Questa voce è stata curata da Laura Bianchi
Scheda sintetica
Con il termine amianto (dal greco “incorruttibile”) vengono definiti diversi minerali di natura fibrosa, particolarmente resistenti alle fonti di calore e con proprietà isolanti, di cui l’industria siderurgica ha fatto largo uso (sotto forma di coibente termico, come materiale edilizio e come mezzo di protezione personale), fino all’introduzione degli attuali divieti legislativi.
I manufatti in amianto venivano impiegati in tutte le fasi del ciclo produttivo.
In ambito scientifico, la pericolosità per la salute delle polveri d’amianto che si disperdevano nell’ambiente di lavoro, a causa dell’usura dei materiali e delle elevate temperature, è conosciuta da tempo.
L’inalazione di fibre d’amianto sui luoghi di lavoro, durante lo svolgimento di mansioni che comportavano la manipolazione diretta di prodotti in amianto, era ed è tuttora causa di malattie professionali come asbestosi, tumori e mesoteliomi.
Per sgombrare il campo da equivoci, si deve precisare che il rischio morbigeno è altresì riconducibile alla contaminazione ambientale degli stabilimenti, riguardando tutti i lavoratori, a prescindere dal tipo di lavorazione effettuata, vista la contemporanea presenza, nello stesso ambiente, di operatori adibiti a postazioni contigue.
La situazione sopra descritta ha suggerito l’adozione di provvedimenti legislativi che hanno imposto, a partire dal 1992, la dismissione dalla produzione e dal commercio dell’amianto e dei prodotti che lo contengono.
Il D.Lgs. 277/1991 ha introdotto una serie di misure volte all’adozione di provvedimenti per la tutela della salute e per la sicurezza dei lavoratori (individuando valori soglia di amianto ai fini di prevenzione, ovvero valori a partire dai quali si devono attivare adeguate misure di informazione e controllo), che sono poi state riprese dalla normativa prevenzionale successivamente emanata ed ora trovano una organica trattazione nell’apposito Capo III del Titolo IX (relativo alle sostanze pericolose) del D.Lgs. 81/08; mentre la Legge 257/1992 ha disposto la decontaminazione e bonifica dei luoghi di lavoro caratterizzati dalla presenza di amianto, nonché la previsione di benefici previdenziali a favore dei lavoratori che, pur non avendo contratto malattie professionali, fossero in grado di dimostrare l’avvenuta esposizione al rischio di inalazione di polveri e fibre d’amianto.
Per i delitti di cui agli artt. 590 c.p. (lesioni personali colpose) e 589 c.p. (omicidio colposo) commessi con violazione delle regole cautelari in materia di amianto vi sono stati finora numerosi procedimenti nel corso dei quali sono state affrontate le tante problematiche, di natura prevalentemente giuridica, specie in tema causalità, prevedibilità e rilevanza dei comportamenti tenuti dai soggetti che avevano posizioni di garanzia nei vari livelli aziendali, ovviamente nel periodo nel quale si erano verificate le esposizioni indebite dei lavoratori a sostanze ed agenti nocivi.
Rinvio ad altre voci per approfondimenti
Per approfondimenti e richiami giurisprudenziali si vedano le seguenti voci:
- Salute e sicurezza
- Malattia professionale
- Malattie professionali e diritto penale
- Mesotelioma
- Tumori amianto correlati e diritto penale
- INAIL – Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro le Malattie*
Fonti normative
- D.Lgs. 277/1991
- Art. 13, comma 7 e 8, legge 257/1992, come modificato dalla legge 271/1993
- Art. 47 legge 326/2003 e DM 27 ottobre 2004 pubblicato in G.U. n. 295 del 17 dicembre 2004
- Art. 1, commi 20-22, legge 247/2007 e DM 12 marzo 2008 pubblicato in G.U. n. 110 del 12 maggio 2008
- D.Lgs. 81/2008, Titolo IX, Capo III e IV
A chi rivolgersi
- Istituto di Patronato (ad esempio INCA-CGIL)
- Studio legale specializzato in diritto del lavoro
Tutela per i lavoratori esposti all’amianto
Le tutele per i lavoratori che hanno prestato la loro attività presso imprese che utilizzavano amianto (come materia prima o come materiale coibente ed accessorio) vengono di seguito riepilogate.
L’art. 13, comma 8, L. 257/92, modificato dalla L. 272/93, riconosce il diritto alla rivalutazione del periodo contributivo (fino al limite massimo di 40 di anzianità contributiva) e del trattamento pensionistico nei confronti di tutti i lavoratori che siano stati inconsapevolmente esposti al rischio di contrarre gravi patologie correlate all’utilizzo di amianto, anche in ragione del fatto che tali malattie professionali potrebbero manifestarsi a distanza di anni, nonostante l’esposizione sia cessata.
La legge richiede un periodo continuativo di esposizione pari ad almeno 10 anni, senza specificare alcun valore soglia: “per i lavoratori che siano stati esposti all’amianto per un periodo superiore a 10 anni, l’intero periodo lavorativo soggetto all’assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali derivanti dall’esposizione all’amianto, gestita dall’INAIL, è moltiplicato, ai fini delle prestazioni pensionistiche, per il coefficiente di 1,5”.
Il beneficio riguarda anche i lavoratori di miniere o cave d’amianto e la categoria dei ferrovieri, nonché i lavoratori esposti per periodi lavorativi non soggetti all’assicurazione obbligatoria INAIL seppur, in quest’ultimo caso, il diritto consista unicamente nella rivalutazione dell’importo della prestazione pensionistica (e non del periodo contributivo) per il coefficiente di 1,25.
Le finalità di garanzia sottese all’intervento legislativo giustificano, a maggior ragione, il riconoscimento del diritto nei confronti di coloro che, a prescindere dal minimo di 10 anni, abbiano contratto malattie professionali documentate da INAIL e direttamente riconducibili all’amianto (art. 13, comma 7).
Per completezza del quadro normativo, devono menzionarsi ulteriori disposizioni di legge che hanno recentemente modificato la natura e l’entità dei benefici previdenziali amianto: l’art. 47, D.L. 269/2003 (convertito in legge 632/2003, come modificato dall’art. 3, comma 132 legge 350/2003 e D.M. interministeriale 27 ottobre 2004), nonché l’art. 1, commi 20-22, L. 247/2007 (protocollo Welfare) cui è stata data attuazione con Decreto Interministeriale del 12 marzo 2008 (G.U. n. 110/2008).
Senza entrare nel dettaglio, occorre precisare che la previgente normativa continua ad applicarsi a tutti i lavoratori che vantino un periodo di esposizione ultradecennale all’amianto (perfezionatosi prima del 2 ottobre 2003) e che abbiano quantomeno presentato la relativa domanda di riconoscimento all’INAIL entro i predetto termine e, comunque, non oltre il 15 giugno 2005 (cfr. circolare INPS 54 del 19 marzo 2004) non rilevando, alla medesima data, la mancata maturazione dei benefici contributivi e anagrafici per il diritto alla pensione o la mancata presentazione della domanda all’INPS.
Esposizione ultradecennale all’amianto, art. 13, comma 8 e successive modifiche e integrazioni. L’Iter amministrativo
L’accertamento del rischio di esposizione per ottenere i benefici previdenziali compete all’INAIL.
Ogni lavoratore interessato, con domanda motivata, può richiedere il rilascio dell’attestazione dei periodi di esposizione professionale.
La domanda deve essere corredata dal curriculum professionale rilasciato dall’azienda (contenente la descrizione delle mansioni per ogni periodo di lavoro), qualora la stessa non abbia pagato il premio supplementare contro l’asbestosi; in caso contrario, è sufficiente allegare la documentazione che dimostri l’avvenuto pagamento di detto premio, con l’indicazione del relativo periodo.
INAIL rilascia o meno la certificazione a seguito di un’istruttoria tecnica effettuata da CONTARP (consulenze tecniche per i rischi professionali).
Una volta ottenuto il riconoscimento INAIL (precisando che anche il rilascio del certificato in senso negativo non pregiudica il diritto di presentare la domanda di pensione, né di agire in via giudiziale per ottenere un diverso accertamento) si può presentare all’INPS la domanda per il riconoscimento della pensione di anzianità, chiedendo di poter fruire dei benefici previdenziali per i lavoratori esposti all’amianto.
In caso di diniego, si deve proporre ricorso amministrativo alla sede INPS territorialmente competente, entro 60 giorni dalla ricezione della nota di rigetto.
Se l’ente previdenziale conferma la propria decisione negando il diritto, è possibile proporre ricorso giudiziale ex art. 442 c.p.c., avanti al Giudice del lavoro, per ottenere il riconoscimento dei benefici contributivi per i periodi di lavoro prestati e la relativa condanna nei confronti di INPS alla rivalutazione della prestazione pensionistica.
Ai sensi dell’art. 47, commi secondo e terzo, del D.P.R 30 aprile 1970, n. 639, le controversie in materia di trattamenti pensionistici devono essere promosse, a pena di decadenza, entro il termine di tre anni dalla data di comunicazione della decisione del ricorso pronunciata dai competenti organi dell’Istituto o dalla data di scadenza dei termini prescritti per l’esaurimento del procedimento amministrativo, computati a decorrere dalla data di presentazione della richiesta di presentazione.
