Scheda sintetica
Storicamente l’intervento regolativo dello Stato in materia di diritto di sciopero è stato alquanto circoscritto: per lungo tempo l’unica norma che si occupava espressamente della tematica era l’art. 40 della Costituzione, ove è statuito che il diritto di sciopero deve essere esercitato nell’ambito delle leggi che lo disciplinano.
Nonostante l’espresso rinvio alla fonte primaria contenuto nella norma costituzionale, per lungo tempo il legislatore non si era occupato della questione e non aveva introdotto una più dettagliata disciplina del diritto di sciopero.
Tuttavia, nel campo dei servizi pubblici essenziali emerse l’esigenza di regolamentare lo sciopero al fine di contemperare l’esercizio di questo diritto con quelli degli utenti, pure di rilevanza costituzionale.
L’intervento legislativo si ebbe dunque nel 1990 con la legge n. 146: questo provvedimento, originariamente finalizzato a regolamentare l’esercizio del diritto di sciopero nei pubblici servizi esclusivamente nell’area del lavoro subordinato, venne modificato con la legge n. 83/2000 che ne estese l’ambito di applicazione anche alle astensioni collettive dal lavoro dei lavoratori autonomi, professionisti e piccoli imprenditori la cui attività fosse comunque connessa all’erogazione di servizi pubblici essenziali (es. avvocati).
La legge di regolamentazione del diritto di sciopero, comunque, non ha disciplinato compiutamente le modalità di esercizio del diritto, ma ha lasciato ampi margini alla contrattazione collettiva, indicata dalla stessa legge come fonte delegata per completarne la disciplina.
Occorre però precisare che nel caso del pubblico impiego privatizzato questo compito integrativo viene svolto non solo dei contratti collettivi -stipulati secondo le modalità appositamente previste per questo settore-, ma anche dai regolamenti di servizio stipulati con le rappresentanze del personale; mentre, nell’area del lavoro autonomo, la medesima funzione viene svolta dai codici di autoregolamentazione.
Inoltre, un ruolo fondamentale nella disciplina complessiva del fenomeno è attribuito alla Commissione di Garanzia, un’autorità amministrativa indipendente che tramite le sue delibere ha contribuito significativamente a definire le modalità attuative della regolamentazione contenuta nella legge n. 146/1990.
La disciplina legislativa dell’esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali ha individuato un elenco tassativo di diritti della persona, in ordine ai quali la legge è diretta ad assicurare il contemperamento con l’esercizio del diritto di sciopero, attraverso la disciplina di quest’ultimo nei servizi pubblici deputati ad assicurare il godimento di quei diritti.
La legge, per maggiore chiarezza, contiene anche un elenco, peraltro meramente esemplificativo, dei servizi ritenuti essenziali, raggruppati secondo il diritto della persona al cui soddisfacimento sono preordinati.
La disciplina legale in tali settori riguarda essenzialmente la necessaria predisposizione da parte dei contratti collettivi – e comunque il necessario esperimento – di procedure di raffreddamento del conflitto, l’obbligo del preavviso della manifestazione di sciopero nonché il necessario rispetto di misure dirette a consentire l’erogazione, durante lo sciopero, delle prestazioni ritenute indispensabili.
L’osservanza di queste regole è assicurata dagli interventi, anche in funzione sostitutiva in caso di inerzia o di inidoneità della disciplina contrattuale in materia, dalla Commissione di garanzia attraverso lo strumento della precettazione, nonché dalla previsione di sanzioni, a carico dei sindacati, dei singoli partecipanti allo sciopero e dei dirigenti responsabili delle amministrazioni pubbliche e dei legali rappresentanti delle imprese ed enti che erogano il servizio.
Fonti normative
- Legge 12 giugno 1990 n. 146
- Legge 11 aprile 2000 n. 83
Nozione ed evoluzione storica del diritto di sciopero
Per la prima volta nell’Ordinamento italiano, la Costituzione della Repubblica configura lo sciopero come diritto (prevalentemente qualificato dalla dottrina come diritto assoluto della persona, ad esercizio collettivo).
Ripudiando i divieti dello Stato corporativo fascista, per cui lo sciopero era variamente sanzionato come reato (artt. 502-508 e 330 e 333 del codice penale Rocco del 1930) e superando l’atteggiamento di indifferenza verso tale forma di conflitto adottato in precedenza dallo Stato liberale (che non escludeva la qualificazione dello sciopero come inadempimento contrattuale – sanzionabile pertanto, sul piano disciplinare, anche col licenziamento-), la Costituzione italiana guarda allo sciopero come ad uno degli strumenti di promozione della effettiva partecipazione dei lavoratori alla trasformazione dei rapporti economico sociali, per rimuovere gli ostacoli che di fatto limitano la libertà e l’eguaglianza delle classi lavoratrici (quindi quale mezzo di attuazione dello scopo fondamentale stabilito dal secondo comma dell’art. 3 della Costituzione).
L’art. 40 della Costituzione repubblicana stabilisce infatti che “Il diritto di sciopero si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano”.
In realtà, fino alla Legge 12 giugno 1990 n. 146, relativa allo sciopero nei servizi pubblici essenziali (poi modificata e integrata con la legge 11 aprile 2000 n. 83), una disciplina di legge relativa all’esercizio del diritto di sciopero esisteva unicamente in pochi specifici settori di eccezionale delicatezza, quali quello degli impianti nucleari (artt. 49 e 129 del D.P.R. 13 febbraio 1964 n. 185) e quello dei controllori di volo (art. 4 della legge 23 maggio 1980 n. 242), mentre un vero e proprio divieto di sciopero era previsto per i militari (art. 8 della legge 11 luglio 1987 n. 382) e per il personale della polizia di Stato (art. 84 della legge 1° aprile 1981 n. 121).
