Questa voce è stata curata da Nicola Gaudenzi e Alexander Bell
Scheda sintetica
Le rappresentanze sindacali sono da sempre portatrici di interessi collettivi di parte: hanno cioè il compito di rappresentare un interesse comune a più individui (nel caso specifico di lavoratori).
Tale obiettivo di rappresentanza non deve essere assimilato alla rappresentanza prevista dal diritto privato: esso infatti non ha come fine il perseguimento di uno specifico interesse individuale (come nel rapporto civilistico tra rappresentante e rappresentato), ma l’individuazione di un interesse “mediato” tra quelli individuali affidati alla singola organizzazione sindacale: un interesse proprio di ogni associazione sindacale.
È per questo motivo che si parla di rappresentatività e non di rappresentanza.
L’importanza dell’individuazione dei sindacati maggiormente rappresentativi nasce dalla necessità da parte dello Stato di avere interlocutori stabili nella predisposizione delle riforme, essendo oggettivamente impossibile rinvenire autonomamente l’interesse di ogni singolo lavoratore.
Se fino al 1970 l’unico indice normativo in grado di individuare le associazioni sindacali dotate di maggiore rappresentatività era l’art. 39 Costituzione, l’entrata in vigore dello Statuto dei lavoratori (Legge 300/1970), e nello specifico dell’art. 19 (Costituzione delle Rappresentanze Sindacali Aziendali), ha portato alla nascita, nel nostro ordinamento, della nozione di sindacato maggiormente rappresentativo, soprattutto con l’obiettivo di attribuire a tali sindacati il potere di costituire le RSA e, loro tramite, di fruire dei relativi diritti.
Nel 1993 prima (con il Protocollo di Intesa che disciplina le RSU) e nel 1995 poi (con il referendum parzialmente abrogativo dell’art. 19 Statuto dei lavoratori) il riferimento alla maggiore rappresentatività sindacale inizia a rivestire un ruolo di minore importanza rispetto al passato: la nascita delle RSU (che si pongono in sostanza come alternativa obbligata alle RSA per i sindacati firmatari l’accordo o che vi aderiscano) e la riforma dell’art. 19 dello Statuto dei Lavoratori (che ha svincolato il potere di costituire le RSA dal requisito della maggiore rappresentatività) hanno sostanzialmente ridimensionato nel nostro ordinamento l’importanza della qualificazione di sindacato maggiormente rappresentativo.
Fonti normative
- Legge 300/1970 (Statuto dei lavoratori), art. 19
- D.Lgs. 165/2001, artt. 42 e 43
- D.Lgs. 23/03/1948, n. 327
- Legge n. 264/1949
- Legge n. 33/1957
- Legge n. 164/1975
- Legge n. 902/1977
- Legge n. 863/1984
- Legge n. 428/1990
- Legge n. 223/1991
- Legge n. 549/1995
- Legge n. 196/1997
- D.Lgs. 396/1997
- D.Lgs. 368/2001
- D.Lgs. 276/2003
Scheda di approfondimento
La situazione prima dello Statuto dei lavoratori
Prima dell’intervento legislativo del 1970 (Legge 300/1970, Statuto dei lavoratori), l’unico riferimento normativo ai fini della individuazione dei sindacati maggiormente rappresentativi era dato dall’art. 39 Costituzione, che individuava come unico parametro la consistenza associativa.
In altre parole, la norma costituzionale attribuisce ai sindacati, previa registrazione, il potere di stipulare contratti collettivi di lavoro vincolanti per tutti i lavoratori appartenenti alla categoria cui il contratto si riferisce, e ciò nell’ambito di una delegazione unitaria di tutti i sindacati registrati, ognuno rappresentato in proporzione ai propri iscritti.
La mancata attuazione dell’articolo nei commi 2 e seguenti (e in parte la mancata disciplina legislativa della registrazione) ha inevitabilmente vanificato la norma.
Le espressioni usate dal legislatore per ovviare a tale vuoto normativo, negli anni seguenti all’entrata in vigore della Costituzione non sono peraltro mai state univoche, richiamandosi talvolta a “organizzazioni di carattere nazionale” (ad es. art. 10, nn.1 e 2, D.Lgs. 23/03/1948, n. 327), all’”importanza numerica” (ad es. artt. 3 e 26, Legge n. 264/1949), o all’importanza tout court delle organizzazioni sindacali (ad es. art. 3 co. 2, Legge n. 33/1957).
L’articolo 19 della Legge 300/1970 (Statuto dei lavoratori)
La nozione di sindacato maggiormente rappresentativo viene introdotta dall’art. 19 della Legge 300/1970 (Statuto dei lavoratori): soltanto i sindacati in possesso dei requisiti di cui all’art. 19 (tra cui, appunto, la maggiore rappresentatività) hanno la possibilità di costituire le RSA (Rappresentanze Sindacali Aziendali, che possono essere costituite ad iniziativa dei lavoratori nelle imprese industriali e commerciali con più di 15 dipendenti in ciascuna unità produttiva, oppure nell’ambito dello stesso comune.
Il limite numerico nelle imprese del settore agricolo è di almeno 6 dipendenti, nonché di fruire dei conseguenti diritti di cui al titolo III della Legge 300/1970 (il diritto di associazione ex art. 20, il diritto di indire referendum al di fuori dell’orario di lavoro ex. art. 21, il diritto alle specifiche tutele previste per i lavoratori facenti parte delle rappresentanze sindacali aziendali ex. art. 22, il diritto alla fruizione di “permessi sindacali” retribuiti e non retribuiti ex. art. 23 e 24, il diritto delle rappresentanze ad avere a disposizione una bacheca o spazio murale per lo svolgimento dell’attività sindacale ex art. 25, il diritto di raccogliere contributi e di proselitismo ex art. 26, il diritto all’uso di appositi locali aziendali per le riunioni sindacali in aziende con almeno 200 dipendenti ex art. 27).
È evidente come il riconoscimento di tali diritti solo ad alcune organizzazioni sindacali (più precisamente a quelle in possesso dei requisiti di cui al citato art. 19) abbia posto il problema di una sua compatibilità con l’art. 39 comma 1 della Costituzione, che invece prevede un diritto incondizionato di organizzazione sindacale.
La Corte Costituzionale, con le sentenze n. 54 del 1974, n. 334 del 1988 e n. 30 del 1990, ha affermato la legittimità della selezione dei sindacati rappresentativi, a cui attribuire diritti e prerogative ulteriori rispetto quelli attribuiti a tutte le organizzazioni sindacali, se tale selezione ha luogo in virtù di elementi giustificativi rispondenti a criteri di ragionevolezza.
La Corte Costituzionale è altresì intervenuta nuovamente con sentenza del 3 luglio 2013, con cui ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 19 nella parte in cui non prevede che la Rappresentanza Sindacale Aziendale sia costituita anche da associazioni sindacali che, pur non avendo sottoscritto contratti collettivi applicati nell’azienda, abbiano partecipato alla trattativa.
Il criterio della rappresentatività, come strumento selettivo, secondo l’orientamento della Corte, è quello che il legislatore ritiene più idoneo a favorire l’aggregazione e il coordinamento “degli interessi dei vari gruppi professionali, di sintesi delle varie istanze rivendicative e di raccordi con lavoratori non occupati”, e quindi permettere “l’ordinato svolgimento del conflitto sociale”.
L’art. 19 dello Statuto dei lavoratori non fornisce alcuna indicazione utile alla definizione del sindacato maggiormente rappresentativo, limitandosi a disporre (prima della parziale abrogazione) che le RSA possono essere costituite, tra l’altro, nell’ambito delle “associazioni aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale”. Era dunque inevitabile che la definizione del sindacato maggiormente rappresentativo fosse demandata alla giurisprudenza, le cui pronunce sul punto sono numerose.
In un primo momento, la giurisprudenza indicava come decisivo per la soluzione del problema lo strumento del fatto notorio ex art. 115, co. 2 cpc (Pret. Massa 02/08/1971, FI, 1972, I, 250; Pret. Forlì 22/12/1972, FI, 1973, I, 3473; Trib. Massa 15/01/1974, RDL, 1974, II, 143; in senso contrario vedi Pret. Taranto 13/09/1976, LPO, 1977, 134).
In altre parole, in una situazione storica caratterizzata dalla preponderante e quasi indiscussa adesione dei lavoratori alle tre storiche confederazioni sindacali (CGIL, CISL e UIL), era considerato, appunto, fatto notorio che questi sindacati fossero maggiormente rappresentativi.
Altre sentenze dello stesso periodo però facevano riferimento al dato numerico di iscritti, considerando tuttavia non sufficiente tale dato se considerato da solo (C.Stato sez. VI 24/06/1975, n. 191, MGL, 1975, 417 e T.A.R. Lazio 05/04/1978, MGL, 1978, 692).
Successivamente, la giurisprudenza ha tentato di dare sistematicità ai criteri adottati tenendo conto, oltre al numero di iscritti, anche della consistenza associativa su tutto l’arco delle categorie (o buona parte di esse), nonché della diffusione territoriale (Cass. 03/11/1976 n. 3993; Cass. 29/10/1981, n. 5664; Cass. 22/09/1978, n. 4270; Cass. 05/06/1981, n. 3653).
La Corte Costituzionale, con la sentenza del 06/03/1974 n. 54, ha sottolineato l’importanza dell’effettività della rappresentatività, avendo come parametro la capacità rappresentativa o esponenziale della confederazione, prescindendo dal livello territoriale ed essendo sufficiente una considerevole dimensione (si veda anche Cass. 18/02/1985, n. 1418).
A partire dagli anni 80, è stata attribuita specifica rilevanza alla partecipazione dell’organizzazione sindacale alla stipula dei contratti collettivi, in combinato con il principio della capacità rappresentativa, affermando così un nuovo principio cui anche la dottrina avrebbe aderito (Cass. 01/03/1986; Cass. 17/03/1986, n. 1820; Cass. 10/07/1991, n. 7622).
A tale orientamento della Cassazione si sono poi affiancate anche diverse pronunce nel merito, rendendo quindi ormai definitiva la scelta giurisprudenziale (nonché dottrinale) di appoggiare tale nuovo orientamento. Talora si è addirittura giunti ad affermare che la semplice sottoscrizione era sufficiente ad indicare un elevato indice di rappresentatività, anche se tale conclusione è stata presto smentita dalla stessa giurisprudenza di merito (Pret. Torino 08/10/1971, NGL, 1971, 963; contra Trib. Genova 24/10/1980, SGL, 1982, 3; Pret. Roma 15/02/1984, GSGL, 1984, 6).
Seguendo queste ultime indicazioni, nella sentenza del 30/3/98 n. 3341 (pres. Pontrandolfi, est. Miani Canevari, in D&L 1998, 627, n. ZEZZA, La Corte di Cassazione riconosce alla Cub la maggiore rappresentatività: una vittoria di Pirro) la Corte di Cassazione sosteneva che è maggiormente rappresentativa (ai sensi dell’art. 19 lett. a Statuto dei lavoratori) la confederazione che:
- abbia l’adesione d’organizzazioni di vari settori dell’industria, del terziario e del pubblico impiego, con un numero non esiguo di aderenti (il dato numerico, ai fini della verifica di un’equilibrata distribuzione tra i settori, non è in sé decisivo quando sia in ogni modo osservabile un’apprezzabile consistenza organizzativa);
- abbia diffusione territoriale (desumibile anche dalle attestazioni della PA, dal Ministero del Lavoro, o, comunque, dagli stessi accertamenti giudiziari);
- abbia diretta implicazione in conflitti di lavoro o in azioni per l’organizzazione di scioperi.
La giurisprudenza ha anche precisato che gli indici di cui sopra rilevano in sé e oggettivamente, a prescindere da qualsiasi comparazione con altre confederazioni sindacali: ciò evidentemente comporta la possibilità che la maggiore rappresentatività possa essere riconosciuta anche a confederazioni sindacali significativamente più piccole rispetto ai sindacati storici.
L’Accordo interconfederale del 1993
Con l’Accordo interconfederale del 1993, stipulato fra le tre maggiori Confederazioni (Cgil, Cisl e Uil) e i sindacati imprenditoriali, è stata istituita la RSU (Rappresentanza Sindacale Unitaria).
Tale accordo non ha determinato l’abrogazione dell’art. 19 Legge 300/1970 (né ovviamente poteva farlo), ma le associazioni sindacali firmatarie Accordo interconfederale del 1993 hanno concordato che, costituendo una RSU, l’associazione sindacale avrebbe rinunciato a costituire la RSA per il periodo di vigenza della RSU.
La RSU è eletta democraticamente da tutti i lavoratori in azienda su liste presentate dalle associazioni sindacali firmatarie il Protocollo del 23 luglio 1993 (Cgil, Cisl e Uil), oppure da quelle firmatarie del CCNL applicato nell’unità produttiva che abbiano dato adesione formale all’Accordo del 20 dicembre 1993 (tale accordo è stato firmato ad integrazione di quello del 23 luglio, atto a disciplinare le stesse RSU), oppure ancora da quelle formalmente costituite con proprio statuto e atto costitutivo, a condizione che accettino espressamente la disciplina dell’Accordo del 20 dicembre 1993 e che la lista dalle stesse presentata sia sottoscritta da almeno il 5% lavoratori aventi diritto al voto.
I seggi vengono assegnati in maniera proporzionale sulla base dei voti ricevuti, e ciò nel limite dei 2/3 dei seggi a disposizione, giacché 1/3 di essi rimane riservato alla designazione da parte dei sindacati firmatari del contratto collettivo applicato nell’unità produttiva.
Con la sentenza del Tribunale di Teramo del 18/06/2004, si è sostenuto che a seguito della adesione all’Accordo interconfederale del 20 dicembre 1993, l’associazione sindacale rinuncia implicitamente a costituire rappresentanze sindacali aziendali, attesa la clausola di salvaguardia di cui all’art. 8 del suddetto Accordo interconfederale.
Né la mancata costituzione di RSU nell’unità produttiva legittima l’attribuzione alle organizzazioni sindacali della facoltà di indizione di assemblee retribuite all’interno dell’orario di lavoro, atteso che l’iniziativa di indizione da parte delle organizzazioni sindacali presuppone la costituzione già avvenuta di rappresentanze sindacali aziendali (che nella fattispecie non risultava esservi stata e che non era più possibile a norma dell’art. 8 dell’Accordo Interconfederale del 20 dicembre 1993), ovvero di rappresentanze sindacali unitarie (non ancora costituite nell’unità produttive) (Trib. Teramo 18/6/2004, decr., Est. Santini, in Lav. nella giur. 2004).
Come si vede, a seguito della nascita delle RSU, il requisito della maggiore rappresentatività continua ad avere rilevanza esclusivamente per quei sindacati che non abbiano aderito formalmente all’accordo per la costituzione della RSU. In tal caso, quindi, all’interno della medesima unità produttiva, si potrebbero avere sia una RSA che una RSU.
Il referendum del 1995 ed il nuovo art. 19
La riformulazione dell’articolo 19 della Legge 300/1970 a seguito del referendum popolare del 1995 ha portato ad una revisione importante in merito all’accesso alla costituzione delle RSA da parte delle associazioni sindacali.
Requisito per la costituzione delle rappresentanze non è più infatti la maggiore rappresentatività, ma il solo fatto che il sindacato abbia sottoscritto un qualunque contratto collettivo applicato nell’unità produttiva in questione, a prescindere dal livello di tale contratto.
La giurisprudenza ha riconosciuto che i contratti in questione possono anche essere quelli di tipo gestionale, ovvero accordi di gestione delle crisi aziendali (per esempio in tema di Cassa Integrazione Guadagni o di mobilità), giacché tali contratti, pur essendo volti a porre regole dirette a delimitare l’ambito del potere del datore di lavoro, concorrono a disciplinare importanti aspetti del rapporto di lavoro, e costituiscono fonte di diritti per i lavoratori che degli stessi possono pretendere l’attuazione (Cass. 9/1/2008 n. 212, Pres. Ciciretti Est. Vidiri, in D&L 2008, con nota di Angelo Beretta, “Il requisito di diffusione nazionale nell’art. 28 SL, 97). Tra le decisioni di merito si veda Pret. Milano 11/1/97, in D&L 1997, 259, nota di Franceschinis, Accordi aziendali e costituzione di Rsa ex art. 19 SL, che sosteneva la riconoscibilità dei diritti ex art. 19 anche al sindacato che avesse sottoscritto accordi aziendali regolanti istituti vari di gestione di eccedenze occupazionali (Cassa integrazione guadagni, contratti di solidarietà, part-time, piani di riqualificazione), con conseguente antisindacalità del disconoscimento di tale potere di costituzione.