Sulla controversa questione relativa all’eccezione di decadenza ai sensi dell’art. 47, la Corte di Cassazione (sent. 6904/2004) ha esplicitato il principio secondo cui la decadenza opera solo in caso di domanda volta al riconoscimento del diritto alla prestazione previdenziale, non già in caso di adeguamento delle medesima. Con riferimento a quest’ultima fattispecie, si applica unicamente il consueto termine di decadenza decennale e i ratei antecedenti alla proposizione del ricorso vanno riallineati a tale data, purché l’azione sia stata proposta prima della scadenza del decennio.
Questa la massima della Suprema Corte: “in tema di decadenza dall’azione giudiziaria per il conseguimento di prestazioni previdenziali (nel caso di specie integrazione al minimo della pensione), ai sensi dell’art. 47 del D.P.R. 30 aprile 1970, n. 639, come successivamente interpretato autenticamente, integrato e modificato dall’art. 6 del D.L. 29 marzo 1991 n. 103 convertito nella legge 1 giugno 1991 n. 166, la decorrenza del termine che presuppone la proposizione della domanda amministrativa è diversa a seconda che sia stato o meno proposto un ricorso amministrativo avverso l’atto di reiezione, dovendo ritenersi che, a norma dell’art. 6 D.L. n. 103 del 1991, in caso di mancata proposizione, il dies a quo si identifichi con quello della maturazione del diritto ai singoli ratei di prestazione. In tal caso la decadenza non è unitaria, bensì mobile per ciascun rateo, dovendosi ritenere che, se non è stato presentato il ricorso, sono perduti tutti i ratei maturati oltre il decennio dalla proposizione del ricorso giudiziario, mentre se è stato presentato, alla data di presentazione vanno riallineati tutti i ratei antecedenti a tale data, con la conseguenza che i medesimi, anche se antichi, si salvano o si perdono a seconda che l’azione giudiziaria sia stata proposta prima o dopo la scadenza del decennio”.
Il campo di applicazione delle disposizioni di legge richiamate
Il carattere estremamente sintetico delle disposizioni di legge che si sono succedute dal 1992 al oggi ha generato contrasti interpretativi di diverso genere.
Un punto particolarmente delicato riguarda il coordinamento tra i singoli interventi normativi.
La legge n. 257/1992 prevede l’applicazione del moltiplicatore 1,5 sia ai fini dell’acquisizione del diritto (an), sia ai fini della determinazione della misura del trattamento pensionistico (quantum). L’unico requisito richiesto dalla norma è quello dell’esposizione protrattasi per oltre 10 anni, senza ulteriori specificazioni in ordine all’intensità dell’esposizione.
L’art. 47, D.L. 269/2003, con decorrenza dal 2 ottobre 2003, ha ridotto il coefficiente da 1,5 a 1,25, precisando che lo stesso deve considerarsi utile ai soli fini di rivalutazione contributiva e non più ai fini di perfezionamento del diritto. La portata innovativa della norma riguarda anche l’introduzione di un livello soglia, posto che la norma si applica ai lavoratori che “per un periodo non inferiore a 10 anni sono stati esposti all’amianto in concentrazione media annua non inferiore a 100 fibre/litro come valore medio su otto ore giornaliere”.
In estrema sintesi, la disciplina di cui alla legge 257/92 continua ad applicarsi in tutti i casi di seguito elencati:
- lavoratori in possesso di certificato rilasciato da INAIL attestante lo svolgimento, entro il 2 ottobre 2003, di attività lavorativa con esposizione ultradecennale all’amianto;
- lavoratori che abbiano ottenuto il riconoscimento in sede giudiziaria o amministrativa, dell’esposizione ultradecennale all’amianto per attività lavorativa svolta entro il 2 ottobre 2003
- lavoratori che vengano in possesso della certificazione rilasciata dall’INAIL attestante lo svolgimento, entro il 2 ottobre 2003, di attività lavorativa con esposizione ultradecennale all’amianto, a seguito di domande presentate entro il 15 giugno 2005
- lavoratori che ottengano riconoscimento del diritto al beneficio previdenziale in questione, per lo svolgimento, entro il 2 ottobre 2003, di attività lavorativa con esposizione ultradecennale all’amianto con sentenze che vengano pronunciate in esito di cause il cui ricorso stato depositato a seguito di diniego dell’INAIL su domande di certificazione presentate nel tempo dagli interessati non oltre il 15 giugno 2005.
Infine, l’art. 1, commi 20-22, legge n. 247/2007 prevede l’applicazione il diritto ai benefici previdenziali previsti dall’art. 13, comma 8, legge 257/1992, nei confronti di lavoratori assicurati INAIL che abbiano già ottenuto il riconoscimento INAIL dell’esposizione all’amianto per periodi fino al 1992 e che richiedano l’accertamento dell’esposizione successiva al 31 dicembre 1992 e sino all’intervenuta bonifica o comunque, non oltre il 2 ottobre 2003.
Inoltre, l’applicazione del coefficiente 1,5 previsto dalla disciplina del 2007/2008 riguarda esclusivamente lavoratori che siano stati dipendenti di aziende interessate dagli atti di indirizzo ministeriale e che non siano titolari di trattamento pensionistico, sempre che sussistano le seguenti condizioni: * abbiano presentato la domanda INAIL entro il 15 giugno 2005
- siano stati dipendenti di aziende interessate dagli atti di indirizzo con esposizione all’amianto per i periodi successivi al 1992 fino all’avvio dell’azione di bonifica e, comunque non oltre il 2 ottobre 2003, con mansioni e nei reparti indicati nei predetti atti di indirizzo, limitatamente ai reparti od aree produttive per i quali i medesimi atti riconoscano l’esposizione protratta oltre il 1992
- non siano titolari di trattamento pensionistico avente decorrenza anteriore all’entrata in vigore della legge n. 247/2007 (1 gennaio 2008)
- presenteranno all’INAIL nuova domanda di rilascio del certificato di esposizione entro e non oltre 365 giorni dalla data di pubblicazione in G.U. del decreto interministeriale 12 marzo 2008
A tutte le altre categorie, ovvero lavoratori senza assicurazione INAIL o che non posseggono i requisiti previsti dalla disciplina del 1992 o del 2007/2008, si applicano i benefici contributivi previsti dall’art. 47, d.l. n. 269/2003, conv. in legge 632/2003, come modificato dall’art. 3, comma 132, l. n. 350/2003, che prevedono la rivalutazione del periodo ultradecennale di esposizione all’amianto per il coefficiente di 1,25, valido ai soli fini della determinazione del trattamento pensionistico.
Ratio della legge 257/1992
La Corte Costituzionale ha avvallato l’interpretazione più ragionevole della norma, riconoscendo la funzione compensativa e risarcitoria rispetto al bene salute, quindi “la finalità di offrire, ai lavoratori esposti all’amianto per un apprezzabile periodo di tempo (almeno 10 anni), un beneficio correlato alla possibile incidenza invalidante di lavorazioni che, in qualche modo, presentano potenzialità morbigene” (Corte Cost. 5/2000, Cass. 127/2002).
Un opposto orientamento giurisprudenziale ritiene, al contrario, che lo scopo della norma sia quello di tutelare il bene occupazione, nel senso di favorire il pensionamento di quei lavoratori che, a causa della cessazione dell’uso di amianto, avrebbero perso il posto di lavoro.
Il rischio morbigeno. L’esposizione qualificata all’amianto secondo l’interpretazione della Corte Costituzionale
Un ulteriore profilo problematico riguarda la necessità di collegare o meno il rischio morbigeno richiamato nella definizione di legge a una determinato soglia di esposizione individuata nel limite di 100 fibre litro.
Dal punto di vista scientifico, è indiscusso che le patologie riconducibili ad amianto prescindano da ogni soglia di esposizione, essendo sufficiente l’inalazione di una sola fibra per contrarre malattie professionali; del resto, non sarebbe possibile distinguere in alcun modo le concentrazioni innocue da quelle nocive.
L’irrilevanza di qualsiasi soglia quantitativa o qualitativa nel contesto della legge 257/1992 è peraltro evidente dalla lettura dell’art. 13, comma 8, posto che la norma non richiede alcun limite di concentrazione dell’agente nocivo ai fini del riconoscimento del diritto.
Tale orientamento è stato consolidato dalla Corte Costituzionale (sent. n. 5 del 12 gennaio 2000) che ha composto il contrasto inerente l’individuazione dei soggetti destinatari del beneficio previdenziale di cui si tratta. Secondo la Corte Costituzionale, le disposizioni legislative citate debbono ritenersi applicabili a tutte le attività in cui vi sia un rischio rilevante di esposizione, indipendentemente da qualsiasi limite quantitativo; il superamento delle soglie individuate dal legislatore nel D.Lgs. 277/1991 comporta, infatti, ulteriori obblighi (specificati agli articoli 25, comma 1, 26 comma 2, 27 comma 2, 28 comma 2, 30 e 35) di natura preventiva, non avendo alcuna rilevanza sul piano previdenziale.