In tale situazione di sostanziale carenza di una normativa di legge, ha svolto un ruolo di supplenza anzitutto la giurisprudenza costituzionale, chiamata a valutare la legittimità costituzionale delle norme incriminatrici dello sciopero, mai abrogate dal legislatore post-bellico (solo la legge n. 146 del 1990 abrogherà infatti gli artt. 330 e 333 cod. pen.), soprattutto alla luce della elevata tutela costituzionale di tale diritto.
La Cassazione, essendo consapevole che il diritto di sciopero fosse anche un mezzo per l’attuazione dell’art. 3 della Costituzione, ne aveva riconosciuto la titolarità in capo ai lavoratori autonomi parasubordinati (Cass. 29 giugno 1978 n. 3278), mentre la Corte Costituzionale l’aveva estesa anche agli esercenti di piccole imprese privi di lavoratori dipendenti, quale strumento per contrastare la loro situazione di sottoprotezione sociale (Corte cost. 17 luglio 1975 n. 222), ma non anche agli avvocati e agli altri liberi professionisti, la cui astensione dalle udienze o dall’attività professionale in genere la medesima Corte aveva riconosciuto comunque protetta dall’art. 18 Cost., in quanto manifestazione della libertà associativa (Corte Cost. 16 maggio 1996 n. 171).
In tale opera di adeguamento del previgente sistema penale alla Costituzione, la Corte costituzionale ha dichiarato incostituzionale la punibilità dello sciopero per fini contrattuali di cui all’art. 502 cod. pen., in quanto incompatibile col nuovo Ordinamento democratico delineato dalla Costituzione (sent. 4 maggio 1960 n. 29).
Per quanto concerne le altre norme incriminatrici, la Corte ne ridusse l’ambito operativo, riconoscendo allo sciopero economico-politico la tutela di cui all’art. 40 Cost. (sentt. 28 dicembre 1962 n. 123 e 15 dicembre 1967 n. 141), qualificando, entro certi limiti, lo sciopero politico puro come oggetto di libertà, tutelato dalla Costituzione quale mezzo di partecipazione alla organizzazione politica, economica e sociale del Paese (sentt. 27 dicembre 1974 n. 290 e 13 giu-gno 1983 n. 165) e riconoscendo la legittimità anche dello sciopero di solidarietà (sent. 28 di-cembre 1962 n. 123).
E ancora, soprattutto con riferimento ai reati di cui agli artt. 330 e 333 cod. pen. (abbandono collettivo o individuale di un servizio pubblico o di pubblica utilità), la Corte Costituzionale ne rimodellò in senso ampliamente riduttivo il contenuto con la tecnica della sentenza dichiarativa della parziale incostituzionalità o interpretativa di rigetto (sentt. 28 dicembre 1962 n. 123, 17 marzo 1969 n. 31, 3 agosto 1976 n. 222 e 12 gennaio 1977 n. 4).
In proposito, la considerazione di partenza del ragionamento della Corte è rappresentato dal rilievo che, se può dirsi normale che lo sciopero produca il suo effetto lesivo anche oltre i destinatari naturali, in alcuni casi esso colpisce pesantemente e sovente prevalentemente diritti dei cittadini estranei al conflitto, costituenti diritti della persona costituzionalmente protetti con norme di rango pari o superiore a quella relativa al diritto di sciopero, in quanto incide sulla funzionalità di servizi deputati ad assicurare il soddisfacimento di quei diritti.
Attraverso l’enucleazione di tali diritti della persona costituzionalmente protetti (alla vita, alla salute, alla sicurezza), la Corte ha individuato altresì i servizi che ne assicurano il soddisfacimento, per tale ragione definiti servizi pubblici essenziali (ancorché gestiti eventualmente da privati e con rapporti di lavoro di tipo privatistico).
Nel possibile conflitto tra l’esercizio del diritto di sciopero e la fruizione di tali servizi, funzionali al godimento di questi altri diritti, la Corte Costituzionale ha affermato la necessità di un contemperamento tra i due ordini di situazioni protette, attraverso l’individuazione di un minimo di servizio che deve essere comunque garantito in caso di sciopero nei settori considerati, anche attraverso lo strumento della precettazione (allora praticata dal prefetto sulla base dell’art. 20 del T.U. delle leggi comunali e provinciali n. 383 del 1934).
Anche su sollecitazione della giurisprudenza costituzionale citata, si svilupparono inoltre negli anni ’80 del secolo scorso vari tentativi da parte delle maggiori organizzazioni sindacali dei lavoratori di dettare una autodisciplina dell’esercizio del diritto di sciopero nei diversi settori di esercizio di servizi ritenuti essenziali, orientata appunto soprattutto alla garanzia, durante lo sciopero, di un minimo indispensabile nella relativa erogazione; tentativi sostanzialmente falliti per la limitata efficacia soggettiva di tale disciplina, riguardante unicamente il sindacato che l’aveva predisposta e i suoi soli iscritti, con esclusivo riguardo agli scioperi da esso proclamati.
Come già anticipato, la risposta del legislatore si è tradotta nella l. n. 146/1990 che, recependo gli approdi giurisprudenziali precedenti, ha avuto il merito di dettare una disciplina che non incide sulla titolarità del diritto di sciopero, ma che si occupa solo di regolamentare le forme di esercizio di tale diritto. Però, anche la regolamentazione di tali profili non è rigida e inderogabile, ma viene effettuata tramite un rinvio alle previsioni dei contratti collettivi e dei codici di autoregolamentazione (nel caso di astensioni collettive dei lavoratori autonomi) (vedi paragrafi seguenti).
