Questa voce è stata curata da Francesca Ajello
Scheda sintetica
I fringe benefits (dall’inglese, benefici marginali) costituiscono elementi remunerativi complementari alla retribuzione principale e consistono nella concessione in uso di beni e servizi da parte del datore di lavoro a favore dei lavoratori.
Tali benefici rappresentano una forma di retribuzione in natura ai sensi di quanto previsto dall’art. 2099 co. 3 c.c., il quale dispone che il prestatore di lavoro possa essere in tutto o in parte retribuito in natura, ossia tramite erogazione di beni e servizi, oltre che in denaro come di regola avviene.
I fringe benefits pertanto comportano un’integrazione in natura della normale retribuzione pattuita, la quale, al contrario, è generalmente erogata in denaro.
Natura dei fringe benefits
I compensi in natura come i fringe benefits sollevano due fondamentali questioni:
- in primo luogo, è necessario stabilire se ad essi possa essere attribuita natura retributiva;
- in secondo luogo, si pone il problema di stabilire quale valore pecuniario debba esser loro attribuito.
Dalla soluzione delle questioni appena delineate dipende a sua volta la soluzione di due ulteriori problemi aventi particolare rilevanza pratica: la valutazione dell’incidenza che essi provocano sul calcolo degli altri istituti retributivi (come per esempio il TFR o indennità sostitutiva di preavviso) e, secondariamente, la determinazione della base imponibile ai fini del calcolo dei contributi previdenziali.
Infatti, attribuire natura retributiva ai predetti elementi comporta importanti conseguenze:
- il beneficio dotato di carattere retributivo diventa innanzi tutto obbligatorio. Conseguentemente, per il principio di intangibilità della retribuzione, non può più essere revocato né ridotto dal datore di lavoro;
- inoltre, il valore del compenso accordato incide direttamente sul calcolo di tutte quelle retribuzioni indirette e differite, quali, ad esempio, il TFR o la tredicesima.
Spesso la risposta alle questioni delineate si riscontra nella normativa legale o in quella pattizia, mediante la quale le parti, in sede collettiva o individuale, si accordano su quali benefici debbano essere garantiti e sulla disciplina cui essi sono assoggettati.
Ove ciò non accada, essa può risultare differente da caso a caso: in particolare può differire a seconda del tipo di beneficio concesso al lavoratore, delle modalità del suo utilizzo nonché del fine in vista del quale esso è accordato.
Ciò accade poiché la realtà delle aziende conosce una cospicua varietà di fringe benefits. Su di essi ha talvolta avuto occasione di esprimersi la giurisprudenza, che è così riuscita a delineare alcuni principi utili per valutare i casi concreti.
I vari tipi di fringe benefits
I benefici più tipici sono i seguenti:
Concessione in uso di autovettura
La concessione dell’uso di un’autovettura di proprietà dell’azienda ad un dipendente costituisce una delle forme di retribuzione in natura più frequenti.
Spesso natura e valore del beneficio sono stabiliti mediante la contrattazione individuale o collettiva. Quando ciò non avviene si pone il problema di valutare entrambi gli aspetti.
Inizialmente, le elaborazioni provenienti dalla prassi, dalla dottrina e dalla giurisprudenza ritenevano che la natura retributiva di questo beneficio potesse differentemente essere accordata a seconda dell’uso che concretamente veniva fatto dell’autovettura concessa.
La natura ed il valore di tale fringe benefit dipendevano in sostanza dall’utilizzo del bene concesso al lavoratore: se l’autovettura era utilizzata esclusivamente a fini lavorativi, l’uso non è di regola considerato come beneficio poiché, in sostanza, non integrava in alcuno modo le utilità percepite dal lavoratore. Se l’uso era invece promiscuo (ossia concesso anche per scopi personali del lavoratore) o esclusivamente privato, sorgeva effettivamente il problema di definirne natura e valore, al fine di determinare l’incidenza sugli altri elementi retributivi nonché per il calcolo dei contributi previdenziali.
Ad oggi, invece, la giurisprudenza sembra essersi consolidata su un diverso orientamento: si ritiene infatti che debba essere attribuita natura retributiva a tutto ciò che venga obbligatoriamente corrisposto al lavoratore in adempimento del contratto di lavoro. In altri termini, ogni volta che il datore si sia obbligato, mediante contratto di lavoro, a concedere l’uso dell’autovettura, tale emolumento acquista carattere retributivo (Cass. n. 1428/98, Cass. 26 febbraio 1985 n. 1680, n. 7431/90, n. 8831/92).
Tale natura può essere pertanto esclusa solo nei casi nei quali al lavoratore sia imposto un costo non simbolico come corrispettivo per l’uso dell’auto.
Concessione di alloggio
La concessione dell’alloggio ai dipendenti costituisce una prassi in graduale diffusione all’interno delle aziende: non è infrequente, infatti, che le imprese si muovano per reperire le abitazioni nelle quali i propri dipendenti potranno alloggiare da soli o con la propria famiglia.