In senso diametralmente opposto, a conferma della difficoltà di giungere ad un orientamento uniforme, rileva la sentenza della Cassazione n. 19275 del 11/07/2008 (in Lav. nella giur. 2009, 1, 45, nota di Ratti).
In tale pronuncia, infatti, si afferma che “la capacità dell’organizzazione sindacale di accreditarsi come interlocutrice stabile dell’imprenditore è testimoniata dalla stipulazione di un contratto collettivo, certamente di qualunque livello, ma non di qualunque natura, dovendo trattarsi di un contratto con caratteristiche tali da attestare l’effettività dell’azione sindacale, rappresentando un arco di interessi più vasto di quello dei soli iscritti, e incidendo su diversi istituti che regolino i rapporti di lavoro e non su meri episodi contingenti della vita dell’azienda.
Ne consegue che il riferimento nell’art. 19 dello Statuto dei Lavoratori alle associazioni sindacali firmatarie di contratti collettivi riguarda le organizzazioni firmatarie di contratti collettivi normativi e non anche di contratti gestionali, che non rientrano nella previsione di cui all’art. 39 Costituzione e non sono, per loro natura, atti a comprovare la rappresentatività richiesta dalla norma.”
In ogni caso, comunque, si è pacificamente affermato che non è sufficiente che il sindacato sia firmatario del contratto collettivo del settore, ma è necessario che il suddetto contratto sia effettivamente applicato all’interno dell’unità produttiva.
Si è inoltre sottolineato che non è determinante la spontanea applicazione, da parte del datore di lavoro, di alcune soltanto delle clausole contrattuali previste nel contratto collettivo, se ad esse si accompagna l’esclusione di altre o comunque l’esplicitazione della volontà di non prestare adesione all’intero contratto (Cass. 30/7/2002, n. 11310, Pres. Sciarelli, Est. Cataldi, in Riv. it. dir. lav. 2003, 192).
Si può quindi concludere che è legittimato alla costituzione di RSA il sindacato che abbia sottoscritto un contratto collettivo aziendale che regolamenti un aspetto almeno non marginale del rapporto di lavoro (Trib. Milano 30/6/99, pres. ed est. Mannacio, in D&L 1999, 812) e nella sola ipotesi in cui tale sottoscrizione costituisca il momento terminale di una partecipazione effettiva alle trattative sindacali, con esclusione quindi dei sindacati che si limitino ad aderire all’accordo (Cass. 21/7/2005 n. 15296, Pres. Senese Rel. Lamorgese, in Lav. e prev. oggi 2005, 1455, Pret. Milano 29/1/96, est. Negri della Torre, in D&L 1996, 377).
Si vede quindi che la maggiore rappresentatività, già ridimensionata dagli accordi relativi alla RSU, ha perso ogni rilievo al fine della costituzione di rappresentanze di lavoratori a livello aziendale, ciò però non significa che l’istituto abbia del tutto perduto rilevanza e attualità.
La maggiore rappresentatività nelle disposizioni diverse dallo Statuto dei lavoratori
Al di là dell’applicazione o meno del titolo III della Legge 300/1970, il requisito della maggiore rappresentatività è richiesto dal legislatore anche ad altri fini, diversi da quelli previsti dall’art. 19 dello Statuto nella sua originaria disposizione.
Pertanto, la nozione di sindacato maggiormente rappresentativo sopravvive alla riforma della norma sopra richiamata, seppur con riferimento a specifici aspetti delle relazioni sindacali.
Un importante caso di richiamo ad un generico requisito di maggiore rappresentatività si ha nelle previsioni normative in tema di cassa integrazione e di mobilità.
In primo luogo, in tema di cassa integrazione, sia ordinaria che straordinaria, l’art. 5 L. 164/1975 configura l’obbligo per il datore di lavoro di comunicare (in mancanza delle RSA) alle “organizzazioni sindacali di categoria dei lavoratori più rappresentative operanti nella provincia” la durata prevedibile della contrazione o sospensione dell’attività lavorativa, e il numero di lavoratori interessati in tale procedura.
Con riferimento solo alla cassa integrazione straordinaria, l’art. 1 co. 7 della Legge n. 223/1991 estende l’obbligo di informazione anche sui criteri di individuazione dei lavoratori da sospendere, nonché alle modalità della rotazione. In ogni caso, all’informazione può seguire, a richiesta di parte sindacale, l’esame congiunto.
Inoltre, l’art. 1 co. 2 della Legge n. 223/1991 prevede, in caso di modifica del programma attinente la procedura di intervento straordinario di integrazione salariale, la consultazione da parte dell’impresa delle “organizzazioni sindacali di categoria dei lavoratori più rappresentative operanti nella provincia”.
In tema di mobilità dispone invece l’art. 4 della Legge n. 223/1991, dove è fatto riferimento alle “associazioni sindacali di categoria dei lavoratori maggiormente rappresentative sul piano nazionale” (in mancanza della RSA) in merito alla procedura d’informazione-consultazione sindacale.
In questo caso, l’informazione deve riguardare:
- i motivi che determinano la situazione d’eccedenza;
- i motivi tecnici, organizzativi o produttivi ostativi all’adozione di misure idonee ad evitare, in tutto o in parte, la mobilità;
- il numero, la collocazione e i profili professionali del personale eccedente, nonché di quello abitualmente impegnato;
- dei tempi di attuazione del programma di mobilità;
- delle eventuali misure programmate per fronteggiare le conseguenze sul piano sociale dell’attuazione del programma medesimo;
- del metodo di calcolo delle attribuzioni patrimoniali diverse da quelle già previste dalla legge e dal contratto.
Il co. 9 del medesimo art. 4 attribuisce poi, agli stessi soggetti titolari del descritto diritto di informazione- consultazione, il diritto di ricevere l’elenco dei lavoratori collocati in mobilità (con l’indicazione, per ciascuno, di una serie di dati, tra cui la puntuale indicazione delle modalità applicative dei criteri di scelta), che il datore di lavoro deve inviare al termine della procedura sindacale e contestualmente alle lettere di licenziamento.
Bisogna ancora ricordare l’ art. 2 Legge n. 902/1977, che disciplina la suddivisione dei patrimoni residui delle organizzazioni sindacali fasciste, attribuendone una piccola percentuale (pari al 7%) alle associazioni “maggiormente rappresentative tenuto conto: della consistenza numerica dei soggetti rappresentati; dall’ampiezza e diffusione delle strutture organizzative; della loro partecipazione alla formazione e stipulazione di contratti collettivi di lavoro; della loro effettiva partecipazione alla trattazione delle controversie individuali, plurime e collettive di lavoro”.
La norma ha sollecitato un dibattito in merito alla possibilità di estendere i requisiti ivi indicati al fine di riconoscere la maggiore rappresentatività anche alla nozione di maggiore rappresentatività ex art. 19 Statuto dei lavoratori.
Tuttavia, la giurisprudenza ha sottolineato come fossero diverse le finalità perseguite da tale articolo rispetto alle disposizioni dell’art. 19 della Legge 300/1970, e conseguentemente non sovrapponibili (Pret. Genova 16/10/1978, RGL, 1979, II, 188; Trib. Genova 24.10/1980 e Pret. Venezia 25/09/1981, FI, 1982, I, 2570, con nota di Curzio. Contrario a tale orientamento, Trib. Napoli 21/04/1983, L80, 1984, 623 che ritiene “grandemente a rassomigliare ai tratti caratteristici estrapolati per le significative attribuzioni degli artt. 19 e ss dello statuto, con consequenziali mutabilità delle due elaborazioni”).
Per Cass. 21/02/1984, n. 1256 invece, le organizzazioni sindacali individuate come beneficiarie della attribuzione del 93% del patrimonio (quindi quelle tassativamente elencate dalla tabella allegata alla legge) avrebbero ricevuto un’implicita valutazione di rappresentatività che andava al di là dei limiti della legge stessa.
La prova della rappresentatività era quindi da escludersi per tali organizzazioni. Rimaneva obbligatoria invece per tutte le altre organizzazioni, escluse dall’elenco tassativo.
Tale orientamento è stato poi smentito da Cass. 01/03/1986, n. 1320, Pret. Pisa 30/11/1990, RIDIL, 1991, II, 493 e Pret. Foggia 04/02/1988, RIDIL, 1988, II, 607: si riteneva infatti che l’inclusione in tale lista fosse da considerarsi solamente valore indiziario ai fini della valutazione sulla maggiore rappresentatività, tornando quindi ad una nozione sostanzialmente relativistica di tale indice.
Il legislatore ha poi utilizzato il requisito della maggiore rappresentatività sindacale con riferimento alla possibilità per le organizzazioni sindacali di stipulare contratti di solidarietà.
L’art. 1 Legge 863/1984 prevede infatti che “Il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, acquisito il parere di cui al successivo comma 3 e comunque scaduto il termine ivi previsto, concede il trattamento di integrazione salariale” agli “operai ed agli impiegati delle imprese industriali” che “abbiano stipulato contratti collettivi aziendali, con i sindacati aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale, che stabiliscano una riduzione dell’orario di lavoro al fine di evitare, in tutto o in parte, la riduzione o la dichiarazione di esuberanza del personale anche attraverso un suo più razionale impiego”.
Il sindacato comparativamente più rappresentativo
Il progressivo superamento della nozione di sindacato maggiormente rappresentativo è attestato anche dal fatto che il legislatore indichi sempre più frequentemente, quale interlocutore del datore di lavoro, il sindacato comparativamente più rappresentativo.
Si vedano, al riguardo:
- L’art. 10, co. 7 D.Lgs. 368/2001: la norma prevede che “la individuazione, anche in misura non uniforme, di limiti quantitativi di utilizzazione dell’istituto del contratto a tempo determinato stipulato ai sensi dell’articolo 1, comma 1, è affidata ai contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi”.
- L’art. 20, co. 4 D.Lgs. 276/2003, che in tema di somministrazione richiama espressamente le revisioni del D.Lgs. 368/2001: “La somministrazione di lavoro a tempo determinato è ammessa a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili all’ordinaria attività dell’utilizzatore. La individuazione, anche in misura non uniforme, di limiti quantitativi di utilizzazione della somministrazione a tempo determinato è affidata ai contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati da sindacati comparativamente più rappresentativi in conformità alla disciplina di cui all’articolo 10 del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368”
- Anche l’art 58 co. 2 D.Lgs. 276/2003 segue la linea di richiamo dell’articolo 20: “Salvo diversa previsione dei contratti collettivi nazionali o territoriali stipulati da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e dei contratti collettivi aziendali stipulati dalle rappresentanze sindacali aziendali di cui all’articolo 19 della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni, ovvero dalle rappresentanze sindacali unitarie, ai contratti di inserimento si applicano, per quanto compatibili, le disposizioni di cui al decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368.”
- L’art. 47 della Legge 428/1990 in tema di trasferimento d’azienda, richiama al sindacato comparativamente più rappresentativo in via residuale: la disposizione infatti dice che “quando si intenda effettuare, ai sensi dell’articolo 2112 del codice civile, un trasferimento d’azienda in cui sono complessivamente occupati più di quindici lavoratori, anche nel caso in cui il trasferimento riguardi una parte d’azienda, ai sensi del medesimo articolo 2112, il cedente ed il cessionario devono darne comunicazione per iscritto almeno venticinque giorni prima che sia perfezionato l’atto da cui deriva il trasferimento o che sia raggiunta un’intesa vincolante tra le parti, se precedente, alle rispettive rappresentanze sindacali unitarie, ovvero alle rappresentanze sindacali aziendali costituite, a norma dell’articolo 19 della legge 20 maggio 1970, n. 300, nelle unità produttive interessate, nonché ai sindacati di categoria che hanno stipulato il contratto collettivo applicato nelle imprese interessate al trasferimento. In mancanza delle predette rappresentanze aziendali, resta fermo l’obbligo di comunicazione nei confronti dei sindacati di categoria comparativamente più rappresentativi e può essere assolto dal cedente e dal cessionario per il tramite dell’associazione sindacale alla quale aderiscono o conferiscono mandato.”
- L’art. 1 della Legge 196/1997 (fornitura di lavoro temporaneo): al terzo comma, in tema di fornitura di lavoro temporaneo nel campo dell’agricoltura, il legislatore dispone che “i contratti di fornitura di lavoro temporaneo potranno essere introdotti in via sperimentale previa intesa tra le organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale circa le aree e le modalità della sperimentazione. La predetta limitazione non trova applicazione con riferimento ai lavoratori appartenenti alla categoria degli impiegati”. Nello stesso articolo, al comma quarto, dispone che è vietato il ricorso alla fornitura di lavoro temporaneo per “le mansioni individuate dai contratti collettivi nazionali della categoria di appartenenza dell’impresa utilizzatrice stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi, con particolare riguardo alle mansioni il cui svolgimento può presentare maggiore pericolo per la sicurezza del prestatore di lavoro o di soggetti terzi”.
- L’art. 2, co. 25 della Legge n. 549/1995 che ha fornito l’interpretazione autentica di una disposizione previdenziale in materia di fiscalizzazione degli oneri sociali. Ai sensi della legge di interpretazione autentica “in caso di pluralità di contratti collettivi intervenuti per la medesima categoria, la retribuzione da assumere come base per il calcolo dei contributi previdenziali e assistenziali è quella stabilita dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative nella categoria”.
Si può quindi concludere che la rappresentatività non deve essere determinata a priori e consistere in un’attribuzione stabile ed irreversibile del sindacato, ma deve poter essere verificata nel tempo, attraverso la comparazione con le altre associazioni (C.Cost. 04/12/1995 n. 492),e ciò in contrasto con la nozione della maggiore rappresentatività, che si fonda invece su indici assoluti, insuscettibili di confronto con altre organizzazioni sindacali.
L’Accordo interconfederale del 2011 e il Protocollo di intesa del 2013
Il 31 maggio 2013, Confindustria e le confederazioni sindacali CGIL, CISL e UIL hanno firmato un Protocollo d’intesa che introduce significative novità in materia di rappresentanza e rappresentatività per la stipulazione di contratti collettivi nazionali di lavoro.
Detto Protocollo, peraltro, dà attuazione a principi già concordati in un precedente Accordo Interconfederale, stipulato il 28 giugno 2011.
La principale novità delle intese recentemente raggiunte tra le parti sociali consiste nella fissazione di criteri oggettivi per la misurazione della rappresentatività delle organizzazioni sindacali, utile al fine di individuare le organizzazioni legittimate a negoziare e stipulare contratti collettivi nazionali di categoria.
In particolare, l’Accordo del 2011 prevede che siano ammesse ai tavoli negoziali le sole organizzazioni sindacali che rappresentino almeno il 5% del totale dei lavoratori della categoria cui si applica il contratto collettivo nazionale di lavoro (punto 1 dell’Accordo).
Al fine di stabilire la “quota” di rappresentatività espressa dalla singola organizzazione, utile per l’ammissione alla contrattazione collettiva nazionale (allorché sia superata, o quanto meno raggiunta, la suddetta soglia del 5%), occorrerà determinare la media semplice fra la percentuale degli iscritti (sulla totalità degli iscritti) e la percentuale dei voti ottenuti nelle elezioni delle RSU (sul totale dei votanti) – punto 5 del Protocollo d’Intesa in tema di Misurazione della rappresentatività.
Il numero degli iscritti alla singola organizzazione sindacale verrà acquisito e certificato dall’INPS, tramite un’apposita sezione nelle dichiarazioni aziendali (Uniemens), predisposta a seguito di convenzione fra l’Inps e le parti stipulanti l’accordo. L’INPS, una volta elaborato il dato di rappresentatività relativo a ogni organizzazione sindacale per ambito di applicazione del contratto collettivo nazionale di lavoro di competenza, lo trasmetterà al CNEL (punto 2 del Protocollo d’Intesa in tema di Misurazione della rappresentatività).
Ai fini della misurazione del voto espresso da lavoratrici e lavoratori nella elezione della RSU, invece, varranno esclusivamente i voti assoluti espressi per ogni organizzazione sindacale aderente alle Confederazioni firmatarie del Protocollo di Intesa (CGIL, CISL e UIL). Lo stesso criterio si applicherà alle RSU in carica, elette cioè nei 36 mesi precedenti la data in cui verrà effettuata la misurazione. Laddove siano presenti RSA, ovvero non vi sia alcuna forma di rappresentanza, sarà rilevato il solo dato degli iscritti (deleghe certificate) per ogni singola organizzazione sindacale (punto 3 del Protocollo d’Intesa in tema di Misurazione della rappresentatività).