Ambito di applicazione oggettivo della legge n. 146/1990
Al fine di identificare l’ambito di applicazione oggettivo della legge n. 46/1990 occorre, anzitutto, individuare l’esatta nozione di “servizio pubblico essenziale”.
Come anticipato nel primo paragrafo, a tal proposito il legislatore non ha fornito una definizione univoca, adottando invece una tecnica regolatoria complessa: da un lato, è stata fornita una lista tassativa di diritti della persona il cui godimento deve essere indefettibilmente garantito tramite l’erogazione dei servizi pubblici essenziali(anche se svolti in regime di concessione o di convenzione anche da privati); dall’altro, quest’ultima tipologia di servizi viene di fatto identificata grazie a un’elencazione esemplificativa dei servizi connessi ai diritti di cui si è detto.
In particolare, i diritti della persona costituzionalmente protetti sono il diritto alla vita, alla salute, alla libertà e alla sicurezza, alla libertà di circolazione, all’assistenza e previdenza sociale, all’istruzione e alla libertà di comunicazione (art. 1, primo comma della legge).
Invece, i servizi pubblici essenziali citati nella legge sono:
- con riguardo alla tutela della vita, della salute, della libertà e della sicurezza della persona, dell’ambiente e del patrimonio storico-artistico: i servizi della sanità, dell’igiene pubblica e della protezione civile; la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti urbani e di quelli speciali, tossici e nocivi; le dogane, limitatamente al controllo su animali e su merci deperibili; l’approvvigionamento di energie, prodotti energetici, risorse naturali e beni di prima necessità nonché la gestione e la manutenzione dei relativi impianti, limitatamente a quanto attiene alla sicurezza degli stessi; l’amministrazione della giustizia, con particolare riferimento ai provvedimenti restrittivi della libertà personale ed a quelli cautelari ed urgenti nonché ai processi penali con imputati in stato di detenzione; i servizi di vigilanza sui beni culturali;
- per ciò che riguarda la tutela della libertà di circolazione: i trasporti pubblici urbani ed extra urbani autoferrotranviari, ferroviari, aerei, aeroportuali e quelli marittimi limitatamente al collegamento con le isole;
- con riguardo all’assistenza e la previdenza sociale nonché gli emolumenti retributivi o comunque quanto economicamente necessario al soddisfacimento delle necessità della vita attinenti a diritti della persona costituzionalmente garantiti: i servizi di erogazione dei relativi importi, anche effettuati a mezzo del servizio bancario;
- per l’istruzione: l’istruzione pubblica, con particolare riferimento all’esigenza di assicurare la continuità dei servizi degli asili nido, delle scuole materne e delle scuole elementari nonché lo svolgimento degli scrutini finali e degli esami, e l’istruzione universitaria, con particolare riferimento agli esami conclusivi dei cicli di istruzione;
- per la libertà di comunicazione: le poste, le telecomunicazioni e l’informazione radiotelevisiva.
La particolare tecnica adottata dal legislatore ha permesso un continuo adeguamento dell’elenco poiché i servizi soggetti alla disciplina di legge possono essere integrati con altre attività rispetto a quelle già previste espressamente, purché queste ultime siano comunque riconducibili ai diritti costituzionali tassativamente individuati.
In particolare, proprio la Commissione di Garanzia ha identificato nuovi servizi pubblici essenziali, tra cui:
- il servizio di rimorchio nautico
- il servizio degli ausiliari giudiziari
- il servizio svolto dalla Agenzie regionali per la protezione ambientale
- i servizi erogati dai centri riabilitativi per l’handicap
- l’attività di rigassificazione e distribuzione del gas naturale liquefatto.
Oltre a ciò, la Commissione ha ricondotto nell’ambito di applicazione della legge n. 146/1990 anche le attività cd. strumentali per l’esercizio dei servizi pubblici essenziali veri e propri. Infatti, il diffondersi di forme di esternalizzazione, che hanno innovato profondamente i modelli organizzativi dei soggetti erogatori di tale tipologia di servizi, ha fatto sì che la sospensione di attività strumentali divenisse idonea ad inficiare anche il servizio pubblico vero e proprio, causando indirettamente una violazione dei diritti costituzionali che la legge avrebbe voluto tutelare.
In tale senso, le delibere della Commissione hanno affermato che si applica la normativa sui servizi pubblici essenziali anche nei casi in cui lo sciopero riguardi le seguenti attività:
- attività di conservazione, deposito, custodia, movimentazione di farmaci e di prodotti medicali
- attività di gestione dell’anagrafe tributaria
- attività di rifornimento di carburante, di rabbocco dei liquidi, di controllo meccanico di efficienza e di movimentazione dei mezzi nell’ambito del trasporto pubblico
- attività di bar e ristorazione nel settore del trasporto aereo
- attività di pulizia presso gli scali aeroportuali.
L’Ambito di applicazione soggettivo della legge n. 146/1990
Originariamente, la regolamentazione del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali avrebbe dovuto trovare applicazione esclusivamente nei confronti dei lavoratori subordinati che prestavano la propria attività nell’ambito dei servizi individuati secondo le modalità indicate nel paragrafo precedente.
Tuttavia, su impulso proveniente dalla Corte Costituzionale (in particolare, la sentenza 27 maggio 1996 n. 171), la legge 11 aprile 2000 n. 83, di modifica e integrazione della legge n. 146 del 1990, ha esteso l’ambito soggettivo di applicazione della disciplina che andava modificando e integrando anche all’”astensione collettiva delle prestazioni da parte di lavoratori autonomi, professionisti e piccoli imprenditori, che incida sulla funzionalità dei servizi pubblici essenziali” (art. 2-bis del testo novellato).