Questo un passaggio con cui la Corte ha motivato la propria decisione: “il concetto di esposizione ultradecennale viene ad implicare necessariamente quello di rischio e più precisamente di rischio morbigeno rispetto alle patologie, quali esse siano, che l’amianto è capace di generare per la sua presenza nell’ambiente di lavoro; evenienza questa tanto pregiudizievole da indurre il legislatore, sia pure ai fini di prevenzione, a fissare il valore massimo di concentrazione di amianto nell’ambiente lavorativa, che segna la soglia limite dal rischio di esposizione” .
Si deve pertanto ritenere che il meccanismo di rivalutazione contributiva debba applicarsi a tutti i lavoratori che siano stati esposti, per almeno dieci anni, a un rischio concreto di contrarre malattia causalmente occasionata dalla presenza di amianto nell’ambiente di lavoro e che possano dimostrare un’ esposizione qualificata (a prescindere dall’intensità dell’esposizione) all’amianto (sul punto la sentenza 13 aprile 2000 del Tribunale di Ravenna richiama la decisione 5/2000 della Corte Costituzionale precisando che la giurisprudenza in questione abbia voluto ancorare il beneficio al concetto di “esposizione idonea” a costituire il rischio morbigeno).
Questa interpretazione della norma appare ragionevole anche considerando le eventuali ricadute pregiudizievoli, sul piano dell’onere probatorio, che si verificherebbero accogliendo un orientamento opposto.
In mancanza di misurazioni che attestino il superamento delle 100 fibre litro all’interno degli stabilimenti interessati (posto che le stesse non sono state effettuate quando gli impianti erano in funzione e gli interventi di bonifica impediscono di stabilire l’effettiva presenza di amianto all’epoca dell’esposizione) si dovrebbe sempre negare il diritto alla rivalutazione contributiva, anche qualora non vi fossero dubbi in ordine all’utilizzo in maniera massiccia di amianto da parte dei lavoratori che propongono le domande.
Per non incorrere in situazioni di clamorosa ingiustizia, i CTU nominati nelle cause pendenti per il riconoscimento dei benefici amianto pervengono alle loro conclusioni attraverso un criterio di stima indiretta, confrontando i dati raccolti dalla letteratura scientifica.
In sede giudiziale si dovrà pertanto dimostrare con i normali mezzi istruttori, ovvero mediante prova per testimoni e apposita CTU tecnico-ambientale, che la dispersione di fibre d’amianto correlata al processo produttivo fosse idonea ad essere inalata da parte del lavoratore così da configurare un rischio morbigeno di natura professionale.
Si evidenzia che di recente la Suprema Corte ha confermato la validità delle perizie effettuate in termini probabilistici, purché fondata su indizi univoci e supportata da dati tecnici: “non è necessario che il lavoratore fornisca la prova atta a quantificare con esattezza la frequenza e la durata dell’esposizione, potendo ritenersi sufficiente, qualora ciò non sia possibile, avuto riguardo al tempo trascorso e al mutamento delle condizioni di lavoro, che si accerti, anche a mezzo di consulenza tecnica, la rilevante probabilità di esposizione del lavoratore a rischio morbigeno, attraverso un giudizio di pericolosità dell’ambiente di lavoro, con un margine di approssimazione dei ampiezza tale da indicare la presenza di un rilevante grado di probabilità di superamento della soglia massima di tollerabilità” (Cass., sez. Lav. 1 agosto 2005, n. 16119).
Ancora più recentemente, la Corte di Cassazione ha precisato che in sede istruttoria si deve tener conto delle prove orali, delle certificazioni CONTARP, del curriculum lavorativo e della consulenza tecnica, poiché: “la prova dell’inquinamento ambientale che grava sul lavoratore deve essere valutata in termini di ragionevole certezza, nel senso che, esclusa la rilevanza della mera possibilità di una concentrazione di fibre qualificata, questa può essere ravvisata in presenza di un elevato grado di probabilità, che può essere ritenuto sussistente sulla base delle valutazioni compiute dal consulente” (Cass. 19140 del 13 settembre 2007).
Legittimazione passiva in causa
La Corte di Cassazione, con sentenza 6659/2003, ha precisato che nell’ambito delle controversie promosse per ottenere il riconoscimento dei benefici amianto, unico legittimato passivo è l’ente previdenziale, quale detentore della posizione contributiva e pensionistica del lavoratore che agisce in giudizio, nonché soggetto chiamato a rispondere, in via esclusiva, della domanda avanzata per ottenere la rivalutazione contributiva.
Il tutto esclude la necessità di integrare il contraddittorio nei confronti di INAIL, dal momento che la finalità dell’art. 13, comma 8, legge l. 257/92, consiste nella più rapida acquisizione dei requisiti di contribuzione utili per il conseguimento della pensione e non nell’attribuzione di ulteriori prestazioni da parte di INAIL (cfr. Cass. n. 8859 del 28 giugno 2001).
Casistica di decisioni della magistratura in tema di amianto
Malattie da lavoro amianto correlate – Responsabilità penale
Sul riconoscimento di una responsabilità penale si rimanda, oltre che alle voci sopra indicate, anche a INAIL (malattie professionali) in aggiunta alla casistica che segue.
- Nel delitto di omicidio colposo consistente in un tumore associabile a esposizione lavorativa ad amianto, il datore di lavoro versa in colpa anche nel caso in cui non si sia prefigurato il rischio di insorgenza di tumori, essendo sufficiente la consapevolezza e, quindi, la prevedebilità delle generale nocività delle polveri originate dall’attività lavorativa in assenza degli accorgimenti previsti dall’art. 21 del D.P.R. 19 marzo 1956 n. 303. (Cass. pen. 30/9/2008 n. 37089, in Dir. e prat. lav. 2381).
- In caso di omicidio colposo consistito in un mesotelioma occorso a un lavoratore esposto ad amianto in diverse successive aziende, occorre valutare la sussistenza del nesso causale tra condotta dei responsabili di tali aziende e malattia alla stregua non solo di leggi universali che sono molto rare, ma anche di leggi statistiche, rilevazioni epidemiologiche, generalizzazioni empiriche del senso comune e, pertanto, siffatto nesso causale è da ritenere sussistente anche quando non si possa stabilire il momento preciso dell’insorgenza della malattia tumorale, essendo sufficiente che la condotta abbia prodotto un aggravamento della malattia o ne abbia ridotto il periodo di latenza (Cass. pen. sez. IV 3/6/2008 n. 22165, Pres. ed Est. Campanato, in Dir. e prat. lav. 2008, 1520).
- Nel delitto di omicidio colposo consistito in un mesotelioma associabile a esposizione lavorativa ad amianto, il datore di lavoro versa in colpa, qualora, in violazione delle norme vigenti all’epoca, non abbia adottato ogni misura destinata ad abbattere l’esposizione lavorativa alle polveri di amianto, potendosi rappresentare un evento di danno alla salute del lavoratore deceduto (Cass. pen. sez. IV 3/6/2008 n. 22165, Pres. ed Est. Campanato, in Dir. e prat. lav. 2008, 1520).
- In caso di omicidio colposo consistito in un mesotelioma occorso a lavoratore esposto ad amianto, nel valutare la sussistenza del nesso causale tra condotta dei responsabili aziendali succedutesi per tutto il tempo di esposizione del lavoratore e malattia, non può non tenere conto della esistenza di un riconoscimento condiviso, se non generalizzato, della comunità scientifica, fatto già proprio da sentenze di merito e di legittimità, sul rapporto esponenziale tra dose di cancerogeno assorbita (determinata dalla concentrazione e dalla durata dell’esposizione) e risposta tumorale, con la conseguente maggiore incidenza dei tumori e minore durata della latenza della malattia nelle ipotesi di aumento della dose di cancerogeno (Cass. pen. sez. IV 1° febbraio 2008, Pres. Morgigni Est. Piccialli, in Dir. e prat. lav. 2008, 832).
- In caso di omicidio colposo consistito in un mesotelioma occorso a lavoratore esposto ad amianto, nel valutare la sussistenza del nesso causale tra condotta dei responsabili aziendali e malattia, non si può non verificare se l’omessa adozione delle cautele preventive a essi ascrivibile abbia avuto rilevanza causale sulla riduzione dei tempi di latenza della malattia o sulla accelerazione dei tempi di insorgenza della stessa, senza che sia necessario accertare il meccanismo preciso di maturazione della patologia (riduzione della latenza o accelerazione dell’insorgenza),(Cass. pen. sez. IV 1° febbraio 2008, Pres. Morgigni Est. Piccialli, in Dir. e prat. lav. 2008, 832).
- Nel delitto di omicidio colposo consistente in un mesotelioma associabile a esposizione lavorativa ad amianto, il datore di lavoro versa in colpa, qualora, in violazione delle regole cautelari aperte di cui agli artt. 19 e 21 D.P.R. 19 marzo 1956 n. 303 e all’art. 2087 c.c., agisca rappresentandosi la possibilità concreta che si produca una malattia gravemente lesiva della salute dei lavoratori addetti come l’asbestosi, e l’evento lesivo effettivamente verificatosi pur se ignoto al legislatore dell’epoca non risulti completamente svincolato dallo scopo perseguito nella redazione delle regole cautelari (Cass. pen. sez. IV 1° febbraio 2008, Pres. Morgigni Est. Piccialli, in Dir. e prat. lav. 2008, 832).