Generalmente, esse acquistano o prendono in locazione alcune abitazioni che successivamente concedono in uso, comodato o locazione ai propri dipendenti, ai quali, a seconda dei casi concreti, vengono talvolta addebitate in tutto o in parte le spese sostenute per l’utilizzo o per le utenze.
L’utilizzo dell’alloggio può avere destinazione e scopi diversi a seconda del rapporto di lavoro.
Si dice che la concessione è strumentale all’attività, quando è connessa alle ragioni di servizio che legano il lavoratore al datore di lavoro: in questo caso, generalmente, sussiste in capo al primo un obbligo di dimora che trova la propria ragione proprio nell’attività da lui prestata.
L’attribuzione è infatti frequentemente effettuata nei rapporti di portierato e nell’ambito del lavoro domestico.
Il beneficio può essere tuttavia essere concesso anche in via non strettamente strumentale all’attività lavorativa svolta: in tal caso, generalmente, l’obbligo di dimora non è previsto.
Quando il beneficio è strumentale all’attività possono profilarsi questioni di particolare delicatezza.
E, infatti, i contratti collettivi di entrambe le categorie suindicate ne disciplinano espressamente alcuni aspetti particolari: fra i più rilevanti, si pongono i sistemi di calcolo delle indennità sostitutive.
Qualora, ad esempio, il datore di lavoro non possa fornire l’uso dell’abitazione al momento dell’assunzione, deve corrispondere, in via alternativa, un’indennità che compensi il lavoratore di tale mancanza.
Secondo consolidato orientamento giurisprudenziale, l’attribuzione del godimento di un alloggio costituisce una componente in natura della retribuzione: essa deve essere dunque considerata ai fini del calcolo del trattamento di fine rapporto, a prescindere dalla qualificazione che le parti abbiano dato al beneficio (Cass. 26-07-2006, n. 17013, Cass. 12 aprile 1995 n. 4197, e v. anche più di recente Cass. 22 giugno 2004 n. 11644).
Quando l’attribuzione dell’alloggio da parte del datore di lavoro costituisce un fringe benefits (di fatto o per espressa volontà delle parti), essa diventa parte del reddito del dipendente.
Il calcolo della retribuzione derivante dalla concessione e quindi imponibile è differente a seconda che l’immobile sia strumentale o meno al servizio prestato dal lavoratore.
Infatti:
- quando l’unità immobiliare non è strumentale all’attività lavorativa e, dunque, il dipendente non ha l’obbligo di dimorarvi, la determinazione è effettuata calcolando la differenza fra la rendita catastale aumentata di tutte le spese inerenti al fabbricato- utenze non a carico dell’utilizzatore comprese e quanto pagato dal dipendente per il godimento dell’unità stessa (in altri termini: rendita catastale + spese per il fabbricato – la somma corrisposta dal lavoratore per l’utilizzo dell’abitazione);
- quando l’unità immobiliare è strumentale all’attività prestata e comporta pertanto l’obbligo di dimora, la determinazione è effettuata calcolando il 30% della differenza fra la rendita catastale aumentata delle spese inerenti al fabbricato e quanto pagato dal dipendente per il godimento dell’immobile;
- infine, qualora l’unità immobiliare non sia iscritta in catasto, il calcolo è effettuato sulla differenza fra il valore del canone di locazione (in regime vincolistico o in mancanza di libero mercato) e quanto pagato dal dipendente per il godimento dell’immobile.
Polizze assicurative
Non è infrequente che il datore di lavoro paghi premi di assicurazione a beneficio dei propri dipendenti al fine di assicurare costoro da rischi professionali e/o extraprofessionali .
Per orientamento ormai consolidato della giurisprudenza (Cass. n.11682/1995; Cass. 7 maggio 1993, n. 5298; 13 ottobre 1992, n. 11149; 27 aprile 1992, n. 5004) deve essere applicato l’art. 9-bis della legge n. 166 del 1991, di conversione del D.L. n. 103 del 1991, fornendo l’interpretazione autentica dell’art. 12 della legge n. 153 del 1969, ha stabilito che sono escluse dalla base imponibile dei contributi di previdenza e di assistenza sociale le somme versate a finanziamento di forme assicurative previste da contratti collettivi o da accordi o da regolamenti aziendali, poiché la norma parla genericamente di “forme assicurative” senza nulla specificare.
Debbono tuttavia essere computati ai fini dei calcoli per gli istituti retributivi.
Prestiti agevolati
Benché non costituiscano compensi in natura, fra i fringe benefits più diffusi devono essere annoverati anche i prestiti concessi ai dipendenti a tassi agevolati rispetto a quelli legali.
Essi possono assumere forme diverse, che spaziano dalla concessione di mutui, alla corresponsione di sussidi scolastici o borse di studio anche a beneficio dei familiari del dipendente.
Stock Options
Le stock options rappresentano una peculiare forma di distribuzione di azioni ai lavoratori.
