Contratto a termine (tempo determinato)

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Questa voce è stata curata da Stefano Chiusolo e aggiornata da Alexander Bell

 

Scheda sintetica

Il contratto a tempo determinato è un contratto di lavoro subordinato nel quale è prevista una durata predeterminata, mediante l’apposizione di un termine.

La durata massima del contratto a termine è attualmente fissata in 12 mesi, con possibilità di estensione a 24 mesi, ma solo al ricorrere di una delle seguenti condizioni:

  • nei casi previsti dalla contrattazione collettiva;
  • al ricorrere di esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva individuate dalle parti e, in ogni caso, entro il 30 aprile 2024;
  • in caso di sostituzione di altri lavoratori.

La stipulazione di un contratto a termine di durata superiore a 12 mesi, in assenza delle condizioni appena indicate, comporta la trasformazione a tempo indeterminato del rapporto, con efficacia dalla data di superamento del termine di 12 mesi.

Qualora il limite dei 24 mesi sia superato, per effetto di un unico contratto o di una successione di contratti, il contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato dalla data di tale superamento. Ai fini del computo di tale limite sono considerati anche i periodi relativi a missioni in somministrazione eseguite dal lavoratore presso lo stesso utilizzatore, aventi ad oggetto mansioni di pari livello e categoria legale.

Fermo restando il limite di durata massima di 24 mesi previsto dalla legge, un ulteriore contratto a tempo determinato della durata massima di 12 mesi può essere concluso fra gli stessi soggetti, purché la sottoscrizione avvenga presso la competente sede territoriale dell’Ispettorato del lavoro (c.d. deroga assistita).

L’apposizione del termine è priva di effetto, se non risulta da atto scritto, fatta eccezione per i rapporti di lavoro di durata non superiore a 12 giorni.

Il contratto a termine può essere prorogato o rinnovato liberamente nei primi 12 mesi, e, successivamente, solo in presenza di una delle causali che legittimano la sottoscrizione di un contratto a termine. Per la proroga è altresì previsto che essa debba avvenire con il consenso del lavoratore, solo quando la durata iniziale del contratto è inferiore a 24 mesie, comunque, per un massimo di 4 volte nell’arco di 24 mesi. Rinnovi e proroghe del contratto devono essere stipulati per iscritto. In caso contrario, si determina la trasformazione a tempo indeterminato del contratto.

La legge prevede specifiche ipotesi in cui l’apposizione di un termine al rapporto di lavoro è vietata (per es. per sostituire lavoratori in sciopero).

Sono altresì previste regole particolari per l’assunzione a termine in specifici settori, tra cui quello del turismo e dei pubblici esercizi, e di alcune figure specifiche, quali i dirigenti; anche l’assunzione di lavoratrici o lavoratori assunti dalle liste di mobilità è regolata da un regime specifico.

La legge prevede, a determinate condizioni, un diritto di precedenza nell’assunzione a tempo indeterminato presso la stessa azienda di un dipendente già in servizio a tempo determinato.

Tra un contratto a termine e l’altro deve intercorrere un intervallo minimo: si tratta di 10 giorni, ovvero di 20, a seconda che il contratto sia di durata fino a sei mesi o sia superiore. Se questo intervallo non viene rispettato, il secondo contratto si reputa a tempo indeterminato (art. 21, c. 2).

In caso di continuazione del rapporto dopo la scadenza, il datore di lavoro deve corrispondere al lavoratore una maggiorazione della retribuzione, in misura del 20%, per ogni giorno di prosecuzione del rapporto fino al decimo; per ogni giorno ulteriore la maggiorazione è fissata nella misura del 40%.
In caso di continuazione del rapporto oltre il trentesimo giorno, se il contratto aveva una durata inferiore a sei mesi, ovvero negli altri casi oltre il cinquantesimo giorno, il rapporto si trasforma a tempo indeterminato.