- La nocività dell’inalazione per via polmonare delle fibre di amianto costituiva fatto notorio già anteriormente agli anni ’70, sicchè la mancata adozione da parte del datore di lavoro di misure idonee a impedire o ridurre lo sviluppo, la diffusione e l’inalazione delle polveri, in specie, di quelle nocive comporta la sua responsabilità per i danni derivati al lavoratore dall’esposizione alle fibre (nel caso di specie, mesotelioma della pleura, tumero monocausale collegato proprio con l’esposizione alle fibre), (App. Milano 18/9/2006, Pres. e Rel. Dott. Castellini, in Lav. nella giur. 2007, 529).
- In caso di omicidio colposo plurimo consistito in tumori polmonari occorsi a lavoratori esposti ad amianto, sussiste il nesso causale tra condotta del datore di lavoro e malattia, qualora in applicazione di una riconosciuta legge scientifica si riconosca che il carcinoma polmonare, malattia dose dipendente, è influenzata dal protrarsi dell’esposizione all’inalazione di polveri di amianto. In caso di omicidio plurimo consistito in tumori polmonari occorsi a lavoratori esposti ad amianto e fumatori, sussiste il nesso causale tra condotta del datore di lavoro e malattia, risultando impossibile affermare quale dei due fattori abbia avuto efficienza causale esclusiva o prevalente e dovendosi invece ammettere un’azione concausale dei due fattori dal momento che nel nostro ordinamento vale il principio dell’equivalenza causale. In caso di omicidio colposo plurimo consistito in mesoteliomi occorsi a lavoratori esposti ad amianto, sussiste il nesso causale tra condotta del datore di lavoro e malattia, qualora in base alla situazione del caso concreto e alla stregua di un sapere scientifico costituito non solo da leggi universali ma anche da leggi statistiche, generalizzazioni del senso comune, rilevazioni epidemiologiche, sia dimostrato che la protrazione dell’esposizione ad amianto determini un effetto negativo allo sviluppo della malattia e, in particolare, un accorciamento dei tempi di latenza (Cass. sez. IV pen. 1/3/2005 n. 7630, Pres. Marzano Est. Bianchi, in Dir. e prat. lav. 2005, 1513).
Malattie da lavoro amianto correlate – Responsabilità civile
In tema di responsabilità civile si richiama solo, tra le innumerevoli decisioni di particolare interesse, la casistica che segue.
- In caso di decesso per mesotelioma del dipendente esposto ad inalazione di polvere d’amianto la disciplina prevista dagli artt. 10 e 11, d.P.R. n. 1124 del 1965 deve essere interpretata nel senso che l’accertamento incidentale in sede civile del fatto che costituisce reato è condotto secondo le regole comuni della responsabilità contrattuale, anche in ordine all’elemento soggettivo della colpa ed al nesso causale fra fatto ed evento dannoso. Ciò vale sia nel caso di azione, proposta dagli aventi causa del lavoratore deceduto, per la condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno c.d. differenziale, sia nel caso dell’azione di regresso proposta dall’Inail. In caso di danno da morte del congiunto – lavoratore il risarcimento del danno morale terminale compete solo in caso di sopravvivenza dell’infortunato per un significativo lasso di tempo. (Cass. 19/6/2020 n. 12041, Pres. Di Cerbo Est. Amendola, in Lav. nella giur. 2021, con nota di M. A. Garzia, Danno differenziale e azione di regresso dell’I.N.A.I.L.: le regole comuni per l’accertamento delle responsabilità, 509)
- Per il riconoscimento del beneficio di cui all’art. 13, ottavo comma, l. n. 257/92, non è necessario accertare se i lavoratori siano stati esposti a determinate concentrazioni di fibre di amianto. Il concetto di rischio rispetto all’esposizione, oltre a essere di comune acquisizione sociale, è soprattutto normativamente determinato (dal t.u. n. 1124/65, dal d.lgs. n. 277/91, dalla direttiva comunitaria n. 477/83) in termini di mancanza di limiti di soglia; il beneficio va, pertanto, riconosciuto a tutti i lavoratori esposti per più di dieci anni al rischio di contrarre malattie da amianto (Trib. Ravenna 23/5/2006 n. 220, Giud. Riverso, in Riv. it. dir. lav. 2007, con nota di Martina Mincieri, “Superamento dei valori-soglia e attribuzione dei benefici previdenziali: le tutele per i lavoratori esposti all’amianto”, 91).
- In materia di responsabilità civile, esiste un nesso di causalità tra l’attività lavorativa svolta e la patologia (carcinoma), quando il dipendente sia stato esposto all’amianto e non possa essere esclusa l’esistenza di un rischio di tumore polmonare anche a livelli di esposizione estremamente bassi. È ravvisabile la responsabilità del datore di lavoro che non provi di avere soltanto adottato tutte le misure di prevenzione, generali e specifiche, previste dalla vigente disciplina legislativa (Cass. 14/1/2005 n. 644, Pres. Mattone Rel. Celerino, in Giur. It. 2005, con nota di Nadia Coggiola, “Il risarcimento dei danni da esposizione ad amianto: dall’utilizzo del concetto dell’aumento del rischio all’inversione dell’onere della prova sul nesso di causalità”, 1390).
- In materia di responsabilità civile, sussiste un nesso di causalità tra l’attività lavorativa svolta e la patologia (asbestosi) sofferta dal dipendente quando sia provato che una alta percentuale di ex-dipendenti dello stesso datore di lavoro, notevolmente sproporzionata rispetto alla restante popolazione, sia affetta o deceduta in seguito alla contrazione di patologie correlate all’inalazione di forti quantità di amianto, e il soggetto dipendente sia stato costantemente esposto alle polveri di amianto nel corso della sua carriera lavorativa. È ravvisabile la responsabilità per colpa del datore di lavoro che non provi di avere adottato tutte le misure di prevenzione, generali e specifiche, previste dalla vigente disciplina legislativa (Trib. Barcellona Pozzo di Gotto 15/4/2004 n. 501, Giud. Grasso, in Giur. It. 2005, 1168).
- In ipotesi di asbestosi polmonare e pachipleurite bilaterale asbestosica causate al lavoratore da esposizione all’amianto-data la diffusa conoscenza dei pericoli per la salute derivante dall’utilizzazione di tale sostanza, ricavabile dalla letteratura scientifica internazionale e nazionale disponibile all’epoca dei fatti in causa-deve ritenersi la responsabilità del datore di lavoro ex art. 2087 c.c. per non aver adottato le necessarie misure di protezione (Trib. Milano 21/7/2003, Est. Atanasio, in D&L 2003, 971, con nota di Sara Huge, “Trasferimento di ramo d’azienda e responsabilità del cessionario anche per il risarcimento del danno alla persona”).
- In ipotesi di mesotelioma, causato al lavoratore da esposizione ad amianto, in assenza di adeguate misure di protezione, va ritenuta la responsabilità datoriale ex art. 2087 c.c. indipendentemente dall’effettiva conoscenza, da parte del datore di lavoro, della pericolosità dell’aminato all’epoca dei fatti, posto che: da un lato l’art. 2087 c.c. impone all’imprenditore non solo il rispetto della normativa antinfortunistica vigente, ma anche l’adozione di tutte le misure di prevenzione necessarie, in base alla particolarità del lavoro, all’esperienza e alla tecnica; da un altro lato, la potenziale pericolosità dell’amianto costituiva in Italia dato scientifico già acquisito, almeno sin dagli anni quaranta; e, da un altro lato ancora, la colpa datoriale ex art. 2087 c.c. non presuppone la specifica prevedibilità della malattia poi concretamente verificatasi a conseguenza di un particolare lavoro, ma la generica prevedibilità di conseguenze dannose, comunque riconducibili alla particolarità del lavoro (Pret. Torino 10/11/95, est. Fierro, in D&L 1996, 727, nota Tagliagambe, Danno biologico e danno morale per esposizione all’amianto).
