Questa voce è stata curata da Arturo Di Mario
Fonti normative
- D.L. 12 settembre 1983, n. 463, conv. con modificazioni, dalla L. 11 novembre 1983, n. 638, art. 5
- D.M. 15 luglio 1986, art. 4
- D.P.C.M. 17 ottobre 2017, n. 206, art. 3
Malattia
In caso di assenza dal lavoro per malattia il dipendente (privato e pubblico) è obbligato a rispettare delle fasce orarie, giorni lavorativi e festivi compresi, entro le quali possono essere effettuate, su richiesta del datore di lavoro o d’ufficio da parte dell’Inps, delle visite di controllo medico (VCM) per verificare lo stato della malattia.
La permanenza presso il proprio domicilio «durante le fasce orarie previste per le visite mediche domiciliari di controllo costituisce non già un onere bensì un obbligo per il lavoratore ammalato, in quanto l’assenza, rendendo di fatto impossibile il controllo in ordine alla sussistenza della malattia, integra un inadempimento, sia nei confronti dell’istituto previdenziale, sia nei confronti del datore di lavoro, che ha interesse a ricevere regolarmente la prestazione lavorativa e, perciò, a controllare l’effettiva sussistenza della causa che impedisce tale prestazione.» (Cass. 4 gennaio 2017, n. 64), tale reperibilità «può essere fornita con un minimo di diligenza e di disponibilità, atteso l’ambito molto limitato delle fasce orarie di reperibilità per cui non risulta nemmeno gravoso o vessatorio» (Corte Cost. sentenza 14/26 gennaio 1988, n. 78).
Le fasce di reperibilità sono le seguenti:
- lavoratori privati: ore 10-12 e ore 17-19 (D.M. 15 luglio 1986, art. 4);
- lavoratori pubblici: ore 9-13 e ore 15-18 (D.P.C.M. n. 206/2017, art. 3).
Sono esclusi dall’obbligo di reperibilità i prestatori di lavoro la cui assenza è riconducibile a una delle seguenti circostanze:
- lavoratori privati:
- patologie gravi che richiedono terapie salvavita, comprovate da idonea documentazione della Struttura sanitaria;
- stati patologici sottesi o connessi a situazioni di invalidità riconosciuta, in misura pari o superiore al 67% (D.M. 11 gennaio 2016);
- dipendenti pubblici:
- patologie gravi che richiedono terapie salvavita;
- causa di servizio riconosciuta che abbia dato luogo all’ascrivibilità della menomazione unica o plurima alle prime tre categorie della Tabella A allegata al decreto del Presidente della Repubblica 30 dicembre 1981, n. 834, ovvero a patologie rientranti nella Tabella E del medesimo decreto;
- stati patologici sottesi o connessi alla situazione di invalidità riconosciuta, pari o superiore al 67% (D.P.C.M. n. 206/2017, art. 3).
Per i lavoratori tossicodipendenti rimane valido l’obbligo di reperibilità durante le fasce orarie, anche presso le Comunità terapeutiche (Circ. Inps n. 136/2003, par. 9).
Infortuni sul lavoro e malattie professionali
La Cassazione con sentenza n. 1247 del 30 gennaio 2002 aveva ribadito la non obbligatorietà alla reperibilità durante le fasce orarie per il dipendente assente per infortunio sul lavoro, in quanto le stesse incidono direttamente, come cittadino, sul suo diritto alla libertà di movimento sul territorio dello Stato. Le norme sulla reperibilità devono quindi riguardare unicamente «gli accertamenti espressamente indicati dal legislatore, ossia quelli relativi a malattie ordinarie e non anche quelli sullo stato di inabilità conseguente ad infortunio sul lavoro. In materia può ritenersi sussistente per il lavoratore interessato soltanto un generico obbligo di correttezza e buona fede, che implica un atteggiamento collaborativo per rendere possibile il controllo; questo generico obbligo può anche essere meglio specificato dalla contrattazione collettiva».
A novembre dello stesso anno, sempre la Suprema Corte, con sentenza n. 15773, si pronunciava in senso difforme, legittimando anche per l’infortunato l’obbligatorietà alla reperibilità domiciliare durante le fasce orarie destinate alla visita fiscale.
