Questa voce è stata curata da Francesca Ajello
Scheda sintetica
L’art. 38 della Costituzione stabilisce che ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto di mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale (comma 1) e che i lavoratori hanno diritto che siano preveduti e assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria (comma 2).
La medesima norma costituzionale prevede altresì che “ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi e istituti predisposti o integrati dallo Stato” (comma 4), ma che “l’assistenza privata è libera” (comma 5).
L’erogazione delle prestazioni previdenziali di base è garantita dallo Stato anzitutto attraverso forme di assicurazione obbligatoria contro i principali eventi che possono impedire al cittadino di svolgere l’attività lavorativa. L’ordinamento italiano, infatti, impone a tutti i lavoratori, al momento dell’instaurarsi del rapporto di lavoro, di iscriversi a forme previdenziali gestite da enti pubblici, che si finanziano mediante l’imposizione di specifici contributi sulla retribuzione che viene corrisposta al lavoratore. Si parla, a questo proposito, di previdenza obbligatoria, proprio perché l’adesione del lavoratore allo strumento previdenziale non è rimessa a una sua libera scelta, ma gli è imposta dal legislatore.
Il sistema previdenziale italiano prevede, peraltro, che il lavoratore possa integrare i trattamenti previdenziali di base, garantiti dagli strumenti di previdenza obbligatoria, attraverso l’adesione volontaria a forme di previdenza integrativa (c.d. previdenza complementare).
La previdenza complementare è quindi espressione della previdenza privata, la cui libertà è garantita dall’ultimo comma del citato art. 38 Cost. e rappresenta il cd. secondo pilastro del nostro sistema previdenziale, affiancandosi al sistema pensionistico pubblico (primo pilastro) e al sistema meramente privatistico (terzo pilastro).
Essa è nata con lo scopo di integrare la previdenza pubblica. Quest’ultima, infatti, rischia di non riuscire a mantenere l’equilibrio necessario fra i contributi ricevuti e le prestazioni pensionistiche versate, a causa dei mutamenti concernenti la popolazione degli ultimi decenni: infatti, mentre la qualità della vita è migliorata e la popolazione anziana (che percepisce la pensione) è aumentata, le nascite sono fortemente diminuite e con esse il numero di lavoratori attivi che, versando i contributi, finanziano le prestazioni previdenziali. È risultato necessario, pertanto, integrare il sistema pubblico obbligatorio con forme previdenziali che mirino a garantire alle future generazioni livelli più elevati delle pensioni.
Scheda di approfondimento
Come visto, la previdenza complementare ha lo scopo di integrare quella pubblica obbligatoria.
Essa trova la propria disciplina nel d.lgs. 252/2005, emanato in attuazione della legge delega 243/2004, con la quale il legislatore si è prefisso l’obiettivo di sviluppare su larga scala la previdenza complementare incentivandone il finanziamento mediate la devoluzione del Tfr.
Il decreto legislativo citato ha operato una riforma complessiva della previdenza complementare, disponendo in un unico testo normativo tutta la disciplina della materia.
La riforma è poi entrata in vigore a partire dal 1° gennaio 2007, per effetto della Legge 296/2006, art. 1, c. 749.
Le forme di previdenza complementare – che possono essere collettive ed individuali – possono essere attuate mediante:
- fondi pensione negoziali (chiusi) istituiti in base ad un accordo collettivo e limitati a categorie in esse individuate;
- fondi pensione aperti non destinate a categorie limitate di aderenti; possono essere ad adesione individuale o collettiva;
- contratti di assicurazione sulla vita con finalità previdenziale (cd. PIP) ad adesione esclusivamente individuale.
Le forme pensionistiche complementari devono essere iscritte in un apposito Albo, tenuto dall’apposita commissione di vigilanza (COVIP) e ad esse possono aderire, oltre ai lavoratori subordinati, anche i lavoratori a progetto, i lavoratori autonomi e i liberi professionisti, i soci lavoratori di cooperative di produzione e lavoro e colore che svolgono lavori non retribuiti in relazione a responsabilità familiari.
