Questa voce è stata curata da Mirko Altimari
Scheda sintetica
Nozione
La pensione ai superstiti consiste in una prestazione erogata ai familiari a carico dell’assicurato, nel caso di decesso di quest’ultimo.
Possiamo individuare due distinte tipologie di trattamenti pensionistici:
- la pensione di reversibilità nel caso di morte del titolare di pensione
- la pensione indiretta in caso di morte dell’assicurato non ancora pensionato che al momento del decesso aveva maturato i requisiti prescritti dalla legge.
Requisiti
Il lavoratore deceduto, non pensionato, deve aver maturato, in alternativa:
- almeno 780 contributi settimanali (requisiti previsti per la pensione di vecchiaia prima dell’entrata in vigore del D.lvo 503/92);
- almeno 260 contributi settimanali di cui almeno 156 nel quinquennio antecedente la data di decesso (requisiti previsti per l’assegno ordinario di invalidità).
I familiari beneficiari sono:
- in primo luogo il coniuge e i figli
- a ben precise e residuali condizioni – in assenza di coniuge e figli- anche i genitori o i fratelli celibi e le sorelle nubili.
In ogni caso è necessario che il familiare beneficiario alla data di decesso fosse a carico (valgono le norme previste in tema di assegni familiari)
Essi acquistano iure proprio il diritto alla prestazione e non iure successionis.
L’ammontare della prestazione varia a seconda dei soggetti beneficiari presenti e/o del reddito degli stessi.
Scheda di approfondimento
Soggetti beneficiari
- il coniuge superstite, anche se separato; il coniuge divorziato se titolare di assegno divorzile;
- i figli che alla data della morte del genitore siano minorenni, inabili, studenti o universitari e a carico alla data di morte del medesimo;
- i nipoti minori (equiparati ai figli) se a totale carico degli ascendenti (nonno o nonna) alla data di morte dei medesimi.
In mancanza del coniuge, dei figli e dei nipoti la pensione può essere erogata:
- ai genitori
In mancanza del coniuge, dei figli, dei nipoti e dei genitori la pensione può essere erogata:
- ai fratelli celibi inabili e sorelle nubili inabili, non titolari di pensione, che alla data di morte del lavoratore e/o pensionato siano a carico del medesimo.
Importo
- Il coniuge superstite matura, ove non vi siano figli, un diritto ad un trattamento pari al 60% della pensione che spettava (o sarebbe spettata) all’assicurato.
- In assenza del coniuge, nel caso sia presente soltanto un figlio egli ha diritto al 70%; se i figli superstiti sono due la quota individuale è pari al 40%; se i figli sono tre (o più) il trattamento è pari al 100% della pensione e vi è riparto egualitario tra tutti;
- In presenza del coniuge, fermo restando la quota del 60% ad esso spettante, il trattamento di reversibilità è pari al 80% in presenza di un figlio (cui spetta quindi il 20%), e al 100% in caso di più figli.
- 15% per ogni altro familiare, avente diritto, diverso dal coniuge, figli e nipoti.
Il coniuge
Il diritto del coniuge spetta anche in caso di separazione legale. Inoltre nel caso di separazione con addebito il diritto spetta soltanto nel caso in cui risulti titolare di assegno alimentare (anche se alcune sentenze della Cassazione ampliano tale diritto, prevedendo che anche in presenza di separazione con addebito il diritto a pensione sorge in ogni caso).
Nel caso di divorzio il diritto sussiste se:
- l’assicurato è morto dopo entrata in vigore della l. n. 74/1987;
- il coniuge divorziato, beneficiario del trattamento di reversibilità, sia titolare dell’assegno alimentare e non sia passato a nuove nozze;
- la data di inizio del rapporto assicurativo sia anteriore alla sentenza di divorzio.
Qualora successivamente al divorzio, l’assicurato sia passato a nuove nozze, evidentemente si avrà oltre al coniuge divorziato anche un coniuge superstite.
In questo caso vi è il diritto del coniuge divorziato ad ottenere una quota della pensione di reversibilità, dividendo il trattamento tra i due (o più) superstiti, in base alla durata dei rispettivi matrimoni e secondo un criterio di proporzionalità.
Il compito di ripartire il trattamento di reversibilità «compete» pertanto al Tribunale: l’Inps provvederà sulla base di quanto stabilito dal giudice.
