Questa voce è stata curata da Giorgio Albani
Scheda sintetica
La disciplina del contratto a tempo determinato e delle altre forme contrattuali flessibili di assunzione e di impiego del personale all’interno delle pubbliche amministrazioni è contenuta nell’art. 36 del Decreto Legislativo 30 marzo 2001, n. 165 come modificato dall’art. 49 della legge 133 del 23 Agosto 2008.
La formulazione dell’art. 36 conferma sostanzialmente quanto contenuto nella norma originaria in termini di causali di utilizzo, mentre introduce elementi di novità in relazione alla durata massima dei contratti di lavoro flessibile.
Viene confermato infatti che le Pubbliche amministrazioni possano ricorrere all’utilizzo di contratti a tempo determinato per rispondere ad esigenze di carattere temporaneo ed eccezionale. Valgono a questo proposito tutte le argomentazioni sopra svolte in relazione al contratto a tempo determinato nel settore privato.
Per approfondimenti sul contratto a termine nel settore privato si veda la voce Contratto a termine
Normativa di riferimento
- Decreto Legislativo 30 marzo 2001, n. 165
- Decreto Legislativo 6 settembre 2001, n. 368
- Legge 28 giugno 2012 n. 92, recante disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita
- Decreto legge 31 agosto 2013, n. 101
A chi rivolgersi
- Ufficio vertenze sindacale
- Studio legale specializzato in diritto del lavoro
Scheda di approfondimento
La disciplina del contratto a tempo determinato e delle altre forme contrattuali flessibili di assunzione e di impiego del personale all’interno delle pubbliche amministrazioni è contenuta nell’art. 36 del Decreto Legislativo 30 marzo 2001, n. 165 come modificato dall’art. 49 della legge 133 del 23 Agosto 2008.
Le Pubbliche amministrazioni possano ricorrere all’utilizzo di contratti a tempo determinato per rispondere ad esigenze di carattere esclusivamente temporaneo ed eccezionale (l’avverbio “esclusivamente” è stato aggiunto al comma 2 dell’art. 36 del d.lgs. 165/2001 dal D.L. 101/2013).
Valgono a questo proposito tutte le argomentazioni sopra svolte in relazione al contratto a tempo determinato nel settore privato, anche a seguito delle modifiche introdotte dalla legge 92/2012 di riforma del mercato del lavoro.
Il Dipartimento della Funzione Pubblica con parere n. 49/2008 ha precisato che:
“E’ senz’altro ammissibile la riconduzione di dette esigenze alle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo previste dall’art. 1 del citato D.Lgs. 368/2001, anche riferibili all’ordinaria attività e quindi al fabbisogno ordinario, purché caratterizzate dalla temporaneità. …omissis…. In armonia con il primo comma dell’art. 36, nonché per prevenire un uso distorto del lavoro flessibile, è invece escluso che le predette esigenze possano riferirsi ad un fabbisogno ordinario e permanente, anche in presenza di un regime restrittivo delle assunzioni a tempo indeterminato. La valutazione sulla temporaneità dell’esigenza rimane facilmente identificabile. Riguardo l’eccezionalità occorre precisare che non va intesa in termini di imprevedibilità quanto piuttosto di straordinarietà. La previsione è di rafforzamento del concetto stesso di temporaneità escludendo che l’esigenza possa avere un carattere riconducibile ad un bisogno permanente. Al fine di dare adeguata evidenza alle esigenze sottese si ritiene applicabile il disposto di cui all’art. 1, comma 2, del D.Lgs. 368/2001 che prevede di darne specifica nel contratto individuale di lavoro a tempo determinato. “
La norma precisa inoltre che, ferma restando la competenza delle amministrazioni in ordine alla individuazione delle necessità organizzative, i CCNL possano disciplinare la materia dei contratti di lavoro a tempo determinato,in applicazione di quanto previsto dal Decreto Legislativo 368/2001 come modificato dalla legge 92/2012.
Il 3° comma dell’art. 36 nella nuova formulazione stabilisce che le pubbliche amministrazioni non possano ricorrere all’utilizzo del medesimo lavoratore con più tipologie contrattuali per periodi di servizio superiori al triennio nell’arco dell’ultimo quinquennio.
La norma pone non pochi problemi di natura interpretativa che trovano una parziale risposta nel già citato parere n. 49/08, che a tal proposito precisa :
“…..Dall’altro le stesse (amministrazioni ndr) non possono ricorrere all’utilizzo del medesimo lavoratore con più tipologie contrattuali per periodi di servizio superiori al triennio nell’arco dell’ultimo quinquennio. Il quinquennio va calcolato a ritroso rispetto alla data di stipula del nuovo contratto. Per il calcolo del triennio si prendono a riferimento i periodi di vigenza dei contratti e si sommano in termini di mesi. I resti di giorni concorrono a formare un mese se la sommatoria è pari a 30. Il raggiungimento di 12 mesi va a realizzare un anno.
Per quanto riguarda le tipologie contrattuali cui si fa riferimento sono tutte quelle poste in essere dal medesimo datore di lavoro con lo stesso lavoratore rispettando tanto i limiti temporali di ciascun contratto quanto quello generale del triennio nel quinquennio come fissato dal comma 3 in argomento. In particolare:
– per il contratto a tempo determinato la durata non può essere superiore ai 3 anni comprensivi di proroga. Il triennio non può essere superato in nessun caso a prescindere dal quinquennio. Sono fatte salve le assunzioni riferite a procedure concorsuali diverse. La valenza della partecipazione ad un nuovo concorso pubblico, in coerenza con quanto previsto dagli articoli 51 e 97 della Costituzione, prevale rispetto al limite temporale del triennio che può essere superato solo in questa circostanza;
omissis……
Le predette durate sono fatte salve prese come singolo contratto.
Viceversa in caso di più tipologie contrattuali sopraggiunge il limite che la sommatoria dei tempi non può superare il triennio nel quinquennio di guisa che qualora detto periodo non sia stato completato la durata dell’ultimo contratto del quinquennio medesimo non potrà essere superiore al tempo residuo rispetto al triennio stesso, salvo che il soggetto non sia vincitore di un concorso pubblico.
Quest’ultima eccezione non si applica ai concorsi banditi ai sensi dell’art. 1, commi 529 e 560, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 per i soggetti che usufruiscono di riserva. “
La sostanziale differenza rispetto al settore privato è costituita però dalle conseguenze e sanzioni dell’abuso di contratti a termine da parte delle pubbliche amministrazioni.
L’art. 36, 3° comma del D.Lgs. 165 del 2001 (ora 5° comma nella formulazione rivista dalla Legge 133) prevede infatti che “la violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori da parte delle pubbliche amministrazioni non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni, ferma restando ogni responsabilità e sanzione. Il lavoratore interessato ha diritto al risarcimento del danno derivante dalla prestazione di lavoro in violazione di disposizioni imperative.” e di tale danno può essere chiamato a rispondere il dirigente nei confronti dell’amministrazione qualora la violazione sia dovuta a dolo o colpa grave.
La Corte di Giustizia Europea (sent. 7/9/2006, causa C-180/04), chiamata dal Tribunale di Genova (ord. 21.1.2004) a valutare se la citata norma fosse o meno in contrasto con la Direttiva Europea 1999/70 ha, da un lato affermato e ribadito che la disciplina comunitaria dei rapporti a tempo determinato deve considerarsi applicabile anche al settore pubblico e, dall’altro, che il legislatore può prevedere conseguenze diverse per il settore pubblico ed il settore privato purché l’ordinamento interno preveda misure effettive per evitare e sanzionare l’utilizzo abusivo dei contratti. Ciò premesso la Corte ha ritenuto conforme alla Direttiva la norma italiana se ed in quanto le condizioni di applicazione del diritto al risarcimento ne facciano “uno strumento adeguato a prevenire e, se del caso, sanzionare l’utilizzo abusivo da parte della pubblica amministrazione di una successione di contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato”.
La giurisprudenza formatasi sul punto non ha adottato uniformità di decisione a seguito dell’accertata nullità o illegittimità dell’apposizione del termine, sia in termini di natura della responsabilità e conseguenti profili attinenti alla prova, sia in termini di criteri di quantificazione del danno.