Il lavoratore assunto a termine ha diritto al trattamento economico e normativo in atto nell’impresa per i lavoratori a tempo indeterminato inquadrati al medesimo livello; il trattamento spetta in proporzione al periodo lavorato, e sempre che non sia obiettivamente incompatibile con la natura del contratto a termine.
La violazione dell’obbligo di parità di trattamento tra lavoratori a tempo determinato e lavoratori a tempo indeterminato comporta l’applicazione di una sanzione amministrativa, a carico del datore di lavoro.

Chi intenda contestare la legittimità del termine apposto al proprio contratto di lavoro è tenuto a impugnarlo entro 180 giorni dalla cessazione del singolo contratto.

Per informazioni o approfondimenti, si consiglia di rivolgersi all’ufficio vertenze sindacale o a uno studio legale specializzato in diritto del lavoro.
Per approfondimenti specifici sulle modalità di impugnazione del contratto a termine, si veda il paragrafo: L’impugnazione del contratto a termine.

Si veda anche la voce Contratto a termine nel Pubblico Impiego.

 

Fonti normative

  • Decreto Legislativo 6 settembre 2001, n. 368, come modificato dalla Legge 247/2007 e dal D.L. 112/2008 convertito in Legge 133/2008
  • Contratto Collettivo di Lavoro applicato (Nazionale o integrativo)
  • Legge 4 novembre 2010, n. 183
  • Legge 28 giugno 2012 n. 92, recante disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita
  • Decreto Legge 28 giugno 2013, n. 76, convertito in Legge 9 agosto 2013, n. 99
  • Decreto Legge 20 marzo 2014 n. 34, convertito in Legge 16 maggio 2014 n. 78
  • Decreto Legislativo 15 giugno 2015 n. 81, recante disposizioni in materia di disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni
  • Decreto Legge 12 luglio 2018 n. 87, convertito con modificazioni in legge dalla L. 9 agosto 2018 n. 96, recanti disposizioni urgenti per la dignità dei lavoratori e delle imprese
  • Decreto Legge 25 maggio 2021 n. 73, convertito in legge con modificazioni dalla Legge 23 luglio 2021, n. 106, recante misure urgenti connesse all’emergenza da COVID-19, per le imprese, il lavoro, i giovani, la salute e i servizi territoriali
  • Decreto Legge 4 maggio 2023, n. 48, convertito in legge con modificazioni dalla Legge 3 luglio 2023, n. 85, recante misure urgenti per l’inclusione sociale e l’accesso al mondo del lavoro

 

Cosa fare – Tempi

Il contratto a termine deve essere impugnato, tramite raccomandata con ricevuta di ritorno, personalmente dal lavoratore entro 180 giorni dalla scadenza del termine, con contestuale messa a disposizione della propria attività lavorativa.
Nei 180 giorni successivi all’impugnazione deve essere depositato il ricorso avanti il Giudice del Lavoro.

 

A chi rivolgersi

  • Ufficio vertenze sindacale
  • Studio legale specializzato in diritto del lavoro

 

Documenti necessari

  • Copia del/dei contratti a termine
  • Ultima busta paga
  • Nel caso in cui con la stessa azienda fosse intercorso in precedenza un altro rapporto di lavoro (ad esempio un Co.Co.Pro.) portare anche tutta la documentazione relativa a quel rapporto.

 