Inoltre una norma del 1945 tutt’ora in vigore (decreto luogotenenziale n. 39/1945) prevede che al coniuge che cessi dal diritto alla pensione per sopravvenuto matrimonio spetta un assegno una tantum pari a due annualità della sua quota di pensione (considerando tredicesima, 26 mensilità)
Più volte il legislatore ha infatti introdotto disposizioni intese a contrastare i «matrimoni di comodo» ma la giurisprudenza è sempre stato molto rigorosa nel garantire la piena libertà di contrarre matrimonio.
Attualmente, le pensioni ai coniugi superstiti aventi decorrenza dal 1° gennaio 2012 sono soggette ad una riduzione dell’aliquota percentuale, rispetto alla disciplina generale, nei casi in cui il deceduto abbia contratto matrimonio ad un’età superiore a 70 anni; la differenza di età tra i coniugi sia superiore a 20 anni o il matrimonio sia stato contratto per un periodo di tempo inferiore ai dieci anni.
La decurtazione della pensione ai superstiti non opera qualora vi siano figli minori, studenti o inabili.
I figli
Beneficiano del trattamento di reversibilità anche i figli minorenni:
- se sono studenti fino a 21 anni; elevata a 26 se universitari (ma nei limiti della durata del corso legale di laurea)
- a carico e senza attività lavorativa alla data del decesso (redditi di modesta entità non fanno perdere il diritto per la giurisprudenza della Corte Cost.)
Si prescinde dal requisito dell’età quando i figli siano inabili al lavoro, purché – requisito che non può mai mancare – siano a carico del de cuius.
Nipoti
La giurisprudenza costituzionale ha esteso il diritto al trattamento di reversibilità anche ai nipoti superstiti purché:
- minorenni
- conviventi con l’assicurato, anche se non vi è un provvedimento formale di affidamento ai nonni.
Genitori
In mancanza del coniuge e dei figli, i genitori potranno chiedere la pensione ai superstiti purché, alla data del decesso dell’assicurato possano far valere i seguenti requisiti:
- compimento dei 65 anni di età e non essere titolari di trattamenti pensionistici;
- essere a carico del defunto.
Aliquota pari al 15% per ciascun titolare (2 genitori, 30%)
Fratelli e sorelle
In mancanza anche dei genitori, i fratelli celibi e le sorelle nubili hanno diritto alla pensione se:
- inabili al lavoro;
- a carico del defunto.
Anche in questo caso aliquota pari al 15% per ciascun titolare.
Questa disposizione è in un certo senso il retaggio di un tipo di società e di conseguenza, di un tipo di famiglia, un tempo diffuso ma ormai scomparso.
Una tantum in mancanza di requisiti
Nel caso in cui il trattamento debba essere liquidato esclusivamente secondo il sistema contributivo qualora non sussistano i requisiti per la pensione ai superstiti, agli stessi compete una indennità una tantum: l’importo è pari al prodotto tra importo dell’assegno sociale e il numero delle annualità accreditate a favore dell’assicurato.
Per il caso in cui dall’infortunio o dalla malattia professionale derivi la morte del lavoratore assicurato in questo caso opera la rendita vitalizia ai superstiti, (contemplata dall’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali): l’importo della rendita, erogata ai soggetti e secondo le percentuali viste, è ragguagliato al 100% della retribuzione goduta dal defunto.
Nota bene: l’assegno sociale, così come l’assegno ordinario di invalidità, e le rendite dell’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro non sono reversibili.
Limiti di reddito
La pensione di reversibilità è soggetta ad una trattenuta quando il titolare è in possesso di redditi superiori a determinati limiti.
Ai fini del cumulo si considerano tutti i redditi assoggettabili all’Irpef, con esclusione di quelli derivanti dalla pensione stessa o di altre pensioni di reversibilità, dalla casa di abitazione, dalle competenze arretrate, dal Tfr, eccetera.
La trattenuta non si applica quando tra i beneficiari ci sono figli minori o maggiorenni studenti o inabili. Altra eccezione riguarda le pensioni di reversibilità con decorrenza antecedente al 1° settembre 1995 (che conservano il trattamento più favorevole in pagamento al 31/08/1995, con riassorbimento sui futuri miglioramenti)
Indennità per morte e indennità “una tantum”
Il superstite di lavoratore assicurato dopo il 31/12/1995 e deceduto senza aver perfezionato i requisiti richiesti, può richiedere a determinate condizioni la cd. “indennità una tantum”.