Il datore di lavoro, infatti, può predisporre dei piani medianti i quali riserva ai dipendenti (ad una determinata categoria o anche a singoli) la facoltà di esercitare una cd. opzione di acquisto di azioni della società ad un prezzo bloccato ed entro una determinata scadenza.
In altri termini, il lavoratore ha la possibilità di acquistare dei titoli della società presso la quale è impiegato nel termine determinato dal piano e ad un prezzo fissato al momento dell’offerta, il quale non può essere mutato sino alla scadenza dell’opzione.
La prassi delle stock options si iscrive nel più ampio fenomeno del cd. azionariato operaio, ossia nell’iniziativa aziendale di distribuire azioni ai dipendenti al fine di ottenere da essi una maggiore partecipazione nell’andamento della società presso la quale sono impiegati.
Detto fenomeno – che a sua volta trova la propria origine nell’art. 2099 co. 3 nella parte in cui prevede la distribuzione degli utili fra le varie forme retributive ivi elencate – ha come riferimenti normativi gli artt. 2349 e 2441 comma 8 cod. civ.
Le norme citate delineano due possibili forme di distribuzione delle azioni:
- la prima prevede che la società possa, in via straordinaria, assegnare utili ai dipendenti mediante l’emissione- per lo stesso importo- di particolari categorie di azioni che vengono attribuite ai lavoratori a titolo gratuito
- la seconda invece stabilisce che la società possa deliberare un aumento di capitale e contestualmente assegnare ai lavoratori, a titolo oneroso, le azioni corrispondenti. In tal caso, l’operazione può comportare due situazioni: i dipendenti acquistano i titoli sottoscrivendoli e pagandone il prezzo (generalmente corrispondente al valore nominale, più basso rispetto a quello di mercato) oppure i titoli stessi vengono distribuiti fra i dipendenti ed il loro valore è conteggiato come parte della retribuzione.
Le stock options, pur non essendo specificamente contemplate da alcuna normativa, sorgono nell’alveo della seconda disposizione menzionata.
Esse costituiscono pertanto delle forme atipiche di distribuzione di azioni, la quale è ispirata a prassi di matrice anglosassone e si è poi diffusa anche nel nostro ordinamento in tempi più recenti, comportando una funzione sia per il datore di lavoro che per il lavoratore.
Per il primo, esse rivestono la funzione di incentivo alla produttività dei propri dipendenti e di fidelizzazione degli stessi.
Quanto al lavoratore, le stock options offrono l’opportunità essere coinvolto nella vita della società (potendo partecipare alle scelte aziendali ed incrementare la propria retribuzione) e ottiene un profitto consistente nella differenza fra il prezzo fissato per l’acquisto e il valore di mercato che le azioni hanno maturato nel periodo in cui l’opzione era valida.
Peraltro, le opzioni in esame hanno goduto per lungo tempo di un regime contributivo di particolare favore.
Il D.Lgs. n. 505/99, infatti, stabiliva che, qualora sussistessero determinate condizioni, venisse esclusa dalla base imponibile la differenza fra il valore delle azioni al momento dell’esercizio dell’azione e il prezzo pagato dal dipendente in virtù del piano aziendale.
L’esclusione poteva operare alle seguenti condizioni:
- il prezzo pagato dal dipendente doveva essere almeno pari al valore delle azioni alla data dell’offerta del diritto di opzione;
- le partecipazioni possedute dal dipendente dovevano rappresentare una percentuale di diritti di voto nell’assemblea ordinaria o di partecipazione al capitale inferiore al 10%;
- che l’opzione fosse esercitabile non prima che siano scaduti tre anni dalla sua attribuzione;
che al momento in cui l’opzione divenisse esercitabile, la società risultasse quotata in mercati regolamentati; - che il beneficiario mantenesse almeno per i cinque anni successivi all’esercizio dell’opzione un investimento nei titoli oggetto di opzione non inferiore alla differenza tra il valore delle azioni al momento dell’assegnazione e l’ammontare corrisposto dal dipendente.
Detto regime è stato tuttavia abolito mediante le disposizioni contenute nel decreto Legge n. 112 del 25 giugno 2008, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2008, n. 133.
A seguito dell’entrata in vigore di tale normativa, pertanto, il valore più sopra delineato concorre sempre a formare il reddito imponibile da lavoro dipendente e dovrà pertanto essere assoggettato a ritenuta d’acconto.
Invero, l’abolizione del regime agevolato opera relativamente alle azioni assegnate ai dipendenti successivamente all’entrata in vigore della predetta normativa, ove per data di assegnazione di intende quella in cui è esercitato il diritto di opzione, a prescindere dal fatto che la materiale emissione o consegna del titolo avvengano in un momento successivo.
Conseguentemente, l’esclusione continua ad operare in relazione alle azioni già assegnate prima del giorno in cui le nuove disposizioni sono entrate in vigore, sempre che sussistano le condizioni elencate.