Il Tribunale di Genova (sent. 14.12.2006 e sent. 5.4.2007) ha quantificato il danno in venti mensilità di retribuzione utilizzando il parametro di cui all’art. 18, 5° comma Legge 300/1970 (Statuto dei Lavoratori) il Tribunale di Rossano (sent. del 4.6.2007) dopo aver qualificato la responsabilità come contrattuale, ha quantificato il danno in diciassette mensilità pari “al tempo medio necessario per ricercare una nuova occupazione stabile tenuto conto di zona geografica, età dei ricorrenti, sesso e titolo di studio”; la Corte d’appello di Milano, (sent. 14.3.2006) che lo ha liquidato in termini equitativi senza esplicitare i criteri di determinazione, lo ha tuttavia riconosciuto anche in difetto della prova specifica del pregiudizio sofferto dal lavoratore al fine di “realizzare la funzione di misura effettiva con funzione sanzionatoria degli utilizzi abusivi dello strumento contrattuale in discorso”, il Tribunale di Milano (sent. 22/06/2010 n. 2836) ha quantificato in via equitativa il danno nella misura corrispondente alla differenza fra quanto percepito e quanto sarebbe spettato ove il dipendente fosse stato assunto a tempo indeterminato.
Da ultimo, va segnalato che il con il D.L. 101/2013 il legislatore ha introdotto due nuovi commi all’art. 36 del d.lgs. 165/2001.
In particolare, il nuovo comma 5-ter, per un verso, stabilisce che le disposizioni previste dal d.lgs. 368/2001 “si applicano alle pubbliche amministrazioni”, e, per altro verso, ribadisce il divieto della trasformazione del contratto a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato.
Il comma 5-quater, invece, prevede anzitutto che i contratti di lavoro a tempo determinato posti in essere in violazione di quanto stabilito dall’art. 36 “sono nulli e determinano responsabilità erariale” e stabilisce altresì che i dirigenti che vìolano le disposizioni in materia di uso dei contratti di lavoro flessibile nell’ambito del pubblico impiego rispondono ai sensi dell’art. 21 del d.lgs. 165/2001 e non conseguono la retribuzione di risultato.
Casistica di decisioni della Magistratura sul Contratto a termine nel Pubblico impiego
- In caso di contratti a termine illegittimamente stipulati e reiterati da parte di una pubblica amministrazione, va esclusa la trasformazione del rapporto a tempo indeterminato ma, in ogni caso, il dipendente ha diritto al risarcimento del danno nella misura prevista dalla legge. (Cass. 1/2/2021 n. 2175, ord., Pres. Tria Rel. Arienzo, in Lav. nella giur. 2021, 554)
- L’illegittima apposizione di un termine al contratto di lavoro da parte di una pubblica amministrazione – fermo quanto previsto dall’art. 36, D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 161 – non può mai dar luogo alla conversione del rapporto a tempo indeterminato, restando però impregiudicato il diritto del lavoratore a ottenere il risarcimento per il danno subito. (Cass. 23/6/2020 n. 12374, ord., Pres. Torrice Rel. Di Paolantoni, in Lav. nella giur. 2020, 1098)
- Nel settore scolastico, nelle ipotesi di reiterazione illegittima dei contratti a termine stipulati ai sensi dell’art. 4, cc. 1 e 11, della l. n. 124 del 1999, devono essere qualificate misure proporzionate, effettive e idonee a sanzionare debitamente l’abuso e a cancellare le conseguenze della violazione del diritto dell’Ue, la stabilizzazione prevista nella l. n. 107/2015 per il personale docente, attraverso il piano straordinario destinato alla copertura di tutti i posti dell’organico di diritto, sia nel caso di concreta assegnazione del posto di ruolo sia in quello in cui vi sia certezza di fruire, in tempi certi e ravvicinati, di un accesso privilegiato al pubblico impiego, nel tempo compreso fino al totale scorrimento delle graduatorie a esaurimento, secondo l’art. 1, c. 109, della l. n. 107/2015, nonché l’immissione in ruolo acquisita da docenti e personale Ata attraverso l’operare dei pregressi strumenti selettivi concorsuale, che non preclude la domanda per il risarcimento dei danno ulteriori e diversi rispetto a quelli esclusi dalla stessa, con oneri di allegazione e prova a carico del lavoratore. (Cass. 7/11/2016 n. 22552, Pres. Macioce Est. Torrice, in Riv. giur. lav. e prev. soc. 2017, II, con nota di M. Aimo, “Incostituzionalità (parziale) del sistema delle supplenze e riforma della scuola”, 3, in Riv. giur. lav. e prev. soc. 2017, II, con nota di M. Aimo, “Incostituzionalità (parziale) del sistema delle supplenze e riforma della scuola”, 3, e in Riv. It. Dir. lav. 2017, con nota di L. Calafa, “The ultimate say della Cassaizone sul ‘caso scuola’”, 347)
- Sono restituiti al mittente gli atti relativi alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma primo, l. n. 124 del 1999 e dell’art. 93, commi primo e secondo, l. della Provincia autonoma di Trento n. 5 del 2006, in riferimento agli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., in relazione alla clausola 5 dell’accordo quadro, allegato alla dir. n. 70/1999, nella parte in cui consentono la copertura delle cattedre disponibili entro la data del 31 dicembre e che rimangono scoperte per l’intero anno scolastico mediante il conferimento di supplenze annuali, in attesa dell’espletamento delle procedure concorsuali, dovendo essere valutata la perdurante rilevanza della questione in ragione della sopravvenuta l. n. 107 del 2015. (Corte Cost. 20/7/2016, ord., n. 194, Pres. Grossi Est. Coraggio, in Riv. It. Dir. lav. 2017, con nota di V. Allocca, “Il giudizio della Corte Costituzionale sul conferimento di supplenze nelle scuole pubbliche prima e dopo la legge sulla ‘buona scuola’”, 325)
- È costituzionalmente illegittimo, per violazione dell’art. 117, c. 1, Cost., in relazione alla clausola 5.1 dell’Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato allegato alla Direttiva n. 1999/70/Ce, l’art. 4, cc. 1 e 11, della l. 3.5.1999, n. 124 (Disposizioni urgenti in materia di personale scolastico), nella parte in cui autorizza, in mancanza di limiti effettivi alla durata massima totale dei rapporti di lavoro successivi, il rinnovo potenzialmente illimitato di contratti di lavoro a termine per la copertura di posti vacanti e disponibili di docenti, nonché di personale amministrativo, tecnico e ausiliario, senza che ragioni obiettive lo giustifichino. (Corte Cost. 20/7/2016 n. 187, Pres. Grossi Est. Coraggio, in Riv. giur. lav. e prev. soc. 2017, II, con nota di M. Aimo, “Incostituzionalità (parziale) del sistema delle supplenze e riforma della scuola”, 3, e in Riv. It. Dir. lav. 2017, con nota di V. Allocca, “Il giudizio della Corte Costituzionale sul conferimento di supplenze nelle scuole pubbliche prima e dopo la legge sulla ‘buona scuola’”, 325)
- È costituzionalmente illegittimo, nei sensi e nei limiti di cui in motivazione, l’art. 4, commi 1 e 11, L. 3 maggio 1999, n. 124 (Disposizioni in materia di personale scolastico), nella parte in cui autorizza, in mancanza di limiti effettivi alla durata massima totale dei rapporti di lavoro successivi, il rinnovo potenzialmente illimitato di contratti di lavoro a tempo determinato per la copertura di posti vacanti e disponibili di docenti nonché di personale amministrativo, tecnico e ausiliario, senza che le ragioni obiettive lo giustifichino. (Corte Cost. 20/7/2016 n. 187, Pres. Grossi Est. Coraggio, in Lav. nella giur. 2016, con commento di Roberta Nunin, 882)
- Il piano straordinario di assunzioni di cui alla legge n. 107 del 2015, data la sua natura di misura eccezionale, non è idoneo a sanare il pregiudizio derivante dalla mancanza di tempi certi per la stabilizzazione dei lavoratori assunti tramite reiterazione abusiva di contratti a termine: a fronte dell’aleatorietà creatasi, pertanto, l’unico rimedio è il risarcimento del danno “comunitario”. (Trib. Roma 1/10/2015, Est. Leone, in Riv. it. dir. lav. 2016, con nota di Francesco Gadaleta, “Prime pronunce sul rinnovo dei contratti a termine nel settore scolastico dopo la sentenza Mascolo e la riforma della buona scuola”, 59)
