Stalking occupazionale

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Questa voce è stata curata da Giulia Spalazzi e Annalisa Rosiello

Scheda sintetica – Definizione

Con l’espressione stalking occupazionale si intende una forma di stalking (termine che letteralmente significa “fare la posta” e che è utilizzato per indicare quegli “atti persecutori” che, in termini psicologici, si identificano con un complesso fenomeno relazionale indicato anche come “sindrome del molestatore assillante”) in cui l’effettiva attività persecutoria si esercita nella vita privata della vittima, ma la cui motivazione proviene invece dall’ambiente di lavoro, dove lo stalker (o il persecutore) ha realizzato, subìto o desiderato una situazione di conflitto, persecuzione o mobbing (H. Ege, Oltre il mobbing: Straining, Stalking e altre forme di conflittualità sul posto di lavoro, ed. Franco Angeli, 2005, pag. 109 e segg.).

Lo stalking occupazionale può derivare da una situazione conflittuale sul posto di lavoro che praticamente non si è manifestata, ma è rimasta a livello di intenzione o desiderio.
In altri casi, invece, vi è già una storia di mobbing o di altro conflitto lavorativo e lo stalking occupazionale viene ad inserirsi come una sorta di completamento che si svolge o in parallelo o successivamente alla persecuzione già in atto:

  • nel primo caso lo stalking occupazionale viene attuato come una strategia aggiuntiva al mobbing, ad esempio per costringere con maggior forza la vittima alle dimissioni o a rinunciare ad un proprio diritto;
  • nel secondo caso, invece, è posto in essere dopo che una strategia di mobbing si è esaurita o si è rivelata inefficace, e ciò si verifica essenzialmente in quei casi in cui un mobber, non essendo riuscito per qualche ragione a raggiungere i risultati sperati ai danni della vittima, decide di continuare la sua azione al di fuori dell’ambiente lavorativo.

In molti casi, e sono i più frequenti, lo stalking occupazionale si associa o segue a episodi di molestie sessuali.
Sono le situazioni in cui l’atteggiamento persecutorio tenuto nei confronti del lavoratore da parte del datore di lavoro, di un collega o del superiore gerarchico ha trovato origine nel rifiuto opposto alle avances o agli atteggiamenti a connotazione sessuale: la mancata condiscendenza alle richieste di carattere sessuale del superiore gerarchico può essere ripagata con una pressione psicologica e, nei casi più gravi, tale situazione di molestia può proseguire anche nella vita privata della persona; la vittima comincia ad essere subissata di telefonate anche dopo l’orario di lavoro, pedinata nel tragitto casa lavoro o seguita in ogni spostamento, subendo un pregiudizio alle sue abitudini di vita associato a sofferenza psichica o paura per la propria incolumità.

I comportamenti persecutori sono definiti come “un insieme di condotte vessatorie, sotto forma di minaccia, molestia, atti lesivi continuati che inducono nella persona che le subisce un disagio psichico e fisico e un ragionevole senso di timore”.

Quindi, non sono tanto le singole condotte ad essere considerate persecutorie, ma piuttosto è la modalità ripetuta nel tempo, contro la volontà della vittima, che riassume in sé il principale significato delle condotte persecutorie.
Lo stalking, infatti, può presentare una durata variabile, da qualche settimana o mese, fino a ricoprire un periodo lungo anche anni.

 

Fonti normative – Profili penali, profili civili e obblighi di prevenzione

La materia è disciplinata, per gli aspetti penali, dal decreto legge 23 febbraio 2009, n° 11, convertito con modificazioni in Legge 23 aprile 2009, n° 38, che ha introdotto nel nostro ordinamento una nuova fattispecie di reato finalizzata a far venire meno la pericolosa condotta persecutoria che, statisticamente, vede per lo più come vittime le donne.

La figura, ai sensi dell’art. 612 bis c.p., prevede che “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, e’ punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità’ propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita…”

Il bene giuridico tutelato dall’art. 612 bis C.p. consiste, in primo luogo, nella libertà morale, ovvero nella libertà di autodeterminazione dell’individuo. Inoltre, tale condotta delittuosa potrebbe ledere, una volta realizzatasi in capo alla vittima quel grave disagio psichico, il bene costituzionalmente garantito della salute.
In tale ipotesi, il bene protetto potrebbe essere individuato nella tutela della incolumità individuale. Pertanto, l’illecito in questione deve essere considerato un reato essenzialmente plurioffensivo.