Finanziamento della previdenza complementare
La previdenza complementare è alimentata mediante la contribuzione dei soggetti beneficiari, che devono versare somme di denaro al fondo prescelto.
La riforma del 2005, al fine di incentivare detta contribuzione, ha chiarito che il finanziamento delle forme pensionistiche complementari possa avvenire sia attraverso il versamento di contributi volontari a carico del lavoratore o del datore di lavoro, sia con il conferimento del TFR maturando.
In relazione al TFR, la scelta spetta al lavoratore, secondo modalità precisate dalla legge di riforma.
Modalità di scelta del lavoratore
Entro 6 mesi dall’assunzione, se avvenuta successivamente al 1° gennaio 2007 (i lavoratori già in servizio all’entrata in vigore della riforma hanno dovuto esprimere la scelta entro il 30/06/2007), il lavoratore dipendente del settore privato deve effettuare la scelta di adesione o meno alla previdenza complementare.
A tale scopo, il datore di lavoro deve fornire al lavoratore adeguate informazioni sulle diverse opzioni; il datore di lavoro è altresì tenuto a fornire al lavoratore appositi modelli tramite i quali operare la scelta e a conservare gli stessi compilati dal lavoratore, al quale ne rilascia copia controfirmata per ricevuta (D.M. 30 gennaio 2007).
Pertanto, il lavoratore può:
- decidere di aderire alla previdenza complementare, indicando il fondo pensione prescelto e dichiarando la propria volontà di conferirvi a titolo di contribuzione il Tfr maturando (assenso esplicito); l’adesione determina l’automatica iscrizione del lavoratore alla forma indicata e godrà di tutti quei diritti di informazione e partecipazione alla forma previdenziale cui ha aderito;
- decidere di non aderire, dichiarando espressamente il proprio diniego (rifiuto esplicito) e optando per il mantenimento del Tfr maturando presso il proprio datore di lavoro; in tal caso, il prestatore di lavoro può sempre successivamente revocare tale scelta e conferire il Tfr ad un fondo pensione complementare.
Qualora il lavoratore lasci passare inutilmente i 6 mesi di tempo previsti dalla legge, l’adesione al fondo pensione categoriale avviene automaticamente, e comporta la devoluzione integrale e obbligatoria del Tfr maturando (silenzio – assenso).
Il datore di lavoro, in mancanza di scelta esplicita, è obbligato a trasferire il Tfr maturando del dipendente al fondo pensione individuato secondo i criteri definiti dall’art. 8, c. 7, lett. b, D.Lgs. 252/2005 e, in particolare, secondo il seguente ordine:
- forma pensionistica collettiva stabilita dal CCNL
- fondo previsto da accordo aziendale;
- fondo a cui hanno aderito a maggior parte dei lavoratori dell’azienda;
- FondINPS, ossia al fondo pensione costituito presso l’INPS per far confluire le quote di TFR maturando di coloro ce non hanno fatto alcuna scelta e non possono accedere ai fondi di cui sopra (l’adesione può avvenire solo in via individuale).
La scelta relativa alla previdenza complementare comporta per i lavoratori una trasformazione del regime concernente il TFR.
Infatti:
- se il lavoratore aderisce, volontariamente o per effetto del silenzio-assenso, alla previdenza complementare, tale decisione è irrevocabile e dovrà devolvere obbligatoriamente il Tfr maturando al fondo pensione. Al termine del rapporto di lavoro pertanto non gli verrà corrisposto il Tfr, ma riceverà, a decorrere dalla data di maturazione dei requisiti per il diritto al trattamento pensionistico, una pensione integrativa nella forma di una rendita periodica; se l’adesione proviene da un lavoratore con rapporto in corso al 1° gennaio 2007, il Tfr maturato precedentemente sarà corrisposto in regime di retribuzione differita alla cessazione del rapporto;
- se il lavoratore non aderisce alla previdenza complementare, continuerà a maturare il Tfr che sarà liquidato in regime di retribuzione differita al temine del rapporto.