In particolare, la Commissione ha chiarito come siano soggette a tale regolamentazione anche le astensioni realizzate da consulenti del lavoro, dottori commercialisti ed esperti contabili.
Giova anticipare come in questi casi, però, la fonte deputata a integrare la disciplina normativa non sia la contrattazione collettiva, bensì i codici di autoregolamentazione
Inoltre, alla luce del diffondersi, sempre più frequentemente, di forme di protesta spontanee, la Commissione di Garanzia ha altresì precisato che la disciplina della l. n. 146/1990 deve trovare applicazione anche nei confronti di queste ultime, ossia in tutti i casi i casi in cui l’astensione dall’attività lavorativa consegue a una decisione dei lavoratori non preceduta da una proclamazione sindacale.
Anche in questi casi dunque è necessario rispettare la procedura prevista dalla legge; tuttavia, laddove non sia possibile individuare un soggetto promotore dello sciopero, le sanzioni collettive non potranno naturalmente essere applicate.
Tale eventualità è però ravvisabile solo se le organizzazioni sindacali provvedono prontamente a dissociarsi dall’astensione e, contestualmente, si attivano per dissuadere i lavoratori dal parteciparvi.
La disciplina normativa viene applicata non solo alle astensioni collettive definibili scioperi veri e propri, bensì anche a tutte quelle forme di lotta sindacale ad esse assimilabili. A riguardo, un ruolo integrativo della regolamentazione normativa è stato svolto ancora una volta dalla giurisprudenza e dalla Commissione di Garanzia, che hanno chiarito come la legge n. 146/1990 valga anche per le seguenti sospensioni dell’attività lavorativa:
- assemblea durante l’orario lavorativo
- astensione dal lavoro straordinario legittimamente richiesto dal datore
- astensione collettiva dal lavoro contro il ritardo nel pagamento delle retribuzioni
- serrata di protesta.
Al contrario, non possono essere assoggettate alla disciplina legislativa le forme di astensione lavorativa riconducibili alle cd. forme anomale di sciopero (si pensi, per esempio, al picchettaggio con blocco di accesso delle autovetture e allo sciopero pignolo).
In sintesi, si può affermare che la legge n. 146/1990 troverà applicazione non solo nei casi in cui vi sia uno sciopero giuridicamente inteso, ma in tutte le ipotesi in cui vi sia il rischio di pregiudicare i diritti costituzionalmente tutelati previsti dalla legge stessa.
La disciplina legale di contemperamento – Gli obblighi
Come anticipato nel paragrafo introduttivo, la disciplina legislativa prevede una serie di obblighi di contemperamento il cui contenuto è stato col tempo integrato dalle previsioni dei contratti collettivi (o dai codici di autoregolamentazione) e dalle delibere della Commissione di Garanzia.
In particolare, è stato previsto:
A) l’obbligo di predisporre, nei contratti collettivi riferiti ai settori disciplinati dalla legge (e per i lavoratori autonomi, professionisti, etc., nei codici di autoregolamentazione adottati dalle associazioni o dagli organismi di rappresentanza delle categorie interessate), procedure di raffreddamento e di conciliazione delle controversie, da espletare obbligatoriamente prima della proclamazione dello sciopero. In ogni caso, la legge detta una procedura di conciliazione in sede amministrativa da rispettare quando non sia applicabile quella contrattuale (impegnativa, come è noto, solo per i lavoratori iscritti al sindacato stipulante, che promuove lo sciopero).
Questa conciliazione deve effettuarsi presso la Prefettura (o presso il Comune se il servizio è di competenza dello stesso) laddove lo sciopero abbia rilevanza meramente locale, mentre se l’astensione rileva a livello nazionale presso il competente ufficio del Ministero del Lavoro.
Per quanto concerne il settore privato, il legislatore non ha specificato il livello dei contratti collettivi cui fare riferimento (anche se comunemente si interpreta la disposizione come contenete un rinvio implicito ai CCNL), mentre per il pubblico impiego si rinvia direttamente al D. lgs. n. 29/1993 (ora D. lgs. n. 165/2001) ove viene individuato sia il livello negoziale che i soggetti stipulanti.
Originariamente la Commissione di Garanzia aveva adottato un’interpretazione particolarmente rigorosa della disposizione, precisando che la richiesta di espletamento delle procedure doveva necessariamente precedere l’indizione dello sciopero, e fissando un termine di 90 giorni entro cui tali procedure non potevano essere riattivate per la proclamazione di un nuovo sciopero. Ad oggi, però, la Commissione ha mitigato la propria posizione, adottando un approccio cd. sostanzialistico in forza del quale il rispetto delle regole formali cede il passo a una più attenta valutazione della concreta capacità preventiva e compositiva del conflitto delle procedure di conciliazione. Coerentemente a tale nuova impostazione, la Commissione ha stabilito, per esempio, che se l’astensione viene posticipata a un termine successivo alla conclusione delle procedure, queste ultime non dovranno necessariamente essere ripetute.
B) L’obbligo, per chi promuove lo sciopero, di un preavviso minimo non inferiore a dieci giorni (salva la possibilità per i contratti collettivi – e per i codici di autoregolamentazione dell’astensione collettiva per i lavoratori autonomi, etc. – di stabilirne uno maggiore), con la comunicazione per iscritto agli enti che erogano il servizio nonché all’apposito ufficio costituito presso l’autorità competente per la precettazione, che ne cura l’immediata trasmissione alla Commissione di garanzia, della durata e delle modalità di attuazione nonché delle motivazioni della astensione collettiva.