Rivalutazione ai fini pensionistici
- La domanda giudiziale di riconoscimento dei benefici pensionistici legati a malattie professionali cagionate dall’esposizione all’amianto deve essere preceduta – a pena di improcedibilità – da quella amministrativa rivolta all’INPS, quale Ente competente a erogare la prestazione pensionistica. (Cass. 29/4/2014 n. 9378, ord., Pres. Curzio Rel. Garri, in Lav. nella giur. 2014, 712)
- Al fine di poter godere della pensione maggiorata per esposizione ad amianto, il lavoratore è tenuto a proporre un’apposita domanda all’INPS poiché i fatti costitutivi del beneficio ex art. 13, comma 8, legge 27 marzo 1992, n. 257, in tema di esposizione all’amianto per più di dieci anni, sfuggono al diretto controllo dell’Istituto e, in ogni caso, non sarebbero da questo conoscibili, se non mediante apposita domanda di accertamento. (Cass. 29/4/2014 n. 9378, ord., Pres. Curzio Rel. Garri, in Lav. nella giur. 2014, 712)
- Per i benefici previdenziali da esposizione all’amianto, non esiste “bis in idem” tra un primo processo concluso con riconoscimento ex l. n. 257/1992 dei benefici previdenziali per un certo periodo e un altro processo promosso per il riconoscimento dei benefici per un periodo successivo in base a legge nuova (l. n. 247/2007) e a una nuova istruttoria amministrativa, per cui c’è diversità non solo di petitum, quanto soprattutto di causa petendi. (Trib. Ravenna 1/3/2013 n. 20, Giud. Riverso, in Lav. nella giur. 2014, con commento di Manuel Carvello, 72)
- Possono fruire ex l. n. 247/2007 dei benefici previdenziali per esposizione all’amianto fino al 2 ottobre 2003 non automaticamente tutti i lavoratori di aziende interessate da atti di indirizzo ministeriale, ma solo i lavoratori di aziende per le quali l’Inail abbia effettuato atti di accertamento sulla scorta di proprie autonome verifiche per individuare di volta in volta l’effettivo periodo di esposizione; la l. n. 247/2007 non affida alla totale discrezionalità tecnica dell’Inail la scelta del criterio da individuare per delimitare la reale esposizione dei lavoratori, ma fissa come parametro di riferimento, su cui si dovrà attestare l’Istituto per ogni singola azienda interessata dagli atti di indirizzo ministeriale, il momento in cui l’azione di bonifica è stata avviata e chiusa, con cessazione dell’esposizione dei lavoratori a bonifica avviata. (Trib. Ravenna 1/3/2013 n. 20, Giud. Riverso, in Lav. nella giur. 2014, con commento di Manuel Carvello, 72)
- Possono fruire ex l. n. 247/2007 dei benefici previdenziali per esposizione all’amianto fino al 2 ottobre 2003 i lavoratori di aziende che avessero già ottenuto riconoscimento con atto di indirizzo, limitatamente per intento equitativo a chi non era ancora in pensione alla data di entrata in vigore della l. n. 247/2007, anche se aveva già ottenuto un riconoscimento dell’esposizione per periodi minori. (Trib. Ravenna 1/3/2013 n. 20, Giud. Riverso, in Lav. nella giur. 2014, con commento di Manuel Carvello, 72)
- L’art. 13, comma 8, L. n. 257/92 secondo cui i lavoratori che siano stati esposti all’amianto per un periodo superiore a dieci anni, l’intero periodo lavorativo soggetto all’assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali derivanti dall’esposizione all’amianto, gestita dall’Inail, è moltiplicato, ai fini delle prestazioni pensionistiche, per il coefficiente di 1,5, si applica ai lavoratori che abbiano svolto, entro il 2 ottobre 2003, attività lavorativa con esposizione ultradecennale all’amianto. Resta pertanto esclusa l’applicabilità della meno favorevole disciplina di cui all’art. 47 D.L. n. 269/2003, secondo cui a decorrere dal 1° ottobre 2003, il coefficiente stabilito dall’articolo 13, comma 8, della L. 27 marzo 1992, n. 257, è ridotto da 1,5 a 1,25 e lo stesso si applica ai soli fini della determinazione dell’importo delle prestazioni pensionistiche e non della maturazione del diritto di accesso alle medesime. (Trib. Tarni 8/5/2009, dott. Riga, in Lav. nella giur. 2009, 850)
- Sono esclusi dal beneficio per esposizione all’amianto solo i titolari di pensione di invalidità con decorrenza anteriore all’entrata in vigore della L. n. 257/92, i quali – prima di tale data – avessero sia compiuto l’età pensionabile, sia proposto domanda per trasformare la prestazione in godimento in pensione di vecchiaia e avessero, sempre prima dell’operatività della L. n. 257/92, tutti i requisiti per godere della pensione di vecchiaia medesima. (Cass. 15/4/2009 n. 8915, Pres. Mercurio Rel. La Terza, in Lav. nella giur. 2009, 841)
- La mancata presentazione di tempestiva istanza amministrativa ai sensi dell’art. 47, D.Lgs. n. 269/2003 determina la decadenza dal diritto al beneficio previdenziale alla maggiorazione contributiva di cui all’art. 13, comma 8, L. n. 257/1992 a favore dei lavoratori esposti all’amianto. (Trib. Milano 24/2/2009, Dott. Mariani, in Lav. nella giur. 2009, 525)
- I benefici contributivi previsti dall’art. 13, comma 8, L.n. 257/1992 non spettano a chiunque sia stato esposto all’amianto. Il presupposto per l’applicabilità della suddetta norma, infatti, è l’esposizione al rischio configurato dal superamento di una determinata soglia, che va individuata nei limiti fissati, sia pure a fini di prevenzione, dal D.Lgs. n. 277/91. (Corte App. Bologna 2/2/2009, Pres. Castiglione Rel. Varriale, in Lav. nella giur. 2009, 526)
- Il beneficio della retribuzione, ai fini pensionistici, del periodo contributivo per esposizione ultradecennale al rischio amianto non compete al lavoratore pensionato prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 196/93, conv. in L. n. 271/93, dato che, secondo il testo dell’art. 13, comma 8, L. n. 257/92, prima della modificazione apportata dal suddetto decreto legge, il beneficio competeva solo “ai lavoratori occupati in imprese che utilizzano ovvero estraggono amianto, impegnate in processi di ristrutturazione…” ed era, così, legato all’attività dell’impresa e non al lavoro svolto dai dipendenti. (Corte app. Milano 12/1/2007, Pres. Ruiz Est. De Angelis, in Lav. nella giur. 2007, 1045)
- Il disposto dell’art. 13, ottavo comma, della L. n. 257 del 1992, relativo all’attribuzione di un beneficio contributivo-pensionistico ai lavoratori esposti all’amianto per un periodo superiore a dieci anni, applicabile nella specie ratione temporis, va interpretato nel senso che l’esposizione all’amianto ivi prevista è identificabile con un’esposizione superiore al valore di 0,1 fibre per centimetro cubo di cui all’art. 24, terzo comma, del D.Lgs. n. 277 del 1991 (abrogato dall’art. 5 del D.Lgs. n. 257 del 2006). (Cass. 11/1/2007 n. 400, Pres. Ravagnani Est. Toffoli, in Lav. nella giur. 2007, 823)
- In tema di benefici previdenziali in favore dei lavoratori esposti all’amianto, l’art. 3, comma 132, della legge 24 dicembre 2003 n. 350, che – con riferimento alla nuova disciplina introdotta dall’art. 47, comma 1, del decreto legge 30 settembre 2003 n. 269 (convertito con modificazioni nella legge 24 novembre 2003 n. 326) – ha fatto salva l’applicabilità della precedente disciplina, di cui all’art. 13 della legge 27 marzo 1992 n. 257, per i lavoratori che alla data del 2 ottobre 2003 abbiano già maturato i diritti ai benefici previdenziali in base a tale ultima disposizione, o abbiano avanzato domanda di risarcimento all’Inail od ottenuto sentenze favorevoli per cause avviate entro la medesima data, va interpretato nel senso che: a) per maturazione del diritto deve intendersi la maturazione del diritto a pensione; b) tra coloro che non hanno ancora maturato il diritto a pensione, la salvezza concerne esclusivamente gli assicurati che, alla data indicata, abbiano avviato un procedimento amministrativo o giudiziario per l’accertamento del diritto alla rivalutazione contributiva. (Cass. 18/11/2004 n. 21862, Pres. Sciarelli Rel. D’Agostino, in Dir. e prat. lav. 2005, 1124)
- Gli effetti dell’esposizione alle polveri di amianto, ai fini del beneficio di cui all’art. 13, comma 8, L. n. 257/1992, devono essere misurati in base al superamento della soglia di concentrazione stabilita dall’art. 24, D.Lgs. n. 277/91. (Trib. Savona 26/6/2003, Est. Baisi, in Lav. nella giur. 2003, 1166)
- La maggiorazione secondo il coefficiente 1,5 dei periodi lavorativi comportanti esposizione all’amianto, prevista dall’art. 13, comma 8, della legge 27 marzo 1992, n. 257, come modificato dall’art. 1, comma 1, del D.L. n. 169/1993, conv. nella legge n. 271/1993, in virtù di una interpretazione che la Corte Costituzionale ha giudicato conforme agli artt. 3 e 38, Cost. (sent. n. 434/2000), non spetta ai soggetti che, alla data di entrata in vigore della legge n. 257/1992 (28 aprile 1992), erano già titolari di una pensione di anzianità o di vecchiaia ovvero di inabilità, mentre va riconosciuta -ferma restando la ricorrenza di tutti gli altri requisiti stabiliti dalla succitata disposizione-ai lavoratori che, a quella medesima data, prestavano ancora attività di lavoro dipendente, ovvero versavano in uno stato di temporanea disoccupazione, ovvero erano titolari della pensione o dell’assegno di invalidità. (Cass. 26/2/2003, n. 2932, Pres. Mercurio, Rel. Coletti De Cesara, in Dir. e prat. lav. 2003, 1783)