Un regime particolare è previsto per quei lavoratori con rapporto già in essere al 29 aprile 1993, che hanno la possibilità di trasferire anche solo una parte del Tfr maturando, con le seguenti modalità:
- i soggetti che al 1° gennaio 2007 erano già iscritti ad una forma pensionistica complementare possono decidere di contribuire al fondo con la stessa quota versata in precedenza mantenendo presso il datore di lavoro la quota residua di Tfr. In tal caso, per i lavoratori di aziende con più di 49 dipendenti, il residuo Tfr è trasferito dal datore di lavoro al Fondo Tesoreria Inps;
- i lavoratori che al 1° gennaio 2007 non erano iscritti ad una forma pensionistica complementare possono scegliere di trasferire il Tfr futuro a una forma pensionistica complementare, nella misura fissata dagli accordi collettivi o, in assenza, in misura non inferiore al 50%.
In entrambi i casi resta ferma la possibilità di incrementare la quota di Tfr futuro da versare alla forma pensionistica complementare.
La riforma ha inciso anche per quanto riguarda la funzione di riserva di liquidità che il Tfr ha svolto nei confronti delle imprese. Le quote venivano infatti accantonate presso il datore di lavoro per tutta la durata del rapporto e, salvo anticipazioni, venivano materialmente corrisposte solo al termine del rapporto di lavoro.
Ora invece, l’adesione dei dipendenti alle forme pensionistiche complementari comporta l’obbligo per i datori di lavoro di versare mese per mese la quota di retribuzione accantonata a titolo di Tfr al fondo pensione cui il lavoratore aderisce.
Peraltro, anche nel caso in cui il lavoratore non aderisca alla previdenza complementare, nelle aziende con almeno 50 dipendenti, il datore perde di fatto la disponibilità di tali quote dovendole conferire ad un apposito fondo (c.d. Fondo Tesoreria) istituito dalla Legge 296/2006 presso la Tesoreria dello Stato e gestito dall’Inps.
Il Fondo Tesoreria erogherà le prestazioni secondo le modalità previste dall’art. 2120 c.c.
Per ottenere il Tfr, il lavoratore deve presentare un’unica domanda al datore di lavoro che provvede alla liquidazione del Tfr in misura integrale.
Il datore riscatterà quanto anticipato al Fondo attraverso conguaglio delle quote di Tfr da versare al Fondo Tesoreria e, in caso di incapienza, dei contributi dovuti all’Inps.
Posizione individuale dell’aderente
L’entità della posizione individuale dipende dalla contribuzione versata, consistente per lo più nel conferimento del TFR a cui può essere aggiunto un eventuale altro contributo.
Le somme incamerate vengono investite secondo politiche di investimento mirate e soggette comunque alle direttive del Ministero dell’Economia e delle Finanze.
Il diritto alla pensione complementare è subordinato alla maturazione dei requisiti per il trattamento pensionistico obbligatorio e occorre aver maturato 5 anni di partecipazione alle forme complementari.
Quanto alla modalità di erogazione, essa avviene mediante una redita a carattere continuativo e periodico, a meno che il destinatario della prestazione non voglia l’intera liquidazione del capitale.