L’obbligo di preavviso è stabilito al fine di consentire all’ente erogatore del servizio di predisporre le misure necessarie ad assicurare le prestazioni indispensabili nonché allo scopo di favorire lo svolgimento di eventuali tentativi di composizione del conflitto e di consentire all’utenza di usufruire di servizi alternativi (art. 2, comma 5° della legge). A quest’ultimo proposito è altresì previsto l’obbligo per gli enti erogatori del servizio di comunicare agli utenti, almeno cinque giorni prima dell’effettuazione dello sciopero, i modi ed i tempi di erogazione dei servizi indispensabili e le misure per la pronta riattivazione del servizio (art. 2, comma 6°).
Per evitare il c.d. mero “effetto annuncio” dello sciopero, legato al relativo preavviso e a prescindere poi dall’effettiva attuazione dell’astensione (per cui il mero preavviso di uno sciopero, ad es. dei servizi di trasporto ferroviario, induce gli utenti a non viaggiare o a viaggiare con mezzi diversi in quella giornata, anche se poi lo sciopero viene revocato in prossimità della relativa data), la legge stabilisce (art. 2, comma 6°) che, dopo la comunicazione all’utenza di cui si è detto, non è più consentita la revoca dell’astensione collettiva, salvo che sia intervenuto un accordo risolutivo del conflitto ovvero vi sia stata richiesta da parte della Commissione di garanzia o dell’autorità competente per la precettazione.
Nel caso in cui quest’obbligo non venga rispettato, l’art. 7 bis legittima gli utenti a proporre una sorta di class action nei confronti delle oo.ss inadempienti.
Infine l’obbligo di preavviso è escluso nei casi limite di sciopero in difesa dell’ordine costituzionale e di protesta per gravi eventi lesivi dell’incolumità e della sicurezza dei lavoratori (art. 2, comma 7°).
La Commissione ha esteso tale obbligo pubblicitario anche alle organizzazioni sindacali che intendono aderire a uno sciopero promosso da altri soggetti.
C) L’individuazione, nei contratti collettivi (e nei codici di autoregolamentazione della astensione dei lavoratori autonomi, professionisti e piccoli imprenditori), delle prestazioni indispensabili che devono essere comunque assicurate durante lo sciopero nei servizi pubblici essenziali, unitamente alle modalità e alle procedure di erogazione delle stesse.
Nella versione originaria della legge, tale determinazione delle prestazioni indispensabili doveva essere effettuata avendo riguardo esclusivamente al rispetto del diritto di sciopero e dei diritti costituzionali tassativamente individuati. La riforma del 2000 invece ha innovato la disciplina, attribuendo particolare rilevanza anche alla necessità di salvaguardare gli impianti.
È possibile disporre l’astensione dallo sciopero di quote strettamente necessarie di lavoratori tenuti a tali prestazioni indispensabili, indicando in tal caso le modalità per l’individuazione di questi ultimi, ovvero disporre forme di erogazione periodica.
Gli accordi e i codici di autoregolamentazione devono altresì indicare intervalli minimi da osservare tra l’effettuazione di uno sciopero e la proclamazione del successivo, quando ciò sia necessario ad evitare che, per effetto di scioperi proclamati in successione anche da soggetti sindacali diversi e che incidono sullo stesso servizio finale o sullo stesso bacino di utenza, sia oggettivamente compromessa la continuità dei servizi pubblici.
A riguardo si distingue tra “intervalli minimi soggettivi”, la cui previsione mira ad evitare che uno stesso sindacato proclami più scioperi ravvicinati, e “intervalli minimi oggettivi” che vietano l’indizione di scioperi coincidenti o ravvicinati da parte di organizzazioni sindacali distinte, purché le eventuali astensioni siano idonee a pregiudicare i diritti e la fruizione dei servizi da parte di uno stesso gruppo di utenti.
Per quanto attiene agli intervalli minimi soggettivi, la Commissione indica immediatamente ai soggetti interessati eventuali violazioni delle disposizioni relative agli intervalli minimi fra successive proclamazioni e può invitare con apposita delibera i soggetti interessati a riformulare la proclamazione differendo l’astensione. Invece, circa gli intervalli minimi oggettivi, tale organismo può anche rilevare l’eventuale concomitanza tra interruzioni o riduzioni di servizi pubblici alternativi e può invitare i soggetti la cui proclamazione sia stata comunicata successivamente in ordine di tempo a posticipare l’astensione collettiva ad altra data.
Tuttavia, secondo gli orientamenti più recenti la Commissione non dispone l’automatico differimento delle astensioni successive, bensì privilegia un loro concentramento con quelle proclamate precedentemente così da evitare un uso strumentale della disposizione da parte sindacati minori con il solo scopo di delegittimare quelli più rappresentativi.
Nel caso in cui le prestazioni indispensabili e le altre misure di salvaguardia dei diritti costituzionalmente protetti degli utenti (tra cui vanno annoverati anche gli intervalli minimi) non siano previste dai contratti collettivi e dai codici di autoregolamentazione o, se previste, siano valutate inidonee, la Commissione di garanzia (istituita soprattutto al fine di valutare l’idoneità delle misure volte ad assicurare il contemperamento dell’esercizio del diritto di sciopero con il godimento dei diritti della persona costituzionalmente garantiti – art. 12 della legge) interviene, formulando una propria proposta di regolamentazione e, in caso di mancata accettazione della stessa, detta una disciplina provvisoria della materia, che si impone alle parti contrapposte (o alle associazioni o agli organismi di rappresentanza delle categorie di lavoro autonomo, professionisti, etc. interessate) nonché agli enti erogatori del servizio e alla generalità dei lavoratori ad esso addetti (o ai lavoratori autonomi, professionisti e piccoli imprenditori) fino a quando non intervenga una disciplina convenzionale o autonoma ritenuta idonea dalla Commissione.