- L’attribuzione del beneficio eccezionale di cui all’art. 13, comma ottavo, L. 27 marzo 1992, n. 257, come modificato dall’art. 1, comma, D.L. 5 giugno 1993, n. 169, e dalla successiva legge di conversione 4 agosto 1993, n. 271, presuppone l’adibizione ultradecennale del lavoratore a prestazioni comportanti, per il lavoratore medesimo, un effettivo rischio morbigeno, a causa della presenza nei luoghi di lavoro di una concentrazione di fibre di amianto che, per essere superiori ai valori limite indicati nella legislazione prevenzionale di cui al D.Lgs. 15 agosto 1991, n. 277, e successive modifiche, rende concreta la possibilità del manifestarsi delle patologie che la sostanza è in grado di generare. (Corte d’appello Bari 5/11/2002, Pres. Berloco, Rel. Gentile, in Lav. nella giur. 2003, 383)
- L’applicazione del beneficio contributivo ex art. 13, 8° comma, L. 27/3/92 n. 257 spetta indipendentemente dal superamento della soglia di rischio fissata dai parametri di cui all’art. 24 del D. Lgs. 15/8/91 n. 277, essendo al contrario sufficiente la prova di un’avvenuta apprezzabile esposizione al rischio. (Nella fattispecie l’esistenza di una concentrazione di amianto significativa e quindi l’avvenuta esposizione al rischio è stata ritenuta provata dai seguenti elementi: le testimonianze assunte, una diffida della Usl alla bonifica dei locali dall’amianto, le sanzioni irrogate, nonché la durata triennale dei lavori di bonifica dell’ambiente). (Trib. Roma 3/8/2002, Est. Cocchia, in D&L 2002, 1050)
- Risponde a criteri di coerenza logica, da presumersi essere sottesi ad ogni intervento legislativo, ritenere che la l. n. 257/92 abbia tenuto presente – nel momento in cui interveniva su un assetto industriale caratterizzato da un vasto panorama di imprese esposte in maniera differenziata al rischio amianto – il decreto legislativo n. 277/91 (che difatti ha essa stessa provveduto a modificare tramite l’art. 3, comma 4); decreto che, in attuazione delle direttive europee (in materia di protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da agenti chimici), fissava, agli artt. 24 e 31, i limiti di concentrazione di fibre di amianto respirabili nei luoghi di lavoro, stabilendo anche, in caso di necessità di svolgimento dell’attività lavorativa e di impossibilità di rimuovere le cause di inquinamento con misure adeguate, “tutte le misure di protezione dei lavoratori addetti e dell’ambiente, tenuto conto del parere del medico competente” (cfr. commi 4 e 5, art. 31). Tanto porta ad escludere che il provvedimento normativo del 1992 abbia voluto attribuire il beneficio della rivalutazione (nella specie rivendicato) a tutti i lavoratori comunque esposti ad inalazioni di polveri di amianto anche di minima entità, abbia voluto cioè attribuire detto beneficio anche ai soggetti destinati a spiegare la loro attività in ambienti in cui fosse presente una concentrazione di fibre di amianto destinata a rimanere al di sotto dei valori limite legislativamente ritenuti a rischio e individuabili in quelli indicati negli artt. 24 e 31 decreto legislativo n. 277/91. E questa conclusione riceve un decisivo avallo dalla considerazione che una diversa interpretazione finirebbe per legittimare un notevole “sforamento” di ogni pur attendibile previsione di spesa, portando perciò a ipotizzare quella violazione dell’art. 81 Cost., che la Corte Costituzionale , nella ricordata sentenza n. 5/00, ha escluso sulla base della (più restrittiva) tesi che individua la necessità di un duplice requisito per l’acquisizione del diritto al beneficio di cui all’art. 13, comma 8, l. n. 297/92: vale a dire il dato temporale (almeno dieci anni di esposizione) e la presenza nell’ambiente di lavoro di una concentrazione di fibre di amianto superiore ai valori limite fissati dal decreto legislativo n. 277/91 (Cass. 28/6/01, n. 8859, pres. Amirante, est. Coletti, in Lavoro e prev. oggi. 2001, pag. 1371, con nota di Meucci, Indebita introduzione giurisprudenziale di valori di esposizione all’amianto per fruire dei benefici contributivi)
- Il disposto del comma 8, art. 13, l. 27/3/92, n. 257 (“Norma relative alla cessazione dell’impiego dell’amianto”) va interpretato, in ragione dei criteri ermeneutici letterale, sistematico e teleologico, nel senso che il beneficio stesso va attribuito unicamente agli addetti a lavorazioni che presentano valori di rischio per esposizioni a polveri d’amianto superiori a quelli consentiti dagli artt. 24 e 31 d. legislativo 15/8/91, n.277. Nell’esame della fondatezza della domanda di detto beneficio il giudice di merito deve accertare – nel rispetto dei criteri di ripartizione dell’onere probatorio ex art. 2697 c.c. – se colui che ha avanzato domanda del beneficio in esame, dopo avere provato la specifica lavorazione praticata e l’ambiente dove ha svolto per più di dieci anni (periodo in cui vanno valutate anche le pause “fisiologiche” proprie di tutti i lavoratori, quali riposi, ferie e festività) detta lavorazione, abbia anche dimostrato che tale ambiente ha presentato una concreta esposizione al rischio alle polveri di amianto con valori limite superiori a quelli indicati nel suddetto decreto n. 277/91 (Cass. 3/4/01, n. 4913, pres. Ianniruberto, est. Vidiri, in Lavoro e prev. oggi 2001, pag. 604)
- In conformità con quanto affermato dalla Corte Costituzionale con la sentenza 12/1/00, n. 5, la contribuzione aggiuntiva prevista dalla l. 27/3/92, n. 257 e successive modificazioni per i lavoratori non ammalati esposti all’amianto per più di dieci anni, è subordinata al superamento in concreto, per il lavoratore che svolga la domanda, della soglia di rischio morbigeno, determinabile facendo riferimento ai decreti legislativi che fissano il valore massimo di concentrazione dell’amianto nell’ambiente di lavoro (d.l. 15/8/91, n. 277 e successive modificazioni) (Corte Appello Milano 29/12/00, pres. Mannacio, est. Accardo, in Orient. Giur. Lav. 2000, pag. 1121)
- In conformità con quanto affermato dalla Corte Costituzionale con la sentenza 12/1/00, n. 5, la contribuzione aggiuntiva prevista dalla l. 27/3/92, n. 257 e successive modificazioni per i lavoratori non ammalati esposti all’amianto per più di dieci anni, spetta in ogni caso di accertata esposizione ultradecennale all’amianto, indipendentemente dalla misura di tale esposizione e dalle determinazioni dell’Inail in ordine al riconoscimento o meno del rischio amianto assicurabile (Trib. Milano 2/11/00, est. Frattin, in Orient. giur. lav. 2001, pag. 176)
- In base alla l. n. 257/92, secondo l’interpretazione della Corte Costituzionale con la sentenza 12/1/00, n. 5, i benefici per l’esposizione all’amianto non sono limitati a chi era soggetto al premio per l’asbestosi, né solamente a chi ha perso il posto nel settore amianto, ma sono dovuti a tutti i lavoratori esposti per oltre dieci anni all’amianto – in funzione compensativa/risarcitoria – senza che sia necessario raggiungere una soglia di esposizione, nella logica che è giusto accorciare i requisiti contributivi necessari per la pensione a favore di chi ha avuto accorciata presumibilmente la vita per l’esposizione all’amianto e che è soggetto dopo un periodo lunghissimo al sopraggiungere improvviso e imprevedibile di malattie gravissime o della morte (Trib. Ravenna 13/4/00, est. Riverso, in Lavoro e prev. oggi 2001, pag. 617)
- Le soglie di esposizione all’amianto indicate dal d. legislativo n. 277/91 sono irrilevanti ai fini dei benefici previsti dalla l. n. 257/92 che sono previsti per la semplice esposizione, in via diretta o indiretta, all’amianto, mentre le soglie di esposizione ex d. legislativo n. 277/91 non costituiscono “valori limite”, perché non hanno la funzione di demarcare in modo rigido l’innocuo dal nocivo, ma hanno solo la funzione di indicare soglie d’allarme, al di sopra del quale deve attivarsi un complesso e adeguato sistema di informazione e controllo; le soglie di esposizione previste dal decreto legislativo n. 277/91 costituiscono un limite massimo, al di sotto del quale rimane comunque la nocività dell’amianto (Trib. Ravenna 13/4/00, est. Riverso, in Lavoro e prev. oggi 2001, pag. 617)
- I benefici per l’amianto disposti dalla l. n. 257/92 sono riconosciuti solo in rapporto al rischio morbigeno ultradecennale, individuato nella legge nella semplice esposizione, senza indicare limiti o standard; la l. n. 257/92 non indica la necessità di tali limiti e la Corte Costituzionale , con la sentenza 12/1/00, n. 5, ha confermato la legittimità della scelta, mentre i limiti vari e non uniformi previsti in rapporto a specifici fini prevenzionistici non possono valere, per necessità logica e per espressa disposizione di legge, ai diversi fini dei benefici previdenziali; in ogni caso l’unico limite utilizzabile non potrebbe essere che quello previsto dal decreto ministeriale 6/9/95, per cui è prevista la restituibilità dei locali bonificati solo in caso di concentrazione dell’amianto superiore a 2 fibre/litro (Trib. Ravenna 13/4/00, pres. e est. Riverso, in Lavoro e prev. oggi 2001, pag. 617)