Ancora in tema di rappresentatività, va poi segnalato che con il Protocollo di Intesa del 31 maggio 2013 le parti sociali hanno pattuito che i contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati da organizzazioni sindacali che abbiano complessivamente un livello di rappresentatività nel settore superiore al 50% possano essere efficaci e pienamente esigibili anche nei confronti delle organizzazioni sindacali che non li abbiano sottoscritti ma che aderiscano a una delle tre confederazioni firmatarie del Protocollo, purché siano previamente sottoposti a consultazione certificata dei lavoratori – le cui modalità saranno stabilite dalle categorie per ogni singolo contratto –, con approvazione a maggioranza semplice (Punto 3 del Protocollo, in tema di Titolarità ed efficacia della contrattazione).
La maggiore rappresentatività nelle pubbliche amministrazioni
Per quanto riguarda le organizzazioni sindacali nelle Pubbliche Amministrazioni (che hanno sostanzialmente visto, con il D.Lgs. 396/1997 ed il successivo D.Lgs. 165/2001 un riconoscimento della maggior parte degli istituti già previsti per il rapporto di lavoro privato), la maggiore rappresentatività è individuata dalla legge.
Gli articoli 42 e 43 del Testo Unico sulle P.A. (D.Lgs. 165/2001) prevedono infatti che la maggiore rappresentatività è data dalla media del dato associativo e del dato elettorale. Ciò soprattutto ai fini della costituzione delle RSU aziendali.
Il dato associativo è desumibile dalle ritenute sulla retribuzione a favore del sindacato (tale dato fornisce quindi il numero di iscritti ad una determinata O.S.); il dato elettorale è invece rappresentato dal numero di voti che l’organizzazione sindacale ha ottenuto in una determinata rappresentanza sindacale unica, eletta dai lavoratori.
Un sindacato può dirsi rappresentativo quando la media dei dati sia superiore al 5%.
Si può quindi affermare che, per quanto riguarda le pubbliche amministrazioni, la rappresentatività viene “dal basso”, cioè dai voti espressi dai lavoratori stessi.
Nel caso la media dei due dati superi il 51 % si parla di maggiore rappresentatività collettiva: le organizzazioni sindacali che hanno superato tale soglia sono legittimate a concludere accordi collettivi a livello nazionale (al contrario delle altre associazione che sono titolari della cd maggiore rappresentatività sufficiente, che hanno cioè superato la soglia del 5%, che hanno il solo diritto di costituire le RSU aziendali, senza partecipare alle trattative per i contratti collettivi di livello nazionale).
Casistica di decisioni della Magistratura in tema di sindacati, RSA, RSU, RLS
Sindacati
In genere
- Annullato il Regolamento che aveva istituito l’elenco pubblico delle organizzazioni e associazioni legittimate a promuovere le azioni di classe: illegittimo escludere la titolarità delle associazioni sindacali.
Importante pronuncia del TAR Lazio, in accoglimento delle azioni proposte dalla Cgil e da USB. La legge n. 31/2019 aveva riformato la disciplina della c.d. azione di classe, estendendola oltre i confini della tutela dei consumatori e consentendone l’utilizzo per la difesa di tutti i «diritti individuali omogenei». In sede di regolamento attuativo, tuttavia, il Ministero di Giustizia aveva emanato un regolamento che limitava l’iscrizione all’elenco pubblico dei soggetti legittimati alle organizzazioni del terzo settore, tagliando fuori, tra l’altro, le associazioni sindacali. Il Tribunale ha giudicato irragionevole e priva di fondamento legale tale limitazione, in considerazione della portata generale del rinnovato strumento di tutela giurisdizionale: il provvedimento è stato dunque parzialmente annullato, per la parte in cui non consente l’iscrizione dei sindacati. (TAR Lazio 23/6/2023, Pres. Amodio Est. Viggiano, in Wikilabour, Newsletter n. 13/2023) - A pochi mesi di distanza da Cassazione 35644/2022 (v. Newsletter n. 22/22), i giudici di legittimità tornano a occuparsi del c.d. volantinaggio elettronico, in un caso relativo a un componente della RSU che era stato sanzionato con l’ammonizione scritta per avere effettuato una comunicazione di natura sindacale utilizzando la mail aziendale durante il normale orario di lavoro. Dando continuità ai principi fissati dall’arresto giurisprudenziale del 2022, la Cassazione, nel confermare la sentenza d’appello, osserva che (i) la distribuzione di comunicati a contenuto sindacale mediante la posta elettronica aziendale, essendo assimilabile ad attività di proselitismo, incontra i limiti previsti dall’art. 26, co. 1, St. Lav., e deve pertanto ritenersi consentita solo se effettuata senza pregiudizio per il normale svolgimento dell’attività aziendale; (ii) nel caso di specie, il datore di lavoro non aveva fornito alcuna prova che l’invio della e-mail a contenuto sindacale avesse determinato un effettivo pregiudizio all’attività della società, limitandosi ad allegare un danno meramente ipotetico, insufficiente a giustificare l’irrogazione della sanzione nei confronti del lavoratore. (Cass. 17/3/2023 n. 7799, Pres. Tria Rel. Di Paola, in Wikilabour, Newsletter n. 6/23)
- È costituzionalmente illegittimo l’art. 1475, comma 2, del d.lgs. 15 marzo 2010, n. 66 (Codice dell’ordinamento militare), in quanto prevede che i militari non possono costituire associazioni professionali a carattere sindacale o aderire ad altre associazioni sindacali, invece di prevedere che i militari possono costituire associazioni professionali a carattere sindacale alle condizioni e con i limiti fissati dalla legge e non possono aderire ad altre associazioni sindacali. (Corte Cost. 13/6/2018 n. 120, Pres. Lattanzi Rel. Coraggio, in Riv. It. dir. lav. 2018, con nota di P. Lambertucci, “La Corte Costituzionale e il sindacato delle forze armate e della polizia a ordinamento militare tra incertezze interpretative e rinvio alla legge”, 998)
- Posto che la libertà di aderire al sindacato di cui si condividono le opzioni di politica sindacale implica anche quella di sciogliersi dal vincolo associativo nel momento in cui tali politiche non siano più condivise, l’imposizione della linea di azione da parte della maggioranza, anche qualora comportasse effetti limitativi degli interessi di alcuni, non costituirebbe alcuna violazione dei principi previsti dall’ordinamento in materia di libertà dell’attività sindacale e democraticità dell’organizzazione. (Trib. Roma 9/11/2017, Giud. Cardinali, in Riv. It. Dir. Lav. 2018, con nota di L. Torsello, “Democrazia endosindacale e tutela del dissenso: la maggioranza ha sempre ragione, 218)
- L’art. 9 del d.P.R. n. 58/1978 – che estende alle associazioni sindacali costituite esclusivamente tra lavoratori dipendenti appartenenti alle minoranze linguistiche tedesca e ladina, aderenti alla confederazione maggiormente rappresentativa fra quelle dei lavoratori stessi, i diritti riconosciuti da norme di legge alle associazioni aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale, in ordine alla costituzione di rappresentanze sindacali aziendali e comunque in ordine all’esercizio di tutte le attività sindacali – costituisce un’applicazione all’ambito sindacale del principio costituzionale di tutela delle minoranze linguistiche, garantito dall’art. 6 della Costituzione. (Tar Trentino Alto Adige, sez. Bolzano, 20/5/2015, Pres. Del Gaudio Est. Dell’Antonio, in Riv. it. dir. lav. 2015, con nota di Luca Nogler, “La fine di una ‘gabbia’ etnico-sindacale”, 1134)
- In caso di costituzione di un’associazione sindacale di sacerdoti e laici senza la necessaria autorizzazione delle gerarchie ecclesiastiche, il mancato riconoscimento da parte delle autorità statali non costituisce violazione dell’art. 11 della Cedu in materia di libertà sindacale, rientrando la scelta di riconoscere o no un’associazione sindacale, le cui finalità potrebbero porre a rischio l’autonomia dell’organizzazione religiosa, nel margine di apprezzamento degli Stati contraenti. (CEDU 9/7/2013, ricorso n. 2330/099, Grande Camera, in Riv. giur. lav. prev. soc. 2014, con nota di V. Protopapa, “Libertà sindacale e libertà religiosa. Il (non) bilanciamento della Grande Camera”, 471)
- Gli accordi interconfederali (fra confederazioni sindacali di lavoro e lavoratori) e gli accordi intersindacali (fra sindacati di lavoratori) vincolano solamente le confederazioni stipulanti e non vincolano i sindacati aderenti alle confederazioni, che sono autonomi senza vincoli gerarchici, con autonomia contrattuale equiordinata e paritetica; pertanto le violazioni agli accordi interconfederali e intersindacali hanno rilievo solo politico e di comportamento o endoassociativo, mentre la violazione dell’obbligo di far rispettare gli accordi anche da parte dei sindacati aderenti può essere fatto valere solo dalle confederazioni stipulanti. (Trib. Roma 31/5/2013, Giud. Sennato, in Lav. nella giur. 2013, con commento di Michele Miscione, 702)
- Gli accordi interconfederali e intersindacali, nel prevedere criteri selettivi per la partecipazione alla contrattazione collettiva, sono vincolanti per le confederazioni stipulanti e non per i sindacati aderenti; comunque in base agli accordi i sindacati potrebbero avere solo una possibilità e non un diritto di partecipare alla contrattazione, senza che l’esclusione possa comportare invalidità del contratto stipulato dagli altri sindacati. (Trib. Roma 31/5/2013, Giud. Sennato, in Lav. nella giur. 2013, con commento di Michele Miscione, 702)
- È rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 19 lett. b) della legge n. 300 del 1970, che, consentendo la costituzione delle rappresentanze sindacali aziendali alle sole associazioni che hanno sottoscritto un contratto collettivo applicato nell’unità produttiva, introduce un criterio irragionevole oltre che lesivo della libertà sindacale, in contrasto con gli artt. 3 e 39 della Costituzione. (Trib. Modena 4/6/2012, Giud. Ponterio, in Riv. It. Dir. lav. 2012, con nota di Paola Bellocchi, “Il ‘caso Fiati’ davanti alla Corte Costituzionale: osservazioni sull’art. 19 dello Statuto dei Lavoratori”, e Bruno Caruso, “Fiom v. Fiat: hard cases davanti alla Consulta. (A proposito dell’art. 19 dello Statuto)”, 996, e in D&L 2012, con nota di Alberto Vescovini, “Rappresentanze sindacali aziendali e contrattazione separata: l’art. 19 SL è ancora norma adeguata nell’ambito delle nuove relazioni industriali?”, 375, e in Lav. nella giur. 2013, con commento di Barbara de Mozzi, 279)
- Il lavoratore che sia anche rappresentante sindacale se, quale lavoratore subordinato, è soggetto allo stesso vincolo di subordinazione degli altri dipendenti, si pone, in relazione all’attività di sindacalista, su un piano paritetico con il datore di lavoro, con esclusione di qualsiasi vincolo di subordinazione, giacché detta attività, espressione di una libertà costituzionalmente garantita dall’art. 39 Cost., in quanto diretta alla tutela degli interessi collettivi dei lavoratori nei confronti di quelli contrapposti del datore di lavoro, non può essere subordinata alla volontà di quest’ultimo. Tuttavia, l’esercizio, da parte del rappresentante sindacale, del diritto di critica, anche aspra, nei confronti del datore di lavoro (nella specie, sulla funzionalità del servizio espletato dall’impresa), sebbene garantito dagli artt. 21 e 39 Cost., incontra i limiti della correttezza formale, imposti dall’esigenza, anch’essa costituzionalmente assicurata (art. 2 Cost.), di tutela della persona umana. Ne consegue che, ove tali limiti siano superati con l’attribuzione all’impresa datoriale o ai suoi dirigenti di qualità apertamente disonorevoli e di riferimenti denigratori non provati, il comportamento del lavoratore può essere legittimamente sanzionato in via disciplinare. (Cass. 14/5/2012 n. 7471, Pres. Miani Canevari Est. Tria, in Orient. Giur. Lav. 2012, 251, e in Riv. It. Dir. lav. 2013, Sabrina Grivet-Fetà “Presupposti e limiti del diritto di critica del lavoratore”, 81)
- Il divieto di cessioni parziali di credito di natura retributiva da parte dei lavoratori subordinati pubblici e privati, di cui all’art. 5, DPR 5/1/50 n. 182 come novellato dalle leggi 30/12/04 n. 311 e 14/5/05 n. 80, non ha carattere generale, essendo limitato alla sola estinzione di prestiti contratti con soggetti diversi dagli istituti di credito indicati agli artt. 15 e 53 del TU, sicché sono consentite le cessioni parziali di crediti retributivi al datore di lavoro ai fini di contribuzione sindacale. (Cass. 7/3/2012 n. 3546, Pres. Napoletano Est. Curzio, in D&L 2012, 688)
- Il rifiuto datoriale di eseguire i pagamenti al sindacato delle quote di retribuzione cedute dai lavoratori costituisce inadempimento che, oltre a rilevare sotto il profilo civilistico, si configura anche quale condotta antisindacale ex art. 28 SL, ledendo il diritto del sindacato di acquisire dagli aderenti i mezzi di finanziamento necessari allo svolgimento della propria attività. Tale inadempimento può, tuttavia, essere giustificato – con onere della prova a carico del datore di lavoro – nel caso in cui la cessione comporti, in concreto, un onere aggiuntivo insostenibile per l’azienda, nella specie non configurabile in relazione al solo numero elevato delle cessioni che è proporzionale alle dimensioni dell’organizzazione sindacale e in mancanza di prova del rifiuto del creditore lavoratore cedente a collaborare per un equo contemperamento di interessi. (Cass. 7/3/2012 n. 3546, Pres. Napoletano Est. Curzio, in D&L 2012, 688)
- Il carattere nazionale (del quale deve essere provvista l’organizzazione sindacale per agire ex art. 28 St. lav., ndr) non può desumersi dai dati meramente formali e quindi non è sufficiente un’articolazione nazionale prevista dallo statuto associativo, ma è necessaria anche una effettiva attività diffusa a tale livello. Azione non significa però, necessariamente, stipulazione di contratti collettivi di livello nazionale. (Cass. 17/2/2012 n. 2314, Pres. Ianniello Est. Curzio, in Riv. It. Dir. lav. 2012, con nota di Giovanni Spinelli, “Il pagamento dei contributi sindacali mediante ritenuta sulle retribuzioni. Orientamenti ‘consolidati’ e nuove prospettive”, 927)
- È onere del datore di lavoro, il quale intenda opporsi al pagamento delle quote sindacali da parte dei lavoratori mediante la cessione del credito, dimostrare che tale strumento comporti a proprio carico un nuovo onere, aggiuntivo e insostenibile, in rapporto all’organizzazione aziendale; tale onere probatorio non è assolto ipso facto per la sola circostanza delle grandi dimensioni dell’impresa, posto che maggiori dimensioni occupazionali presuppongono normalmente un’adeguata struttura amministrativa. (Cass. 20/4/2011 n. 9049, Pres. Vidiri Rel. Curzio, in Lav. nella giur. 2011, 738)
- In assenza di espressa disposizione circa l’immediata caducazione dei contratti collettivi vigenti nel pubblico impiego, e sussistendo per contro l’espressa previsione di un iter temporale scandito per l’adeguamento dei contratti collettivi al D.Lgs. 27/10/09 n. 150, il sistema delle relazioni sindacali nel pubblico impiego resta disciplinato, anche dopo l’entrata in vigore del suddetto D.Lgs., dai contratti nazionali vigenti sino alla prevista scadenza. (Trib. Trieste 5/10/2010, Est. Rigon, in D&L 2010, con nota di Luca Busico, “Relazioni sindacali e riforma Brunetta: prime questioni applicative”, 1008)
- Le associazioni sindcali sono legittimate ad agire a tutela dei diritti dei propri iscritti collettivamente considerati: in particolare, la legittimazione a ricorrere avverso un regolamento di riorganizzazione di un Ministero trova conferma nella necessaria partecipazione del sindacato al procedimento di approvazione del regolamento stesso, ai sensi dell’art. 6 del d.lgs. n. 165 del 2001. (TAR Lazio 12/2/2009 n. 1402, Pres. Amoroso Rel. Altavista, in Lav. nelle P.A. 2009, 123)
- Sussiste l’interesse a ricorrere in capo al sindacato avverso un atto che, mediante la soppressione e riorganizzazione degli uffici dell’amministrazione, ha un immediato effetto lesivo sulla posizione del personale complessivamente rappresentato dall’associazione sindacale (nel caso di specie, il giudice amministrativo ha ritenuto che il regolamento di riorganizzazione del Ministero dell’economia e delle finanze, d.p.r. n. 43/2008, fosse immediatamente lesivo per il personale collettivamente rappresentato dal sindacato ricorrente). (TAR Lazio 12/2/2009 n. 1402, Pres. Amoroso Rel. Altavista, in Lav. nelle P.A. 2009, 123)
- Il diritto di indire assemblee sindacali in orario di servizio spetta alla RSU nel suo complesso, quale organismo elettivo unitariamente inteso e a struttura collegiale, e non anche ai singoli componenti, come previsto dall’art. 8 CCNL Scuola del 2003 anche allorché il componente aderisca a Organizzazione sindacale non firmataria di tale contratto collettivo, a nulla rilevando la diversa previsione contenuta nel regolamento interno della RSU. (Sulla qualificazione giuridica dell’organismo rappresentativo dei lavoratori, si veda la Corte di Cassazione, sezione lavoro, sent. 16 febbraion 2005, n. 3072, in questa Rivista, fasc. 2 del 2005, 387 ss., con nota di Francesca Maria Macioce). (Trib. Bari 20/9/2008, Est. Spagnoletti, in Lav. nelle P.A. 2008, 1135)