Normativa di riferimento
- Decreto Legislativo 21 aprile 1993, n. 124
- Legge 23 agosto 2004, n. 243
- Decreto Legislativo 5 dicembre 2005, n. 252
- Legge 296/2006
A chi rivolgersi
- Istituto di Patronato (ad es. INCA-Cgil)
- Studio legale specializzato in diritto del lavoro
Casistica di decisioni della Magistratura in tema di previdenza complementare
- I trattamenti pensionistici integrativi aziendali hanno natura giuridica di retribuzione differita, ma, in relazione alla loro funzione previdenziale, sono ascrivibili alla categoria delle erogazioni solo in senso lato in relazione di corrispettività con la prestazione lavorativa, con la conseguenza che l’autonomia privata non subisce, in linea generale, limiti alla determinazione del “quantum” dovuto e dei presupposti e requisiti di erogazione di dette pensioni, potendo determinare altresì le condizioni della reversibilità delle prestazioni in favore del coniuge e dei figli del pensionato. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva escluso la reversione della pensione in favore del coniuge del pensionato – nel caso, separato giudizialmente alla data di risoluzione del rapporto di lavoro – in quanto la contrattazione collettiva limitava la reversibilità al coniuge convivente). (Cass. 29/6/2013 n. 13399, Pres. Miani Canevari Rel. Berrino, in Lav. nella giur. 2013, 849)
- Non è condizione sfavorevole per i dipendenti l’opzione per la immediata attribuzione dell’intero premio, compresa la parte destinata alla contribuzione aziendale, in considerazione della tutela costituzionale apprestata dall’art. 36 co. 1 Cost. al diritto alla retribuzione, e segnatamente alla sua funzione alimentare. La valutazione convenzionale collettiva della connotazione non sfavorevole dell’immediato consumo rispetto alla opzione per l’accantonamento previdenziale non ha carattere peggiorativo, posto che le organizzazioni sindacali, nell’esercizio della loro autonomia collettiva garantita dall’art. 39 Cost., possono ben stabilire la parte del “monte salari” che deve assolvere alla funzione alimentare, avuto riguardo alla connotazione integrativa di tali (ulteriori) prestazioni pensionistiche aggiuntive rispetto a quelle garantite dall’Inps. (Corte app. Ancona 27/5/2013 n. 502, Pres. Jacovacci Est. Cetro, in Riv. It. Dir. lav. 2014, con nota di Armando Tursi, “Premio aziendale, contrattazione collettiva aziendale e contribuzione alla previdenza complementare”, 448)
- Non avendo adottato, entro il termine impartito, le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative necessarie a conformarsi agli artt. 8, 9, 13, 15-18 e 20, nn. 2-4, della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 3 giugno 2003, 2003/41/CE, relativa alle attività e alla supervisione degli enti pensionistici aziendali o professionali, la Repubblica ceca è venuta meno agli obblighi a essa incombenti in forza dell’art. 22, n. 1, di tale direttiva. (Corte di Giustizia 11/1/2010, causa C-343/08, Pres. Cunha Rodrigues, Rel. Caoimh, in Riv. it. dir. lav. 2010, con nota di Azzurra De Salvia, “La direttiva sugli enti pensionistici aziendali o professionali nell’interpretazione della Corte di Giustizia”, 1011)
- In tema di fondi previdenziali aperti, l’art. 10, comma 3 bis del D.Lgs. 21 aprile 1993, n. 124 conferisce all’autonomia collettiva la facoltà di trasferimento delle posizioni individuali degli iscritti da un fondo all’altro ivi compresi i fondi previdenziali aperti di cui all’art. 9 del citato D.Lgs. n. 124, anche quando non vi sia la cessazione dei requisiti di partecipazione individuale, atteso che il legislatore, confidando nella bontà delle scelte delle fonti istitutive nell’interesse degli iscritti, ne ha reso più flessibili le determinazioni consentendo di trasferire le posizioni individuali presso il fondo di previdenza complementare che ritengano più conveniente, sia esso aperto o chiuso, escludendo, tale facoltà, la necessità di un qualsivoglia intervallo o cesura tra le operazioni di uscita da un fondo e ingresso nell’altro. (Cass. 22/9/2008 n. 23954, Pres. Sciarelli Est. La Terza, in Lav. nella giur. 2009, 302)