L’illecito in esame è connotato dalla sussistenza di tre elementi costitutivi:

  • la condotta “tipica” del reo;
  • la reiterazione di tale condotta;
  • l’insorgere di un particolare stato d’animo nella vittima.

La condotta illecita in esame è ascrivibile in genere nelle classiche ipotesi delittuose di minacce (art. 612 c.p.) e molestie (art. 660 c.p.), peraltro già previste e sanzionate autonomamente dal legislatore.
Sussiste la minaccia nel caso in cui il reo prospetti alla vittima un male futuro, in modo tale da turbare in modo grave la tranquillità della vittima stessa. La molestia, invece, si ravvisa nel caso in cui venga alterato in modo fastidioso o importuno l’equilibrio psichico di una persona media.

La condotta deve essere reiterata, seriale, nel senso che i sopra descritti atti devono succedersi nel tempo. La continuazione e reiterazione in un certo lasso di tempo è elemento costitutivo del reato.
Pertanto i singoli atti, se posti in essere in un’unica occasione, non integrano la fattispecie delittuosa ex art 612 bis c.p. ma quelle più “tradizionali” della “minaccia” o “molestia”, magari continuate se le condotte vengano poste in essere più di una singola volta.

Infine, tali azioni illecite devono cagionare alla vittima un grave disagio psichico (“grave stato di ansia o di paura”) ovvero determinare un giustificato timore per la sicurezza personale propria o di una persona vicina o comunque tale da pregiudicare in maniera rilevante il suo modo di vivere.

Gli eventi psichici integranti la fattispecie si debbono intendere riferiti esclusivamente a forme patologiche contraddistinte dallo stress di tipo definito grave e perdurante sul piano clinico e medico-legale. Quanto al secondo degli eventi conseguenti alla condotta illecita, ovvero il timore per la sicurezza personale propria o di una persona vicina, tale ipotesi ricorre ogniqualvolta la vittima, a causa dei comportamenti del persecutore, abbia “timore” per la propria sicurezza.

Tale stato d’animo deve essere valutato in concreto, in base a tutti gli elementi che caratterizzano la vicenda, e deve essere tale se riferito ex ante con riguardo alla valutazione di una persona media.

Infine, l’ultimo degli eventi sopra riportati riguarda il caso in cui, a seguito delle condotte persecutorie, il soggetto leso sia costretto, contro la sua volontà e non potendo fare altrimenti, a modificare le proprie abitudini di vita.
L’illecito in esame sussiste solo quando siano integrati tutti i predetti elementi obiettivi.

La condotta del persecutore, inoltre, affinché sia penalmente rilevante, deve essere connotata dal dolo generico, cioè dalla volontà e consapevolezza di porre in essere le sopra descritte condotte persecutorie, cagionando alla vittima uno degli eventi lesivi previsti dalla norma stessa.

L’illecito si consuma nel momento in cui, a seguito delle sopra descritte e seriali condotte delittuose, il reo cagioni nella vittima uno degli eventi lesivi descritti dalla norma.

Il tentativo non è incompatibile con la struttura della fattispecie criminosa in esame. Tale ipotesi potrebbe configurarsi nel caso in cui si riesca a fornire la prova della reiterata realizzazione di atti sufficienti ad integrare un numero di condotte in grado di soddisfare il requisito della serialità.

L’illecito in esame è punito, salva l’applicazione di aggravanti previste dalla legge, con la reclusione da 6 mesi a 4 anni.
Il delitto è punito a querela della persona offesa entro 6 mesi.
La procedibilità è, invece, d’ufficio, se il fatto è commesso nei confronti di un minore o di persona diversamente abile nonché quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d’ufficio.

Sotto il profilo civilistico, gli strumenti utilizzati dal giudice per accordare protezione alle vittime di stalking occupazionale sono gli stessi previsti per le molestie sessuali e il mobbing di genere.