L’indennità per morte è un’indennità erogata al coniuge superstite del lavoratore assicurato al 31 dicembre 1995 che, al momento del decesso, non abbia maturato il diritto alla pensione (art. 13 Legge 218/1952).
Incumulabilità con redditi del beneficiario
La pensione ai superstiti liquidata a decorrere dal 01/09/1995 viene ridotta se il titolare possiede altri redditi, come indicato nella seguente tabella:
Ammontare dei redditi | Percentuali di riduzione |
Reddito superiore a 3 volte il trattamento minimo annuo del Fondo pensioni lavoratori dipendenti, calcolato in misura pari a 13 volte l’importo mensile in vigore al 1° gennaio | 25% di riduzione dell’importo della pensione |
Reddito superiore a 4 volte il trattamento minimo annuo del Fondo pensioni lavoratori dipendenti, calcolato in misura pari a 13 volte l’importo mensile in vigore al 1° gennaio | 40% di riduzione dell’importo della pensione |
Reddito superiore a 5 volte il trattamento minimo annuo del Fondo pensioni lavoratori dipendenti, calcolato in misura pari a 13 volte l’importo mensile in vigore al 1° gennaio | 50% di riduzione dell’importo della pensione |
A chi rivolgersi
E’ possibile avvalersi dell’assistenza di un Istituto di Patronato (ad es. INCA-CGIL).
La domanda può anche essere inoltrata esclusivamente in via telematica il sito internet INPS avvalendosi dei servizi telematici accessibili direttamente dal cittadino.
Casistica di decisioni della Magistratura in tema di pensione ai superstiti
- Il diritto del coniuge divorziato alla pensione di reversibilità ex art. 9, L. n. 898 del 1970 presuppone (anche ai sensi della norma interpretativa di cui all’art. 5, L. n. 263 del 2005) non solo che il richiedente al momento della morte dell’ex coniuge sia titolare di assegno di divorzio giudizialmente riconosciuto, ma anche che detto assegno non sia fissato in misura simbolica, ponendosi la diversa interpretazione in contrasto con la “ratio” dell’attribuzione del trattamento di reversibilità al coniuge divorziato, da rinvenirsi nella continuazione del sostegno economico prestato in vita all’ex coniuge e non già nell’irragionevole esito di assicurare al coniuge divorziato una condizione migliore rispetto a quella già in godimento. (Cass. 28/9/2020 n. 20477, Pres. Manna Rel. Cavallaro, in Lav. nella giur. 2020, 1210)
- La controversia tra l’ex coniuge e il coniuge superstite per l’accertamento della ripartizione – ai sensi dell’art. 9, comma 3, della L. n. 898 del 1970, come sostituito dall’art. 13 della L. n. 74 del 1987 – del trattamento di reversibilità deve necessariamente svolgersi in contraddittorio con l’ente erogatore atteso che, essendo il coniuge divorziato, al pari di quello superstite, titolare di un autonomo diritto di natura previdenziale, l’accertamento concerne i presupposti affinché l’ente assuma un’obbligazione autonoma, anche se nell’ambito di una erogazione già dovuta, nei confronti di un ulteriore soggetto. (Cass. 22/5/2020 n. 9493, Pres. Manna Rel. D’Antonio, in Lav. nella giur. 2020, 991)
- Il diritto al trattamento pensionistico di reversibilità costituzionalmente garantito e rientrante tra i diritti/doveri di assistenza e solidarietà propri delle relazioni affettive di coppia tra cui quella omosessuale stabile – che, in quanto tale, è stata esclusa dall’istituto matrimoniale e non ha potuto quindi istituzionalizzare la relazione familiare – va riconosciuto al partner superstite come diretta applicazione dell’art. 2 Cost.; riconoscimento che può essere fatto dal giudice comune senza la necessità di porre la questione al vaglio della Corte costituzionale. (Corte app. Milano 24/5/2018 n. 1005, Pres. Bianchini Est. Bianchini, in Riv. it. dir. lav. 2018, con nota di A. Cordiano e M. Peruzzi, “Unioni omoaffettive e riconoscimento di reversibilità prima della riforma Cirinnà”, 847)