Scheda di approfondimento

La legge prevede che normalmente il contratto di lavoro sia stipulato a tempo indeterminato. Può essere quindi apposto un termine (una scadenza) a un contratto di lavoro solo in presenza di casi particolari.
Fino al 2001, l’assunzione con contratto a termine era regolata dalla Legge 230/1962 e dalla Legge 56/1987.
Con l’entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 368/2001, la disciplina del lavoro a termine è stata ampiamente modificata, per poi subire, nel corso degli anni, una serie di ulteriori mutamenti, per opera, anzitutto, della Legge 183/2010, della legge di riforma del mercato del lavoro contenuta nella n. 92/2012, del Decreto Legge 76/2013 (convertito in L. 99/2013) e, ancora, del Decreto Legge 34/2014, convertito in L. 78/2014, e del Decreto Legislativo n. 81/2015, attuativo della legge delega n. 183/2014, entrato in vigore il 25 giugno 2015, che ha abrogato il D. Lgs. 368/2001 e i cui articoli da 19 a 29 contengono oggi l’intera disciplina dei rapporti di lavoro a tempo determinato. In tempi ancora più recenti, nuove, rilevanti modifiche sono state introdotte dal D.L. 87/2018, convertito in legge con modificazioni dalla L. 96/2018 (c.d. Decreto Dignità), dal Decreto Legge n. 73/2021, convertito in legge con modificazioni dalla L. 106/2021 (c.d. Decreto Sostegni bis), e, infine, dal Decreto Legge n. 48/2023, convertito in legge con modificazioni dalla L. n. 85/2023 (c.d. Decreto Lavoro).

La tendenza della evoluzione legislativa sopra ricordata è sicuramente nel senso di rendere più facile e flessibile il ricorso al contratto a termine, che la legge del 1962 consentiva solo in un numero limitato e tassativo di ipotesi. Questo processo di flessibilizzazione prende avvio già con il d.lgs. 368/01, che, superando la precedente e tassativa impostazione, “si accontenta”, nella sua formulazione originaria, genericamente, di una motivazione di carattere tecnico, organizzativo, produttivo o sostitutivo. Con il DL 34/14 – le cui modifiche sono state, in un primo momento, interamente confermate dal D. Lgs. 81/2015 –, il legislatore ha successivamente soppresso ogni riferimento alla giustificazione tecnica, organizzativa, produttiva o sostitutiva per l’apposizione di un termine della durata massima di 36 mesi: in buona sostanza, a seguito di tale intervento normativo, la legge non ha più esplicitamente previsto che il contratto a termine debba essere giustificato. A un timido ritorno alle causali si è assistito con l’entrata in vigore del Decreto Dignità, che ha subordinato la legittimità dei contratti a termine superiori a 12 mesi alla presenza, appunto, di una causa giustificatrice, tra quelle indicate dallo stesso decreto. I successivi interventi normativi (vale a dire, il DL 73/21 e il DL 48/23) hanno confermato la facoltà delle parti di sottoscrivere liberamente, e senza l’obbligo di causali, contratti a termine con durata inferiore ai 12 mesi. Il Decreto Lavoro n. 48/23 ha però profondamente modificato le condizioni per l’estensione a 24 mesi del contratto a temine, affidando alla contrattazione collettiva il compito di identificare i casi nei quali detta estensione è legittima. Accanto alle causali previste dai contratti collettivi, in base alla nuova disciplina introdotta dal DL 48/23, tali contratti a termine possono poi essere stipulati solo in altre due ipotesi: (i) fino al 30 aprile 2024 o fino all’intervento della contrattazione collettiva, in caso di “esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva individuate dalle parti”; e (ii) in caso di sostituzione di altri lavoratori.

Va peraltro evidenziato che i contratti stipulati dalle pubbliche amministrazioni, nonché i contratti di lavoro a tempo determinato stipulati dalle università private, dagli istituti pubblici di ricerca, dalle società pubbliche che promuovono la ricerca e l’innovazione ovvero da enti privati di ricerca e lavoratori chiamati a svolgere attività di insegnamento, di ricerca scientifica o tecnologica, di trasferimento di know-how, di supporto all’innovazione, di assistenza tecnica alla stessa o di coordinamento e direzione della stessa, continuano a essere regolati dalle disposizioni vigenti prima dell’entrata in vigore del Decreto Dignità.