Questa efficacia generale della disciplina disposta dalla Commissione, in provvisoria sostituzione di un accordo o di un codice di autodisciplina, in ipotesi ritenuto inidoneo, sostiene l’assunto di gran lunga prevalente in dottrina e nella giurisprudenza, relativamente altresì al carattere vincolante dell’accordo collettivo ritenuto idoneo anche per i lavoratori non iscritti al sindacato stipulante, nonché per i sindacati o altri organismi estranei alla stipulazione che promuovono o aderiscono ad una astensione collettiva.
Una tale interpretazione della norma di legge trova del resto una significativa conferma, sul piano letterale, nell’art. 2, comma 3° della legge, che impone a qualsivoglia soggetto collettivo che proclama lo sciopero o vi aderisce, alle amministrazioni o imprese erogatrici del servizio essenziale e ai lavoratori ad esso addetti, senza distinguere tra iscritti o meno al sindacato stipulante, il “rispetto delle modalità e delle procedure di erogazione delle prestazioni indispensabili e delle altre misure di cui al comma 2”; altro riscontro su piano letterale è poi rinvenibile nell’art. 4 della legge che, prevedendo sanzioni a carico dei medesimi soggetti, ove non rispettino quanto previsto dagli accordi, non fa alcuna distinzione tra lavoratori iscritti o non alle organizzazioni stipulanti né fra queste ultime e le altre.
Compiti della Commissione di Garanzia
Come emerso nel paragrafo precedente, la Commissione svolge principalmente un duplice compito: da un lato, esegue una funzione di controllo -effettuando (anche di propria iniziativa) un giudizio di idoneità della disciplina contenuta nei contratti e nei regolamenti circa le prestazioni indispensabili e le relative modalità di erogazione-; dall’altro, svolge un ruolo regolatorio vero e proprio sia pure in un’ottica suppletiva.
Entrambi i compiti devono essere svolti considerando una serie di parametri il cui rispetto dovrebbe garantire il principio di contemperamento dei diversi diritti costituzionali coinvolti, ossia:
- devono essere tenute in considerazione le previsioni contenute negli atti di autoregolamentazione vigenti in settori analoghi o similari, nonché negli accordi sottoscritti nello stesso settore delle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale;
- non devono essere compromessi i diritti della persona indicati dalla legge al fine di individuare la nozione di servizi pubblici essenziali.
In ogni caso, il legislatore ha altresì previsto delle soglie massime quantitative in forza delle quali:
- le prestazioni devono essere contenute in misura non eccedente mediamente il 50 per cento delle prestazioni normalmente erogate;
- le prestazioni devono riguardare quote strettamente necessarie di personale non superiori mediamente ad un terzo del personale normalmente utilizzato per la piena erogazione del servizio nel tempo interessato dallo sciopero, tenuto conto delle condizioni tecniche e della sicurezza;
- nel caso in cui sia necessario assicurare fasce orarie di erogazione dei servizi, questi ultimi devono essere garantiti nella misura di quelli normalmente offerti e pertanto non rientrano nella predetta percentuale del 50 per cento.
In ogni caso, eventuali deroghe da parte della Commissione, per casi particolari, devono essere adeguatamente motivate con specifico riguardo alla necessità di garantire livelli di funzionamento e di sicurezza strettamente occorrenti all’erogazione dei servizi.
La Commissione svolge anche ulteriori compiti eterogenei:
- esprime il proprio giudizio sulle questioni interpretative o applicative dei contenuti degli accordi o codici di autoregolamentazione (su richiesta congiunta delle parti o di propria iniziativa);
- nel caso di dissensi sull’interpretazione dei contratti o dei codici emana un lodo se le parti ne fanno entrambe richiesta;
- se il servizio è svolto con il concorso di una pluralità di amministrazioni ed imprese convoca le amministrazioni e le imprese interessate, incluse quelle che erogano servizi strumentali, accessori o collaterali, e le rispettive organizzazioni sindacali, e formula alle parti interessate una proposta intesa a rendere omogenei i regolamenti;
- può assumere informazioni o convocare le parti in apposite audizioni, per verificare se sono stati esperiti i tentativi di conciliazione e se vi sono le condizioni per una composizione della controversia, e nel caso di conflitti di particolare rilievo nazionale può invitare, con apposita delibera, i soggetti che hanno proclamato lo sciopero a differire la data dell’astensione dal lavoro per il tempo necessario a consentire l’ulteriore tentativo di mediazione;
- indica immediatamente ai soggetti interessati eventuali violazioni delle disposizioni relative al preavviso, alla durata massima, all’esperimento delle procedure preventive di raffreddamento e di conciliazione, ai periodi di franchigia, agli intervalli minimi tra successive proclamazioni, e ad ogni altra prescrizione riguardante la fase precedente all’astensione collettiva, e può invitare, con apposita delibera, i soggetti interessati a riformulare la proclamazione in conformità alla legge e agli accordi o codici di autoregolamentazione differendo l’astensione dal lavoro ad altra data;
- segnala all’autorità competente le situazioni nelle quali dallo sciopero o astensione collettiva può derivare un imminente e fondato pericolo di pregiudizio ai diritti della persona costituzionalmente tutelati e formula proposte in ordine alle misure da adottare con l’ordinanza di precettazione per prevenire il predetto pregiudizio;
- assume informazioni dalle amministrazioni e dalle imprese erogatrici di servizi circa l’applicazione delle delibere sulle sanzioni e circa gli scioperi proclamati;
- riferisce ai Presidenti delle Camere, su richiesta dei medesimi o di propria iniziativa, sugli aspetti di propria competenza dei conflitti nazionali e locali relativi a servizi pubblici essenziali;
- nell’ipotesi di dissenso tra le organizzazioni sindacali dei lavoratori su clausole specifiche concernenti l’individuazione o le modalità di effettuazione delle prestazioni indispensabili, indice una consultazione tra i lavoratori interessati sulle clausole cui si riferisce il dissenso, indicando le modalità di svolgimento.