- Non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, c. 14, della legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare), sollevata dal Tribunale ordinario di Udine, in funzione di giudice del lavoro, in riferimento agli artt. 3, c. 1, e 38, c. 2, della Costituzione. È nella discrezionalità del legislatore, col solo limite della palese irrazionalità, stabilire la misura del trattamento pensionistico dei superstiti e le variazioni dell’ammontare delle prestazioni, considerando le esigenze di vita dei beneficiari, le concrete disponibilità finanziarie e le esigenze di bilancio. (Corte Cost. 6/12/2016 n. 23, Pres. Grossi Est. Sciarra, in Riv. Giur. Lav. prev. soc. 2017, con nota di G. Damiri, “La garanzia dell’adeguatezza del trattamento pensionistico ai superstiti”, 317)
- Il diritto al trattamento pensionistico, previsto dall’art. 22, comma 3, L. n. 903 del 1965 in favore dei figli superstiti studenti, si collega all’impossibilità dell’orfano di procurarsi un reddito in conseguenza della dedizione agli studi, sicché, anche in base all’interpretazione della Corte costituzionale (sentenza n. 42 del 1999), il riferimento della norma alla prestazione di un “lavoro retribuito” come motivo di esclusione della quota di pensione non può riguardare attività lavorative precarie, saltuarie e con reddito minimo, svolgendo le quali l’orfano non perde la sua prevalente qualifica di studente, ma solo le normali prestazioni durature e con adeguata retribuzione. (Nella specie, la S.C. ha escluso che la prestazione di un’attività lavorativa per sole 18 ore settimanali, e con una retribuzione netta di 500 euro mensili, determinasse la perdita della qualità di studente e del conseguente diritto del figlio superstite alla pensione indiretta). (Cass. 27/10/2016 n. 21707, Pres. Mammone Rel. D’Antonio, in Lav. nella giur. 2017, 202)
- La surrogabilità da parte dell’ente previdenziale presuppone la risarcibilità del danno. (Cass. SU. 30/6/2016 n. 13372, Pres. Salmè Rel. Vivaldi, in Lav. nella giur. 2016, 928)
- Dopo la pronuncia n. 286/87 della Corte Costituzionale, l’articolo 22 della legge n. 903/1965(e il restante quadro legislativo richiamato) viene a consentire anche al coniuge separato con addebito la pensione di reversibilità, ma nei limiti in cui, in ragione dello stato di bisogno di questi, si potesse ritenere “a carico” del defunto, con concessione dell’assegno alimentare. (Trib. Milano 8/11/2013, Giud. Di Leo, in Lav. nella giur. 2014, 188)
- La pensione di reversibilità va riconosciuta non solo al coniuge separato in favore del quale il pensionato defunto era tenuto a corrispondere un assegno di mantenimento ma, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 286 del 1987, anche al coniuge separato per colpa o con addebito, equiparato sotto ogni profilo al coniuge superstite (separato o non) ed in favore del quale opera la presunzione legale di vivenza a carico del lavoratore al momento della morte, assolvendo alla funzione di sostentamento in precedenza indirettamente assicurata dalla pensione in titolarità del coniuge superstite titolare dell’assegno. (Cass. 19/3/2009 n. 6684, Pres. Mercurio Rel. Zappia, in Lav. nella giur. 2009, 630)
- La dichiarazione di incostituzionalità delle norme che escludevano il diritto alla pensione di reversibilità del coniuge separato per colpa o con addebito (Corte Cost. nn. 286/87 e 1009/88), non comporta la spettanza del diritto in ogni caso, non potendosi prescindere dalla necessaria ricorrenza, in generale, dei due requisiti della vivenza a carico e dello stato di bisogno – come rilevato dalla stessa Corte Costituzionale – sicchè il coniuge superstite separato per sua colpa ha diritto alla pensione di reversibilità se aveva diritto agli alimenti a carico del coniuge deceduto. (Cort. app. 12/2/2007, Pres. e Rel. Salmeri, in Lav. nella giur. 2007, 1152)
- Ad integrare la fattispecie legale – costitutiva del diritto ad una quota della pensione di reversibilità, in favore del coniuge divorziato del titolare della pensione diretta corrispondente (di cui all’art. 9, terzo comma, in relazione all’art. 5, comma sesto ss., L. 1 dicembre 1970, n. 898, e successive modifiche ed integrazioni) – può concorrere, in alternativa alla titolarità dell’assegno divorzile, il possesso dei requisiti per averne diritto (di cui all’art. 5, sesto comma cit.), che – solo in difetto di accertamento giudiziale negativo circa la spettanza di tale diritto allo stesso coniuge divorziato – può formare oggetto, tuttavia, di accertamento incidenter tantum, senza efficacia di giudicato, nei confronti dell’ente previdenziale e del coniuge superstite dello stesso titolare di pensione diretta. (Cass. 25/3/2005 n. 6429, Pres. Sciarelli Rel. De Luca, in Lav. nella giur. 2005, 690)