Le opinioni di dottrina e giurisprudenza si sono orientate prevalentemente nel ricondurre le molestie sessuali e, in particolare, lo stalking occupazionale alla violazione dell’obbligo di sicurezza e di protezione dei lavoratori ex art. 2087 c.c.
In particolare, considerato che tale norma tutela non solo l’integrità fisica, ma anche la “personalità morale” del lavoratore, l’applicazione in campo lavoristico del generale principio del neminem laedere fa assumere a tale principio la forma giuridica di un’autonoma obbligazione contrattuale in capo al datore di lavoro.

Sul punto la prevalente giurisprudenza, principalmente di merito, ha statuito che se il datore era a conoscenza o doveva ragionevolmente sapere delle condotte persecutorie e non è intervenuto per far cessare tali condotte, egli non possa esimersi da responsabilità, in solido con l’autore della persecuzione. Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, infatti, l’obbligo di risarcire tali danni grava cumulativamente sia sull’autore del fatto lesivo sia sul datore di lavoro.

Vengono inoltre sanzionati con la nullità, ai sensi dell’art. 26, comma 3° del D.Lgs. 198/2006 cit. gli atti, i patti o i provvedimenti concernenti il rapporto di lavoro dei lavoratori o delle lavoratrici vittime delle molestie, qualora vengano adottati in conseguenza del rifiuto o della sottomissione a tali molestie.

Alternativamente alla tutela risarcitoria in ambito civile, la vittima potrà costituirsi parte civile nel processo penale che verrà instaurato successivamente alla denuncia-querela sporta nei confronti dello stalker, al fine di ottenere il risarcimento del danno.

Ai fini di prevenire anche tale forma di deriva dell’organizzazione del lavoro, il datore di lavoro ha l’obbligo di adottare tutte le misure atte ad impedire il verificarsi o il protrarsi della persecuzione ai danni della propria dipendente (allontanamento dello stalker, adozione di severe misure disciplinari, trasferimento dello stalker, dissuasione dello stesso ad intrattenere rapporti personali e inibitoria ad intrattenere rapporti professionali con la vittima, ecc.).

Voci correlate

Per i necessari approfondimenti si rinvia alle voci:

 

Cosa fare

In aggiunta a quanto già contenuto nelle voci mobbing, mobbing di genere, stress lavoro-correlato, molestie sessuali, discriminazioni di genere, una specifica caratteristica dello stalking, introdotta dal D.Lgs. 11/09 convertito in Legge 38/2009, è la possibilità di ottenere una diffida al molestatore.

Fino a quando non è proposta querela per il reato di cui all’articolo 612-bis c.p., la persona offesa può esporre i fatti all’autorità di pubblica sicurezza avanzando richiesta al questore di ammonimento nei confronti dell’autore della condotta.

La richiesta è trasmessa senza ritardo al questore che, assunte se necessario informazioni dagli organi investigativi e sentite le persone informate dei fatti, ove ritenga fondata l’istanza, ammonisce oralmente il soggetto nei cui confronti è stato richiesto il provvedimento, invitandolo a tenere una condotta conforme alla legge e redigendo processo verbale. Copia del processo verbale è rilasciata al richiedente l’ammonimento e al soggetto ammonito. Il questore valuta l’eventuale adozione di provvedimenti in materia di armi e munizioni.

La pena per il delitto di cui all’articolo 612-bis del codice penale è aumentata se il fatto è commesso da soggetto già ammonito ai sensi del presente articolo. Si procede d’ufficio per il delitto previsto dall’articolo 612-bis del codice penale quando il fatto e’ commesso da soggetto ammonito ai sensi del presente articolo.

A chi rivolgersi

  • Ufficio vertenze sindacale
  • Studio legale specializzato in diritto del lavoro

 

Documenti e prove necessarie

Per provare lo stalking sarà utile produrre copie di lettere, e-mail, tabulati telefonici, testi di sms, testimonianze di persone con cui la persona offesa si è confidata, oltre alle certificazioni specialistiche in ambito clinico che normalmente vengono acquisite nelle ipotesi di patologie legate alle disfunzionalità o derive dell’organizzazione del lavoro (mobbing, mobbing di genere, molestie sessuali, straining, stress, ecc.).

Richieste sanzionatorie e danni risarcibili

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