- Nella disciplina speciale posta dal d.lgs. n. 124/1993 in materia di previdenza complementare, e solo in questa, i partecipanti, attivi e pensionati, possono dirsi creditori del Fondo; ma non in posizione di terzietà o alterità, bensì in quanto essi sono direttamente titolari pro quota di un segmanto di patrimonio. Essi versano, dunque, in una relazione di immedesimazione e di contitolarità. (Corte app. Firenze 21/3/2008, Giud. D’Amico, in Riv. it. dir. lav. 2008, con nota di Tursi, “Ammortizzatori sociali contrattuali e previdenza complementare”, 669)
- In tema di previdenza complementare, e nell’ambito dei fondi a ripartizione preesistenti al 15 novembre 1992 e destinatari del decreto ministeriale previsto dal d. lgs. 21 aprile 1993, n. 124, art. 18, comma 8-bis, il trasferimento della posizione individuale dell’iscritto che abbia cessato il rapporto senza aver maturato il diritto a pensione non è disciplinato dall’art. 10, comma 3-bis, dell’indicato d.lgs., bensì dalle norme fissate dalle parti costituenti, ed entro i limiti previsti dal d.lgs. 5 dicembre 2005, n. 252, art. 20, comma 2. (Cass. 27/2/2008 n. 5094, Pres. Ciciretti Est. Cuoco, in Riv. it. dir. lav. 2008, “Portabilità della posizione contributiva individuale dei fondi preesistenti a ripartizione: lex dixit minus quam voluit”, 933)
- In tema di previdenza complementare, e nell’ambito dei fondi a ripartizione preesistenti al 15 novembre 1992 e destinatari del decreto ministeriale previsto dal d. lgs. 21 aprile 1993, n. 124, art. 18, comma 8-bis, il trasferimento della posizione individuale dell’iscritto che abbia cessato il rapporto senza aver maturato il diritto a pensione non è disciplinato dall’art. 10, comma 3-bis, dell’indicato d.lgs., bensì dalle norme fissate dalle parti costituenti, ed entro i limiti previsti dal d.lgs. 5 dicembre 2005, n. 252, art. 20, comma 2.(Cass. 6/3/2008 n. 6042, Pres. Ciciretti Est. Cuoco, in Riv. it. dir. lav. 2008, con nota di T. Erboli, “Portabilità della posizione contributiva individuale dei fondi preesistenti a ripartizione: lex dixit minus quam voluit”, 933)
- L’art. 10, 3° comma Bis, D.Lgs. 21/4/93 n. 124, relativo al trasferimento dell’intera posizione contributiva individuale dai fondi pensione, comprensiva dei contributi versati dal datore di lavoro, oltre che dal lavoratore, è applicabile anche ai fondi pensione a ripartizione istituiti antecedentemente al 15/11/92 in ragione sia della generale applicabilità a tutti i fondi pensione delle norme del predetto decreto, come previsto dall’art. 1 del decreto, sia del mancato richiamo del citato art. 10 tra le norme escluse dalla disciplina dei fondi “preesistenti” dall’art. 18 dello stesso decreto. (Corte app. Milano 29/6/2007, Pres. ed Est. Castellini, in D&L 2007, 1251)
- Con riguardo alla previdenza integrativa, deve essere considerato titolare di un “diritto quesito”, come tale intangibile tanto da parte dell’autonomia collettiva quanto da parte dell’organo di gestione del Fondo, anche il lavoratore che, pur non avendo maturato i requisiti per il trattamento previdenziale, sia da molti anni lavorativi parte della fattispecie a formazione progressiva costitutiva di capitale in via di accumulo vincolato a beneficio di tutti gli iscritti al fondo ai sensi dell’art. 2117 c.c. Tale principio trova un’eccezione nell’art. 18, comma settimo, D.Lgs. 124/1993, che conferisce alla fonte istitutiva del fondo, nel rispetto dei canoni di ragionevolezza e uguaglianza, il potere di rideterminare la disciplina delle prestazioni e del finanziamento nel caso in cui la gestione venga a trovarsi in condizione di “squilibrio finanziario”. (Trib. Milano 18/6/2007, Giud. Di Leo, in Lav. nella giur. 2008, 164, con commento di Ilaria Alvino, 164)