- La disposizione di cui all’art. 9, comma 2, L. n. 898/1970, come modificato dalla L. n. 74/1987, secondo cui in caso di morte dell’ex coniuge e in assenza di un coniuge superstite avente i requisiti per la pensione di reversibilità, il coniuge rispetto al quale è stata pronunciata sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio ha diritto, se non passato a nuove nozze e sempre che sia titolare di assegno ai sensi dell’art. 5, alla pensione di reversibilità, sempre che il rapporto da cui trae origine il trattamento pensionistico sia anteriore alla sentenza., va interpretata nel senso che la dizione “titolare di assegno ai sensi dell’art. 5” fa riferimento alla “titolarità effettiva” o “in concreto” dell’assegno di divorzio e non alla c.d. “titolarità in astratto”. (Trib. Grosseto 5/10/2004, Est. Ottati, in Lav. nella giur. 2005, 592)
- Secondo la disciplina dell’art. 39 D.P.R. 26 aprile 1957 n. 818 (e perciò prima dell’introduzione del più restrittivo criterio di cui all’art. 8, legge 12 giugno 1984 n. 222) il riconoscimento della pensione di reversibilità ai figli superstiti del pensionato inabili ad un proficuo lavoro per grave infermità psichica o mentale, postulava non la totale inabilità, ma la concreta impossibilità, tenuto conto delle condizioni del mercato del lavoro, di dedicarsi ad un’attività lavorativa utile ed idonea a soddisfare in modo normale e non usurante le primarie esigenze di vita. L’accertamento del requisito dell’inabilità presuppone una indagine molto accurata sull’usura psico-fisica che una eventuale attività lavorativa potrebbe provocare all’interessato, tenuto conto che detta attività deve svolgersi senza compromettere la dignità della persona umana. ( Cass. 7/6/2003 n. 9157, Pres. Senese Rel. Cataldi, In Dir. e prat. Lav. 2003, 3053)
- L’impiego da parte dell’invalido (al 90%) – affetto da tetraplegia spastico congenita, impeditiva di attività di locomozione (tanto da dover essere trasportato a braccia nella stanza assegnatagli) e di articolazione delle mani (tanto da non poter afferrare e sollevare la cornetta del telefono) – delle residue capacità psico-fisiche, indotto da estreme necessità economiche, in incombenze lavorative usuranti oltre il normale e compromettenti la dignità della persona, è inidoneo a dimostrare l’insussistenza del requisito dell’inabilità al lavoro, in presenza del quale spetta all’invalido tetraplegico la pensione di reversibilità per morte della madre (Cass. 23/5/01, n. 7058, pres. De Musis, est. Figurelli, in Lavoro e prev. oggi. 2001, pag. 1393)
Le segnalazioni della Newsletter di Wikilabour in tema di pensione di reversibilità
- Non spetta la pensione di reversibilità al coniuge divorziato il cui assegno divorzile sia d’importo minimo o simbolico.
Una signora, alla quale un Tribunale statunitense aveva attribuito un assegno divorzile di un dollaro all’anno, aveva chiamato in giudizio l’INPS, chiedendo il riconoscimento di una quota della pensione di reversibilità della pensione dovuta all’ex coniuge, deceduto, sostenendo che la sua attribuzione e misura costituisse una previdenza autonoma rispetto all’istituto dell’assegno, riconoscibile pertanto anche quando quest’ultimo sia stato attribuito in misura minima o simbolica. Viceversa la Corte, rimeditando il proprio precedente orientamento, favorevole alla tesi della signora, ha prima diversamente e più correttamente interpretato la legge, affermando che la pensione di reversibilità è strettamente correlata all’avvenuta percezione dell’assegno divorzile e viene riconosciuta al coniuge superstite a causa del venir meno del sostegno economico rappresentato dall’assegno. La conseguenza che la Corte trae da tale orientamento nel presente giudizio è che la pensione di reversibilità non spetta all’ex coniuge divorziato che sia titolare di un assegno minimo o simbolico. (Cass. 28/9/2020 n. 20477, Pres. Manna Rel. Cavallaro, in Wikilabour, Newsletter n. 16/2020)