Da tale panoramica emerge chiaramente come questi compiti interessino essenzialmente due profili: la formulazione delle regole e la gestione del singolo conflitto; entrambi si collocano in un’ottica di mediazione tra tutte le parti coinvolte nella vicenda al fine di scongiurare l’intervento dell’Autorità precettante.
Oltre a ciò, la Commissione è dotata di specifici poteri sanzionatori che saranno esaminati nel prossimo paragrafo.
Le sanzioni
Nei confronti dei lavoratori che partecipino ad uno sciopero illegittimo, la legge prevede la possibile irrogazione di sanzioni disciplinari proporzionate alla gravità dell’infrazione, escluso comunque il licenziamento e le misure che comportino mutamenti definitivi del rapporto.
L’importo delle eventuali sanzioni di carattere pecuniario è versato dal datore di lavoro all’INPS, gestione dell’assicurazione obbligatoria per la disoccupazione involontaria.
Nei confronti delle organizzazioni dei lavoratori che proclamino o aderiscano ad uno sciopero in violazione degli obblighi sanciti dalla legge, sono previste le sanzioni della sospensione dai permessi sindacali retribuiti, della mancata percezione dei contributi sindacali trattenuti sulla retribuzione (per la durata dell’astensione e comunque per un ammontare complessivo non inferiore ad € 2.500 e non superiore ad €50.000), da versare in tal caso all’INPS nella gestione prima indicata, nonché la sanzione della esclusione dalle trattative per un periodo di due mesi dalla cessazione del comportamento.
Nel caso in cui non siano applicabili tali sanzioni (ad es. perché il sindacato non partecipa a trattative o non fruisce di permessi sindacali, etc.), la legge prevede una sanzione amministrativa pecuniaria, oscillante tra un minimo di € 2.500 ad un massimo di € 50.000, a carico di coloro che rispondono legalmente per l’organizzazione sindacale responsabile.
Infine, nei confronti dei dirigenti delle amministrazioni e dei legali rappresentanti delle imprese ed enti che erogano i servizi pubblici essenziali, che non osservino gli obblighi derivanti dagli accordi o dalla regolamentazione provvisoria dettata dalla Commissione di garanzia o gli obblighi di informazione alla clientela stabiliti dalla legge, è prevista una sanzione amministrativa pecuniaria da € 2.500 ad € 50.000, applicata con ordinanza ingiunzione della direzione territoriale del lavoro.
Alla medesima sanzione sono soggette le associazioni e gli organismi rappresentativi dei lavoratori autonomi, professionisti o piccoli imprenditori in solido con i singoli lavoratori autonomi, professionisti e piccoli imprenditori che, aderendo alla protesta, si siano astenuti dalle prestazioni in violazione dei codici di autoregolamentazione o della regolazione provvisoria della Commissione di garanzia.
Diversamente da quanto previsto per lo sciopero dei dipendenti, per il quale sono stabilite, in caso di violazione delle regole, sanzioni distinte per sindacati e lavoratori in relazione a condotte autonome, in caso di astensione dei lavoratori autonomi, professionisti o piccoli imprenditori, la legge prescrive, in maniera irragionevole, una unica sanzione, posta in via solidale a carico sia degli astenuti che delle relative associazioni rappresentative.
L’art. 4, co. 4-quater, statuisce che le sanzioni descritte vengano deliberate dalla Commissione di garanzia a seguito di un apposito procedimento promosso per valutare esclusivamente il comportamento delle organizzazioni sindacali, delle amministrazioni, delle imprese, ma l’esplicito rinvio contenuto nell’art. 13 , co. 1, lett. i), estende l’applicabilità della relativa disciplina anche ai procedimenti instaurati al fine di sindacare la condotta dei singoli lavoratori.
L’unica differenza consiste nel fatto che la Commissione applica direttamente le sanzioni previste a carico delle organizzazioni sindacali e dei dirigenti responsabili delle amministrazioni pubbliche, nonché dei rappresentati legali delle imprese; mentre, sono demandate alle amministrazioni pubbliche o alle imprese erogatrici le sanzioni disciplinari da irrogarsi ai dipendenti. In quest’ultimo caso, in seguito alla valutazione negativa operata dalla Commissione del comportamento dei lavoratori, l’amministrazione o l’impresa erogatrice sarà obbligata ad aprire il relativo procedimento disciplinare -pena l’irrogazione di sanzioni amministrative-, potendo il datore solo scegliere la tipologia di sanzione da applicare (comunque nei limiti previsti dalla legge). Nel caso in cui il procedimento disciplinare a carico dei lavoratori sia stato aperto prima della conclusione della procedura di valutazione del comportamento delle parti operato dalla Commissione, le relative sanzioni potranno essere irrogate solo al termine di quest’ultimo procedimento amministrativo.
La Commissione stabilisce altresì il termine entro cui la sua decisione deve essere eseguita.
