in Lav. nelle P.A. 2008, 412)
- La disponibilità del posto in organico o della frazione di orario corrispondente al completamento del posto a tempo pieno, a cui, ai sensi dell’art. 22, comma 5, ccnl del personale del comparto ministeri sottoscritto in data 16.2.1999, è subordinata la trasformazione del rapporto di lavoro instaurato ab origine a tempo parziale in rapporto a tempo pieno, va ricercata su tutto il territorio nazionale, fatti salvi gli appositi criteri selettivi introdotti dalla contrattazione collettiva, ed, in assenza, le determinazioni del datore di lavoro, secondo propri criteri organizzativi di efficienza e funzionalità. (Trib. Brindisi, ord., 1/4/2004, Est. Sinisi, in Lav. nelle P.A. 2004, 516)
- Il divieto di attribuire le “posizioni organizzative” di cui all’art. 17 Ccnl Enti Pubblici non economici ai lavoratori part-time, ove risponda ad esigenze organizzative reali volte ad una maggiore funzionalità del servizio, è legittimo, ma deve essere verificato se in concreto esso confligga con il principio di non discriminazione dei lavoratori a tempo parziale. (Trib. Milano 17/8/2002, ord., Est. Santosuosso, in D&L 2003, 110, con nota di Ilaria Zanesi, “Posizioni organizzative nel pubblico impiego ed esclusione del lavoratore part-time da funzioni di responsabilità”)
- E’ infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 56 e 56 bis, l. 23/12/96, n. 662, nella parte in cui consente ai pubblici dipendenti con rapporto di lavoro a tempo parziale di iscriversi agli albi professionali ed esercitare le libere professioni, in riferimento agli artt. 3, 4, 24, 97 e 98 Cost. (Corte Cost. 11/6/01, n. 189, pres. Ruperto, est. Vari, in Foro it. 2001, pag. 2121)
- L’art. 1, 57° comma, L. 23/12/96 n. 662, che introduce il rapporto di lavoro a tempo parziale per la generalità dei pubblici dipendenti è applicabile anche al personale medico del SSN, a condizione che la relativa domanda sia stata presentata prima dell’entrata in vigore dell’art. 20 L. 23/12/99 n. 448, che invece espressamente esclude il personale medico dal rapporto a tempo parziale (Trib. Milano 19 marzo 2000, est. Vitali, in D&L 2000, 971, n. Guariso)
- Il diritto del dipendente pubblico di costituire un rapporto di lavoro a tempo parziale è sancito in via generale dall’art. 1, comma 57, l. n. 662/96 e non appare essere escluso, per la categoria dirigenziale del personale sanitario, dall’art. 20, comma 1, lett. f), l. n. 488/99, dovendosi, infatti, ritenere che la norma si applichi alle nuove assunzioni e non sia pertanto idonea a consentire all’amministrazione di trasformare a tempo pieno un rapporto che già era a tempo parziale (Trib. Genova 8/3/00, pres. e est. Melandri, in Lavoro nelle p.a. 2000, pag.1142, con nota di Menegatti, Il part-time per il dirigente sanitario dopo l’art. 20, comma 1, lett. f), della legge 488/99)
- Dalla domanda del lavoratore, dipendente di ente locale, avente a oggetto la trasformazione del proprio rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale, non consegue un diritto soggettivo alla trasformazione del rapporto; ai sensi dell’art. 1, 58° comma, L. 23/12/96 n. 662, infatti, la trasformazione del rapporto si verifica automaticamente solo nell’ipotesi di omessa pronuncia da parte dell’amministrazione entro il termine di 60 giorni dalla presentazione della domanda, fermo restando che, entro tale termine, l’amministrazione può sempre negare la trasformazione per conflitto di interessi tra la propria attività e quella che il dipendente intende intraprendere privatamente oppure differire, per ragioni di funzionalità di servizio, la trasformazione medesima, per un tempo non superiore a sei mesi (Trib. Chiavari 7 febbraio 2000, est. Del Nevo, in D&L 2000, 405)
- Sono infondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art.1, commi 56, 57, 58, 59, 60, 61, 62, 63, 64 e 65, l. 23/12/96, n. 662, che disciplinano il rapporto d’impiego part-time dei dipendenti della publica amministrazione, in riferimento agli artt. 39, 97, 115, 117, 118, 119 e 123 Cost. (Corte cost. 18/5/99, n. 171, pres. Granata, est. Capotosti, in Foro it. 2001, pag. 59)
- E’ inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 65, l. 23/12/96, n. 662, nella parte in cui non prevede anche per gli enti di maggiori dimensioni l’inapplicabilità delle norme che disciplinano il rapporto d’impiego part-time dei dipendenti della pubblica amministrazione, disposta per gli enti locali la cui pianta organica preveda un numero di dipendenti inferiore alle cinque unità, in riferimento all’art. 3 Cost. (Corte cost. 18/5/99, n. 171, pres. Granata, est. Capotosti, in Foro it. 2001, pag. 59)