- La rivalutazione contributiva di cui all’art. 13, 8° comma, L. 257/92 si applica a favore dei lavoratori ancora in servizio che abbiano subito un danno dalla dismissione dell’amianto e non si può riferire a quelli che siano già in quiescenza all’epoca dell’entrata in vigore della norma ed a quelli che hanno fruito del trattamento pensionistico in epoca successiva a tale decorrenza temporale, in quanto la finalità sottesa alla predetta rivalutazione è quella di garantire, ai dipendenti che rischiano di perdere il posto di lavoro per la messa al bando dell’amianto, la possibilità di maturare il diritto alla pensione di anzianità o di vecchiaia (Trib. Gorizia 4/3/00, est. Comez, , in Orient. Giur. Lav. 2000, pag. 517, con nota di Boscati, Contribuzione aggiuntiva per l’esposizione all’amianto tra tutela del bene salute e tutela del bene occupazione)
- La previsione della supervalutazione contributiva di cui all’art. 132, 8° comma, L. 257/92 non avendo la funzione di indennizzare o risarcire il rischio corso dal lavoratore di contrarre malattie professionali connesse all’esposizione ad amianto, bensì quella di agevolare il raggiungimento dell’anzianità contributiva per maturare il diritto alla pensione, non si applica nei confronti dei soggetti che già godono del trattamento pensionistico e dei lavoratori nuovamente inseriti nel mondo del lavoro in attività che non presentano esposizione all’amianto (Trib. Trieste 26/2/00, est. Sonego, in Orient. Giur. Lav. 2000, pag. 513)
- Il beneficio di cui all’art. 13, 8° comma, della L. 2757/93, che prevede la rivalutazione dell’anzianità contributiva per il coefficiente 1, 5, compete a tutti i lavoratori che siano stati esposti all’amianto per un periodo pluridecennale e indipendentemente dall’avvenuto pagamento dell’Inail, da parte del datore di lavoro, del premio assicurativo per l’asbestosi (Pret. Milano 6/7/99, est. Sala, in D&L 1999, 946)
- Nel dichiarare la sussistenza del diritto alla rivalutazione dei contributi previdenziali a fini pensionistici previsto dall’art. 13, 8° comma, L. 27/3/92 n. 257 (modificata dalla L. 4/8/93 n. 271) il giudice deve valutare la sola esposizione ultradecennale del lavoratore al rischio di inalazione di fibre di amianto senza che possano assumere rilevanza i limiti di cui al D. Lgs. 15/8/91 n. 277 (Pret. Firenze 13/1/99, est. Drago, in D&L 1999, 730, n. Monaco, L’esposizione ultradecennale all’amianto, fra legge e interpretazione)
- Il beneficio di cui all’art. 13, 8° comma, L. 27/3/92 n. 257 compete a tutti i lavoratori che siano stati esposti all’amianto per un periodo pluridecennale e a prescindere dal superamento di limiti quantitativi o qualitativi nell’esposizione (Pret. Pistoia 30/12/98, est. Amato, in D&L 1999, 434. In senso conforme, v. Pret. Pistoia 31/12/98, est. Amato, in D&L 1999, 729, n. Monaco, L’esposizione ultradecennale all’amianto, fra legge e interpretazione; Trib. Firenze 17/11/99, in D&L 2000, 529)
- L’art. 13, comma 8°, L. 27/3/92 n. 257 contempla l’ipotesi dell’esposizione ultra decennale al rischio amianto e non pretende che il lavoratore sia stato esposto, per tale periodo, continuativamente all’amianto (nella fattispecie, è stato riconosciuto il diritto al beneficio previsto dalla legge a favore del lavoratore che, pur essendo impiegato, era frequentemente a contatto con ambienti in cui vi era presenza di amianto) (Trib. Milano 12/12/98, pres. ed est. Mannacio, in D&L 1999, 746)
Questioni di legittimità costituzionale
- Con la sentenza n. 5/00 questa Corte ha evidenziato che la norma ora nuovamente censurata (art. 13, comma 8, l. n. 257/92) – nel testo risultante dalla soppressione (operata in sede di conversione nella l. n. 271/93 del decreto-legge n. 169/93) della locuzione “dipendenti dalle imprese che estraggono amianto o utilizzano amianto come materia prima, anche se in corso di dismissione o sottoposte a procedure fallimentari o fallite o dimesse” – conferisce essenziale rilievo, “ai fini dell’applicazione del beneficio previdenziale, all’assoggettamento dei lavoratori all’assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali derivanti dall’amianto, escludendo, al tempo stesso, ogni selezione che possa derivare dal riferimento alla tipologia dell’attività produttiva del datore di lavoro”. Coerentemente con tale conclusione, che trova conferma proprio nelle vicende normative che hanno preceduto l’approvazione del testo attuale del comma 8, art. 13, lo scopo della disposizione medesima è stato rinvenuto “nella finalità di offrire, ai lavoratori esposti all’amianto per un apprezzabile periodo di tempo (almeno 10 anni), un beneficio correlato alla possibile incidenza invalidante di lavorazioni che, in qualche modo, presentano potenzialità morbigene”. Scopo che risiede quindi nell’esigenza che la l. n. 271/93 ha individuato nella tutela del bene-salute, tenuto conto della capacità dell’amianto di produrre danni sull’organismo in relazione al tempo di esposizione, sì da attribuire il beneficio della maggiorazione dell’anzianità contributiva in funzione compensativa dell’obiettiva pericolosità dell’attività lavorativa svolta, e non già con l’intento di risarcire dall’evento disoccupazione i lavoratori costretti a perdere il posto per dismissione da parte delle aziende della lavorazione vietata. E ciò attraverso un precetto ritenuto da questa Corte “adeguatamente definito negli elementi costitutivi della fattispecie che ne è oggetto e congruamente correlato allo scopo che il legislatore si è prefisso”, ove si consideri il rapporto che, nell’ambito della stessa disposizione, è dato rinvenire tra il dato di riferimento temporale e la nozione di rischio morbigeno, caratterizzante il sistema della assicurazione obbligatoria gestita dall’Inail. Un rischio che, in materia di prevenzione da esposizione all’amianto, il legislatore ha individuato in forza dei criteri posti dal decreto legislativo 15/8/91, n. 277 (e successive modificazioni). Alla luce delle motivazioni che precedono, la disposizione denunciata si presta, dunque, ad essere interpretata in modo diverso da quello prospettato dal rimettente, consentendo in particolare di ricomprendere nel previsto beneficio previdenziale anche i lavoratori delle Ferrovie dello Stato, beninteso, in presenza dei richiesti presupposti, attinenti, segnatamente, all’esposizione ultradecennale all’amianto, alla soggezione all’assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali derivanti dall’esposizione all’amianto e al rischio morbigeno, secondo quanto innanzi già evidenziato. Donde l’insussistenza del prospettato vulnus all’art. 3 Cost. (Corte Cost. 11-12/4/02, n. 127, pres. Ruperto, est. Vari, in Lavoro e prev. oggi 2002, pag. 549; in Lavoro giur. 2002, pag. 637, con nota di Michele Miscione, I benefici dell’amianto per i dipendenti pubblici)
- Non è manifestamente infondata, in relazione agli artt. 3 e 38 Cost., l’eccezione di incostituzionalità dell’art. 13, 8° comma, L. 27/3/92 n. 257, nell’interpretazione datane dalla giurisprudenza di legittimità, la quale esclude il riconoscimento della maggiorazione contributiva per esposizione ultradecennale all’amianto, ai fini della riliquidazione del trattamento pensionistico, a favore dei lavoratori esposti che fossero già pensionati al momento dell’entrata in vigore della norma. (Trib. Ravenna 18/12/2001, ord., Est. Riverso, in D&L 2002, 755, con nota di Lisa Giometti, “Maggiorazione contributiva per l’esposizione ad amianto: prossima ad una svolta la questione dell’ammissione dei pensionati al beneficio”)
- Non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, 8° comma, L. n. 257/92 (Norme relative alla cessazione dell’impiego dell’amianto), come modificato dal DL 169/93 (Disposizioni urgenti per i lavoratori del settore dell’amianto), convertito, con modificazioni, nella legge 271/93, sollevata con riferimento agli artt. 3 e 81, 4° comma, della Costituzione, nella parte in cui prevede che, per i lavoratori che siano stati esposti all’amianto per un periodo superiore a dieci anni , l’intero periodo lavorativo soggetto all’assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali derivanti dall’esposizione all’amianto gestita dall’Inail sia moltiplicato, ai fini delle prestazioni pensionistiche, per il coefficiente di 1,5 (Corte Cost. 12/1/00 n. 5, pres. Vassalli, rel. Vari, in D&L 2000, 318, n. Giometti, I benefici previdenziali per l’amianto al vaglio della Corte Costituzionale; in Dir. Relazioni ind. 2000, pag. 509, con nota di Morone, Esposizione ultradecennale all’amianto: la Corte Costituzionale si pronuncia sulla legittimità dei presupposti per l’accesso ai benefici pensionistici e in Riv. Giur. Lav. 2000, pag. 562, con nota di Lipari, Costituzionalità della normativa che attribuisce il beneficio della rivalutazione dei periodi assicurativi ai lavoratori esposti per oltre un decennio all’amianto)