 

La disciplina del contratto a termine a seguito del DL 48/23

Attualmente il lavoro a termine è disciplinato dal D. Lgs. 81/2015, come modificato, da ultimo, dal citato DL 48/23.
La disciplina normativa vigente si apre con un’importante dichiarazione di principio, contenuta nell’art. 1 (che replica il contenuto dell’art. 1, c. 01, del previgente d.lgs. 368/2001, introdotto dalla Legge 247/2007 e successivamente modificato dalla legge 92/2012). Più precisamente, la norma dispone che “il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato costituisce la forma comune di rapporto di lavoro”.
Ancor prima della modifica del 2007, la giurisprudenza riteneva pacificamente che, secondo i principi generali del nostro ordinamento, il contratto di lavoro normale è quello a tempo indeterminato, mentre il contratto a termine resta un’ipotesi eccezionale.
Coerentemente con questa impostazione, originariamente l’art. 1 c. 1 D. Lgs. 368/01 disponeva che il contratto a termine poteva legittimamente essere stipulato solo a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo.
La situazione è profondamente mutata nel 2014, con l’entrata in vigore del DL 34/14, che, eliminando dal dettato normativo ogni riferimento a ragioni tecniche, organizzative, produttive o sostitutive, ha comportato la totale eliminazione del requisito della causale.

Tale impostazione ha trovato inizialmente conferma anche nel D.Lgs. 81/2015, ma, pochi anni dopo, è stata a sua volta superata dapprima dal DL 87/2018, che ha ripristinato un parziale ritorno alle causali, e, in tempi ancora più recenti, dal DL 73/2021 e, soprattutto, dal DL 48/2023.

In particolare, con il DL 87/2018, il legislatore, oltre a ridurre da 36 a 24 mesi la durata massima dei contratti a tempo determinato, ha previsto che la stipula di un contratto a termine privo di causale poteva avvenire esclusivamente per una durata non superiore ai 12 mesi. Le parti potevano apporre un termine di durata superiore a 12 mesi, ma comunque non eccedente i 24 mesi, solo in presenza di una delle seguenti condizioni: (i) esigenza temporanee e oggettive, estranee all’ordinaria attività; (ii) esigenze di sostituzione di altri lavoratori; (iii) esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili dell’attività ordinaria. A tali causali, tre anni dopo, il DL 73/2021 ha poi aggiunto (iv) le “specifiche esigenze previste dai contratti collettivi”.

Come detto, la disciplina normativa del contratto a termine è stata da ultimo oggetto di nuove, rilevanti modifiche a opera del DL 48/23, che ha ulteriormente rafforzato il ruolo della contrattazione collettiva nella identificazione dei casi che legittimano l’estensione della durata del termine oltre i 12 mesi. In particolare, a seguito di quest’ultimo intervento normativo, attualmente il contratto a termine può essere stipulato – senza obbligo di causali – per una durata non superiore a 12 mesi; alle parti è altresì riconosciuta la facoltà di estendere il termine sino a 24 mesi, ma solo al ricorrere di una delle seguenti condizioni:

  • nei casi previsti dai contratti collettivi di cui all’art. 51 del D.Lgs n. 81/2015 (vale a dire i contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e, in mancanza, i contratti collettivi aziendali stipulati dalle loro rappresentanze sindacali aziendali ovvero dalla rappresentanza sindacale unitaria)
  • in assenza delle previsioni della contrattazione collettiva sopra citate, per esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva individuate dalle parti e, in ogni caso, entro il 30 aprile 2024;
  • in caso di sostituzione di altri lavoratori.

Le causali non sono obbligatorie nel caso (i) di contratti stipulati dalle pubbliche amministrazioni e (ii) di contratti di lavoro a tempo determinato stipulati dalle università private, incluse le filiazioni di università straniere, istituti pubblici di ricerca, società pubbliche che promuovono la ricerca e l’innovazione, ovvero enti privati di ricerca e lavoratori chiamati a svolgere attività di insegnamento, di ricerca scientifica o tecnologica, di trasferimento di know-how, di supporto all’innovazione, di assistenza tecnica alla stessa o di coordinamento e direzione della stessa. A tali contratti continuano ad applicarsi le disposizioni vigenti anteriormente alla data di entrata in vigore del D.L. n. 87/2018.