I giudici affermavano che l’obbligo di reperibilità è «parte del più generale obbligo di correttezza e buona fede, immanente a tutto lo svolgimento del rapporto obbligatorio», e che il lavoratore, seppure in assenza di una specifica disposizione di legge, deve comunque concedere «per consentire l’attuazione del diritto, del datore, di ottenere (attraverso l’intervento degli istituti di previdenza) il controllo dell’infermità causata da infortunio sul lavoro», obbligo che così assume «una consistenza più intensa della mera leale collaborazione».
Si fa presente che per quanto riguardava i dipendenti pubblici il D.P.C.M. n. 206/2009, all’art. 2, aveva escluso esplicitamente l’obbligo di rispettare le fasce di reperibilità agli infortunati sul lavoro, esclusione che veniva successivamente eliminata dal D.P.C.M. n. 206/2017.
A questo punto l’Inps coglieva l’occasione per ribadire, con Msg n. 3265/2017, che – considerata l’esclusiva competenza dell’Istituto in materia di visite mediche di controllo sullo stato di salute dei lavoratori – riteneva di non poter effettuare visite di controllo su richiesta dei datori di lavoro per i casi di infortunio e malattia professionale poiché per legge sono di stretta competenza dell’Inail.
A pochi mesi di distanza la Cassazione, con sentenza n. 25650/2017, ritornava sull’argomento riaffermando nuovamente la piena legittimità, da parte del datore di lavoro, di richiedere all’Inps «la verifica dell’effettivo stato di salute del lavoratore non solo in caso di comunicazione di malattia ma anche di denunzia di un infortunio sul lavoro e di malattia professionale, per tutto l’arco di durata della assenza e sino a guarigione clinica.».
A questa sentenza hanno fatto seguito il parere dell’8 gennaio 2018 della Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Msg Inps n. 1399/2018 del 29 marzo che confermavano l’esclusiva competenza dell’Inail sugli accertamenti medico-legali in caso di infortunio sul lavoro o di malattia professionale del lavoratore e l’improcedibilità da parte dell’Inps, su richiesta del datore di lavoro, all’effettuazione di qualsiasi visita fiscale.
Sanzioni
L’assenza ingiustificata del lavoratore alle visite di controllo da parte del medico fiscale sono così sanzionate (Circ. Inps n. 166/1988):
- assenza alla prima visita medica di controllo: perdita del 100% dell’indennità economica per i primi 10 giorni di malattia, mentre per il restante periodo l’indennità verrà corrisposta in misura intera;
- assenza a una seconda visita medica di controllo (o prima visita ambulatoriale): perdita del 100% dell’indennità economica per i primi 10 giorni di malattia e del 50% fino a conclusione dell’evento morboso (o a nuova visita di controllo a cui il lavoratore si sia sottoposto);
- assenza a una terza visita medica di controllo: sospensione della prestazione economica di malattia;
- presenza a visita ambulatoriale dopo assenza a visita medica di controllo: perdita del 100% dell’indennità economica per i primi 10 giorni di malattia, non oltre comunque il giorno precedente la presentazione all’ambulatorio, se trattasi di prima assenza;
- assenza a visita ambulatoriale dopo assenza giustificata a visita medica di controllo: perdita del 100% dell’indennità economica per i primi 10 giorni di malattia se trattasi di prima assenza;
- assenza a visita medica di controllo, seguita da un’ambulatoriale a cui lo stesso si sia presentato e giudicato inidoneo al lavoro, venga predisposta una successiva visita di controllo a cui l’interessato risulti assente ingiustificato: applicazione della sanzione nella misura del 50% a partire dalla scadenza del periodo sanzionabile di 10 giorni al 100%, salvo il pagamento integrale della indennità per i giorni di incapacità accertati in occasione della precedente visita di controllo ambulatoriale.
L’applicazione delle sanzioni è esclusa:
– per i periodi di ricovero ospedaliero;
– per i periodi già accertati di precedente visita di controllo, conseguentemente la decorrenza per la sanzione, in caso di assenza ingiustificata ad ulteriore controllo, deve essere calcolata a partire dal giorno successivo all’ultimo accertamento sanitario regolarmente eseguito.
Oltre alla decurtazione dell’indennità di malattia, il dipendente, nei casi di reiterata violazione dell’obbligo di reperibilità domiciliare, senza aver prodotto giustificati motivi, può essere sanzionato disciplinarmente dal datore di lavoro fino ad arrivare al licenziamento per giusta causa (Cass. n. 3226/2008 e Cass. n. 24681/2016)
Per approfondimenti si veda la voce Visite medico fiscali