- In tema di previdenza complementare, in relazione alle tre opzioni stabilite dall’art. 10, D.Lgs. 21 aprile 1993, n. 124 – trasferimento del capitale accumulato ad altro fondo “chiuso”, trasferimento a un fondo “apert”, riscatto -, agli iscritti che abbiano cessato il rapporto senza maturazione del diritto a pensione in epoca successiva all’entrata in vigore della legge stessa e che non abbia esercitato alcuna opzione di trasferimento è garantito il riscatto della posizione individuale, cioè soltanto una indennità una tantum calcolata in ragione del diritto maturato secondo la regolamentazione della gestione ordinaria del fondo, senza che essi possano rivendicare una ricapitalizzazione dei trattamenti rimasti comunque allo stato virtuale. Non rileva in contrario che il fondo sia entrato in fase di liquidazione, atteso che permangono anche in tal caso le norme regolamentari che disciplinano i diritti di accesso a pensione e alla prestazione una tantum, dovendosi negare che la liquidazione del fondo consista in una distribuzione delle riserve matematiche, le quali non costituiscono la misura dei diritti dell’iscritto, ma un mero strumento attuariale per valutare le risorse necessarie per far fronte agli impegni futuri e alle garanzie assunte dal Fondo verso gli iscritti, non potendosi gravare il fondo, nella fase di liquidazione, di oneri maggiori rispetto a quelli che avrebbe affrontato nel corso del suo normale funzionamento. (Fattispecie relativa a lavoratori già dipendenti della Isveimer). (Cass. 22/2/2007 n. 4136, Pres. Sciarelli Est. de Matteis, in Lav. nella giur. 2007, 1036)
- I contributi versati a un fondo di previdenza integrativa aziendale hanno natura retributiva, dovendoli qualificare come debiti di lavoro in nesso di corrispettività con la prestazione lavorativa, e conseguentemente devono essere inclusi nella base di calcolo del trattamento di fine rapporto. (Trib. Milano 22/3/2006, Est. Porcelli, in D&L 2006, con nota di Tiziana Laratta, “Sulla natura retributiva dei contributi di previdenza integrativa e la loro conseguente inclusione nella base di calcolo del trattamento di fine rapporto”, 866)
- L’art. 10 D.Lgs. 21/4/93 n. 124 che conferisce all’iscritto ad una forma di previdenza complementare il diritto a ottenere nei casi previsti dalla norma citata il riscatto o il trasferimento dell’intera posizione individuale – intendendosi per tale quella comprensiva dei contributi versati sia dal datore di lavoro che dal lavoratore- deve ritenersi applicabile anche ai fondi di previdenza complementare a ripartizione già istituiti alla data di entrata in vigore della Legge Delega 23/10/92 n. 421 nell’ambito della quale è stato emanato il D. Lgs. 21/4/93 n. 124, non essendo tra l’altro configurabile nella disciplina transitoria contenuta nell’art. 18 del suddetto decreto alcuna disposizione che escluda l’applicabilità del citato art. 10 a tali fondi. (Trib. Milano 11/3/2004, Est. Porcelli, in D&L 2004, 441, con nota di Chiara Perrone, “Ancora in tema di previdenza complementare e diritto di riscatto della posizione individuale”)
- L’art. 10 D.Lgs. 21/4/93 n. 124 che conferisce all’iscritto a una forma di previdenza complementare il diritto ad ottenere nei casi previsti dalla norma citata il riscatto o il trasferimento dell’intera posizione individuale- intendendosi per tale quella comprensiva dei contributi versati sia dal datore di lavoro sia dal lavoratore- deve ritenersi applicabile anche ai fondi di previdenza complementare a ripartizione già istituiti alla data di entrata in vigore della Legge Delega 23/10/92 n. 421 nell’ambito della quale è stato emanato il D.Lgs. 124/93, non essendo tra l’altro configurabile nella disciplina transitoria contenuta nell’art. 18 del suddetto decreto alcuna disposizione che escluda l’applicabilità del citato art. 10 a tali fondi. (Trib. Bergamo 10/5/2003, Est. Finazzi, in D&L 2004, 441, con nota di Chiara Perrone, “Ancora in tema di previdenza complementare e diritto di riscatto della posizione individuale”)
- In assenza di una specifica disciplina collettiva, non ha diritto al riscatto il dipendente di un istituto di credito che sia iscritto ad un Fondo integrativo “a prestazione definita”, che non abbia esercitato l’opzione per il passaggio ad un Fondo a contribuzione definita e che abbia cessato il rapporto di lavoro prima di aver maturato il diritto alle prestazioni integrative; in tal caso, infatti, non trova applicazione l’art. 10 del D. Lgs. 24/4/93 n. 124 che regolamenta solo i Fondi a contribuzione definita. (trib. Firenze 13/2/2003, Est. Bazzoffi, in D&L 2003, 1011, con nota di Filippo Pirelli, “Fondi pensione e diritti del prestatore di lavoro”)