- L’art. 19 della L. n. 300/1970 si interpreta nel senso che per “associazioni sindacali firmatarie di contratti collettivi di lavoro stipulati nell’unità produttiva” si devono intendere le associazioni che abbiano stipulato contratti collettivi di qualsiasi livello (nazionale, provinciale, aziendale), ma necessariamente di natura normativa, restando esclusi gli accordi gestionali, che non rientrano nella previsione di cui all’art. 39 della Costituzione e non sono, per loro natura, atti a comprovare la rappresentatività richiesta dalla norma. (Cass. 11/7/2008 n. 19275, Pres. Sciarelli Rel. Picone, in Lav. nella giur. 2009, con commento di Luca Ratti, 45)
- Le associazioni sindacali sono legittimate ad agire a tutela dei diritti dei propri iscritti collettivamente considerati: in particolare, la legittimazione a ricorrere avverso un regolamento di riorganizzazione di un Ministero trova conferma nella necessaria partecipazione del sindacato al procedimento di approvazione del regolamento stesso, ai sensi dell’art. 6 del d.lgs. n. 165 del 2001. (TAR Lazio 12/2/2009 n. 1402, Pres. Amoroso Rel. Altavista, in Lav. nelle P.A. 2009, 123)
- Sussiste l’interesse a ricorrere in capo al sindacato avverso un atto che, mediante la soppressione e riorganizzazione degli uffici dell’amministrazione, ha un immediato effetto lesivo sulla posizione del personale complessivamente rappresentato dall’associazione sindacale (nel caso di specie, il giudice amministrativo ha ritenuto che il regolamento di riorganizzazione del Ministero dell’economia e delle finanze, d.p.r. n. 43/2008, fosse immediatamente lesivo per il personale collettivamente rappresentato dal sindacato ricorrente). (TAR Lazio 12/2/2009 n. 1402, Pres. Amoroso Rel. Altavista, in Lav. nelle P.A. 2009, 123)
- Il diritto di indire assemblee sindacali in orario di servizio spetta alla RSU nel suo complesso, quale organismo elettivo unitariamente inteso e a struttura collegiale, e non anche ai singoli componenti, come previsto dall’art. 8 CCNL Scuola del 2003 anche allorché il componente aderisca a Organizzazione sindacale non firmataria di tale contratto collettivo, a nulla rilevando la diversa previsione contenuta nel regolamento interno della RSU. (Sulla qualificazione giuridica dell’organismo rappresentativo dei lavoratori, si veda la Corte di Cassazione, sezione lavoro, sent. 16 febbraion 2005, n. 3072, in questa Rivista, fasc. 2 del 2005, 387 ss., con nota di Francesca Maria Macioce). (Trib. Bari 20/9/2008, Est. Spagnoletti, in Lav. nelle P.A. 2008, 1135)
- L’art. 19 della L. n. 300/1970 si interpreta nel senso che per “associazioni sindacali firmatarie di contratti collettivi di lavoro stipulati nell’unità produttiva” si devono intendere le associazioni che abbiano stipulato contratti collettivi di qualsiasi livello (nazionale, provinciale, aziendale), ma necessariamente di natura normativa, restando esclusi gli accordi gestionali, che non rientrano nella previsione di cui all’art. 39 della Costituzione e non sono, per loro natura, atti a comprovare la rappresentatività richiesta dalla norma. (Cass. 11/7/2008 n. 19275, Pres. Sciarelli Rel. Picone, in Lav. nella giur. 2009, con commento di Luca Ratti, 45)
- L’identità di un soggetto associativo (Federazione, ammesso ai sensi degli artt. 42 e 43, D. Lgs. N. 65/2001 alla contrattazione collettiva nazionale, non viene meno a seguito del recesso di alcune associazioni sindacali già aderenti e all’ingresso di altre, ovvero a seguito della modifica della propria denominazione, ciò in virtù del principio generale secondo cui l’identità giuridica dei soggetti collettivi non muta a causa della risoluzione di alcuni rapporti di adesione né a causa della partecipazione di altri soggetti. Sarebbe infatti del tutto arbitrario sostenere che la permanenza dell’identità del soggetto sindacale sia legata ad un tasso, indeterminato ed indeterminabile, di conservazione quali-quantitativa della propria originaria composizione associativa. (Trib. Roma 9/9/2004, Pres. Fioriolui Banchieri Rel. Conte, in Lav. nella giur. 2005, 188)
- L’effetto del referendum abrogativo dell’art. 26 dello Statuto e del conseguente decreto del Presidente della Repubblica è stato di eliminare dall’ordinamento il secondo comma di tale articolo; sicchè è venuto meno l’obbligo per il datore di lavoro di operare, su richiesta del dipendente, la trattenuta sindacale in favore dell’organizzazione di appartenenza. In tal modo, tuttavia, non si è affatto posto un divieto e resa illecita la riscossione di quote associative sindacali a mezzo di trattenuta operata dal datore di lavoro. Molto più semplicemente, deve ritenersi che per effetto del referendum abrogativo e del successivo decreto del Presidente della Repubblica n. 313 del 28 luglio 1995, la materia è stata restituita all’autonomia privata, individuale e collettiva (corte Cost. n. 13 del 12 gennaio 1995). Come ha rilevato il giudice delle leggi, l’intento dei promotori del referendum era quello di “restituire la materia all’autonomia privata, facendo venir meno l’obbligo legale di cooperazione gravante sul datore di lavoro. Tale obbligo giuridico scaturente dalle abrogande disposizioni, avrebbe in concreto determinato un vincolo contributivo a tempo indeterminato a carico del lavoratore, indipendentemente dalla permanenza del vincolo associativo”. In altre parole, l’obiettivo del referendum non era quello di evitare che attraverso altri strumenti riconducibili all’autonomia negoziale privata o a quella collettiva, il datore di lavoro fosse tenuto ad accreditare i contributi in favore delle associazioni sindacali. Tanto è vero che gli stessi promotori menzionavano, tra gli istituti utilizzabili ai “medesimi fini”, proprio la cessione di credito, accanto alla delegazione di pagamento, dimostrando così di non ritenere contrario allo spirito della consultazione popolare un meccanismo di accredito dei contributi realizzato, sul piano dell’autonomia negoziale, anche a prescindere dalla volontà del datore di lavoro. In precedenti occasioni, questa Corte ha avuto modo di sottolineare come il rifiuto dell’azienda di effettuare le trattenute sindacali – laddove i lavoratori abbiano rilasciato autorizzazione al datore di lavoro di trattenere sulle retribuzioni i contributi sindacali e di versarli ad associazioni sindacali non firmatarie di contratti collettivi applicati in azienda – concreti un comportamento che lede non solo i diritti del singolo lavoratore ma anche quelli del sindacato destinatario dei contributi e perciò costituisce un ostacolo all’esercizio ed allo sviluppo dell’attività, configurando così un’ipotesi di condotta sindacale (Cass. 16/3/2001 n. 3813; Cass. 5/2/2000 n. 1312; Cass. 9/9/1191 n. 9470) e, pertanto, a tale giurisprudenza si ritiene di aderire. (Cass. 26/2/2004 n. 3917, Pres. Mattone Rel. Filadoro, in Lav. e prev. oggi 2004, 1248)
- L’attività di volantinaggio, non implicando interruzioni dell’attività lavorativa, non fa parte delle prerogative del solo membro della Rsu, ma appartiene alla “agibilità sindacale” che rientra nella libertà sindacale riconosciuta ad ogni lavoratore. (Trib. Milano 17/2/2004, decr., Est. Frattin, in D&L 2004, 312)
- È legittima – e costituisce condotta antisindacale il diniego datoriale al riguardo – la richiesta del lavoratore di cedere con delega (contenente facoltà di revoca) al proprio sindacato una quota di retribuzione a titolo di contributo sindacale di affiliazione. Osserva infatti il giudicante a fronte delle eccezioni datoriali: perché non dovrebbe essere consentito al sindacato, ente portatore di valori ritenuti dal Costituente e dal legislatore meritevoli di speciale tutela, di ottenere ciò che una qualunque società finanziaria automaticamente ottiene? E perché il cittadino lavoratore potrebbe cedere parte del suo salario a tutti ma non ad un’organizzazione sindacale, subendo così una riduzione dei suoi diritti civili senza ben pregnanti ragioni e anzi venendo limitato proprio nell’esercizio del suo diritto di sostenere nel modo ritenuto più opportuno il sindacato di sua fiducia soltanto perché lo stesso non ha stipulato contratti collettivi? Quest’ultima condizione discriminante, se può giustificare un trattamento preferenziali dei sindacati stipulanti sul piano dei diritti strettamente sindacali, in nessun modo può rilevare nel rapporto lavoratore-sindacato da un lato e nello status del cittadino lavoratore dall’altro, entrambi regolati dalle norme del diritto civile. (Trib. Milano 3/2/2004, Giud. Frattin, in Lav. e prev. oggi 2004, 1256)
- Deve essere esclusa la possibilità per il sindacato di agire insieme al singolo lavoratore (nella forma di intervento ad adiuvandum) per contrastare un comportamento datoriale offensivo anche delle ragioni collettive del sindacato, dal momento che esso sindacato ha a disposizione rimedi processuali azionabili direttamente contro il datore di lavoro ex art. 28, L. n. 300/1970, piuttosto che la minorata difesa dell’intervento ad adiuvandum, ammissibile viceversa da parte del singolo lavoratore in appoggio all’azione sindacale ogniqualvolta egli possa dirsi titolare di un interesse individuale, ma compreso e dipendente dall’interesse collettivo dedotto in giudizio dal sindacato. (Trib. Bari 26/11/2003, ord., Est. Caso, in Lav. nella giur. 2004, con commento di Alessia Muratorio, 1185)
- Anche in assenza di un accordo tra le parti che ne definisca le modalità d’esercizio, gli istituti di patronato hanno diritto, ai sensi dell’art. 12 SL, di accedere nei locali aziendali e di usufruire di un locale e di spazi di affissione. (Corte d’Appello Napoli 15/3/2002, Pres. Buonajuto, Est. Villari, in D&L 2002, 769)
- È da considerarsi attività sindacale – non condizionata, per le R.s.a., allo spiegamento esclusivamente all’interno dell’azienda da alcuna disposizione di legge – l’iniziativa di redazione e di volantinaggio anche all’esterno di un pamphlet a cura dei membri della stessa R.s.a., riconducibile alla libera manifestazione del pensiero. I sindacalisti interni, nell’esercizio del loro ruolo, si sottraggono ai vincoli della subordinazione tipica degli altri dipendenti e si pongono su di un piano paritetico con il datore di lavoro nei cui confronti assumono l’iniziativa dialetticamente antagonista. Tuttavia l’attività di critica o di satira che essi esercitano – per quanto colorita ed aggressiva – non si sottrae ai limiti del criterio della continenza formale (ossia non può essere sganciata da ogni limite di forma espositiva), con la conseguenza del divieto di attribuzione alle controparti di qualità apertamente disonorevoli, di riferimenti volgari ed infamanti e di deformazioni tali da suscitare il disprezzo ed il dileggio (Cass. 24/5/01, n. 7091, pres. Ianniruberto, est. La Terza , in Lavoro e prev. oggi. 2001, pag. 1208)
- L’art. 11, nn. 1 e 2 , della direttiva del Consiglio 22/9/94, 94/45/CE, riguardante l’istituzione di un comitato aziendale europeo o di una procedura per l’informazione e la consultazione dei lavoratori nelle imprese e nei gruppi di imprese di dimensioni comunitarie, va interpretato nel senso che esso impone ad un’impresa che fa parte di un gruppo di imprese l’obbligo di fornire agli organi interni di rappresentanza dei lavoratori informazioni, anche qualora non sia stato ancora accertato che vi sia una impresa che esercita il controllo all’interno di un gruppo di imprese (Corte Giustizia Europea 29/3/01, C-62/99, in Lavoro giur. 2002, pag. 147, con nota di Menegatti, Le informazioni sulla struttura del gruppo di imprese comunitarie)
- Se i dati sulla struttura o l’organizzazione di un gruppo di imprese fanno parte delle informazioni indispensabili all’avvio delle trattative per l’istituzione di un comitato aziendale europeo o di una procedura di informazione e di consultazione transnazionale dei lavoratori, tocca ad una impresa di tale gruppo fornire detti dati che essa possiede o che è in grado di ottenere agli organi interni di rappresentanza dei lavoratori che ne fanno richiesta. La trasmissione di documenti che precisino e che chiariscano informazioni indispensabili allo stesso scopo può parimenti essere richiesta, purché tale trasmissione sia necessaria perché i lavoratori interessati o i loro rappresentanti possano accedere alle informazioni necessarie per poter valutare se essi abbiano il diritto di richiedere l’avvio di trattative (Corte Giustizia Europea 29/3/01, C-62/99, in Lavoro giur. 2002, pag. 147, con nota di Menegatti, Le informazioni sulla struttura del gruppo di imprese comunitarie)
- Rientra nell’autonomia privata individuale – della quale l’adesione ad organizzazioni sindacali è espressione in base ai principi costituzionali (al riguardo: cfr. artt. 18 e 39 Cost.) – lo stabilire la decorrenza, e, più in generale, la durata (iniziale e finale) del vincolo associativo (Cons. Stato 22/5/00, parere n. 451, in Lavoro nelle p.a. 2000, pag. 1099, con nota di Antonini, Scissione di organizzazioni sindacali e rilevanza delle nuove deleghe ai fini dell’accertamento della rappresentatività)
- Le 00.SS., quando svolgono la procedura di informazione e consultazione sindacale, eventualmente stipulando un accordo, agiscono nella veste di soggetti istituzionalmente portatori di interessi diffusi e riferibili a tutti i lavoratori coinvolti nella procedura (Cass. sez. un. 11 maggio 2000 n. 302, pres. Vela, est. Prestipino, in D&L 2000, 691, n. Muggia)
Maggiore rappresentatività
- La definizione di associazioni “comparativamente più rappresentative” presuppone, diversamente dal concetto di “maggiore rappresentatività”, una selezione delle associazioni sindacali, sulla base di una valutazione comparativa della effettiva capacità di rappresentanza di ciascuna di esse. E ciò al fine di commisurare il godimento di determinate prerogative alla effettiva capacità rappresentativa delle organizzazioni soggette al giudizio comparativo. (TAR Lazio 8/2/2018 n. 1522, Pres. Volpe Est. Brancatelli, in Riv. it. dir. lav. 2018, con nota di F.S. Giordano, “Brevi riflessioni sulla rappresentatività sindacale: tra la nozione di sindacato comparativamente rappresentativo e le rappresentanze sindacali unitarie”, 727)
- A seguito della pronuncia della Corte Costituzionale n. 231 del 2013, i diritti di cui al Titolo III della legge n. 300 del 1970 vanno riconosciuti a quei sindacati che presentino la caratteristica della maggiore rappresentatività, valutata con specifico riferimento all’ambito aziendale in cui il sindacato è chiamato a operare. (Trib. Brescia 4/2/2014, Est. Mancini, con nota di Giovanna Pacchiana Parravicini, “Hic sunt leones: l’art. 19 St. lav. Al banco di prova di un sindacato diverso dalla FIOM”, e di Franco Scarpelli, “La prima giurisprudenza sul ‘nuovo’ art. 19 St. lav.: si conferma l’incertezza del quadro regolativo”, 202)
- In considerazione del mutato quadro dei rapporti sindacali, il criterio selettivo di cui all’art. 19, fondato sulla sottoscrizione del contratto collettivo applicato nell’unità produttiva, non appare più ragionevole, non potendo costituire adeguato indice della effettiva rappresentatività di un sindacato. Il criterio selettivo scelto dal legislatore attribuisce un potere estremamente incisivo alla parte datoriale, poiché, ove il datore di lavoro decidesse di non firmare alcun accordo collettivo, non vi sarebbe nell’unità produttiva alcuna rappresentanza sindacale. (Trib. Vercelli 25/9/2012, Giud. Aloj, in Riv. It. Dir. lav. 2012, con nota di Paola Bellocchi, “Il ‘caso Fiati’ davanti alla Corte Costituzionale: osservazioni sull’art. 19 dello Statuto dei Lavoratori”, e Bruno Caruso, “Fiom v. Fiat: hard cases davanti alla Consulta. (A proposito dell’art. 19 dello Statuto)”, 996)
- È maggiormente rappresentativa (ai sensi dell’art. 19 lett. a SL, prima dell’abrogazione) la confederazione sindacale (nella specie, Cub – Confederazione Unitaria di Base) che: a) abbia l’adesione d’organizzazioni di vari settori dell’industria, del terziario e del pubblico impiego, con un numero non esiguo di aderenti (il dato numerico, ai fini della verifica di un’equilibrata distribuzione tra i settori, non è in sé decisivo quando sia in ogni modo osservabile un’apprezzabile consistenza organizzativa); b) abbia diffusione territoriale (desumibile anche dalle attestazioni della PA, dal Ministero del Lavoro, o, comunque, dagli stessi accertamenti giudiziari); c) abbia diretta implicazione in conflitti di lavoro o in azioni per l’organizzazione di scioperi (Cass. 30/3/98 n. 3341, pres. Pontrandolfi, est. Miani Canevari, in D&L 1998, 627, n. ZEZZA, La Corte di Cassazione riconosce alla Cub la maggiore rappresentatività: una vittoria di Pirro)
RSA – Rappresentanti Sindacali Aziendali
Nozione di contratto collettivo ex art. 19 SL
- Ai fini dell’istituzione di una rappresentanza sindacale aziendale, in applicazione dell’art. 19 St. lav., così come modificato dalla parziale abrogazione conseguita al referendum indetto nel 1995, non è sufficiente che il sindacato sia firmatario del contratto collettivo del settore, ma è necessario che il suddetto contratto sia effettivamente applicato all’interno dell’unità produttiva. A tal fine non è determinante la spontanea applicazione, da parte del datore di lavoro, di alcune soltanto delle clausole contrattuali previste nel contratto collettivo, se ad esse si accompagna l’esclusione di altre o comunque l’esplicitazione della volontà di non prestare adesione all’intero contratto. (Cass. 30/7/2002, n. 11310, Pres. Sciarelli, Est. Cataldi, in Riv. it. dir. lav. 2003, 192).