- Il piano straordinario di assunzioni di cui alla legge n. 107 del 2015 è misura idonea a sanzionare il ripetuto ricorso ad assunzioni a tempo determinato nel settore della scuola pubblica, in quanto elimina quell’aleatorietà dell’immissione in ruolo dei lavoratori iscritti nelle graduatorie a esaurimento che ha esposto la nostra normativa interna alle censure della Corte Europea di Giustizia. (Trib. Roma 15/9/2015, Est. Sordi, in Riv. it. dir. lav. 2016, con nota di Francesco Gadaleta, “Prime pronunce sul rinnovo dei contratti a termine nel settore scolastico dopo la sentenza Mascolo e la riforma della buona scuola”, 59)
- Nel regime precedente la riforma dell’ente Croce Rossa Italiana, i dipendenti dell’ente con contratto di lavoro a tempo determinato avevano diritto ad accedere, a domanda, alla procedura di stabilizzazione dei lavoratori precari di cui alla l. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 519 (legge finanziaria per il 2007), e quindi avevano diritto a essere assunti a tempo indeterminato, ricorrendo le condizioni contemplate da tale disposizione, senza che alcuna priorità fosse possibile in favore del personale con contratto di lavoro temporaneo che avesse prestato servizio presso l’ente stesso rispetto al personale, parimenti con contratto di lavoro temporaneo, ma che avesse prestato servizio presso altri enti e segnatamente in posizione di distacco presso le Aziende Sanitarie Locali, essendo tale differenziazione, presente nel bando dell’ente, contraria al principio di eguaglianza (art. 3 Cost., comma 1) e di non discriminazione nel rapporto di lavoro (ex d.lgs. n. 216 del 2003). (Cass. 11/6/2015 n. 12117, Pres. Vidiri Edt. Maisano, in Riv. it. dir. lav. 2016, con nota di Gabriella Leone, “La discriminazione dei lavoratori distaccati nelle procedure di stabilizzazione della Croce Rossa Italiana”, 155)
- Spetta al giudice nazionale accertare se le condizioni di applicazione nonché l’attuazione effettiva delle pertinenti disposizioni di diritto interno configurino uno strumento adeguato a prevenire e, se del caso, a sanzionare il ricorso abusivo da parte della pubblica amministrazione a contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato stipulati in successione. Le misure previste dalla normativa nazionale in questione, al fine di sanzionare il ricorso abusivo a contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, non devono essere meno favorevoli di quelle che disciplinano situazioni analoghe di natura interna, né rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti attribuiti all’ordinamento giuridico dell’Unione. Anche in questo caso spetta al giudice valutare in che misura le disposizioni di diritto nazionale miranti a sanzionare il ricorso abusivo, da parte della pubblica amministrazione, a contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato in ordine di successione siano conformi a questi principi. (Cass. S.U. 29/3/2015 n. 4685, Pres. Roselli Rel. Mammone, in Lav. nella giur. 2015, con commento di Roberta Nunin, 588)
- In fattispecie regolata dalla legislazione regionale siciliana, dopo l’entrata in vigore della L.R. 19 agosto 1999, n. 18, che ha aggiunto all’art. 1 della L.R. 30 aprile 1991, n. 12, il comma 1 bis, e prima della entrata in vigore della L.R. 5 novembre 2004, n. 14, nel caso di declaratoria di nullità del termine apposto al contratto di lavoro di un dipendente di un ente pubblico economico regionale, anche se sottoposto a tutela o vigilanza della Regione, l’instaurazione del rapporto di lavoro indeterminato non è condizionata dall’obbligo di espletamento di un pubblico concorso o di procedure selettive. (Cass. S.U. 29/3/2015 n. 4685, Pres. Roselli Rel. Mammone, in Lav. nella giur. 2015, con commento di Roberta Nunin, 588)
- L’art. 36 del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 (Testo unico pubblico impiego), nel riconoscere il ricorso al contratto a termine e ad altre forme negoziali flessibili nel rapporto di lavoro pubblico, ha valorizzato il ruolo della contrattazione collettiva con l’attribuire alla stessa una più accentuata rilevanza rispetto al passato, ma nello stesso tempo ha rimarcato l’innegabile differenza esistente tra forme contrattuali nell’area del pubblico impiego seppure privatizzato e in quella del lavoro privato. Ne consegue che la suddetta norma si configura come speciale in ragione di un proprio e specifico regime sanzionatorio, che, per escludere la conversione in un contratto a tempo indeterminato e con il risultare funzionalizzato a responsabilizzare la dirigenza pubblica nel rispetto delle norme imperative in materia nonché a risarcire i danni che il lavoratore dimostri di aver subito per la violazione delle suddette norme, risulta alternativo a quello disciplinato dall’art. 5 del d.lgs. 6 settembre 2001, n. 368, escludendone in ogni caso l’applicazione. (Trib. Campobasso 16/9/2014, Giud. Scarlatelli, in Lav. nella giur. 2015, 205)
- In materia di pubblico impiego privatizzato, la violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori da parte della PA non determina la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato, ma fonda il diritto del lavoratore al risarcimento del danno, ai sensi dell’art. 36, comma 5, del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165. La liquidazione di tale danno deve essere effettuata in base ai comuni canoni posti dall’art. 1223 ss. C.c., senza possibilità di fare ricorso in via analogica al sistema indennitario onnicomprensivo previsto dall’art. 32 della l. n. 183 del 2010 per la diversa ipotesi di conversione del contratto a tempo determinato. (Cass. 8/9/2014 n. 18855, Pres. Miani Canevari Est. Berrino, in Riv. it. dir. lav. 2015, con nota di Nicoletta Frasca, “Il risarcimento del danno da illegittima apposizione del termine nel pubblico impiego”, 455)
- La disciplina del contratto a termine posta dal d.lgs. n. 368/2001 deve ritenersi direttamente applicabile anche ai rapporti alle dipendenze di pubbliche amministrazioni, con la sola differenza che, in caso di violazione delle norme imperative in materia, non è possibile la conversione del rapporto, secondo quanto espressamente prevede l’art. 36 del d.lgs. n. 165/2001. (Trib. Milano 21/7/2014, Giud. Gasparini, in Lav. nella giur. 2015, 99)
- Il rapporto di lavoro subordinato a tempo determinato instaurato con personale assunto con contratto di durata annuale da parte del Ministero della Difesa è sottratto alla disciplina generale contenuta nel D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, dal che ne deriva che, in tale ipotesi, non può essere dichiarata la conversione in contratto di lavoro a tempo indeterminato. (Cass. 29/4/2014 n. 9385, Pres. Vidiri Rel. Doronzo, in Lav. nella giur. 2014, 818)
- L’art. 6 del d.lgs. n. 368/2001 riconosce al lavoratore a tempo determinato ogni trattamento proprio dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili, sempre che non sia obiettivamente incompatibile con la natura del contratto a termine: la fruizione del congedo straordinario per dottorato di ricerca è incompatibile col rapporto di lavoro a tempo determinato. (Trib. Genova 11/3/2014 n. 80, Giud. Barenghi, in Riv. it. dir. lav. 2015, con nota di L. Busico, “Spettanza del congedo per dottorato al lavoratore pubblico a termine: una voce fuori dal coro”, 145)
- La clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, inserito in allegato alla direttiva 1999/70/CE, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, può essere fatta valere direttamente nei confronti di un ente pubblico, quale Poste Italiane S.p.a. Tale clausola deve essere, inoltre, interpretata nel senso che la nozione di “condizioni di lavoro” include l’indennità che un datore di lavoro è tenuto a versare a un lavoratore, a causa dell’illecita apposizione di un termine al contratto di lavoro. (Corte di Giustizia UE 13/12/2013, causa C-361/12, Pres. Illesic Rel. Toader, in Lav. nella giur. 2014, con commento di Vincenzo De Michele, 241, e in Riv. It. Dir. lav. 2014, con nota di Giuseppe Gentile, “Corte di giustizia e contratto a termine: la legittimità dell’indennità forfetizzata e la natura di ente pubblico delle società partecipate dallo Stato”, e di Maria Lughezzani, “Il principio di parità di trattamento nella dir. 99/70/CE e le sue ricadute sugli ordinamenti interni”, 479)