- In tema di previdenza complementare, le tre opzioni previste dall’art. 10 D. Lgs. 21/4/93 n. 124, in favore degli iscritti che abbiano cessato il rapporto, senza maturazione del diritto a pensione (trasferimento del capitale accumulato ad altro fondo chiuso, trasferimento a fondo aperto e riscatto), in epoca successiva all’entrata in vigore della legge stessa, si applicano all’intera posizione individuale, comprensiva di tutti gli accantonamenti previsti dall’art. 8 dello stesso decreto, sia del lavoratore, sia del datore di lavoro, effettuati anche nel periodo antecedente all’entrata in vigore del D. Lgs. 124/93, per i fondi a capitalizzazione preesistenti, anche nel caso in cui gli statuti prevedano modalità di rimborso dei capitali accantonati difformi dalla norma legale. (Cass. 11/12/2002 n. 17657, Pres. Trezza Est. De Matteis, in D&L 2003, 438, con nota di Renato Scorcelli, “Previdenza complementare e diritto di riscatto della posizione individuale”)
- I trattamenti pensionistici integrativi aziendali hanno natura giuridica di retribuzione differita , ma, in relazione alla loro innegabile funzione previdenziale, sono ascrivibili alla categoria delle erogazioni periodiche, derivandone che, sempre in applicazione dei principi elaborati dalla giurisprudenza , deve farsi applicazione della regola secondo la quale dal rapporto pensionistico di origine contrattuale (quale quello di un trattamento erogato dal Fondo pensioni di un istituto di credito) non scaturisce una singola complessiva obbligazione, avente per oggetto una prestazione unitaria da assolvere ratealmente ma deriva una serie di obbligazioni a cadenza periodica, ciascuna delle quali realizza l’intera prestazione dovuta in quel determinato periodo. Ne consegue che trattandosi di una prestazione da pagarsi periodicamente, la prescrizione è quella prevista dal n. 4, art. 2948 c.c., restando del tutto priva di rilievo a tale fine la natura retributiva o previdenziale della prestazione medesima, con l’ulteriore conseguenza che l’applicabilità della disposizione di legge impedisce di ravvisare il presupposto per l’applicazione analogica, alle pensioni di fonte negoziale, del complesso di regole e principi operanti per le pensioni erogate dall’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale. Ne consegue che i crediti dei trattamenti pensionistici integrativi aziendali sono soggetti a prescrizione quinquennale che decorre dalla data di maturazione delle singole rate; conseguentemente il lavoro può perdere per prescrizione le rate maturate nel periodo antecedente l’ultimo quinquennio, mantenendo il diritto a percepire quelle successive. (Cass. 7/1/02, n. 81, pres. e est. Dell’Anno, in Lavoro e prev. oggi 2002, pag. 560
- L’art. 59, terzo comma, l. n. 449/97 realizza un collegamento funzionale tra previdenza obbligatoria e previdenza complementare, ponendosi quale momento essenziale della complessiva riforma della materia in attuazione degli scopi enunciati dall’art. 38, secondo comma, Cost. Sicché non hanno pregio le doglianze circa la lesione da tale norma perpetrata, alla iniziativa ed alla libertà sindacale (e all’art. 39 Cost.), tanto più ove si consideri che, a fronte dei limiti e dei vincoli addotti all’autonomia collettiva, stanno sia la normativa di favore, con ampie agevolazioni tributarie, volta a sostenere e a favorire la previdenza complementare, sia la possibilità di deroghe pur previste a tali vincoli, ad opera della contrattazione collettiva, in relazione all’esigenza della concreta ponderazione degli effetti complessivi dell’esubero di personale sul fondo pensionistico, sia infine la facoltà riservata all’iniziativa sindacale di operare la trasformazione delle forme pensionistiche a prestazione in forme pensionistiche a contribuzione definita. Né assume autonomo rilievo, rispetto alla precedente, la censura riferita alla violazione dell’art. 41 Cost. Ma non può neppure reputarsi che la norma sia irragionevole, in riferimento