- È legittimato alla nomina di Rsa il sindacato che, pur non essendo firmatario di accordi nazionali, abbia sottoscritto un contratto collettivo aziendale che regolamenti un aspetto non marginale del rapporto di lavoro (Trib. Milano 30/6/99, pres. ed est. Mannacio, in D&L 1999, 812)
- La nuova espressione, contenuta nell’art. 19 S.L. a seguito della parziale abrogazione disposta dal DPR 28/7/95 n. 312 in esito alla consultazione referendaria dell’11/6/95, da interpretarsi nel senso più pieno e ampio, concerne ogni espressione dell’autonomia collettiva, con la quale uno o più datori di lavoro e rappresentanze dei lavoratori regolino uno o più aspetti dei rapporti di lavoro, nel loro sorgere, nello svolgimento o nella loro estinzione (Pret. Milano 21/8/96, est. Santosuosso, in D&L 1996, 929. In senso conforme, v. Pret. Milano 4/11/97, est. Porcelli, in D&L 1998, 353; Pret. Milano 30/9/98, est. Porcelli, in D&L 1999, 69)
- Il sindacato che abbia sottoscritto accordi aziendali regolanti istituti vari di gestione di eccedenze occupazionali (Cassa integrazione guadagni, contratti di solidarietà, part-time, piani di riqualificazione) ha titolo alla costituzione di una propria rappresentanza sindacale aziendale ai sensi dell’art. 19 SL nel nuovo testo risultante dal referendum dell’11/6/95, con conseguente antisindacalità del disconoscimento di tale potere di costituzione (Pret. Milano 11/1/97, est. Curcio, in D&L 1997, 259, n. Franceschinis, Accordi aziendali e costituzione di Rsa ex art. 19 SL)
- Il requisito della sottoscrizione di contratti collettivi di lavoro applicati nell’unità produttiva, che costituisce la condizione necessaria e sufficiente per nominare Rsa ai sensi dell’art. 19 SL a seguito della parziale abrogazione disposta dal DPR 28/7/95 n. 312 in esito alla consultazione referendaria dell’11/6/95, è integrato solo nell’ipotesi in cui tale sottoscrizione costituisca il momento terminale di una partecipazione effettiva alle trattative sindacali (nella fattispecie è stato escluso che il requisito in questione ricorresse nei confronti del sindacato che si era limitato a proporre di aderire a un contratto sottoscritto da altre organizzazioni) (Pret. Milano 29/1/96, est. Negri della Torre, in D&L 1996, 377)
- Per configurare l’ipotesi di contratti collettivi, alla stipulazione dei quali l’art. 19 SL subordina la facoltà di costituire Rsa, è necessario e al contempo sufficiente che l’accordo si riferisca alla generalità dei lavoratori appartenenti all’unità produttiva, persegua l’obiettivo di regolamentare le relazioni di lavoro all’interno dell’azienda e non attenga ad aspetti del tutto marginali del rapporto di lavoro o della vita aziendale, potendo in questo senso rilevare anche un accordo esclusivamente obbligatorio (Pret. Monza 5/1/96, est. Dani, in D&L 1996, 368)
Conseguenze parziale abrogazione art. 19 SL
- In base all’art. 19 della legge 20 maggio 1970, n. 300, nel testo risultante dopo la parziale abrogazione derivante dall’esito del referendum popolare, le rappresentanze sindacali aziendali possono essere costituite ad iniziativa dei lavoratori in ogni unità produttiva soltanto nell’ambito delle associazioni sindacali, che siano firmatarie dei contratti collettivi di lavoro applicati nell’unità produttiva, e quindi legittimate ad acquisire le prerogative sindacali stabilite dalla legge e dalla contrattazione collettiva sono soltanto quelle organizzazioni sindacali che rispondano al nuovo criterio selettivo, come fissato dalla disposizione ora citata, dalla partecipazione alla contrattazione collettiva vigente in azienda. Ad integrare tale requisito non è sufficiente la mera adesione formale ad un contratto negoziato da altre organizzazioni sindacali, ma occorre una partecipazione attiva al processo di formazione del contratto e deve trattarsi di un contratto normativo che regoli in modo organico i rapporti di lavoro, almeno per un settore o istituto importante della loro disciplina anche in via integrativa a livello aziendale, di un contratto nazionale o provinciale già applicato nella stessa unità produttiva. (Cass. 21/7/2005 n. 15296, Pres. Senese Rel. Lamorgese, in Lav. e prev. oggi 2005, 1455)
- Il criterio della rappresentatività del sindacato, da verificarsi con riferimento al livello aziendale a seguito della nuova disciplina dettata dall’art. 19 nella formulazione risultante dopo la sua parziale abrogazione, concernendo soltanto l’accesso ai diritti di cui al titolo III dello Statuto dei lavoratori, riguarda l’attività delle rappresentanze sindacali aziendali e non la loro costituzione. Con la conseguenza che le rappresentanze sindacali costituite in precedenza alla riforma continuano a sussistere, essendo la loro esistenza, così come quella di altre strutture che all’interno dell’azienda siano riferibili al sindacato e come rappresentanza di questo, garantita dagli artt. 1 e 14 dello Statuto dei lavoratori, ma non hanno l’accesso ai diritti di cui al richiamato titolo III se non rispondenti ai requisiti di cui all’art. 19 come modificato, cioè a dire se non appartengono a sindacato firmatario di contratto collettivo, anche aziendale, applicato nell’unità produttiva (Cass. 16/3/01, n. 3813, pres. Amirante, est. Lamorgese, in Lavoro e prev. oggi. 2001, pag. 1215; Cass. 16/3/01, n. 3813, pres. Amirante, est. Lamorgese, in Orient. giur. lav. 2001, pag. 227, con nota di Marando, La contribuzione sindacale tramite ritenuta sul salario dopo l’abrogazione dell’art. 26 S.L.: una nuova pronuncia della Corte di Cassazione)
- La parziale abrogazione dell’art. 19 SL, disposta dal DPR 28/7/95 n. 312 in esito alla consultazione referendaria dell’11/6/95, comporta la caducazione delle preesistenti Rsa costituite da sindacati che non abbiano sottoscritto contratti collettivi applicati nell’unità produttiva (Trib. Milano 20/12/97, pres. Ruiz, est. de Angelis, in D&L 1998, 347, n. CHIUSOLO, Il rappresentante per la sicurezza tra rappresentanza sindacale aziendale e rappresentanza sindacale in azienda)
Iniziativa dei lavoratori
- Una rappresentanza sindacale aziendale può considerarsi legittimamente costituita, ai sensi dell’art. 19 dello Statuto del Lavoratori, solo ove nasca da un atto di iniziativa dei lavoratori che, ancorché non formalizzato, sia stato tuttavia recepito dalle organizzazioni sindacali. Ove ricorra il suddetto requisito di legittimità, la r.s.a. può essere formata anche da un unico esponente il quale diviene titolare dei diritti riconosciuti dalla legge ai responsabili della r.s.a. (Cass. 16/6/00, n. 8207, pres. Trezza, in Orient. Giur. Lav. 2000, pag. 907)
Condotta antisindacale
- Non pone in essere un comportamento antisindacale il datore di lavoro che, a seguito della legittima convocazione dell’assemblea ex art. 20 SL da parte dei soggetti al riguardo legittimati, imputi le ore di assemblea al monte ore annuo, senza riservarne una quota a una Rsa che volontariamente decida di non partecipare alla suddetta assemblea (nel caso di specie il Tribunale ha ritenuto priva di rilievo la scelta di una Rsa di non prendere parte all’assemblea legittimamente convocata, ritenendo che il godimento del monte ore debba essere riferito alle Rsa collettivamente intese). (Trib. Milano 6/2/2006, ord., Est. Beccarini, in D&L 2006, con n. Angelo Beretta, “Monte ore annuo ex art. 20 SL”, 417)
- L’organizzazione sindacale che abbia sottoscritto accordi aziendali regolanti istituti di gestione di eccedenze occupazionali (riguardanti la mobilità, le procedure di Cassa integrazione guadagni e i contratti di solidarietà) è legittimata alla costituzione di una propria rappresentanza sindacale aziendale ai sensi dell’art. 19 SL (nel nuovo testo risultante dal referendum del 11/6/95), con conseguente antisindacalità del disconoscimento di tale potere di costituzione da parte del datore di lavoro. (Cass. 24/9/2004 n. 19271, Pres. Sciarelli Est. Castaldi, in D&L 2005, con nota di Alessandro Riboldi, “Art. 19 SL ed estensione delle tutele statutarie ai sindacati firmatari dei c.d. accordi gestionali”” 126)
- Stante l’esistenza di un accordo aziendale in punto di verifica congiunta dei carichi di lavoro in nuovi impianti produttivi e l’asserita esistenza di una prassi aziendale che consente ai componenti del Consiglio di fabbrica di accedere liberamente a tutti i locali aziendali, l’antisindacalità del comportamento datoriale che assoggetti a sanzioni disciplinari alcuni delegati del Consiglio che, a fronte di un esplicito divieto, abbiano acceduto ai nuovi impianti per verificare direttamente i cennati carichi di lavoro, deve valutarsi in relazione all’effettiva natura di tale prassi aziendale (valutandosi, cioè, la sua valenza derogatoria rispetto al cennato accordo collettivo) e alla stessa concludenza del reiterato atteggiamento datoriale (Cass. 1/12/99 n. 13383, pres. Sommella, in Riv. it. dir. lav. 2000, pag. 627, con nota di Corsinovi, Brevi note in tema di organizzazione produttiva, prassi aziendale e comportamento antisindacale)
- Costituisce condotta antisindacale il rifiuto del datore di lavoro di riconoscere una Rsa, costituita nell’ambito di una OS firmataria di un Ccnl, ancorché tale Ccnl non sia applicato nell’unità produttiva da parte del datore di lavoro, il quale non applica alcun contratto collettivo (Pret. Milano 11/2/99, est. Frattin, in D&L 1999, 292, n. CAPURRO, Attività sindacale nel rapporto di lavoro in cooperativa. In senso conforme, v. Trib. Milano 14/7/99, pres. Gargiulo, est. Accardo, in D&L 1999, 813)
- Costituisce comportamento antisindacale il licenziamento disciplinare di un rappresentante sindacale aziendale, che abbia divulgato, nel corso di un’intervista giornalistica, il contenuto di una lettera a lui indirizzata dall’azienda in risposta a una sua segnalazione circa i problemi di organizzazione del lavoro (Pret. Milano 26/1/99 (decr.), est. Marasco, in D&L 1999, 298, n. FRANCESCHINIS, Rappresentante sindacale e diritto di critica)
- Costituisce comportamento antisindacale l’omessa consultazione della rappresentanza sindacale aziendale di un sindacato non aderente alla rappresentanza sindacale unitaria, qualora l’azienda abbia l’obbligo di consultare tutte le rappresentanze sindacali, in quanto l’avvenuta elezione della Rsu non fa venir meno le prerogative legali delle Rsa legittimamente costituite (Pret. La Spezia 21/11/94, est. Ghinoy, in D&L 1995, 307, con nota di FRANCESCHINIS)
- È antisindacale il disconoscimento di una Rsa costituita da un sindacato aderente a una confederazione maggiormente rappresentativa, né il datore di lavoro può sindacare la procedura seguita per la costituzione della Rsa, trattandosi di questioni interne al sindacato che non possono riguarda l’azienda (Pret. Legnano 3/11/94, est. Ravazzoni, in D&L 1995, 98)
- È antisindacale il licenziamento di un rappresentante sindacale aziendale, quando risulti accertata l’esistenza di indizi obiettivi e concordanti che evidenziano una volontà del datore di lavoro di impedire l’esercizio di attività sindacali in azienda (Pret. Milano 20/6/94, est. Curcio, in D&L 1995, 110)
Licenziamento del Rsa
- Nel caso in cui il licenziamento di un dirigente sindacale venga dichiarato illegittimo, con conseguente diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro, dal comportamento del datore di lavoro che – pur erogando la retribuzione e permettendo al lavoratore di entrare in azienda per svolgere attività sindacale – non gli consenta tuttavia di riprendere l’attività lavorativa vera e propria, deriva l’obbligo di versare all’Inps la sanzione amministrativa prevista dall’art. 18, ultimo comma, della l. 20 maggio 1970, n. 300. (Cass. 30/7/2014 n. 17372, Pres. Stile Rel. Tricomi, in Lav. nella giur. 2014, 1127)
- Non costituisce comportamento antisindacale il licenziamento di un rappresentante sindacale aziendale che abbia trasferito presso la sede dell’organizzazione sindacale di appartenenza l’indirizzario di posta elettronica completo afferente al dominio del datore di lavoro e abbia inviato a tutti i nominativi alcune e-mail a nome dell’organizzazione sindacale; la gravità dei fatti commessi dal lavoratore non consente infatti di ritenere che il licenziamento sia riconducibile a motivi di discriminazione basati sull’appartenenza alla organizzazione sindacale. (Corte app. Venezia 18/5/2007, Pres. Santoro Est. Menegazzo, in D&L 2007, con nota di Roberto Muller, “Condotta antisindacale e licenziamento di Rsa: un eccessivo self-restraint dell’indagine giudiziale”, 1061)
- L’esercizio da parte del lavoratore, anche se investito della carica di rappresentante sindacale, del diritto di critica delle decisioni aziendali (manifestata, nella specie, attraverso la diffusione di alcuni volantini all’esterno dell’azienda), sebbene sia garantito dagli artt. 21 e 39 Cost., incontra i limiti della correttezza formale che sono imposti dall’esigenza, anch’essa costituzionalmente garantita (art. 2 Cost.), di tutela della persona umana, anche quando la critica venga espressa nella forma della satira; ne consegue che, ove tali limiti siano superati, con l’attribuzione all’impresa datoriale o ai suoi rappresentanti di qualità apertamente disonorevoli, di riferimenti volgari e infamanti e di deformazioni tali da suscitare il disprezzo e il dileggio, il comportamento del lavoratore può costituire giusta causa di licenziamento, pur in mancanza degli elementi soggettivi ed oggettivi costitutivi della fattispecie penale della diffamazione. (Cass. 24/5/01, n. 7091, pres. Ianniruberto, est. La Terza , in Dir. informazione e informatica 2002, pag. 381)
- Il diritto di critica del lavoratore sindacalista nei confronti di un proprio superiore trova un limite insuperabile nel carattere denigratorio delle accuse rivolte, rispetto alle quali è legittima l’irrogazione di sanzioni disciplinari da parte del datore di lavoro e tali sanzioni non possono essere considerate alla stregua di una condotta antisindacale (nella specie, la Corte d’appello ha ritenuto gravemente denigratoria l’accusa formulata da un sindacalista nei confronti di un dirigente, di avere deliberatamente tenuto un comportamento volto a boicottare la società datrice di lavoro a favore di altre imprese concorrenti). (Corte d’Appello Milano 4/5/01, pres. Mannaccio, est. De Angelis, in Orient. giur. lav. 2001, pag. 246)
- La garanzia procedimentale (nulla osta dell’organizzazione sindacale di appartenenza) prevista dall’art. 14 dell’accordo interconfederale 18/4/66 per il licenziamento dei membri delle commissioni interne può operare in favore dei rappresentanti sindacali aziendali – previa verifica dell’esistenza di una r.s.a. validamente costituita – solo nel caso in cui una specifica norma contrattuale estenda anche ad essi la disciplina garantista ovvero nell’ipotesi in cui la r.s.a. abbia di fatto assorbito la commissione interna – la quale costituisce un diverso organismo sindacale di origine contrattuale – ovvero ne abbia comunque assunto le funzioni (Cass. 16/6/00, n. 8207, pres. Trezza, in Orient. Giur. Lav. 2000, pag. 907)
- È illegittimo il licenziamento in tronco di un rappresentante sindacale aziendale che abbia esercitato il proprio diritto di critica sulle scelte datoriali e sull’organizzazione aziendale senza violare il limite posto al legittimo esercizio di tale diritto, limite consistente nella falsità delle dichiarazioni e nella volgarità delle espressioni usate. (La fattispecie riguarda un Rsa, dipendente delle Poste, che aveva tenuto una conferenza stampa nel corso della quale aveva consegnato una lettera – non riservata e a lui inviata in qualità di Rsa dal dirigente – con cui venivano ammessi alcuni disservizi consistenti, tra l’altro, nel mandare al macero anziché al mittente qualche lettera o mazzetto di lettere) (Pret. Milano 9/1/99 (ord.), est. Atanasio, in D&L 1999, 384)
RSA in genere