La stipulazione di un contratto a termine di durata superiore a 12 mesi, in assenza delle condizioni appena indicate, comporta la trasformazione a tempo indeterminato del rapporto, e ciò dalla data di superamento del termine di 12 mesi.
Come già si diceva, la durata del contratto non può eccedere i 24 mesi. Ciò vale non solo per il singolo contratto, ma anche per tutti i rapporti di lavoro a tempo determinato intercorsi tra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore, per effetto di una successione di contratti conclusi per lo svolgimento di mansioni di pari livello e categoria legale, indipendentemente dalle interruzioni tra un contratto e l’altro. A questo fine vengono considerati anche i periodi di missione aventi a oggetto mansioni di pari livello e categoria legale, svolti tra i medesimi soggetti, nell’ambito di somministrazione di lavoro a tempo determinato. Qualora il limite dei 24 mesi venga superato per effetto della stipulazione di una pluralità di contratti con le caratteristiche ora indicate, il rapporto si trasforma a tempo indeterminato dalla data di tale superamento.
Vengono contemplate anche eccezioni alla regola appena enunciata, secondo cui la successione dei contratti a termine non può superare i 24 mesi. Più precisamente, l’art. 19 c. 2 D. Lgs. 81/15 fa salve le diverse disposizioni dei contratti collettivi e, in ogni caso, le attività stagionali. Inoltre, secondo quanto stabilito dal successivo comma 3, un ulteriore contratto a tempo determinato tra gli stessi soggetti, della durata massima di 12 mesi, può essere stipulato presso l’ispettorato territoriale del lavoro. Ancora una volta, la sanzione prevista per il caso di mancato rispetto della procedura o del superamento del termine stabilito nel medesimo contratto è quella della trasformazione a tempo indeterminato del contratto, e ciò a tempo dalla data di stipulazione del contratto stesso.
La legge precisa che l’apposizione del termine deve risultare per iscritto, pena l’inefficacia del termine stesso, a meno che il rapporto abbia una durata non superiore a 12 giorni (nel qual caso l’atto scritto non è necessario). Copia dell’atto scritto deve essere consegnata al lavoratore entro cinque giorni dall’inizio della prestazione. L’atto scritto deve contenere, nel caso di rinnovo, la specificazione della causale; nel caso di proroga, l’indicazione della causale è necessaria solo quando il termine complessivo eccede i 12 mesi.
In ogni caso, è previsto che il numero complessivo dei rapporti di lavoro costituiti da ciascun datore di lavoro ai sensi dell’art. 19 non può eccedere il limite del 20% del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al primo gennaio dell’anno di assunzione (art. 23 D. Lgs. 81/2015). Viene precisato che se la percentuale presenta un decimale, questo deve essere arrotondato all’unità superiore qualora sia uguale o superiore a 0,5. Inoltre, in caso di inizio dell’attività nel corso dell’anno, il limite percentuale si computa sul numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza non più al primo gennaio (come vuole la regola generale), ma al momento dell’assunzione.
Anche in questo caso sono contemplate eccezioni alla regola del limite del 20%. In primo luogo, gli articoli 23 e 51 D. Lgs. 81/2015 fanno salve le disposizioni dei contratti collettivi nazionali stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi, nonché quelle dei contratti collettivi aziendali (purché stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi o dalle loro Rsa o dalle Rsu). Inoltre, vengono individuate ipotesi in cui tale limite non opera affatto. In particolare, si configura l’esenzione da qualsiasi limitazione quantitativa nei seguenti casi:

  • assunzioni a termine da parte di datori di lavoro che occupano fino a 5 dipendenti;
  • avvio di nuove attività, per i periodi indicati dai contratti collettivi;
  • assunzioni a termine da parte di imprese start-up innovative;
  • assunzioni per ragioni di carattere sostitutivo, o di stagionalità;
  • assunzioni per specifici spettacoli o programmi radiofonici o televisivi;
  • assunzioni di lavoratori di età superiore a 50 anni;
  • contratti a termine per la realizzazione e il monitoraggio di iniziative di cooperazione allo sviluppo di cui alla l. 125/14;
  • contratti a termine stipulati tra università private (incluse le filiazioni di università straniere), istituti pubblici di ricerca, enti privati di ricerca e lavoratori chiamati a svolgere attività di insegnamento, ricerca scientifica o tecnologica, di assistenza tecnica alla stessa o di coordinamento e direzione della stessa;
  • contratti a termine stipulati tra istituti della cultura di appartenenza statale ovvero enti, pubblici e privati derivanti da trasformazione di precedenti enti pubblici, vigilati dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo (a esclusione delle fondazioni di produzione musicale) e lavoratori impiegati per soddisfare esigenze temporanee legate alla realizzazione di mostre, eventi e manifestazioni di interesse culturale;