- L’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, che figura in allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, deve essere interpretato nel senso che esso osta ai provvedimenti previsti da una normativa nazionale, quale quella oggetto del procedimento principale, la quale, nell’ipotesi di utilizzo abusivo, da parte di un datore di lavoro pubblico, di una successione di contratti di lavoro a tempo determinato, preveda soltanto il diritto, per il lavoratore interessato, di ottenere il risarcimento del danno che egli reputi di aver sofferto a causa di ciò, restando esclusa qualsiasi trasformazione del rapporto di lavoro a tempo determinato in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, quando il diritto a detto risarcimento è subordinato all’obbligo, gravante su detto lavoratore, di fornire la prova di aver dovuto rinunciare a migliori opportunità di impiego, se detto obbligo ha come effetto di rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio, da parte del citato lavoratore, dei diritti conferiti dall’ordinamento dell’Unione. Spetta al giudice del rinvio valutare in che misura le disposizioni di diritto nazionale volte a sanzionare il ricorso abusivo, da parte della pubblica amministrazione, a una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato siano conformi a questi principi. (Corte Giustizia, ord., 12/12/2013, C-50/13, Pres. Fernlund Rel. O Cahoim, in Riv. It. Dir. lav. 2014, con nota di Edoardo Ales, “Contratti a termine e pubbliche amministrazioni: quosque tandem …”, 75)
- Sono sottoposte alla Corte di giustizia dell’Unione europea le seguenti questioni:
1) se il contesto normativo nazionale del settore scuola costituisca misura equivalente ai sensi della clausola 5 della direttiva 1999/70/Ce;
2) quando debba ritenersi che un rapporto di lavoro sia alle dipendenze dello “Stato, ai sensi della clausola 5 della direttiva 1999/70/Ce e in particolare anche dell’inciso “settori e/o categorie specifiche di lavoratori” e quindi sia atto a legittimare conseguenze differenti rispetto ai rapporti di lavoro privato;
3) se, tenuto conto delle esplicazioni di cui all’articolo 3, comma l, lett. C), della direttiva 2000/78/CE ed all’articolo 14, comma 1, lett. C), della direttiva 2006/54/CE, nella nozione di condizioni di impiego di cui alla clausola 4 della direttiva 1999/70/CE siano comprese anche le conseguenza dell’illegittima interruzione del rapporto di lavoro. In ipotesi di risposta positiva al quesito che precede, se la diversità tra le conseguenze ordinariamente previste nell’ordinamento interno per la illegittima interruzione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato e a tempo determinato siano giustificabili ai sensi della clausola 4;
4) se, in forza del principio di leale cooperazione, a uno Stato sia vietato rappresentare in un procedimento pregiudiziale interpretativo alla Corte di giustizia dell’Unione europea un quadro normativo interno volutamente non corrispondente al vero e il giudice sia obbligato, in assenza di una diversa interpretazione del diritto interno ugualmente satisfattiva degli obblighi derivanti dalla appartenenza alla Unione europea, a interpretare, ove possibile, il diritto interno conformemente alla interpretazione fornita dallo Stato;
5) se nelle condizioni applicabili al contratto o al rapporto di lavoro previste dalla direttiva 91/533/Cee e segnatamente dall’art. 2, commi 1 e 2, lett. E), rientri la indicazione delle ipotesi in cui il contratto di lavoro a termine si può trasformare in contratto a tempo indeterminato;
6) in ipotesi di risposta positiva al quesito che precede, se una modifica con efficacia retroattiva del quadro normativo tale che non garantisca al lavoratore subordinato la possibilità di far valere i suoi diritti derivanti dalla direttiva, ovvero il rispetto delle condizioni di lavoro indicate nel documento di assunzione, sia contrario all’art. 8, n. 1, della direttiva 91/533/Cee e alle finalità di cui alla direttiva 91/533/Cee e in particolare al 2° considerando. (Trib. Napoli 2/1/2013, ord., Est. Coppola, in Riv. It. Dir. lav. 2014, con nota di Maria Luisa Vallauri, “I precari della scuola arrivano davanti alla Corte di giustizia”, 341) - Sono sottoposte alla Corte di giustizia dell’Unione europea, in via pregiudiziale ai sensi e per gli effetti dell’art. 267 TFUE e le seguenti questioni di interpretazione della clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro Ces, Unice, Ceep sul lavoro a tempo determinato, allegato alla direttivA 28 GIUGNO 1999, N. 1999/70:
1) se la clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro Ces, Unice e Ceep sul lavoro a tempo determinato, allegato alla direttiva del Consiglio 28 giugno 1999, n. 1999/70/CE debba essere interpretata nel senso che osta all’applicazione dell’art. 4, commi 1, ultima preposizione, e 11, della legge 3 maggio 1999, n. 124 (Disposizioni urgenti in materia di personale scolastico) – per i quali, dopo aver disciplinato il conferimento di supplenze annuali su posti che “risultino effettivamente vacanti e disponibili entro la data del 31 dicembre”, dispongono che si provvede mediante il conferimento di supplenze annuali, “in attesa dell’espletamento delle procedure concorsuali per l’assunzione di personale docente di ruolo” – disposizione la quale consente che si faccia ricorso a contratti a tempo determinato senza indicare tempi certi per l’espletamento dei concorsi e in una condizione che non prevede il risarcimento del danno;
2) se costituiscono ragioni obiettive, ai sensi della clausola 5, punto 1, della direttiva 28 giugno 1999, n. 1999/70/CE, le esigenze di organizzazione del sistema scolastico italiano come sopra delineato, tali da rendere compatibile con il diritto dell’Unione europea una normativa come quella italiana che per l’assunzione del personale scolastico a tempo determinato non prevede il diritto al risarcimento del danno. (Corte Cost. 18/7/2013 n. 207, ord., Pres. Gallo Est. Mattarella, in Riv. It. Dir. lav. 2014, con nota di Maria Luisa Vallauri, “I precari della scuola arrivano davanti alla Corte di giustizia”, 342) - Debbono essere sottoposte alla Corte di Giustizia in via pregiudiziale ex art. 267 TFUE – e a tale compito può provvedere anche la Corte Costituzionale che ha natura di “giurisdizione nazionale” ai sensi dell’art. 267, 3° comma, TFUE e alla quale il giudice ordinario ha l’onere di rivolgersi qualora intraveda un contrasto con norma comunitaria non direttamente applicabile – le seguenti questioni di interpretazione della clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato allegato alla direttiva 1999/70/CE: 1) se detta clausola debba essere interpretata nel senso osta all’applicazione dell’art. 4, commi 1, ultima proposizione, e 11 della L. 3/5/99 n. 124 i quali, dopo aver disciplinato il conferimento di supplenze annuali su posti “che risultino effettivamente vacanti e disponibili entro la data del 31 dicembre” dispongono che si provvede mediante il conferimento di supplenze annuali “in attesa dell’espletamento delle procedure concorsuali per l’assunzione di personale docente di ruolo”, disposizione la quale consente che si faccia ricorso a contratti a tempo determinato senza indicare i tempi per l’espletamento dei concorsi e in una condizione che non prevede il diritto al risarcimento del danno; 2) se costituiscano ragioni obiettive, ai sensi della clausola 5, punto 1, direttiva 1999/70/CE le esigenze del sistema scolastico italiano come sopra delineato, tali da rendere compatibile con il diritto dell’Unione Europea una normativa come quella italiana che, per l’assunzione del personale scolastico a tempo determinato, non prevede il diritto al risarcimento del danno. (Corte Cost. 3/7/2013 n. 207, ord., Pres. Gallo Est. Mattarella, in Riv. It. Dir. Lav. 2013, 31)