- La Corte Costituzionale dichiara la illegittimità costituzionale dell’art. 19 l. 300/1970 nella parte in cui prevede che la rappresentanza sindacale aziendale possa essere costituita anche nell’ambito di associazioni sindacali che, pur non firmatarie di contratti collettivi applicati nell’unità produttiva, abbiano comunque partecipato alla negoziazione relativa agli stessi contratti quali rappresentanti dei lavoratori dell’azienda. (Corte Cost. 23/7/2013 n. 231, Pres. Gallo Rel. Morelli, in Lav. nella giur. 2013, con commento di Elisabetta Bavasso, 899)
- Tra le associazioni sindacali nell’ambito delle quali, ai sensi dell’art. 19 SL possono essere costituite nell’unità produttiva rappresentanze sindacali aziendali, rientrano anche quelle che, pur non essendo firmatarie di contratti collettivi di lavoro applicati nell’unità produttiva, abbiano tuttavia sottoscritto, nella medesima unità, accordi di gestione delle crisi aziendali, giacché tali contratti, pur essendo volti a porre regole dirette a delimitare l’ambito del potere del datore di lavoro, concorrono a disciplinare importanti aspetti del rapporto di lavoro, e costituiscono fonte di diritti per i lavoratori che degli stessi possono pretendere l’attuazione. (Cass. 9/1/2008 n. 212, Pres. Ciciretti Est. Vidiri, in D&L 2008, con nota di Angelo Beretta, “Il requisito di diffusione nazionale nell’art. 28 SL, 97)
- L’estensione alle confederazioni maggiormente rappresentative tra i lavoratori appartenenti alle minoranze linguistiche del trentino Alto Adige dei diritti e delle prerogative riconosciuti dai contratti collettivi nazionali di lavoro alle confederazioni m.r. sul piano nazionale – sancita dall’art. 5 bis del d.l. n. 148/1993, conv. in l. n. 236/1993 – permane dopo l’esito del referendum del 1995 sull’art. 19 SL, con la conseguenza che i diritti riconosciuti da un c.c.n.l. a determinati sindacati vanno estesi alle associazioni sindacali appartenenti alle predette minoranze di cui al d.P.R. n. 58/1978, pur non comprese fra i soggetti stipulanti, indipendentemente dalle ragioni per le quali l’autonomia collettiva si è così determinata e senza per questo sollevare contrasti con l’art. 39 Cost., stante il preminente rilievo dell’art. 6 Cost., principio fondamentale della Repubblica il quale, pur destinato a essere specificato da norme attuative, risulta comunque dotato di un proprio effetto giuridico (nella specie, sulla scorta dei principi richiamati, la Corte ha rigettato il ricorso della s.p.a. Poste Italiane, confermando le pronunzie dei gradi precedenti che avevano ordinato alla società stessa di riconoscere alle associazioni sindacali appartenenti alle richiamate minoranze linguistiche tutti i diritti riconosciuti dal c.c.n.l. 26 novembre 1994 alle associazioni sindacali m.r.). (Cass. 11/5/2006 n. 10848, Pres. senese Est. Picone, in Riv. it. dir. lav. 2007, 317)
- A seguito della adesione all’Accordo interconfederale del 20 dicembre 1993 (circostanza pacifica), l’associazione sindacale ricorrente ha implicitamente rinunziato a costituire rappresentanze sindacali aziendali, attesa la clausola di salvaguardia di cui all’art. 8 del suddetto Accordo interconfederale. Né la mancata costituzione di R.S.U. nell’unità produttiva legittima l’attribuzione alle organizzazioni sindacali della facoltà di indizione di assemblee retribuite all’interno dell’orario di lavoro, atteso che l’iniziativa di indizione da parte delle organizzazioni sindacali, presuppone la costituzione già avvenuta di rappresentanze sindacali aziendali (che nella fattispecie non risulta esservi stata e che non è più possibile a norma dell’art. 8 dell’Accordo Interconfederale del 20 dicembre 1993) ovvero di rappresentanze sindacali unitarie (non ancora costituite nell’unità produttive). (Trib. Teramo 18/6/2004, decr., Est. Santini, in Lav. nella giur. 2004)
- Le rappresentanze sindacali aziendali sono costituite per iniziativa dei lavoratori dell’azienda e non delle associazioni sindacali di cui all’art. 19, l. n. 30/70; hanno una propria soggettività giuridica (rispetto alla quale appare appropriato il riferimento alle norma in materia di associazioni non riconosciute), come si evince dalle varie disposizioni dello Statuto dei lavoratori prevedenti una loro legittimazione propria e specifica all’esercizio di diritti e facoltà (artt. 9, 20, 21, 22, 25 e 27); in particolare, esse non sono organi dei sindacati, né comunque sono con gli stessi in una relazione, di immedesimazione organica o di altro tipo, che determini l’imputabilità giuridica degli atti da loro compiuti ai sindacati, con i quali le stesse sono invece in un rapporto, di natura politica, di parziale coincidenza di interessi collettivi e di obiettivi di tutela. Ne consegue che il sindacato, a cui pur, in quest’ultimo senso, la rappresentanza sindacale sia collegata (“nell’ambito” del quale, secondo la dizione dell’art. 19, essa si astata costituita), non può considerarsi passivamente titolare del diritto fatto valere dal datore di lavoro che lamenti un illegittimo esercizio, da parte della rappresentanza sindacale, del diritto di affissione e conseguentemente chieda la rimozione del documento contestato dalla bacheca sindacale (nella specie, il comunicato affisso dava notizia – secondo il datore di lavoro in termini inesatti e per lui pregiudizievoli – dell’esito di una azione promossa dal medesimo sindacato poi convenuto in giudizio ai fini della defissione del comunicato) (Cass. 29/12/99, n. 14686, pres. Mileo, est. Coletti, in Riv. Giur. Lav. 2001, pag. 148, con nota di Frontini, Sui rapporti tra Rsa e sindacato)
- Nell’ambito e i compiti demandati dalla legge alle r.s.a. per assicurare gli interessi individuali e collettivi di questi ultimi, inclusive delle “condizioni di lavoro” ex art. 2087 c.c., rientra anche la fissazione dei ritmi e dei carichi di lavoro: ma ciò deve verificarsi secondo le modalità previste negli accordi aziendali o attraverso il ricorso all’istituto dell’informazione (Cass. 1/12/99, n. 13383, pres. Sommella, in Mass. giur. lav. 2000, pag. 340, con nota di Papaleoni, Prassi e condotta antisindacale)
RSU – Rappresentanza Sindacale Unitaria
Titolarità ed esercizio dei diritti sindacali
- Le rsu costituiscono un organo unitario a carattere plurisindacale e pertanto non sono la risultante della sommatoria dei singoli membri come rappresentanti delle associazioni che hanno presentato le liste nell’ambito delle quali sono stati eletti. Conseguentemente gli accordi conclusi dalla rsu non sono anche accordi conclusi dall’organizzazione sindacale per il fatto che della rsu faceva parte, come componente, un aderente eletto nelle liste da esso presentate. (Trib. Torino 7/2/2018 n. 216, Est. Croci, in Riv. it. dir. lav. 2018, con nota di F.S. Giordano, “Brevi riflessioni sulla rappresentatività sindacale: tra la nozione di sindacato comparativamente rappresentativo e le rappresentanze sindacali unitarie”, 727)
- Il combinato disposto degli artt. 4 e 5 dell’Accordo interconfederale del 29 dicembre 1993 (istitutivo delle RSU e applicabile ‘ratione temporis’), deve essere interpretato nel senso che il diritto di indire assemblee, di cui all’art. 20 della l. n. 300 del 1970, rientra, quale specifica agibilità sindacale, tra le prerogative attribuite non solo alla RSU considerata collegialmente, ma anche a ciascun componente dalla RSU stessa, perché questi sia stato eletto nelle liste di un sindacato che, nell’azienda di riferimento, sia, di fatto, dotato di rappresentatività, ai sensi dell’art. 19 della l. n. 300 del 1970, quale risultante a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 231 del 2013. (Cass. S.U. 6/6/2017, n. 13978, Pres. Rudorf Est. Manna, in Riv. It. Dir. Lav. 2018, con nota di M. Avogaro, “Diritto di assemblea: dalle Sezioni Unite a una pronuncia ‘di sistema’, a tutela delle prerogative del singolo componente di RSU”, 198, e in Riv. Giur. Lav. prev. soc. 2017, con nota di A. Di Stasi, “La natura ‘bifronte’ della RSU e il diritto all’assemblea delle singole componenti”, 565)
- In ordine alla questione del riconoscimento del diritto di convocare l’assemblea sindacale di cui all’art. 20, St. lav., oltre che alla rsu come organo collegiale, anche ai singoli membri di tale organo, gli arresti giurisprudenziali della Corte di legittimità non sono stati, negli ultimi anni, univoci. Avuto riguardo all’avvenuta decisione “in senso difforme” da parte dei diversi Collegi della Sezione lavoro di controversie del tutto analoghe a quella in esame, a norma dell’art. 374, co. 2, c.p.c., si ritiene di dover rimettere il ricorso al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite. (Cass. 30/9/2016, n. 244443, PRes. Roselli Rel. Leo, in Riv. Dir. lav. 2017, con nota di G. Cantamore, “In tema di convocazione individuale o collegiale per la rsu di un’assemblea retribuita: verso una pronuncia a Sezioni Unite”, 383)
- Qualora un sindacato abbia sottoscritto un contratto collettivo che espressamente subordina l’operatività a un successivo accordo dal medesimo sindacato non sottoscritto, lo stesso non può considerarsi legittimato ai sensi dell’art. 19 della legge n. 300 del 1970 a indire elezioni per la R.S.U. (Fattispecie nella quale le parti del precedente accordo collettivo sottoscritto avevano dichiarato di rendere operativa l’intesa preliminare solo contestualmente alla definizione di un’intesa complessiva del progetto industriale di gruppo. (Trib. Roma 5/8/2005, Est. Gallo, in Orient. Giur. Lav. 2005, 510)
- Ai sensi dell’art. 20 SL e dell’art. 5 dell’AI 20/12/93, il diritto di indire assemblee retribuite deve essere riconosciuto a ciascuna singola componente della Rsu, e tale diritto non può essere limitato neppure da regolamenti interni alla Rsu. (Trib. Milano 10/1/2003, Est. Santosuosso, in D&L 2003, 307)
- Il sindacato ha diritto di sostituire un componente della Rsu eletto nelle proprie liste nel caso in cui questi abbia revocato l’iscrizione al sindacato medesimo e tale sostituzione sia espressamente prevista dal regolamento aziendale che disciplina l’elezione della Rsu. (Trib. Milano 23/12/2002, Est. Di Ruocco, in D&L 2003, 72)
- La Rsu è legittimata alla convocazione di assemblee anche quando costituita da un unico sindacato, coincidendo in tale ipotesi la Rsu nel suo complesso con l’unica componente sindacale che indice l’assemblea. (Trib. Monza 4/12/2002, Est. Di Lauro, in D&L 2003, 70)
- La costituzione di una Rsu ad iniziativa di una sola organizzazione sindacale è legittima in quanto non incompatibile con il carattere unitario e collegiale della Rsu stessa. (Trib. Monza 4/12/2002, Est. Di Lauro, in D&L 2003, 70)
- Trattandosi di un diritto che l’art. 20 SL ha attribuito alla Rsa nel suo complesso e non si singoli componenti della stessa, l’indizione di un’assemblea dei lavoratori spetta alla Rsu (subentrata nella titolarità dei diritti della Rsa) unitariamente considerata, non pone in essere un comportamento antisindacale il datore di lavoro che disconosca l’assemblea indetta da una sola componente della Rsu. (Cass. 26/2/2002 n. 2855, Pres. Prestipino, Est. Vidiri, in D&L 2002, 313)
- La legittimazione ad indire assemblee nelle singole unità produttive (e di farvi intervenire dirigenti sindacali esterni) spetta alla r.s.u. quale organismo collegialmente composto, non ai suoi singoli componenti, stante la chiara previsione pattizia di cui al punto 4, primo periodo dell’Accordo 23/7/93, fatto salvo il diritto (contemplato nel 5° periodo dello stesso punto 4) “in favore delle organizzazioni aderenti alle associazioni sindacali stipulanti il c.c.n.l. applicato nell’unità produttiva” di “indire, singolarmente o congiuntamente, l’assemblea dei lavoratori durante l’orario di lavoro” (Trib. Crema 30/3/01, pres. e est. Ferrari, in Orient. giur. lav. 2001, pag. 1, con nota di Degan, R.s.u. e titolarità del diritto di indire l’assemblea)
- La disciplina contrattuale che regola la composizione e l’attività delle rappresentanze sindacali unitarie attribuisce al diritto di affissione di cui all’art. 25, l. 20/5/70, n. 300 alle stesse r.s.u. e alle associazioni sindacali che abbiano stipulato il contratto collettivo nazionale di lavoro applicato nell’unità produttiva; tale diritto non spetta, invece, alle associazioni sindacali che, pur facendo parte delle r.s.u., non abbiano sottoscritto tale contratto (Trib. Vicenza 30/10/00, n. 322, est. Perina, in Argomenti dir. lav. 2001, pag. 333)
- Il singolo componente della Rsu è titolare del potere di convocazione delle assemblee ai sensi dell’art. 20 SL (Trib. Milano 16 ottobre 1999 (ord.), est. Atanasio, in D&L 2000, 112, n FRANCESCHINIS, Sui poteri del singolo Rsu. In senso conforme, v. Trib. Milano 9 dicembre 1999 (ord.), pres. ed est. Ruiz, in D&L 2000, 112; Trib. Milano 4/12/00, est. Vitali, in Orient. Giur. Lav. 2000, pag. 916; Trib. Milano 14/3/2002, decr., Est. Gargiulo, in D&L 2002, 597)
- Pur non sussistendo in capo ai dirigenti esterni delle OO.SS. componenti la Rsu il diritto di partecipare alle riunioni della medesima, il datore di lavoro è tenuto a ispirarsi a una logica di parità di trattamento tra le OO.SS. componenti la Rsu, non potendo pertanto impedire la partecipazione a dette riunioni solo ai dirigenti di alcune OO.SS. componenti la Rsu, avendolo consentito ai dirigenti delle altre OO.SS. (Pret. Varese 14/2/97, est. Papa, in D&L 1997, 507, nota Capurro)
- Il sindacato che, pur non possedendo i requisiti di cui all’art.19 SL, partecipi alla costituzione della Rsu, può legittimamente fruire dei diritti di cui al titolo III SL (nella fattispecie, è stato dichiarato antisindacale il rifiuto di consentire la partecipazione a un’assemblea ex art. 20 SL a un funzionario sindacale esterno) (Pret. Varese 14/2/97, est. Papa, in D&L 1997, 507, nota Capurro)
- Ciascuna componente della rappresentanza sindacale unitaria ha ereditato, in virtù dell’art. 4 dell’Accordo Interconfederale del 20/12/93, il complesso di prerogative di cui al titolo III dello Statuto dei lavoratori, tra cui quella dell’art. 20 che consente alle Rsa, singolarmente o congiuntamente, di indire assemblee dei lavoratori (Pret. Busto Arsizio 11/9/97, est. Perfetti, in D&L 1998, 74, n. FRANCESCHINIS, Sui poteri e i diritti di ogni singola componente della Rsa)
- Ciascuna componente della rappresentanza sindacale unitaria ha il diritto, ex art. 2 del Contratto collettivo quadro 5/9/98, di indire assemblee dei pubblici dipendenti durante l’orario di lavoro (Trib. Milano 27 marzo 2000, est. Martello, in D&L 2000, 679)
Rapporti con la RSA
- Ai sensi del Testo Unico sulla Rappresentanza del 10 gennaio 2014, nelle unità produttive dove siano presenti rsa il passaggio alle rsu può essere deciso esclusivamente con l’accordo unanime delle organizzazioni sindacali. (Trib. Torino 5/2/2019, ord., Pres. La Manna, in Riv. It. Dir. Lav. 2019, con nota di A. Morone, “Quando serve il consenso di tutti i sindacati per passare dalle rsa alle rsu”, 331)
- Le organizzazioni sindacali che hanno sottoscritto gli accordi intercategoriali e di categoria istitutivi e regolamentari della rappresentanza sindacale unitaria (r.s.u.) e comunque quelle che hanno partecipato alle elezioni della r.s.u. non possono costituire autonome rappresentanze sindacali aziendali (r.s.a.) ex art. 19 St. Lav. fino alla decadenza della r.s.u. eletta, né i datori di lavoro che hanno aderito agli accordi possono riconoscere una r.s.a., ove risulta già presente una r.s.u. (Trib. Ravenna 27/7/2005, decr., Giud. Riverso, in Giust. Civ. 2006, 195)
- L’art. 12 dell’Accordo interconfederale 22/7/94 in materia di rappresentanze sindacali unitarie non può essere interpretato nel senso di non ammettere la costituzione ex novo di una r.s.a. in una unità produttiva nelle more per l’elezione della r.s.u. Diversamente opinando, si attribuirebbe alla volontà delle parti un significato irrazionale, dal momento che la stessa disposizione collettiva prevede la sopravvivenza delle rappresentanze sindacali aziendali già costituite sino all’elezione della rappresentanza unitaria (Trib. Lucca 3/3/00, pres. Ferro, est. Bernardini, in Riv. it. dir. lav. 2001, pag. 200, con nota di Topo, Sul diritto a costituire una r.s.a. nelle more per l’elezione della r.s.u.)