Con riferimento alle ultime tre ipotesi, è inoltre previsto che i contratti di lavoro a termine aventi a oggetto in via esclusiva lo svolgimento di attività di ricerca scientifica o di cooperazione allo sviluppo di cui alla l. 125/14 possono avere durata pari a quella del progetto al quale si riferiscono, e ciò probabilmente in deroga al principio generale dei 24 mesi.

La violazione del limite del 20% non comporta la trasformazione dei contratti interessati in contratti a tempo indeterminato, ma soltanto l’applicazione di una sanzione amministrativa, il cui importo, per ciascun lavoratore, è pari:

  • al 20 per cento della retribuzione per ciascun mese o frazione di mese superiore a quindici giorni di durata del rapporto di lavoro, se il numero dei lavoratori assunti in violazione del limite percentuale non è superiore a uno;
  • al 50 per cento della retribuzione, per ciascun mese o frazione di mese superiore a quindici giorni di durata del rapporto di lavoro, se il numero dei lavoratori assunti in violazione del limite percentuale è superiore a uno.

Il D. Lgs. 81/2015 prevede anche ipotesi in cui l’apposizione di un termine è vietata (art. 20).
Ciò accade nei seguenti casi:

  • sostituzione di lavoratori scioperanti;
  • con riguardo alle unità produttive dove, nei sei mesi precedenti, siano stati effettuati licenziamenti collettivi che abbiano coinvolto lavoratori adibiti alle medesime mansioni cui fa riferimento il contratto a tempo determinato (salvo che il contratto sia concluso per provvedere alla sostituzione di lavoratori assenti, per assumere lavoratori iscritti nelle liste di mobilità, o abbia una durata iniziale non superiore a tre mesi). È evidente la ragione che ha indotto il legislatore a introdurre un simile divieto. In effetti, il fatto stesso di assumere un lavoratore a termine in una mansione occupata da un altro lavoratore, messo in mobilità non più di sei mesi prima, induce a ritenere che era illegittima la messa in mobilità (in quanto non vi era una reale esuberanza strutturale in quella posizione lavorativa) e che comunque è illegittima l’apposizione del termine (in quanto è contraddittorio affermare che vi è un’esigenza temporanea di ricoprire una posizione lavorativa che poco tempo prima era stabilmente assegnata a un lavoratore). Va peraltro segnalato che, diversamente dalla disciplina previgente, la riforma del 2015 non consente più alle parti sociali di derogare a tale divieto;
  • con riguardo alle unità produttive nelle quali sia in atto una sospensione dei rapporti di lavoro o una riduzione dell’orario di lavoro, con diritto al trattamento di integrazione salariale, che interessino lavoratori adibiti alle mansioni cui fa riferimento il contratto a termine;
  • per le imprese che non hanno effettuato la valutazione dei rischi in applicazione della normativa di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori.

In caso di violazione dei suddetti divieti, il contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato (art. 20, c. 2).
L’art. 21, D. Lgs. 81/15, da ultimo modificato dal DL 48/23, disciplina la proroga e i rinnovi, stabilendo che il contratto a termine può essere prorogato o rinnovato liberamente nei primi 12 mesi, e, successivamente, solo in presenza di una delle causali di cui all’art. 19, co. 1. I contratti per attività stagionali possono invece essere rinnovati o prorogati anche in assenza di causali. Nel caso della violazione delle regole appena enunciate in tema di rinnovo e proroga del contratto a termine, il contratto si trasforma a tempo indeterminato.
Le proroghe incontrano ulteriori limitazioni. Più precisamente:

  • è previsto il consenso del lavoratore;
  • la durata iniziale del contratto deve essere inferiore a 24 mesi;
  • il contratto può essere prorogato al massimo 4 volte nell’arco di 24 mesi. Nel caso in cui le proroghe siano superiori, il contratto si trasforma a tempo indeterminato dalla quinta proroga.