all’art. 3 Cost. per aver inciso su situazioni ormai consolidate, o che essa escluda ogni ipotesi di esonero dal divieto di anticipata prestazione, giacché, seppure a fronte di significative congiunture, il vincolo imposto al conseguimento delle prestazioni integrative del trattamento di base risulta, per le forme pensionistiche di cui al decreto legislativo n. 357/90, non solo sensibilmente attenuato, ma, in definitiva, rimesso alla disponibilità delle parti sociali, con adeguato opportuno apprezzamento, dunque, delle aspettative dei destinatari delle prestazioni. Pertanto non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 59, terzo comma, l. 27/12/97, n. 449, sollevata in riferimento agli artt. 3, 39 e 41 Cost. (Corte Cost. 28/7/00, n. 393, pres. Mirabelli, est. Vari, in Argomenti dir. lav. 2001, pag. 680)
- La contribuzione previdenziale, intesa in senso lato, nella quale rientra la maggiorazione contributiva del quindici per cento, imposta dall’art. 1, comma 194, l. 23/12/96, n. 662, per il periodo contributivo 1/9/85 – 30/6/91, a carico dei soli datori di lavoro che abbiano costituito forme di previdenza integrativa, non è assimilabile all’imposizione tributaria vera e propria, di carattere generale, ma è da considerare quale prestazione patrimoniale avente la finalità di contribuire agli oneri finanziari del regime previdenziale dei lavoratori. Essa, in applicazione dei principi espressi dalla precedente sentenza 8/9/95, n. 421, rappresenta solo una contropartita necessaria dell’esclusione delle contribuzioni ai fondi di previdenza complementare dalla base imponibile, per la determinazione di contributi di previdenza e di assistenza sociale, quale esplicazione del principio di razionalità-equità (art. 3 Cost.), coordinato col principio di solidarietà, cui va collegato l’art. 38, secondo comma, Cost., che stabilisce un dovere specifico ad integrare le prestazioni previdenziali spettanti ai soggetti economicamente più deboli. Non è infine irragionevole che la norma abbia stabilito l’entità del contributo in misura maggiore di quella del periodo successivo. Non è pertanto fondata, in riferimento agli artt. 53, 136, 47 e 3 Cost., la questione di legittimità costituzionale del predetto art. 1, comma 194, l. 23/12/96, n. 662. (Corte Cost. 8/6/00, n. 178, pres. Mirabelli, est. Ruperto, in Argomenti dir. lav. 2001, pag. 687)
- A norma dell’art. 18 D.Lgs. n. 124/93 la rideterminazione delle regole in tema di prestazioni e finanziamento relativamente a forme di previdenza complementare (nella specie, il fondo di previdenza per i dirigenti delle aziende commerciali e di spedizione e trasporto ” Mario Negri”) non può incidere negativamente sulla posizione di coloro che, avendo maturato i requisiti ed esercitato il relativo diritto, hanno ormai conseguito il trattamento pensionistico, né sulla posizione di coloro che, avendo maturato i requisiti, non hanno ancora esercitato il relativo diritto, mentre, per quanto concerne gli iscritti che non abbiano maturato i requisiti per il conseguimento del trattamento pensionistico, non può escludersi la configurabilità di limiti alle suddette modificazioni, sia nella garanzia normativa di cui all’art. 2117 c.c., sia nel principio di ragionevolezza delle medesime, sia, infine, nella tutela che le stesse fonti convenzionali apprestano alle posizioni soggettive che si costituiscono in una fattispecie a formazione progressiva, costituita comunque (in ogni tipo di fondo) da capitale in via di accumulo, vincolato a beneficio di tutti gli iscritti al fondo e non incondizionatamente azzerabile; chi invochi un tale tipo di tutela, tuttavia, ha l’onere di indicarne la fonte ed il contenuto, non potendo qualificarsi tout-court come diritti soggettivi le mere aspettative configurabili nelle posizioni soggettive anteriori alla maturazione del diritto a pensione (Cass. 21/1/00, n. 689, pres. Santojanni, in Orient. Giur. Lav. 2000, pag. 1099, con nota di Izar, Successione di contratti collettivi e modifiche alla disciplina dei fondi di previdenza complementare. La Cassazione interviene in tema di diritti a formazione progressiva)