Condotta antisindacale
- In base al d.lgs. n. 165/2001 e all’accordo collettivo quadro 7 agosto 1998 relativo alla costituzione delle RSU nei comparti della pubblica amministrazion, la rappresentanza unitaria ha il carattere di organismo autonomo, protetto dagli strumenti di garanzia stabiliti dal titolo III dello Statuto dei lavoratori. L’unica regola prevista dall’accordo quadro implica che le decisioni vengono assunte dalla stessa RSU a maggioranza dei componenti, per cui, ai fini dell’autonomia attribuita alla RSU nella realizzazione della sua funzione di rappresentanza dei lavoratori, nessun provvedimento può essere adottato dall’amministrazione datrice di lavoro in ordine alla composizione della RSU, pena l’illegittimità ai sensi dell’art. 28 Stat. lav. (Cass. 20/3/2008 n. 7604, Pres. Cavagnani Rel. Miani Canevari, in Lav. nelle P.A. 2008, 403)
- Indipendentemente dalle fattispecie di incompatibilità e dal contenuto della previsione relativa alla sostituzione di componenti della RSU, ogni ingerenza dell’amministrazione nella composizione di tale rappresentanza è lesiva della libertà sindacale, in quanto per la configurabilità della fattispecie vietata dall’art. 28 St. Lav. non è necessario l’accertamento di uno specifico in tento lesivo da parte del datore di lavoro, ma è sufficiente che il comportamento denunciato leda oggettivamente in maniera illegittima gli interessi collettivi di cui sono portatrici le organizzazioni sindacali. (Cass. 20/3/2008 n. 7604, Pres. Cavagnani Rel. Miani Canevari, in Lav. nelle P.A. 2008, 403)
- Ai sensi dell’art. 6 CCNL Scuola 24 luglio 2003, il diritto di informazione successiva, da esercitarsi nel corso di appositi incontri (nella fattispecie sulle modalità di utilizzo dei fondi destinati a progetti educativi speciali), può essere esercitato solo collegialmente dalla RSU, non essendo ragionevole ritenere che ogni membro dell’organismo di rappresentanza possa pretendere un incontro specifico sul tema. (Trib. Bologna 21/1/2008, decr. Est. Dalla Casa, in Lav. nelle P.A. 2008, 406)
- La natura antisindacale del licenziamento disciplinare intimato a un componente della Rsu a seguito di un addebito estraneo all’esercizio concreto dell’attività sindacale può essere verificata attraverso indici sintomatici quali la legittimità e la proporzionalità della sanzione, le modalità con cui è stato esercitato il recesso, nonché vlutando altre circostanze esetrne e concomitanti. (Trib. Milano 11/8/2007, Est. Vitali, in D&L 2007, con nota di Alberto Vescovini, “Sul licenziamento discriminatorio: considerazioni in materia di cooperative di lavoro ed elementi indiziari della natura antisindacale”, 1031)
- La natura antisindacale delle sanzioni intimate a un componente della Rsu può essere ricavata dalla fragilità delle motivazioni addotte nelle relative contestazioni nonché dall’adozione, da parte del datore di lavoro, di provvedimenti ingiustificati, tali da svilire il ruolo sindacale del lavoratore (nella fattispecie l’ordine di presentarsi l’indomani presso una sede distante centinaia di chilometri per svolgere un corso di aggiornamento professionale e la disattivazione dell’accesso alla rete informatica aziendale). (Trib. Milano 23/7/2007, decr., Est. Martello, in D&L 2007, con nota di Alberto Vescovini, “Sul licenziamento discriminatorio: considerazioni in materia di cooperative di lavoro ed elementi indiziari della natura antisindacale”, 1031)
- In mancanza di una prova diretta del collegamento causale tra il licenziamento di un componente della Rsu e a la sua appartenenza e attività sindacale, la natura antisindacale del recesso può essere accertata mediante elementi indiziari e indiretti (nella fattispecie l’antisindacalità è stata affermata in relazione alla sproporzione e pretestuosità delle sanzioni disciplinari nonché alle modalità con cui sono state comunicate le contestazioni disciplinari, tali da ostacolare il diritto di difeaa del lavoratore). (Trib. Milano 19/7/2007, decr., Est. Scudieri, in D&L 2007, con nota di Alberto Vescovini, “Sul licenziamento discriminatorio: considerazioni in materia di cooperative di lavoro ed elementi indiziari della natura antisindacale”, 1031)
- Per il componente di una Rsu la revoca dell’iscrizione al sindacato nelle cui liste è stato eletto non comporta, di per sè, alcuna decadenza dalla carica; vanno pertanto dichiarate illegittime le sanzioni disciplinari irrogate dal datore di lavoro nei suoi confronti, per avere quest’ultimo continuato a esercitare le prerogative di componente di Rsu anche dopo la revoca dell’iscrizione all’organizzazione sindacale di appartenenza. (Trib. Milano 5/4/2007, Est. Di Leo, in D&L 2007, con nota di Giuseppe cordedda, “Il componente di Rsu fra autonomia e affiliazione sindacale”, 397)
- Il datore di lavoro non può eccepire la decadenza dalla carica di Rsu a seguito della revoca da parte del singolo rappresentante dell’iscrizione alla O.S. nell’ambito della quale è stato eletto, in quanto, nel sistema delineato dall’Accordo Interconfederale del 20/12/93, che prevede le dimissioni come unica ipotesi di decadenza dalla carica sindacale, il datore di lavoro non può ingerirsi nella gestione dei rapporti sindacali. Costituisce comportamento antisindacale non consentire lo svolgimento di un’assemblea indetta da un singolo membro della Rsu, in quanto, come si ricava dall’interpretazione letterale e sistematica dell’Accordo Interconfederale del 20/12/93 e dell’art. 20 SL, i singoli rappresentanti esercitano disgiuntamente i poteri e i diritti previsti dagli artt. 20 e segg. SL, laddove la Rsu viene in considerazione unitariamente soltanto nella fase negoziale. (Trib. Milano 27/4/2006, decr., Est. Tanara, in D&L 2006, con nota di Alberto Vescovini, “Decadenza e poteri del singolo membro della Rsu”, 745)
- Costituisce comportamento antisindacale non consentire lo svolgimento di un’assemblea alla quale intende partecipare un rappresentante esterno di una O.S. non firmataria di un contratto collettivo applicabile in azienda. (Trib. Milano 27/4/2006, decr., Est. Tanara, in D&L 2006, con nota di Alberto Vescovini, “Decadenza e poteri del singolo membro della Rsu”, 745)
- È antisindacale l’installazione e il conseguente utilizzo da parte del datore di lavoro di un software di controllo a distanza dell’attività lavorativa in assenza di un previo accordo con i competenti organi sindacali, a nulla rilevando che la società giustifichi l’utilizzo di tale software per controlli difensivi, in quanto nessun controllo può considerarsi legittimo se effettuato in contrasto con il disposto dell’art. 4, 2° comma, SL (nel caso di specie il datore di lavoro aveva installato il software Blue’s 2002, che consentiva di rilevare, relativamente a lavoratori addetti a un call center, la data, l’ora, e la durata di ogni chiamata in entrata e in uscita). (Trib. Milano 18/3/2006, Est. porcelli, in D&L 2006, con nota di Angelo Beretta, 752)
- Costituisce condotta antisindacale il licenziamento di un delegato Rsu, il quale si sia avvalso dei permessi sindacali di cui all’art. 23 SL per attività di generica consulenza per l’O.S. di categoria, in quanto le modalità di espletamento del mandato sindacale sono sottratte a qualsiasi potere discrezionale di valutazione, da parte del datore di lavoro. (Trib. Milano 23/11/2004, decr., Est. Peragallo, in D&L 2005, 134)
- Costituisce condotta antisindacale il comportamento del datore di lavoro che nega ad un’organizzazione sindacale il diritto di sostituire il membro della Rsu, eletto nella propria lista che aveva disdettato la propria affiliazione sindacale, con il primo non eletto della lista stessa e ciò anche nell’ipotesi in cui un accordo aziendale preveda la costituzione della Rsu interamente su base elettiva. (Trib. Milano 30/6/2003, Est. Mascarello, in D&L 2003, 917, con nota di Filippo Capurro, “Membri della Rsu e raccordo con il sindacato esterno: di nuovo sulla disdetta del membro della Rsu dall’affiliazione al sindacato di appartenenza”)
- È antisindacale il licenziamento del rappresentante sindacale unitario posto in essere dal datore di lavoro attraverso l’uso discriminatorio e strumentale del proprio potere disciplinare e con il chiaro scopo di ostacolare l’attività sindacale all’interno dell’azienda. (Trib. Milano 27/9/2001, Est. Marasco, in D&L 2002, 78)
- In caso di licenziamento di componente della rappresentanza sindacale unitaria, l’inerzia del sindacato, che non abbia espressamente negato il nulla osta al licenziamento, nel richiedere – ai sensi dell’art. 14 dell’Accordo interconfederale 18/4/66, richiamato dall’art. 5, disciplina generale, sez. II, del c.c.n.l. Industria metalmeccanica dell’ 8/6/99 – l’esame conciliativo della vertenza, se da un lato non è causa di inammissibilità del ricorso introdotto ex art. 28, L. n. 300/70, dall’altro impedisce di evidenziare, già in sede stragiudiziale, le specifiche attività sindacali che il sindacato stesso asserisce essere alla base del denunciato licenziamento discriminatorio (Trib. Cuneo 31/5/00, est. Cavallo, in Orient. Giur. Lav. 2000, pag. 339)
- È antisindacale il disconoscimento della Rsu costituita per iniziativa disgiunta di alcune OO.SS. in possesso dei requisiti di cui all’AI 20/12/93 (Trib. Milano 29 settembre 1999, pres. ed est. Ruiz, in D&L 2000, 329)
- La sospensione in Cigs di un’alta percentuale (nel caso di specie 5 su 6) di Rsu di una medesima organizzazione sindacale configura comportamento antisindacale quando il datore di lavoro, pur avendo effettuato la scelta dei lavoratori da sospendere in base a criteri oggettivi e concertati, abbia fatto procedere tale momento di scelta da una ridistribuzione dell’organico aziendale preordinata, in modo esclusivo, a escludere, in concreto, i predetti criteri oggettivi di scelta (Pret. Milano 31/12/98, est. Santosuosso, in D&L 1999, 305)
- Non costituisce comportamento antisindacale il comportamento del datore di lavoro che, conformemente alla prassi aziendale e senza operare disparità di trattamento tra diverse OO.SS., attribuisca il monte ore mensile di permessi ai singoli rappresentanti sindacali e non al sindacato nel suo insieme (Trib. Milano 17/4/98, pres. Mannacio, est. Accardo, in D&L 1998, 640, n. QUADRIO, Rsu tra collegialità e antagonismo)
- La comunicazione effettuata dal datore di lavoro, per la convocazione a trattative sindacali, mediante chiamata telefonica a uno degli apparecchi ubicati nel locale comune a disposizione delle Rsu, non è mezzo idoneo a garantire l’avvenuta conoscenza della convocazione da parte di tutte le Rsu e costituisce pertanto comportamento antisindacale (Pret. Milano 10/1/95, est. Porcelli, in D&L 1995, 549, nota FRANCESCHINIS. In senso conforme, v. Trib. Milano 17/4/98, pres. Mannacio, est. Accardo, in D&L 1998, 640, n. QUADRIO, Rsu tra collegialità e antagonismo)
- Costituisce condotta antisindacale il rifiuto reiterato di incontrare e trattare con le Rsu, poiché tale comportamento rappresenta una chiara manifestazione di indisponibilità al confronto con conseguente disconoscimento del ruolo delle organizzazioni sindacali (Pret. Milano 5/8/95, est. Vitali, in D&L 1995, 865)
- È antisindacale la pretesa del datore di lavoro di sindacare tempi e modalità di fruizione dei permessi ex art. 23 S.L da parte dei componenti delle Rsu (Pret. Nola, sez. Pomigliano d’Arco, 19/4/95, est. Perrino, in D&L 1995, 847)
- Non costituisce comportamento antisindacale la mancata ripartizione, tra tutte le Rsu elette, del monte ore di permessi sindacali retribuiti di cui godevano in precedenza i dirigenti delle Rsa, in forza di accordi aziendali, in quanto l’Accordo Interconfederale del 10/12/93 prevede il subingresso dei componenti delle Rsu limitatamente ai permessi spettanti per legge ai dirigenti della Rsa (Pret. Nola, sez. Pomigliano d’Arco, 19/4/95, est. Perrino, in D&LD&L 1995, 549) 1995, 847. In senso conforme, v. Pret. Milano 10/1/95, est. Porcelli, in
- Non costituisce comportamento antisindacale l’obbligo imposto dalla società alle Rsu di consumare ogni mese l’intero monte ore mensile di permessi sindacali retribuiti (Pret. Milano 10/1/95, est. Porcelli, in D&L 1995, 549, nota FRANCESCHINIS)
RSU in genere
- Non decade dalla carica di membro della rappresentanza sindacale unitaria il lavoratore che, eletto nella lista di un sindacato, si dimette da questo per passare a un’altra organizzazione sindacale. Le delibere della r.s.u. che sanciscano, in virtù di tale passaggio, l’esistenza di una situazione di incompatibilità e di decadenza dalla carica, sono illegittime. (Trib. Parma 19/11/2007, Giud. Medioli Devoto, in Riv. it. dir. lav. 2009, con commento di Alessandro Nucci, “Revoca della affiliazione sindacale e decadenza del rappresentante sindacale unitario”, 418)
- Il “cambiamento di appartenenza sindacale” del componente di Rsu, che ai sensi dell’art. 6 dell’Accordo interconfederale del 10.1.2014 ne determina la decadenza dall’organismo, è costituito da un mero cambio di identità, che può consistere anche nella sopravvenuta assenza di una qualsivoglia appartenenza sindacale e non presuppone l’iscrizione ad altro sindacato. (Trib. Napoli 4/7/2017, ord., Pres. Papa Est. Coppola, in Riv. Giur. Lav. prev. soc. 2017, con nota di D. Manna, “Testo unico sulla rappresentanza e decadenza da membro della RSU: la problematica ipotesi del ‘cambio di appartenenza’”, 633)
- Ai sensi dell’art. 6 dell’Accordo interconfederale del 10.1.2014, il “cambiamento di appartenenza sindacale” del componente Rsu che ne determina la decadenza dall’organismo si configura con le dimissioni da un sindacato e l’iscrizione a un altro. (Trib. Napoli 18/5/2017, ord., Giud. Marchese, in Riv. Giur. Lav. prev. soc. 2017, con nota di D. Manna, “Testo unico sulla rappresentanza e decadenza da membro della RSU: la problematica ipotesi del ‘cambio di appartenenza’”, 633)