- E’ manifestamente infondata l’eccezione di incostituzionalità dell’art. 13, 8° comma, della L. 27/3/92 n. 257, in riferimento agli artt. 3, 41 e 81 Cost. (Pret. Pistoia 30/12/98, est. Amato, in D&L 1999, 434. In senso conforme, v. Pret. Pistoia 31/12/98, est. Amato, in D&L 1999, 729, n. Monaco, L’esposizione ultradecennale all’amianto, fra legge e interpretazione)
Questioni di procedura
- Nell’ambito del procedimento amministrativo di accertamento dell’esposizione qualificata ad amianto previsto dalla legge n. 257 del 1992 e ss. m. e i., l’INAIL non può essere considerato come un organo tecnico dell’INPS, ovvero come un mero ausiliario del soggetto chiamato a erogare, di fatto, i benefici pensionistici conseguenti alla suddetta esposizione, ma, quanto meno a partire dalla legge n. 179 del 2002, esso deve essere considerato come un soggetto dotato di un autonomo potere amministrativo. Ne consegue che l’eventuale azione di risarcimento dei danni per revoca tardiva del certificato di esposizione qualificata ad amianto non può che essere proposta nei confronti dell’INAIL, dovendosi necessariamente escludere, in tal caso, la legittimazione passiva dell’Inps. (Corte app. Genova 12/2/2014, Pres. De Angelis Rel. Bellè, in Lav. nella giur. 2014, con commento di Manuel Carvello, 689)
- È alla data della relativa domanda amministrativa – necessaria anche nel regime precedente l’entrata in vigore dell’art. 47 d.l. n. 269/2003), che ne ha addirittura sanzionato la mancata presentazione entro l’ivi previsto termine con la decadenza dal diritto al beneficio de quo – che deve aversi riguardo ai fini della verifica della tempestività dell’azione giudiziaria, a nulla rilevando la circostanza che il soggetto sia già pensionato, e non ammettendosi la possibilità del rinnovo della domanda stessa su cui sia già intercorsa la decadenza. (Cass. 3/7/2012 n. 11091, Pres. Roselli Est. Coletti De Cesare, in Lav. nella giur. 2012, con commento di Rocco M. Cama, 1174)
- In tema di benefici previdenziali in favore dei lavoratori esposti all’amianto, anche in mancanza di certificazione dell’INAIL spetta al giudice di merito accertare l’esposizione del lavoratore al rischio qualificato ultradecennale, valutando gli elementi probatori in suo possesso, ivi compresi gli atti di indirizzo del Ministero del lavoro, con apprezzamento di situazioni di fatto non suscettibile di riesame, in sede di legittimità, se congruamente motivato. (Cass. 13/2/2007 n. 3095, Pres. Sciarelli Est. D’Agostino, in Lav. nella giur. 2007, 1023)
- La controversia proposta da dipendenti in servizio e da lavoratori già pensionati della spa Ferrovie dello Stato, in tema di benefici previdenziali in favore dei lavoratori esposti all’amianto ex art. 13 della legge n. 257 del 1992, è devoluta alla giurisdizione della Corte dei Conti in quanto la devoluzione alla giurisdizione contabile della materia relativa al trattamento di quiescenza dei dipendenti della azienda autonoma delle Ferrovie dello Stato, stabilita dagli artt. 13 e 62 del r.d. n. 1214 del 1934, è rimasta immutata nonostante l’entrata in vigore della legge n. 210 del 1985 istitutiva dell’Ente Ferrovie dello Stato e anche dopo la trasformazione dell’ente in società per azioni. Ciò in quanto il trattamento pensionistico dei ferrovieri continua a essere alimentato parzialmente dallo Stato, a carico del quale, anche a seguito del trasferimento delle posizioni assicurative al Fondo speciale istituito presso l’INPS ex art. 43 della legge n. 488 del 1999 e del successivo decreto interministeriale 15 giugno 2000, rimangono per espressa previsione del terzo comma del citato art. 43, “gli eventuali squilibri gestionali” del Fondo stesso ai sensi dell’art. 210, ultimo comma, del d.P.R. n. 1092 del 1973. Pertanto, non potrebbe ipotizzarsi una diversa soluzione con riferimento al beneficio pensionistico richiesto dai dipendenti ancora in servizio, con devoluzione all’AGO, e al medesimo beneficio richiesto dai lavoratori già pensionati, con devoluzione alla Corte dei Conti, atteso che si finirebbe per elevare a elemento di discrimine un fattore – quale la permanenza o meno in servizio al momento della pendenza della domanda giudiziale – del tutto casuale ed estrinseco rispetto alla fattispecie fondante il diritto pensionistico azionato. (Cass. sez. un. 8/11/2006 n. 23732, Pres. Carbone Est. Balletti, in Lav. bnella giur. 2007, con commento di Sergio Aprile”, 593)
- In tema di benefici previdenziali in favore dei lavoratori esposti all’amianto, l’art. 3, comma 132, L. 24 dicembre 2003, n. 350, che – con riferimento alla nuova disciplina introdotta dall’art. 47, comma 1, del D.L. 30 settembre 2003, n. 269 (convertito, con modificazioni, nella L. 24 novembre 2003, n. 326) – ha fatto salva l’applicabilità della precedente disciplina, prevista dall’art. 13 della L. 27 marzo 1992, n. 257, per i lavoratori che alla data del 2 ottobre 2003 abbiano avanzato domanda di riconoscimento all’INAIL od ottenuto sentenze favorevoli per cause avviate entro la medesima data, va interpretato nel senso che : a) per maturazione del diritto deve intendersi la maturazione del diritto a pensione; b) tra coloro che non hanno ancora maturato il diritto a pensione, la salvezza concerne esclusivamente gli assicurati che, alla data indicata, abbiano avviato un procedimento amministrativo o giudiziario per l’accertamento del diritto alla rivalutazione contributiva (nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la decisione di merito che aveva riconosciuto il diritto alla rivalutazione della contribuzione con il coefficiente 1,5 a tutti i lavoratori dei quali fosse stata provata una qualunque esposizione ultradecennale alla fibra di amianto). (Cass. 11/7/2006 n. 15679, Pres. De Luca, in Lav. nella giur. 2007, 89)
- L’attribuzione dell’eccezionale beneficio di cui all’art. 13, ottavo comma della legge 27 marzo 1992, n. 257 (nel testo risultante dalle modifiche apportate dall’art. 1, primo comma, del D.L. n. 271 del 1993), presuppone l’assegnazione ultradecennale del lavoratore a mansioni comportanti un effettivo e personale rischio morbigeno, a causa della presenza nel luogo di lavoro, di una concentrazione di fibre di amianto superiore ai valori indicati nel D.Lgs. n. 277 del 1991; al fine del riconoscimento di tale beneficio, non è necessario che il lavoratore fornisca la prova atta a quantificare con esattezza la frequenza e la durata dell’esposizione, potendo ritenersi sufficiente, qualora ciò non sia possibile, avuto riguardo al tempo trascorso e al mutamento delle condizioni di lavoro, che si accerti, anche a mezzo di consulenza tecnica, la rilevante probabilità di esposizione del lavoratore al rischio morbigeno, attraverso un giudizio di pericolosità dell’ambiente di lavoro, con un margine di approssimazione di ampiezza tale da indicare la presenza di un rilevante grado di probabilità di superamento della soglia massima di tollerabilità. (Cass. 1/8/2005 n. 16119, Pres. Sciarelli Rel. Balletti, in Dir. e prat. lav. 2006, 404)
- Sussiste la legittimazione passiva dell’Inail nella domanda giudiziale proposta per il conseguimento dei benefici previsti dall’art. 13, 8° comma, L. 257/92 per l’esposizione ultradecennale all’amianto, in quanto all’Ente previdenziale è demandato il compito di accertare una situazione giuridica soggettiva propedeutica al conferimento dell’agevolazione contributiva (Trib. Gorizia 4/3/00, est. Comez, , in Orient. Giur. Lav. 2000, pag. 517, con nota di Boscati, Contribuzione aggiuntiva per l’esposizione all’amianto tra tutela del bene salute e tutela del bene occupazione)
- Non è improcedibile la domanda giudiziale volta ad ottenere il riconoscimento dei benefici previdenziali previsti dall’art. 13, 8° comma, L. 257/92 per l’esposizione ultradecennale all’amianto proposta prima dell’esaurimento della procedura amministrativa di cui alla circolare Inail n. 252/95, in quanto detta circolare prevede un aggravio di procedura (introduzione di una fase di gravame innanzi alla Consulenza regionale Inail) che non trova alcun fondamento nella vigente disciplina di legge (Trib. Gorizia 4/3/00, est. Comez, in Orient. Giur. Lav. 2000, pag. 517, con nota di Boscati, Contribuzione aggiuntiva per l’esposizione all’amianto tra tutela del bene salute e tutela del bene occupazione)
- L’Inps è l’unico soggetto legittimato passivo rispetto alla domanda volta ad ottenere il beneficio di cui all’art. 13, 8° comma, della L. 27/3/92 n. 257, che prevede la rivalutazione dell’anzianità contributiva per il coefficiente 1, 5 (Pret. Milano 6/7/99, est. Sala, in D&L 1999, 946)
- E’ illegittima la pretesa dell’Inps di subordinare l’attribuzione del beneficio di cui all’art. 13, 8° comma, L. 27/3/92 n. 257 a una duplice dichiarazione, su apposita modulistica, da parte dell’Inail e del datore di lavoro (Pret. Pistoia 30/12/98, est. Amato, in D&L 1999, 434)