Il procedimento (in cui è assicurato il contraddittorio delle parti come prescritto da Corte Cost. 20 febbraio 1995 n. 57) può essere avviato, oltre che d’ufficio o su istanza di una delle parti interessate, anche dalle organizzazioni dei consumatori e degli utenti riconosciute ai fini di cui alla legge 30 luglio 1998 n. 281., nonché dalle autorità nazionali o locali che vi abbiano interesse. Questi soggetti hanno altresì la legittimazione ad agire in giudizio nei confronti sia delle organizzazioni sindacali (in caso di revoca dello sciopero dopo la relativa comunicazione all’utenza o quando questo venga effettuato nonostante la delibera di invito della Commissione di garanzia a differirlo e da ciò consegua un pregiudizio per il “diritto degli utenti ad usufruire con certezza dei servizi pubblici”) che delle amministrazioni e delle imprese che erogano il servizio (quando non vengano fornite adeguate informazioni), per ottenere ordini di inibizione o di eliminazione o correzione degli effetti del comportamento dannoso o anche solo la pubblicazione della sentenza che accerta la violazione, a spese del responsabile.
L’atto di inizio del procedimento di valutazione del comportamento delle parti deve essere notificato ai soggetti interessati che hanno 30 giorni per presentare osservazioni o chiedere di essere sentite; decorso tale termine e comunque non oltre sessanta giorni dall’apertura del procedimento, la Commissione formula la propria valutazione e, se valuta negativamente il comportamento, tenuto conto anche delle cause di insorgenza del conflitto, delibera le sanzioni.
La precettazione
Oggetto di specifica disciplina nella legge n. 146 del 1990, come modificata dalla successiva legge n. 83 del 2000, la precettazione è prevista nel caso in cui “sussista il fondato pericolo di un pregiudizio grave ed imminente ai diritti della persona costituzionalmente tutelati di cui all’art. 1, comma 1°, che potrebbe essere cagionato dall’interruzione o dalla alterazione del funzionamento dei servizi pubblici di cui all’art. 1, conseguente all’esercizio dello sciopero o dell’astensione collettiva” (art. 8 della legge).
Il riferimento operato dal legislatore alla necessaria gravità e imminenza del pericolo deve essere interpretato nel senso che l’astensione dal lavoro non deve causare un semplice fastidio all’utenza ma deve pregiudicare in modo non tollerabile l’esercizio dei diritti degli utenti e che tale pregiudizio deve essere ritenuto molto probabile – anche se non attuale – sulla base di una valutazione previsionale.
Si tratta di una ordinanza adottata da un organo del potere esecutivo (il Presidente del Consiglio o un Ministro da lui delegato, se il conflitto presenta rilevanza nazionale; il Prefetto negli altri casi), su richiesta della Commissione di garanzia o, in caso di necessità e urgenza, d’ufficio, preceduta da un invito alle parti a desistere dai comportamenti che determinano la situazione di pericolo, nonché da un tentativo di conciliazione. Nel caso che il tentativo non riesca, viene adottata l’ordinanza contiene “le misure necessarie a prevenire il pregiudizio ai diritti della persona costituzionalmente tutelati di cui all’art. 1, comma 1”.
È stato altresì previsto che l’ordinanza debba essere adottata entro le quarantotto ore precedenti l’inizio dell’astensione collettiva, salvo il caso in cui sia ancora in corso il tentativo di conciliazione oppure sopravvengono ragioni di urgenza.
I possibili contenuti dell’ordinanza sono esemplificati nel secondo comma dell’art. 8 (differimento dell’astensione, riduzione della sua durata, imposizione di livelli minimi di funzionato del servizio, compatibili col godimento dei diritti della persona); alla luce dello scopo precipuo della legge, essi non potrebbero sicuramente essere rappresentati da un divieto puro e semplice di scioperare. In ogni caso, l’autorità precettante deve tenere conto delle indicazioni già fornite dalla Commissione di garanzia al momento della segnalazione iniziale, in modo che vi sia un coordinamento tra l’operato dei due soggetti.
La legge prevede inoltre adeguate modalità di comunicazione dell’ordinanza che, oltre a poter essere giudizialmente contestata dai destinatari con impugnazione avanti al TAR entro un termine brevissimo, peraltro non sospende l’immediata esecutività della precettazione.
L’inadempimento a quanto prescritto nell’ordinanza espone gli autori a sanzioni amministrative pecuniarie, irrogate dall’autorità precettante.
In particolare, se la violazione dell’ordinanza è stata commessa dai lavoratori e dalle organizzazioni sindacali, vi sarà una sanzione amministrativa pecuniaria irrogata con decreto della stessa autorità che ha emanato l’ordinanza ed applicata con ordinanza-ingiunzione della direzione provinciale del lavoro-sezione ispettorato del lavoro. Se la sanzione viene irrogata nei confronti dei singoli prestatori, professionisti o piccoli imprenditori, il relativo ammontare deve essere proporzionato alla gravità dell’infrazione e alle condizioni economiche del destinatario; inoltre, la somma deve comunque essere compresa tra euro 5.000 e euro 50.000. Nel caso in cui invece il destinatario della sanzione sia un’organizzazione sindacale la sanzione può oscillare tra euro 2.500 e euro 50.000 per ogni giorno di mancata ottemperanza, a seconda della consistenza economica dell’organizzazione e della gravità delle conseguenze dell’infrazione.
Al contrario, se la violazione è stata commessa dalla Pubblica Amministrazione e dalle imprese, il mancato rispetto del provvedimento comporterà la sospensione dall’incarico per un periodo non inferiore a trenta giorni e non superiore a un anno.