Tra un contratto a termine e l’altro deve intercorrere un intervallo minimo: si tratta di 10 giorni, ovvero di 20, a seconda che il contratto sia di durata fino a sei mesi o sia superiore. Se questo intervallo non viene rispettato, il secondo contratto si reputa a tempo indeterminato (art. 21, c. 2).
Tali disposizioni non si applicano nei confronti dei lavoratori stagionali, delle start-up innovative (entro i limiti temporali già indicati in precedenza in tema di proroghe) e nelle ipotesi individuate dai contratti collettivi.
Secondo quanto stabilito dall’art. 22, D. Lgs. 81/15, la continuazione del rapporto dopo la scadenza del termine non comporta di per sé la trasformazione del rapporto a tempo indeterminato. Infatti, in caso di continuazione del rapporto dopo la scadenza, il datore di lavoro deve corrispondere al lavoratore una maggiorazione della retribuzione, in misura del venti per cento, per ogni giorno di prosecuzione del rapporto fino al decimo; per ogni giorno ulteriore la maggiorazione è fissata nella misura del quaranta per cento (art. 22 c. 1).
La trasformazione del rapporto a tempo indeterminato si verifica solo nel caso di continuazione del rapporto oltre il trentesimo giorno, se il contratto aveva una durata inferiore a sei mesi, ovvero negli altri casi oltre il cinquantesimo giorno (art. 22 c. 2) .

In ogni caso, l’art. 25, D. Lgs. 81/2015, precisa che il lavoratore assunto a termine ha diritto al trattamento economico e normativo in atto nell’impresa per i lavoratori a tempo indeterminato inquadrati al medesimo livello; ovviamente, il trattamento spetta in proporzione al periodo lavorato, e sempre che non sia obiettivamente incompatibile con la natura del contratto a termine.
La riforma del 2015 ha poi stabilito che la violazione dell’obbligo di parità di trattamento tra lavoratori a tempo determinato e lavoratori a tempo indeterminato comporta l’applicazione di una sanzione amministrativa, a carico del datore di lavoro, da 25,82 a 154,94 euro. Se l’inosservanza riguarda più di cinque lavoratori, si applica la sanzione amministrativa da 154,94 a 1.032,91 euro (art. 25, c. 2).
Va infine evidenziato che anche il recente D. Lgs. n. 23/2015, recante disposizioni in tema di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, si occupa del contratto a termine, stabilendo in particolare che il nuovo regime sanzionatorio introdotto da tale decreto per le ipotesi di licenziamento illegittimo si applicherà anche nei confronti dei lavoratori, originariamente assunti a termine, il cui contratto sia convertito in contratto a tempo indeterminato dopo il 7 marzo 2015 (data di entrata in vigore del decreto).

La norma deve essere intesa nel senso di ricomprendere i soli casi di conversione volontaria del rapporto, e non anche le ipotesi in cui la conversione consegua all’accertamento giudiziale della illegittimità del contratto a termine. In quest’ultimo caso, infatti, il giudice non fa altro che dichiarare la nullità parziale del contratto, con automatica sostituzione della clausola contrattuale che contempla il termine illegittimamente apposto, con effetto dal momento in cui il contratto a termine era stato stipulato. Pertanto, se l’effetto della conversione viene fatto retroagire a un momento anteriore alla data di entrata in vigore del D.Lgs. 23/2015, ne deriva che il nuovo apparato sanzionatorio in tema di licenziamento non può trovare applicazione

 

Quando è possibile assumere a termine?

