Questa voce è stata curata da Annalisa Rosiello e Laura Quarà
Il quadro normativo
Il d.lgs. n° 81 del 9 aprile 2008, così come integrato dal correttivo n° 106 del 3 agosto 2009 introduce specificamente le differenze di genere quale ulteriore aspetto sul quale focalizzarsi nelle azioni di prevenzione dei rischi professionali.
In particolare l’art. 6, nel definire i compiti della Commissione permanente per la salute e la sicurezza sul lavoro (la stessa che si occuperà di elaborare le indicazioni necessariehttps://www.wikilabour.it/mobbing.ashx alla valutazione del rischio da stress lavoro-correlato ex art. 6, m-quater), attribuisce alla predetta Commissione il compito di “promuovere la considerazione della differenza di genere in relazione alla valutazione dei rischi e alla predisposizione delle misure di prevenzione” (art. 6, lett. l).
L’art. 8, nell’istituire il (e regolamentare il funzionamento del) sistema informativo nazionale per la prevenzione nei luoghi di lavoro (SINP) avente la finalità di fornire dati utili per orientare, programmare, pianificare e valutare l’efficacia della attività di prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali, ha previsto che detto sistema informativo debba coinvolgere oltre ad organismi istituzionali e le parti sociali, tra gli altri anche gli istituti di settore a carattere scientifico “ivi compresi quelli che si occupano della salute delle donne”; il SINP gestisce i flussi informativi legati alla prevenzione avente quali contenuti, tra gli altri (lett. b e c art. 8) “il quadro dei rischi anche in un’ottica di genere e il quadro di salute e sicurezza dei lavoratori e delle lavoratrici” (il riferimento al genere, in questi ultimi casi, è stato inserito dal d.lgs. 196/09).
Con riguardo allo specifico tema dello stress di genere la disposizione principale è quella dettata dall’art. 28 del d.lgs n° 81 del 9 aprile 2008 che ha previsto l’obbligo di valutare tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori (v. anche art. 15 d.lgs. n° 81/08), “ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, tra cui quelli collegati allo stress lavoro-correlato, secondo i contenuti dell’accordo europeo dell’8 ottobre 2004, e a quelli riguardanti le lavoratrici in stato di gravidanza…. nonché quelli connessi alle differenze di genere, all’età e alla provenienza da altri paesi….”.
Il d.lgs. 106/09 ha come noto delegato alla Commissione di cui all’art. 6, sopra citata, l’emanazione di specifiche indicazioni per la valutazione dello stress lavoro-correlato, fissando quale termine ultimo per tale valutazione (anche in difetto di elaborazione di indicazioni da parte della Commissione), il 1° agosto 2010.
Le principali cause dello stress di genere
Il quadro normativo sopra brevemente richiamato contribuisce certamente a compiere un passo culturale importante nella sensibilizzazione verso queste tematiche e, in particolare, verso quella dello stress quale fonte di patologie correlate all’attività lavorativa e, ancor più nello specifico, al genere.
Di seguito si riportano i principali fattori di stress legati all’appartenenza al genere (prevalentemente femminile) su cui l’azione preventiva dei datori di lavoro dovrà concentrarsi.
Esaminando gli studi compiuti dalle varie discipline in tema di patologie dell’organizzazione del lavoro si possono rinvenire tre macro-categorie all’origine dello stress di genere:
- la prima riguarda la “conciliazione”;
- la seconda riguarda la tipologia del lavoro;
- la terza è legata a fenomeni di molestie e mobbing.
La prima e principale area dalla quale potrebbe originare stress è la cosiddetta “conciliazione”: è un fatto ancora attuale che le donne si occupino – in misura maggiore rispetto agli uomini – dell’accudimento di figli e familiari anziani e, contemporaneamente, svolgono un’attività lavorativa spesso anche a tempo pieno. Il c.d. Jobs act, con il d.lgs. n° 80/2015 ha modificato la normativa sui congedi prevista dal d.lgs 151/2001 ma – riteniamo – non in misura tale da superare o comunque alleggerire in maniera importante i disagi e lo stress legati alla conciliazione.
Le diverse attività ancora delegate, come si diceva, in misura maggiore alle donne sono sicuramente difficili da bilanciare in termini di impegno sia temporale che emotivo ed è pertanto inevitabile un carico di stress fisico e mentale, in relazione a molteplici variabili quali, ad esempio:
- il timore della donna di penalizzare la carriera in caso di gravidanza o matrimonio (spesso tale timore si rivela fondato, osservando l’ampiezza del dato di contenzioso in tema dequalificazione post-parto);
- le difficoltà nel trovare la piena soddisfazione dal punto di vista della carriera e del riconoscimento economico;
le tensioni che spesso insorgono con il datore di lavoro per le richieste di permessi, aspettative, turnistiche agevolate; - le (maggiori) resistenze della donna a svolgere trasferte, distacchi in località distanti dal domicilio, trasferimenti, resistenze che spesso originano ripercussioni quali il mobbing o altre azioni penalizzanti.
Secondo fattore di stress legato al genere è rappresentato dal fatto che le donne ancora oggi ricoprono proporzionalmente ruoli con minore responsabilità ed autonomia (ancorché impegnativi sul piano dell’attenzione), sono più esposte a lavori monotoni e ripetitivi, sono meno coinvolte in attività lavorative che richiedano problem solving e creatività, sono più esposte a lavori precari, avvertono limiti nello sviluppo di carriera, e retributivo.
Altri studi rilevano differenze (e differenti carichi di stress) legati anche all’area professionale: spesso le donne sono infatti impegnate in attività “assistenziali” (per tutte quella infermieristica) simili a quelle che svolgono già in famiglia, e ciò rischia di potenziare i livelli di stress di un ambito rispetto all’altro ed un abbandono prematuro della professione.