- In caso di disposizione del Ccnl che preveda la facoltà di nominare un numero di componenti della Rsu superiore rispetto a quello minimo previsto dall’ AI 20/12/93, trova applicazione la previsione di cui alla parte prima, punto 3, del citato AI che sancisce la prevalenza delle clausole contrattuali di miglior favore, con conseguente diritto delle OO. SS. di nominare un numero di componenti della Rsu corrispondente a quanto previsto dal contratto collettivo (nel caso di specie, è stata dichiarata l’antisindacalità del disconoscimento delle Rsu nominate in numero superiore rispetto a quello minimo previsto dall’AI cit., e ciò sulla scorta dell’art. 21 Ccnl Turismo Aica, che prevede la nomina di un numero di componenti della Rsu superiore a quello previsto dall’AI “in fase di prima applicazione e comunque per un periodo non superiore alla vigenza del presente accordo”). (Trib. Milano 3/4/2007, decr., Est. Di Leo, in D&L 2007, 403)
- Nella R.S.U. l’eletto non si presenta inscindibilmente collegato, attraverso la lista, all’organizzazione sindacale, essendo previsto un sistema elettorale fortemente collegato alla base dei lavoratori; è da escludersi che la R.S.U. sia una rappresentanza sindacale di investitura puramente associativa alla stregua di una R.S.A. e, pertanto, l’adesione a sindacato diverso da quello originario non comporta decadenza dalla funzione di componente della R.S.U. (Trib. Milano 27/4/2006, decr., n. 1584, Giud. Tanara, in ADL 2007, con nota di Lucio Imberti, “R.S.U. e titolarità dei diritti sindacali: avanti in ordine sparso”, 482)
- Sia nella fase delle elezioni della R.S.U., sia nella successiva fase di gestione dei rapporti sindacali, al datore di lavoro non spetta alcun controllo o verifica, dovendosi limitare a registrare i nominativi degli eletti ovvero prendere atto di eventuali modifiche nella composizione della R.S.U. stessa. (Trib. Milano 27/4/2006, decr., n. 1584, Giud. Tanara, in ADL 2007, con nota di Lucio Imberti, “R.S.U. e titolarità dei diritti sindacali: avanti in ordine sparso”, 482)
- Anche i singoli componenti della R.S.U. hanno il potere di indire le assemblee ai sensi dell’art. 20 della legge n. 300 del 1970, norma che (unitamente all’art. 4, Accordo Interconfederale 20.12.1993) deve essere interpretata nel senso di consentire a ciascuna organizzazione di indire un numero di ore di assemblea tali da realizzare il monte ore spendibile. (Quand’anche si escluda la legittimità della partecipazione all’assemblea di un sindacalista esterno, in quanto appartenente a organizzazione sindacale non firmataria di alcun contratto applicato in azienda, non per questo il datore di lavoro è legittimato a negare l’assemblea convocata da un singolo componente della R.S.U., dovendosi limitare a proibire la presenza del sindacalista esterno. (Trib. Milano 27/4/2006, decr., n. 1584, Giud. Tanara, in ADL 2007, con nota di Lucio Imberti, “R.S.U. e titolarità dei diritti sindacali: avanti in ordine sparso”, 482)
- Anche a voler aderire all’orientamento interpretativo che ravvisa il persistere, pur dopo le elezioni, di un vincolo tra l’organizzazione sindacale proponente e il membro di Rsu eletto, non è comunque possibile riconoscere in capo alla singola rappresentanza sindacale unitaria la legittimazione a prevedere il verificarsi di una specifica situazione d’incompatibilità, con le conseguenze ipso iure di decadenza stabilite dall’art. 9, parte I, dell’Accordo collettivo quadro 7 agosto 1998, nel caso del componente che revochi l’iscrizione al sindacato nella cui lista era stato candidato ed eletto. (Trib. Parma Parma 3/3/2006, , ord., Pres. ed Est. Brusati, in ADL 2007, con nota di Chiara Lazzari, “Ancora in tema di rapporti fra membri di Rsu e sindacato d’appartenenza”, 189)
- La possibilità di costituire R.S.U., da parte di organizzazioni sindacali non firmatarie di contratti collettivi di lavoro applicati nelle unità produttive aziendali, richiede un atto di espressa e formale accettazione degli specifici accordi nazionali ed interconfederali da parte del competente organo della struttura della struttura sindacale a livello nazionale, o altro soggetto se espressamente delegato (nel caso di specie, il giudicante, nell’ambito di un procedimento d’urgenza, non ha ritenuto idonea sia sul piano formale che sostanziale l’accettazione degli accordi sindacali formulata mediante una comunicazione a firma del coordinatore provinciale Slai-Cobas). (Trib. Ravenna 26/7/2004, ord., Pres. Lacentra Rel. De Lorenzo, in Lav. nella giur. 2005, con commento di Marcello Bertocchi e Giovanni Gastaldi, 366)
- Poiché la Rsu è soggetto sindacale autonomo dotato sia della rappresentatività, intesa come effettività delle decisioni, garantita dall’avere al proprio interno 1/3 dei rappresentanti nominati ad opera delle organizzazioni sindacali firmatarie del Ccnl applicabile nell’unità produttiva, sia della rappresentanza diretta dei lavoratori, derivante dal mandato per così dire politico insito nell’elezione a suffragio universale dei rimanenti 2/3 dei rappresentanti, i contratti collettivi aziendali dalle stesse stipulati hanno efficacia generale per tutti i lavoratori che abbiano partecipato alle elezioni.(Corte d’Appello Milano 18/2/2003, Pres. Mannacio, in D&L 2003, 287, con nota di Angelo Beretta, ” Rsu ed efficacia erga omnes della contrattazione collettiva aziendale”)
- Decade dalla carica di membro di rappresentanza sindacale unitaria il lavoratore che, eletto nella lista di un sindacato, si dimette da questo per passare ad un’altra organizzazione (Cass. 12/8/00, n. 10769, pres. De Musis, in Riv. it. dir. lav. 2001, pag. 192, con nota di Campanella, Sulla decadenza di membro elettivo di r.s.u. per evoca del mandato associativo)
- Il datore di lavoro non è legittimato a contestare in un lavoratore la qualità di Rsu, dovendo esclusivamente prendere atto dei risultati delle elezioni, della dichiarazione sindacale di nomina e delle eventuali successive modifiche nella composizione della Rsu comunicate da parte sindacale (Trib. Milano 16 ottobre 1999 (ord.), est. Atanasio, in D&L 2000, 112, n FRANCESCHINIS, Sui poteri del singolo Rsu. In senso conforme, v. Trib. Milano 9 dicembre 1999 (ord.), pres. ed est. Ruiz, in D&L 2000, 112)
- In quanto la Rsu non sia dotata di un organismo unitario di coordinamento, di un organo esecutivo autonomo e, quindi, di un referente unitario per il datore di lavoro, è obbligo di quest’ultimo comunicare informazioni e convocazioni a ogni specifico gruppo che, altrimenti, rischierebbe di rimanere escluso dalla partecipazione all’attività collegiale (Pret. Milano 31/12/98, est. Santosuosso, in D&L 1999, 305)
- La disdetta dall’iscrizione al sindacato che ha presentato una lista nelle elezioni della Rsu, da parte di un lavoratore eletto membro della Rsu in quella lista, è inidonea a far venir meno tale qualità di membro di Rsu (Pret. Milano 7/4/97, est. Santosuosso, in D&L 1997, 747)
- L’accordo interconfederale 20/12/93, relativo alla costituzione delle rappresentanze sindacali unitarie, è inefficace nei confronti delle OO. SS. non firmatarie (Pret. Monza 11/4/95, est. Padalin, in D&L 1995, 557)
Questioni di procedura
- Può essere decisa con il procedimento sommario ex art. 702-bis c.p.c. con giudice monocratico la causa in cui un’organizzazione sindacale di lavoratori (nella specie: FIOM-CGIL) agisce per preteso inadempimento contrattuale contro un’organizzazione dei datori di lavoro (nella specie: Federmeccanica), in quanto la causa riguarda i normali rapporti contrattuali e non direttamente né indirettamente controversie individuali di lavoro ex art. 409 c.p.c. o comportamenti antisindacali ex art. 28 St. Lav. (Trib. Roma 31/5/2013, Giud. Sennato, in Lav. nella giur. 2013, con commento di Michele Miscione, 702)
- È competente il giudice del lavoro, e non il giudice ordinario, per un’azione di accertamento in via d’urgenza ex art. 700 c.p.c., promossa dal datore di lavoro nei confronti dei sindacati, per l’accertamento della legittimità, ai fini dello svolgimento delle trattative sindacali, di rappresentanza sindacale aziendale costituita in presenza di rappresentanza sindacale unitaria. (Trib. Ravenna 19/7/2005, ord., Giud. Vignati, in Giust. Civ. 2006, 195)
- La domanda con la quale una O.S. deduca nei confronti di altre OO.SS., la violazione dell’accordo per la costituzione della Rsu e richieda una pronuncia di annullamento della elezione di detto organismo, rientra nella competenza del giudice del lavoro. (Trib. Pavia 17/11/2003, ord., Est. Trogni, in D&L 2003, 925)
- Gli artt. 6, 18 e 19 dell’Accordo quadro 7/8/98 per l’elezione delle Rsu nei comparti pubblici non configurano una clausola compromissoria, ma un sistema di ricorsi interni che non pregiudica la facoltà del soggetto che si ritenga leso di adire l’Ago. (Trib. Pavia 17/11/2003, ord., Est. Trogni, in D&L 2003, 925)
- Nella controversia avente ad oggetto l’accertamento da parte datoriale della decadenza di un componente delle r.s.u. dalle proprie funzioni, legittimato passivo non è il sindacato, bensì il lavoratore (Cass. 12/8/00, n. 10769, pres. De Musis, in Riv. it. dir. lav. 2001, pag. 192, con nota di Campanella, Sulla decadenza di membro elettivo di r.s.u. per evoca del mandato associativo)
- Il singolo lavoratore membro della Rsu è legittimato ad agire per la tutela della propria qualità di Rsu e per l’attivazione dei diritti che ne conseguono (Trib. Milano 16 ottobre 1999 (ord.), est. Atanasio, in D&L 2000, 112, n FRANCESCHINIS, Sui poteri del singolo Rsu. In senso conforme, v. Trib. Milano 9 dicembre 1999 (ord.), pres. ed est. Ruiz, in D&L 2000, 112)
RLS – Rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza
In genere
- È illegittimo il licenziamento del lavoratore rappresentante dei lavoratori per la sicurezza motivato dal suo rifiuto di ricoprire anche l’incarico di responsabile del servizio di prevenzione e protezione. (Cass. 15/9/2006 n. 19965, Pres. Sciarelli Est. Celentano, in Riv. it. dir. lav. 2007, con nota di Valentina Pasquarella, “Incompatibilità degli incarichi di rappresentante dei lavoratori per la sicurezza e di responsabile del servizio di prevenzione e protezione”, 676)
- Al datore di lavoro non può essere riconosciuto alcun potere di controllo circa le effettive modalità di utilizzazione del permesso sindacale previsto per i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza. (Trib. Milano 18/6/2002, Est. Ianniello, in D&L 2002, 858)
- Il Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (Rls), il quale goda dei permessi sindacali, è titolare ai sensi dell’art. 19 D. Lgs. 19/9/94 n. 626 delle stesse tutele previste per il dirigente della Rsa dallo SL. (Trib. Orvieto 14/2/2002, decr., Est. Zampi, in D&L 2002, 332)
- L’art. 18, 3° comma, D. Lgs. 19/9/94 n. 626, che disciplina il rappresentante per la sicurezza nelle aziende o unità produttive con più di 15 dipendenti, allorquando fa riferimento alle “rappresentanze sindacali in azienda” indica le rappresentanze sindacali aziendali ex art. 19 S.L. (nella fattispecie, è stato conseguentemente ritenuto che non costituisse condotta antisindacale il comportamento del datore di lavoro, che aveva escluso, dalle elezioni per il rappresentante per la sicurezza, la lista di un sindacato che non aveva costituito Rsa) (Trib. Milano 20/12/97, pres. Ruiz, est. de Angelis, in D&L 1998, 347, n. CHIUSOLO, Il rappresentante per la sicurezza tra rappresentanza sindacale aziendale e rappresentanza sindacale in azienda)
Rappresentanti per la sicurezza – art. 9 S.L.
- Il diritto di promuovere la nomina, da parte dei lavoratori, di rappresentanze ex art. 9 S.L. spetta anche all’organizzazione sindacale non stipulante il CCNL, contenente la disciplina della formazione di comitati e rappresentanze per verificare e tutelare le condizioni di lavoro e l’applicazione delle misure di sicurezza (Pret. Milano 28/7/95, est. Santosuosso, in D&L 1995, 860, nota Vettor, Il rappresentante ex art. 9 SL)
Condotta antisindacale
- Costituisce comportamento antisindacale l’avvenuta indizione e gestione da parte del datore di lavoro delle elezioni del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, ai sensi del D. Lgs. 19/9/94 n. 626 (Pret. Milano 2/7/97, est. Negri Della Torre, in D&L 1998, 69, n. FRANCESCHINIS, L’elezione del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza)
- Pone in essere un comportamento antisindacale il datore di lavoro che disconosca, in capo a soggetti esterni, la qualifica di rappresentante ex art. 9 SL, impedendo loro l’accesso ai locali aziendali (Pret. Milano 28/7/95, est. Santosuosso, in D&L 1995, 860, nota Vettor, Il rappresentante ex art. 9 SL)
- È antisindacale, per contrarietà al disposto dell’art. 9 SL, il comportamento del datore di lavoro consistente nel rifiuto di far esaminare alle Rsa il registro degli infortuni, al fine di verificare la sussistenza di un rapporto di causalità tra lo svolgimento di un elevato numero di ore di lavoro straordinario e il verificarsi di infortuni sul lavoro (Pret. Milano 4/4/95, est. Peragallo, in D&L 1995, 563)
- È antisindacale l’omessa consultazione dei rappresentanti per la sicurezza da parte del datore di lavoro, in occasione della valutazione dei rischi per la sicurezza e per la salute dei lavoratori (Pret. Campobasso 10/2/99 (decr.), est. Valle, in D&L 1999, 302, n. ZEZZA)
- Costituisce condotta antisindacale il trasferimento del Rappresentante per la sicurezza (Rls), di cui all’art. 18 D. Dlg. 626/94, senza il nulla osta dell’organizzazione sindacale di appartenenza richiesto dall’art. 22 SL. (Trib. Orvieto 14/2/2002, decr., Est. Zampi, in D&L 2002, 332)