- Il sistema normativo delle supplenze di cui all’art. 4 L. 3/5/99 n. 124 e agli artt. 399 e sgg. D.Lgs. 16/4/94 n. 297 rappresenta un corpo di norme equivalenti idoneo a prevenire l’utilizzo abusivo di una successione di contratti a tempo determinato, in quanto consente l’instaurazione di rapporti a termine solo a fronte di esigenze precise e concrete, tipizzate legislativamente e attraverso procedure rigide e prive di discrezionalità per l’amministrazione nella scelta del destinatario dell’assunzione a termine. Pertanto, in caso di pluralità di contratti a termine, l’eventuale contrasto con le disposizioni di cui al D.Lgs. 6/9/01 n. 368 non determina la nullità dei termini. (Corte app. Milano 27/6/2012, Pres. Curcio Est. Vitali, in D&L 2012, 411)
- Le posizioni del docente a tempo indeterminato e di quello che svolge con continuità le medesime mansioni con contratto a termine devono ritenersi comparabili ai sensi della clausola 4, 1° comma, Direttiva 1999/70/Ce, non potendosi considerare “ragione oggettiva” idonea a giustificare una differenza di trattamento il solo fatto che uno dei due impieghi sia di ruolo e l’altro no. Ne segue che anche i docenti a tempo determinato hanno diritto agli aumenti periodici di retribuzione collegati all’anzianità di servizio al pari dei docenti a tempo indeterminato; a tal fine il relativo credito dovrà essere computato tenendo conto della prescrizione decennale e non quinquennale, trattandosi di importi dovuti a titolo di risarcimento del danno da inadempimento contrattuale. (Corte app. Milano 27/6/2012, Pres. Curcio Est. Vitali, in D&L 2012, 411)
- Le posizioni del docente a tempo indeterminato e di quello che svolge con continuità le medesime mansioni con contratto a termine devono ritenersi comparabili ai sensi della clausola 4, 1° comma, Direttiva 1999/70/Ce, non potendosi considerare “ragione oggettiva” idonea a giustificare una differenza di trattamento il solo fatto che uno dei due impieghi sia di ruolo e l’altro no. Ne segue che anche i docenti a tempo determinato hanno diritto agli aumenti periodici di retribuzione collegati all’anzianità di servizio al pari dei docenti a tempo indeterminato; a tal fine il relativo credito dovrà essere computato tenendo conto della prescrizione decennale e non quinquennale, trattandosi di importi dovuti a titolo di risarcimento del danno da inadempimento contrattuale. (Corte app. Milano 27/6/2012, Pres. Curcio Est. Vitali, in D&L 2012, 411)
- Le modifiche degli artt. 399, 400 e 401 del d.lgs. n. 297/1994, introdotte dall’art. art. 1 della l. n. 124/1999, e la previsione di graduatorie permanenti per l’assunzione sia a tempo indeterminato sia a tempo determinato (supplenze) del personale docente e del personale Ata nella scuola pubblica, hanno costruito un sistema di reclutamento distinto da quello generale previsto per le pubbliche amministrazioni dagli artt. 35 e 36 del d.lgs. n. 165/2001, la cui specialità è salvaguardata dall’art. 70, comma 8, dello stesso TUPI. In conseguenza, non si pone né un problema di violazione delle procedure concorsuali né di applicazione del d.lgs. n. 368/2001, come confermato anche dall’art. 1 del d.l. n. 134/2009 e dall’art. 9, comma 18, d.l. n. 79/2011. Tuttavia, ciò non significa che, in assenza ultradecennale di periodiche procedure concorsuali, il rinnovo dei contratti stipulati nel settore scolastico ai sensi dell’art. 4, commi 1 e 2, l. n. 124/1999 sia da ritenersi legittimo perché la norma contrasta con la nozione di ragioni oggettive di carattere temporaneo e non permanente della clausola 5, n. 1, lett. a), dell’accordo quadro comunitario sul contratto a tempo determinato, nella costante interpretazione della Corte di Giustizia. In conseguenza, una lettura costituzionalmente orientata (art. 117, comma 1, Cost.) della norma interna impone di individuare un parametro equitativo adeguato per punire l’abusivo ricorso ai contratti a termine da parte delle pubbliche amministrazioni scolastiche, nella misura di venti mensilità di retribuzione, applicando il combinato disposto dei commi 4 e 5 dell’art. 18 della l. n. 300/1970. (Trib. L’Aquila 27/6/2012, Est. Tracanna, in Lav. nella giur. 2012, con commento di V. De Michele, 777, e in D&L 2012, 410)
- Il sistema di reclutamento del personale della scuola, di cui al d.lgs. n. 297/1994 e s.m.i., che configura una situazione di precarietà che viene bilanciata da una sostanziale e garantita immissione in ruolo, è escluso dall’ambito di applicazione del d.lgs. n. 368/2001, in applicazione del principio lex posterior generalis non derogat legi priori speciali. Nel settore scolastico, dunque, vige un corpus speciale autonomo, disciplinante la materia del reclutamento del personale, che risulta funzionale alla salvaguardia delle esigenze di bilancio dello Stato, e che appare conforme alla Direttiva 1999/70/CE in quanto le circostanze precise e concrete che caratterizzano la particolare attività scolastica costituiscono “norma equivalente” alle misure di cui alla clausola 5 dell’Accordo Quadro, secondo quanto indicato nella sentenza “Angelidaki”. La rilevata esistenza di molteplici pronunce conformi della Corte di Giustizia sul punto induce a ritenere che si sia in presenza di un acte claire, che, non lasciando alcun ragionevole dubbio sulla esegesi della Direttiva 1999/70/CE, non impone al giudice di ultima istanza l’obbligo di rinvio pregiudiziale. (Cass. 20/6/2012 n. 10127, Pres. Vidiri Est. Napoletano, in Lav. nella giur. 2012, con commento di V. De Michele, 778, e in D&L 2012, con nota di Maurizio Riommi, “Cassazione e contratti a tempo determinato nella scuola pubblica: omissioni valutative e una revisione auspicabile”, 397)
- È inammissibile, per difetto di interesse, il ricorso proposto da alcuni dipendenti pubblici a tempo indeterminato, con il quale è stato chiesto l’annullamento dell’avviso relativo alla stabilizzazione del personale assunto a tempo determinato, in quanto i ricorrenti non hanno dimostrato se e in che modo la procedura di stabilizzazione possa effettivamente incidere sulle loro pretese al conseguimento di posizioni superiori nell’ambito della stessa o di diversa area funzionale. (Tar Lazio 21/5/2012, Pres. Politi, in D&L 2012, 515)
- La scelta nazionale di disciplinare in modo differente le conseguenze della nullità o invalidità della clausola di apposizione del termine di durata al rapporto di lavoro, in relazione al carattere pubblico o privato del datore di lavoro, non determina una violazione della disciplina europea, contenuta nella direttiva del Consiglio dell’Unione Europea 28 giugno 1999, n. 70, emanata in attuazione dell’accordo quadro sui contratti a tempo determinato concluso il 18 marzo 1999 (clausola 5). (Trib. Milano 20/3/2012, Giud. Cipolla, in Lav. nella giur. 2012, 732)
- Il d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 36, nel riconoscere il ricorso al contratto a termine e ad altre forme negoziali flessibili nel rapporto di lavoro pubblico, ha valorizzato il ruolo della contrattazione collettiva con l’attribuire alla stessa una più accentuata rilevanza rispetto al passato, ma nello stesso tempo ha rimarcato l’innegabile differenza esistente tra forme contrattuali nell’area del pubblico impiego seppure privatizzato e in quella del lavoro privato. Ne consegue che la suddetta norma si configura come speciale in ragione di un proprio e specifico regime sanzionatorio, che – per escludere la conversione in un contratto a tempo indeterminato e con il risultare funzionalizzato a responsabilizzare la dirigenza pubblica nel rispetto delle norme imperative in materia nonché a risarcire i danni che il lavoratore dimostri di avere subito per la violazione delle suddette norme – risulta alternativo a quello disciplinato dal d.lgs. 6 settembre 2001, n. 368, art. 5, escludendone in ogni caso l’applicazione. (Cass. 13/1/2012 n. 392, Pres. Vidiri Rel. Meliadò, in Riv. It. Dir. lav. 2012, con nota di S. Ciucciovino, “L’idoneità dell’art. 36, d.lgs. n. 165/2001 a prevenire l’abuso del contratto a termine da parte della pubblica amministrazione”, 138)