Ulteriore fattore di stress legato al genere è la maggiore esposizione delle donne a molestie sessuali e conseguente mobbing: benché l’accordo quadro europeo del 2004 richiamato dall’art. 28, TU n° 81/08, cit. escluda dalla propria regolamentazione le molestie e la violenza sul posto di lavoro, demandandole ad un futuro e specifico accordo, anche tali fenomeni sono infatti espressamente definiti dall’accordo stesso quali potenziali fattori di stress lavoro-correlato (v. art. 2, comma 3° AQE 2004, cit.).
Nell’ultimo paragrafo del presente contributo si darà spazio al commento di una sentenza del Tribunale di Milano relativa a tali tematiche.
Le conseguenze patologiche dello stress con riferimento al genere
Il termine stress indica una reazione di adattamento dell’organismo umano, definita da Seyle SGA – sindrome generale di adattamento – che si presenta di fronte a qualsiasi tipo di esposizione, stimolo e sollecitazione.
Questa reazione comporta modificazione fisiologiche, cognitive e comportamentali dell’individuo in risposta a diversi stimoli/stressor ambientali ambigui, per adattare ed organizzare le proprie difese.
Il termine stress assume generalmente una connotazione negativa perché ad esso vengono associate situazioni che incidono sulla qualità della vita in un determinato momento o fase dell’ esistenza, personale o lavorativa.
In questa accezione dovremmo correttamente parlare di stress negativo o di-stress, termine da utilizzare quando le situazioni sono caratterizzate dal persistere di agenti esterni ai quali il soggetto non riesce a rispondere in modo adattivo.
Esiste infatti anche una tipologia di stress positivo (eu-stress) – che si presenta quando si attiva una normale risposta adattiva ad un agente esterno che stimola il soggetto a reagire senza determinare necessariamente una situazione di pericolo.
Parlando di stress sul lavoro si condivide la definizione fornita dal National Institute for Occupational Safety and Health (NIOSH 1999): “insieme di reazioni fisiche ed emotive dannose che si manifestano quando le richieste poste dal lavoro non sono commisurate alle capacità, risorse ed esigenze del lavoratore”.
La risposta comportamentale allo stress è dovuta a fattori strettamente legati alla personalità del soggetto, al modo di reagire nei confronti di alcune situazioni, alla memoria di precedenti esperienze vissute, ad una serie di modelli comportamentali appresi nell’ambito della società in cui vive, alla possibilità concreta di poter o meno modificare lo stato delle cose; come afferma l’art. 3 dell’ Accordo Europeo 2004, cit., “tutte le manifestazioni di stress sul lavoro non necessariamente sono causate dal lavoro stesso” ma sicuramente fattori negativi sul lavoro determinano stress e contribuiscono ad alimentare un eventuale stress pre-esistente.
Secondo studi specialistici le donne sono più soggette degli uomini a patologie psichiche correlate a situazioni di stress sul lavoro; “Anzi la depressione e gli altri disturbi psichici (ansia, attacchi di panico, anoressia, ecc.) sono da sempre considerati come tipica risposta patologica femminile alle avversità della vita: una risposta cioè di passivizzazione dell’iniziativa, di inermità, di incapacità a reggere gli eventi duri, in definitiva una risposta non collegata con chiari eventi esterni di sovraccarico, pressione e stress, quanto piuttosto a fattori interni di debolezza e fragilità emotiva” (v. il contributo Patologie e genere, cit. infra).
Con riguardo alle problematiche relative alla “conciliazione” si ritiene che di per sé il lavoro esterno non sia un fattore di rischio così come non lo è il lavoro domestico. Anzi, il lavoro esterno può a volte giocare un ruolo protettivo rispetto allo stress familiare. In ambito clinico si afferma comunemente, tuttavia, che il lavoro familiare debba essere sempre valutato insieme al lavoro esterno per monitorare e prevenire lo stress delle donne nell’impiego.
Le (eventuali o temute) ripercussioni negative sulla carriera e, in ogni caso, le problematiche relative alla minore responsabilità ed autonomia della donna rispetto all’uomo sfociano in reazioni quali, in prevalenza, la depressione, l’ansia, sentimenti di paura, colpa, panico e annichilimento; qualora le ripercussioni sfocino in azioni discriminatorie o comunque marginalizzanti (mobbing o straining) le conseguenze sono devastanti soprattutto per le donne, che spesso non riescono a trovare in sé delle risorse interiori o a strutturare strategie di comportamento efficaci per affrontare la situazione avversativa; inoltre frequentemente non trovano adeguati supporti sociali nell’ambiente familiare, dando luogo a quella situazione definita da H. Ege come doppio-mobbing.
Infine le molestie sessuali determinano il più delle volte l’impossibilità della lavoratrice di convivere all’interno del contesto lavorativo che non tutela a sufficienza, o addirittura tollera, questi comportamenti.
Questi vissuti costituiscono attacchi alla dignità e minano profondamente l’autostima generando profondi stati di depressione che possono portare, ancora più frequentemente di quanto accade per il mobbing, all’abbandono volontario del posto di lavoro preceduto da sentimenti di rassegnazione, demotivazione o generale peggioramento delle condizioni di lavoro.
Le conseguenze patologiche delle molestie sessuali sono comunemente di natura emozionale e psicologica (sfiducia, paura, angoscia, pensieri e tentativi suicidari, senso di umiliazione, disistima), psico-somatica (reazioni cutanee, perdita o aumento ponderale, perdita dei capelli, ecc.), affettiva sessuale.