- La giurisprudenza costante della Corte di Giustizia europea – di recente ribadita da una ulteriore pronunzia (C.Giust. 1 ottobre 2010, causa C-3/10, Affatato) – porta a escludere nell’area del pubblico impiego seppure privatizzato l’applicazione del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 368, art. 5, dal momento che nel nostro assetto ordinamentale si rinviene, con le disposizioni di cui al d.lgs. 5 settembre 2001, n. 165, art. 36, un sistema sanzionatorio capace – in ragione di una più accentuata responsabilizzazione dei dirigenti pubblici e del riconoscimento del diritto al risarcimento di tutti i danni in concreto subiti dal lavoratore – di prevenire, dapprima, e sanzionare, poi, in forma adeguata l’utilizzo abusivo da parte della pubblica amministrazione dei contratti o dei rapporti di lavoro a tempo determinato. (Cass. 13/1/2012 n. 392, Pres. Vidiri Rel. Meliadò, in Riv. It. Dir. lav. 2012, con nota di S. Ciucciovino, “L’idoneità dell’art. 36, d.lgs. n. 165/2001 a prevenire l’abuso del contratto a termine da parte della pubblica amministrazione”, 138)
- Poiché è destinato a operare in un settore ben determinato (il pubblico impiego), l’art. 36 del d.lgs. n. 165/2001 assume carattere di specialità rispetto alla più generale e sopravvenuta disciplina dei contratti a tempo determinato. Pertanto, si deve ritenere che il divieto di conversione del rapporto sancito dall’art. 36, comma 2, non sia stato abrogato dal d.lgs. n. 368/2001. Quel divieto costituisce la diretta conseguenza del principio costituzionale, secondo cui agli impieghi pubblici si accede mediante concorso ed è anche compatibile con la direttiva comunitaria in tema di assunzioni a termine. (Corte app. Perugia 16/6/2011, Pres. Pratillo Hellmann Est. Angeleri, in Lav. nella giur. 2011, 960)
- I contratti a termine stipulati dal personale ATA trovano la loro regolamentazione nella Direttiva 1999/70/Ce e, conseguentemente, nel D.Lgs. n. 368/2001. A questi contratti non si applica, quanto alle sanzioni relative alle violazioni del D.Lgs. n. 368/2001, l’art. 36, D.Lgs. n. 165/2001, perché i contratti a termine sono stipulati nel rispetto della normativa di settore. L’applicazione dell’art. 5, comma 4 bis, D.Lgs. n. 368/2001 (introdotto dalla l. n. 247/2007) anche dalla Pubblica Amministrazione, che si impone per una pluralità di argomenti letterali e sistematici, risulta confermata da un’interpretazione comunitariamente conforme della norma, alla luce delle difese dello Stato nella causa “Affatato” decisa dalla Corte di Giustizia con ordinanza del 1° ottobre 2010, e imposta dagli obblighi di leale cooperazione in capo allo Stato nella causa suddetta. L’interpretazione offerta, in virtù della quale in caso di superamento del limite dei 36 mesi, comprensivi di proroghe e rinnovi, il contratto si considera a tempo indeterminato anche nel settore scolastico, non contrasta con l’art. 97, comma 3, Cost., poiché, come nel caso del personale ATA – l’accesso all’impiego non avviene tramite concorso, bensì mediante procedure selettive e regimi di reclutamento diversi, ex art. 97, comma 3, Cost.; il richiamo al principio costituzionale del pubblico concorso, in quanto ostativo alla conversione, è inconferente. (Trib. Napoli 16/6/2011, Est. Coppola, in Lav. nella giur. 2011, con commento di Vincenzo De Michele, 697)
- Il legislatore, con la l. n. 102/09, ponendosi espressamente il problema del coordinamento tra l’art. 36 del d.lgs. n. 165/01 e delle disposizioni introdotte con la l. n. 247/2000 (e in particolare con l’art. 1, comma 40, che ha introdotto i commi da 4 bis in poi dell’art. 5 del d.lgs. 368/2001), ha inteso escludere l’operatività solo di alcune di esse al pubblico impiego: tra le stesse non figura il comma 4 bis, il quale, conseguenzialmente, si applica alla PA. (Trib. Napoli 16/6/2011, Giud. Coppola, in Lav. nella giur. 2011, 961)
- L’art. 1, comma 1, d.l. 25 settembre 2009, n. 134, è stato introdotto al fine di impedire la riqualificazione automatica ex lege dei rapporti di lavoro a tempo determinato del pubblico impiego del comparto scuola: detta disposizione non sarebbe stata necessaria (e sarebbe priva di alcuna efficacia) se la conversione fosse già esclusa sulla scorta dell’art. 36 del d.lgs. n. 165/2001. (Trib. Napoli 16/6/2011, Giud. Coppola, in Lav. nella giur. 2011, 961)
- Il legislatore, con il d.l. 13 maggio 2011, n. 70, ha esplicitamente previsto che il d.lgs. n. 368/2001 non si applica ai “contratti a tempo determinato stipulati per il conferimento delle supplenze del personale docente e ATA”: appare evidente quindi che proprio detta disposizione dimostra inequivocabilmente che prima il d.lgs. n. 368/2001, e segnatamente l’art. 5, comma 4 bis, si applicava. (Trib. Napoli 16/6/2011, Giud. Coppola, in Lav. nella giur. 2011, 961)
- La direttiva 1999/70/CE e il D.Lgs. n. 368/2001 (ivi compreso l’art. 5, comma 4 bis) che l’ha trasposta nell’ordinamento nazionale, sono applicabili anche ai contratti a termine nel settore scolastico, salve le norme speciali previste. L’inserimento nelle graduatorie permanenti a esaurimento non dà luogo ai presupposti per derogare alla regola del concorso pubblico prevista dall’art. 97, comma 1, Cost., e la violazione del D.Lgs. n. 368/2001 non comporta la riqualificazione dei rapporti a termine in un contratto a tempo indeterminato, in quanto sono di ostacolo le norme di cui agli artt. 36, comma 5, D.Lgs. n. 165/2001 per il rapporto di lavoro pubblico in generale e 4, comma 1, L. n. 124/1999, per il comparto scolastico in particolare. Il risarcimento del danno ex art. 18, comma 5, L. n. 300/1970 costituisce la misura appropriata, richiesta dalla Corte di Giustizia UE nelle cause “Marrosu-Sardino” e “Vassallo”, in quanto abbina alla portata strettamente risarcitoria del danno conseguente alla perdita del posto di lavoro l’effetto dissuasivo in ragione della rigidità del valore economico previsto. Dalla giurisprudenza comunitaria (sentenza “Del Cerro Alonso”) si desume, inoltre, l’illegittimità del disconoscimento dell’anzianità di servizio per i periodi svolti a tempo determinato, per violazione della clausola 4, punto 1, della Direttiva 1999/70/CE: di conseguenza le norme collettive vanno intese nel senso di includere nella progressione professionale anche i lavoratori pubblici che abbiano lavorato con più contratti a tempo determinato stipulati in successione. (Trib. Genova, 24/5/2011, Est. Basilico, in Lav. nella giur. 2011, con commento di Vincenzo Di Michele, 697)
- Nell’ambito del pubblico impiego, l’art. 36 d.lgs. n. 165/2001 esclude che il contratto a termine illegittimo stipulato con la pubblica amministrazione possa trasformarsi in contratto a tempo indeterminato, prevedendo un’ipotesi di responsabilità risarcitoria del datore di lavoro secondo le regole generali del nostro sistema civilistico, in cui la tutela risarcitoria è finalizzata al ristoro del danno effettivo, che deve essere provato dal ricorrente. (Trib. Trieste 29/3/2011, Est. Rigon, in Riv. It. Dir. lav. 2012, con nota di A. Premoli, “Divieto di conversione dei contratti a termine illegittimi con la PA: la breccia è aperta, ma il muro non crolla”, 418)
- La direttiva Ce 1999/70 in materia di lavoro a tempo determinato e, in particolare, il principio di non discriminazione dei lavoratori a termine rispetto ai lavoratori a tempo indeterminato comparabili trovano applicazione anche nei rapporti di lavoro con le pubbliche amministrazioni, per i quali la semplice la semplice circostanza che un impiego sia qualificato “di ruolo” in base all’ordinamento interno non costituisce ragione oggettiva idonea a giustificare una differenza di trattamento dei lavoratori a termine. (Corte di Giustizia CE 22/12/2010, Cause C-444/09 e 456/09, pres. Cunha Rodrigues, rel. Caoimh, in D&L 2010, con nota di Nicola Zampieri, “Lo stato dell’arte sull’abuso del contratto a termine nel pubblico impiego contrattualizzato”, 955)
- In caso di contratto a termine illegittimamente stipulato con la pubblica amministrazione, la tutela risarcitoria prevista in luogo della conversione del contratto a tempo indeterminato è compatibile con la dir. 99/70/CE purché rappresenti una misura effettiva, destinata a evitare e, se del caso, sanzionare l’utilizzo abusivo dei contratti a termine; la fonte di una misura sanzionatoria appropriata deve individuarsi nell’art. 18, l. n. 300/1970, perché alla portata strettamente risarcitoria del danno abbina l’effetto dissuasivo in ragione della rigidità del valore economico previsto. (Trib. Genova 23/3/2011, Est. Basilico, in Riv. It. Dir. lav. 2012, con nota di A. Premoli, “Divieto di conversione dei contratti a termine illegittimi con la PA: la breccia è aperta, ma il muro non crolla”, 418)
- Un aumento stipendiale triennale che sia connesso al decorso dell’anzianità rientra nella nozione di “condizione d’impiego” e quindi nell’ambito dell’applicazione della clausola 4, punto 1, accordo quadro sul lavoro a tempo determinato allegato alla direttiva 1999/70; conseguentemente, i lavoratori a tempo determinato possono opporsi a un trattamento che, relativamente al versamento di tale componente stipendiale, sia – al di fuori di qualsiasi ragione obiettiva – meno favorevole di quello riservato ai lavoratori a tempo indeterminato che si trovano in una situazione comparabile. (Corte di Giustizia CE 22/12/2010, Cause C-444/09 e 456/09, pres. Cunha Rodrigues, rel. Caoimh, in D&L 2010, con nota di Nicola Zampieri, “Lo stato dell’arte sull’abuso del contratto a termine nel pubblico impiego contrattualizzato”, 955)
- La mera circostanza che una disposizione nazionale non contenga alcun riferimento alla direttiva 1999/70 non esclude che tale disposizione possa essere considerata una misura nazionale di trasposizione di tale direttiva (Corte di Giustizia CE 22/12/2010, Cause C-444/09 e 456/09, pres. Cunha Rodrigues, rel. Caoimh, in D&L 2010, con nota di Nicola Zampieri, “Lo stato dell’arte sull’abuso del contratto a termine nel pubblico impiego contrattualizzato”, 955)
- La clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, che figura nell’allegato alla direttiva 1999/70, è incondizionata e sufficientemente precisa da poter essere invocata nei confronti dello Stato membro da dipendenti pubblici avanti il giudice nazionale perché sia loro riconosciuto il diritto a un aumento stipendiale triennale già attribuito ai lavoratori a tempo indeterminato e ciò per il periodo compreso tra la scadenza del termine per la ricezione della direttiva e l’entrata in vigore della norma nazionale (non retroattiva) che recepisce la direttiva stessa, fatti salvi gli effetti delle norme nazionali in tema di prescrizione. (Corte di Giustizia CE 22/12/2010, Cause C-444/09 e 456/09, pres. Cunha Rodrigues, rel. Caoimh, in D&L 2010, con nota di Nicola Zampieri, “Lo stato dell’arte sull’abuso del contratto a termine nel pubblico impiego contrattualizzato”, 955)
- La disposizione di cui all’art. 36, 5° comma, D.Lgs. 30/3/01 n. 165, non contrasta con l’art. 5 dell’accordo quadro allegato alla direttiva 1999/70 in materia di contratti a termine – che a sua volta non contrasta con l’art. 4, comma 2, TUE non essendo in alcun modo atto a pregiudicare le strutture fondamentali, politiche e costituzionali, né le funzioni essenziali dello Stato membro – a condizione che l’ordinamento interno preveda, nel settore interessato, altre misure effettive per evitare ed eventualmente sanzionare il ricorso abusivo a contratti a tempo determinato stipulati in successione. Spetta tuttavia al giudice nazionale accertare se le condizioni di applicazione nonché l’attuazione effettiva delle pertinenti disposizioni di diritto interno, configurino uno strumento adeguato a tal fine. (Corte Giustizia CE 1/10/2010 causa C-3/10, Pres. Lindh, Rel. Cahoim, in D&L 2010, con nota di Nicola Zampieri, “Lo stato dell’arte sull’abuso del contratto a termine nel pubblico impiego contrattualizzato”, 956)
- Per quanto riguarda la disciplina del lavoro a tempo determinato nella PA, deve ritenersi implicitamente abrogato l’art. 36, 2° comma, ora 5° comma, D.Lgs. 31/3/01 n. 165 da parte dell’art. 11, 1° comma, D.Lgs. 6/12/01 n. 368. (Trib. Siena 27/9/2010, Est. Cammarosano, in D&L 2010, con nota di Nadia Maria Gabigliani, “Contratto a termine nel pubblico impiego: sì alla trasformazione del rapporto”, 1104, e in Lav. nella giur. 2010, con commento di Vincenzo De Michele, 1107)
- I rapporti di lavoro reiteratamente conclusi dal MIUR con gli insegnanti sono nulli per assenza di ragioni di carattere temporaneo alla base della stipulazione dei contratti stessi. Dalla nullità del termine apposto ai contratti di lavoro conclusi fra il Ministero e gli insegnanti non può derivare la costituzione di un rapporto a tempo indeterminato stanti i principi sanciti dall’art. 97 della Costituzione e il disposto dell’art. 36, d.lgs. 368/2001, ma solo il diritto al risarcimento del danno, danno che deve essere quantificato nella maggiore retribuzione che sarebbe spettata all’insegnante se fosse stato assunto a tempo indeterminato sin dalla costituzione del primo contratto a termine. (Trib. Treviso 20/7/2010, Giud. De Luca, in Lav. nella giur. 2011, con commento di Francesco Rossi, 389)
- Il risarcimento del danno subito dal lavoratore alle dipendenze della Pubblica Amministrazione per illegittima stipulazione del contratto a termine può essere quantificato nella misura pari al numero di mensilità dalla data del licenziamento a quella della emanazione della sentenza, decurtata dell’aliunde perceptum. (Trib. Milano 25/5/2010, Est. Mariani, in D&L 2010, con nota di Elena Tanzarella, “La somministrazione illegittima nella PA e il conseguente risarcimento del danno”, 1084)
- Il rapporto tra l’Inail e i suoi portieri, pur essendo di pubblico impiego, è disciplinato, nel suo contenuto, da un contratto collettivo di natura privatistica che lo sottrae all’operatività della disciplina generale, che esclude, in caso di violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori, da parte delle pubbliche amministrazioni, la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato. La natura pubblicistica del datore di lavoro non rappresenta circostanza sufficiente a impedire la conversione di contratti a tempo determinato con termini nulli in contratti a tempo indeterminato quando la procedura di reclutamento per l’assunzione a tempo indeterminato non preveda un pubblico concorso e, quindi, non sia in violazione dell’art. 97, comma 3, della Costituzione, nell’interpretazione enunciata dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 89/2003. (Cass. 22/4/2010 n. 9555, Pres. Vidiri Est. Stile, in Lav. nella giur. 2010, con commento di Vinvenzo De Michele, 1107)
- Nel pubblico impiego, quanto ai contratti a termine, non si applica la disciplina contenuta nel D.Lgs. 6/9/01 n. 368, che vale per i rapporti in cui il datore di lavoro è un soggetto privato, bensì quella di cui all’art. 36 D.Lgs. 30/3/01 n. 165 quale lex specialis. (Trib. Napoli 8/3/2010, Est. D’Ancona, in D&L 2010, con nota di Tiziana Laratta, “Qualche breve riflessione su un’insolita sentenza in tema di successione di contratti a termine nel pubblico impiego”, 510)
- Ai fini della qualificazione di un ente pubblico come economico rileva il criterio oggettivo della valutazione dell’attività dallo stesso svolta secondo criteri di economicità, desumibili dal tendenziale equilibrio tra i costi e i ricavi. Pertanto, mentre è irrilevante l’oggetto dell’attività medesima, assume rilevanza lo svolgimento, per la realizzazione dei fini istituzionali, di un’attività di conservazione, scambio e produzione di beni e servizi secondo criteri di economicità, ovvero, lo svolgimento di un’attività funzionale non soltanto al perseguimento di fini sociali, ma anche al procacciamento di entrate remunerative dei fattori produttivi. (Trib. Milano 26/2/2010, Est. Cipolla, in D&L 2010, con nota di Giovanni Scalambrieri, “La rilevanza della qualificazione giuridica degli enti pubblici economici ai fini della disciplina applicabile al contratto a termine”, 779)
- La responsabilità della PA, ai sensi dell’art. 36 D.Lgs. 30/3/01 n. 165 per illegittima apposizione del termine in una successione di contratti a tempo determinato, ha natura contrattuale; stante la legittimità della disciplina della mancata conversione, il danno risarcibile va commisurato alle retribuzioni non percepite per il tempo mediamente necessario per ricercare una nuova occupazione stabile, tenuto conto di zona geografica, età dei lavoratori, sesso e titolo di studio. (Trib. Rossano 13/6/2007, Est. Coppola, con nota di Letizia Martini, 737)
- Dall’accertata nullità del termine apposto al contratto di lavoro alle dipendenze di un’amministrazione pubblica non può conseguire la conversione in rapporto di lavoro a tempo indeterminato; tuttavia, il lavoratore acquisisce il diritto al risarcimento del danno subito, che va parametrato alla sanzione prevista dal quarto e quinto comma dell’art. 18 St. Lav. (Trib. Genova 5/4/2007, Giud. Basilico, in Riv. it. dir. lav. 2007, con nota di Laura Tebano, “Il contratto a termine nel lavoro pubblico: quando la tutela risarcitoria può ritenersi effettiva, adeguata e dissuasiva”, 906)
- Nell’ipotesi in cui, nell’ambito della dirigenza medica e veterinaria del servizio sanitario nazionale, siano illegittimamente stipulati con soluzione di continuità diversi contratti di lavoro a tempo determinato, pur non potendo aversi conversione del contratto a termine in contratto di lavoro a tempo indeterminato, è dovuto al lavoratore il risarcimento del danno, ex art. 36, 2° comma, D. Lgs. 165/01; tale risarcimento può essere quantificato calcolando l’indennità di esclusività prevista dalla contrattazione collettiva. (Trib. Milano 12/1/2007, Est. Sala, in D&L 2007, 182)
- L’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, che figura in allegato alla direttiva del Consiglio 28 giugno 1999, n. 1999/70/CE, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, deve essere interpretato nel senso che non osta, in linea di principio, a una normativa nazionale che esclude, in caso di abuso derivante dall’utilizzo di una successione di contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato da parte di un datore di lavoro rientrante nel settore pubblico, che questi siano trasformati in contratti o in rapporti di lavoro a tempo indeterminato, mentre tale trasformazione è prevista per i contratti e i rapporti di lavoro conclusi con un datore di lavoro appartenente al settore privato, qualora tale normativa contenga un’altra misura effettiva destinata a evitare e, se del caso, a sanzionare un utilizzo abusivo di una successione di contratti a tempo determinato da parte di un datore di lavoro rientrante nel settore pubblico. (Corte di Giustizia CE 7/9/2006, proc. C-180/04, Pres. C.W.A. Timmermans Rel. R. Schintgen, in Lav. nella giur. 2006, con commento di Michele Miscione, 965)
- In caso di successive assunzioni a termine alle dipendenze di una Pubblica Amministrazione, la prestazione lavorativa in periodi non coperti da contratto non può, stante il disposto dell’art. 35 D. Lgs. 30/3/01 n. 165, dar luogo alla costituzione di un rapporto dipendente con la medesima PA; sussiste, tuttavia, il diritto del lavoratore ex art. 36 Cost. a una retribuzione adeguata alla qualità e quantità del lavoro prestato. Opera, nel caso, la presunzione di onerosità che assiste qualsiasi prestazione lavorativa in assenza di prova rigorosa circa l’esistenza tra le parti di situazioni particolari che ne giustifichino la gravità. (Trib. Firenze 6/12/2005, Est. Bazzoffi, in D&L 2007, con nota di Yara Serafini, 145)
- Il dipendente pubblico, al termine di un contratto di lavoro a tempo determinato inferiore all’anno, anche prima della entrata in vigore della disciplina introdotta dal 5°, 6° e 7° comma dell’art. 2 L. 335/95 (i cui effetti sono stati posticipati dal 1/1/96 al 30/5/2000 dell’accordo quadro 29/7/99 e dal DPCM di esecuzione dell’accordo del 31/12/99), ha diritto al trattamento di fine rapporto secondo la regolamentazione dell’art. 2120 c.c., in quanto detta posticipazione del diritto è in contrasto con l’art. 36 Cost. (Corte d’appello Firenze 21/1/2005, Pres. Drago Est. Amato, in D&L 2005, 213)
- In caso di illegittima e reiterata assunzione a termine alle dipendenze della Pubblica Amministrazione, il lavoratore ha diritto – ai sensi dell’art. 36 D. Lgs. 30/3/01 n. 165 – al risarcimento del danno derivante dalla prestazione di lavoro in violazione di disposizioni imperative; tale risarcimento deve avere a oggetto anche il Tfr che il dipendente avrebbe percepito in caso di assunzione a tempo indeterminato. (Trib. Napoli 12/1/2005, Est. Simeoli, in D&L 2005, con nota di Alberto Guariso, “Il risarcimento del danno da contratto a termine illegittimo nel pubblico impiego”, 167)
- Il tribunale di Genova propone alla Corte di Giustizia una questione pregiudiziale, relativa all’interpretazione delle clausole 1, lett. b), e 5) dell’accordo quadro tra CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, recepito dalla direttiva 1999/70/CE. Il giudice a quo chiede se la normativa comunitaria debba essere inteso nel senso che osta all’applicazione dell’art. 36, comma 2, D. Lgs. 165/2001, che priva i lavoratori assunti a termine dalla Pubblica Amministrazione della tutela rappresentata dalla costituzione di un rapporto a tempo indeterminato in caso di violazione di norme imperative alla successione di contratti a termine. (Trib. Genova 21/1/2004, ord., Est. Basilico, in Lav. nella giur. 2004, con commento di Carlo Alberto Costantino, 885)
- Si dispone la trasmissione del provvedimento della Corte di giustizia delle Comunità Europee per risolvere il seguente dubbio interpretativo “se la Direttiva 1999/70/CE (art. 1 nonché clausole 1, lett. b, e clausola 5 dell’Accordo quadro sul lavoro CES-UNICE-CEEP recepito dalla Direttiva) debba essere intesa nel senso che osta ad una disciplina interna (previgente all’attuazione della Direttiva stessa) che differenzia i contratti di lavoro stipulati con la pubblica amministrazione, rispetto ai contratti con datori di lavoro privati, escludendo i primi dalla tutela rappresentata dalla costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato in caso di violazione di regole imperative sulla successione dei contratti a termine”. (Trib. Genova ord. 21/1/2004, Est. Basilico, in Lav. nelle P.A. 2004, 693)
- In caso di illegittima apposizione del termine al contratto, la disdetta del datore di lavoro non è equiparabile a licenziamento, in quanto in tale ipotesi le prestazioni cessano in ragione dell’esecuzione che le parti danno ad una clausola nulla; conseguentemente non trova applicazione l’art. 18 SL ed il lavoratore ha diritto alle retribuzioni successive alla cessazione solo qualora provveda ad offrire la prestazione, essendo a tal fine insufficiente la richiesta di reintegrazione nel posto di lavoro. (Cass. 8/10/2002 n. 14381, Pres. Carbone Est. Miani Canevari, in D&L 2002, 891)
- Per effetto dell’entrata in vigore “per amministrazioni pubbliche si intende, tra l’altro”…i Comuni, le Comunità montane e loro consorzi ed associazioni”, tout court è venuta meno distinzione tra consorzi aventi natura istituzionale e consorzi costituiti per la gestione dei servizi, con conseguente assoggettamento del personale di questi ultimi alla disciplina del rapporto di lavoro privato e non a quella dell’impiego pubblico, introdotta dall’art. 25, L. 8 giugno 1990, n. 142. Ex art. 36, comma 8, del citato decreto, la violazione delle disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori, da parte delle pubbliche amministrazioni-tra le quali sono espressamente e senza limitazioni di sorta inclusi i consorzi-non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni; essa infatti comporta unicamente conseguenze di natura risarcitoria senza che vi sia spazio per la concedibilità della tutela cautelare. (Trib. Salerno 12/3/2002, ordinanza, Est. Notari, in Lav. nella giur. 2003, 292)
- Nell’ambito di un rapporto di lavoro a tempo determinato instaurato con un ente pubblico economico, il vizio genetico del contratto, conseguente alle prescrizioni di una norma speciale contenuta in una legge regionale, non comporta l’applicazione del sistema sanzionatorio dell’art. 2, l. n. 230/62 bensì quello previsto dall’art. 1418 c.c., ferme per il prestatore le garanzie di cui all’art. 2126 c.c. (Corte Appello Bari 26/9/00, pres. Berloco, est. Curzio, in Lavoro giur. 2001, pag. 653, con nota di Farina, Contratto a termine: vizio genetico e apparato sanzionatorio)