Il contratto a termine può essere stipulato per un massimo di 24 mesi. Per i primi 12 mesi, l’apposizione del termine non richiede alcuna motivazione. Successivamente, deve essere presente una delle causali indicate dall’art. 19 c. 1 D. Lgs. 81/15 (come modificato, da ultimo, dal c.d. Decreto Lavoro del 2023): casi previsti dai contratti collettivi; in assenza delle previsioni della contrattazione collettiva, per esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva individuate dalle parti e, in ogni caso, entro il 30 aprile 2024; in caso di sostituzione di altri lavoratori.
Inoltre, è necessario il rispetto del limite del 20% del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al primo gennaio dell’anno di assunzione.
In ogni caso, il contratto a termine di durata non inferiore a 12 giorni deve essere stipulato per iscritto; copia dell’atto scritto deve essere consegnato al lavoratore entro 5 giorni lavorativi dall’inizio della prestazione. In caso contrario, il rapporto di lavoro deve essere considerato a tempo indeterminato. In caso di rinnovo, l’atto scritto deve contenere la specificazione di una delle causali ex art. 19 c. 1; in caso di proroga dello stesso rapporto di lavoro, deve contenere l’indicazione di una causale solo se il termine complessivo eccede i 12 mesi.

 

La proroga del contratto

Lo stesso contratto a termine può essere prorogato a certe condizioni, indicate dall’art. 21 D. Lgs. 81/15.
In primo luogo, la proroga richiede il consenso del lavoratore, può essere disposta solo quando la durata iniziale del contratto fosse inferiore a 24 mesi e, comunque, per un massimo di 4 volte nell’arco di 24 mesi.
Inoltre, la proroga è libera solo nei primi 12 mesi; successivamente, solo in presenza di una delle causali ex art. 19 c. 1 D. Lgs. 81/15 (fatta eccezione per i contratti stipulati per attività stagionali).
La sanzione alle limitazioni indicate è la trasformazione a tempo indeterminato del rapporto.

 

Proroga e rinnovo del contratto a termine nel periodo dell’emergenza da Covid-19

Nella fase emergenziale connessa alla diffusione del virus Covid-19 sul territorio nazionale, si sono succeduti diversi interventi normativi, a carattere provvisorio ed eccezionale, finalizzati ad agevolare la proroga e il rinnovo dei contratti a termine.

In un primo momento, l’art. 19-bis del D.L. 18/2020 ha autorizzato i datori di lavoro che avessero avuto accesso agli ammortizzatori sociali previsti nel medesimo decreto a rinnovare e a prorogare i contratti a tempo determinato in corso, anche a scopo di somministrazione, in deroga alle disposizioni del d.lgs. 81/15 che escludono il rinnovo o la proroga in caso di riduzione o di cessazione dell’attività.

Successivamente, il decreto Rilancio (art. 93 del DL 34/20) ha previsto la possibilità di rinnovare o prorogare fino al 30 agosto 2020 i contratti a tempo determinato in essere al 23 febbraio 2020, anche in assenza delle condizioni (cd. causali) richieste dall’art. 19, co. 1, d.lgs. 81/15.

Tale disposizione è stata modificata dal c.d. decreto Agosto (art. 8 del DL 104/20), che ha esteso a tutti i contratti a tempo determinato (non solo quelli attivi al 23 febbraio 2020) la possibilità di proroga o rinnovo, per un periodo massimo di 12 mesi e per una sola volta, mediante un atto intervenuto entro il 31 dicembre 2020, sempre in deroga alla presenza delle specifiche causali richieste dalla normativa vigente.

Il termine del 31 dicembre 2020 è stato prorogato dapprima al 31 marzo 2021 (L. 178/20) e, da ultimo, al 31 dicembre 2021 dal c.d. decreto Sostegni (DL 41/21). Il medesimo decreto Sostegni ha altresì specificato che, ai fini dell’applicazione della disciplina ivi contenuta in merito al rinnovo e alla proroga dei contratti a termine, non si tiene conto dei rinnovi e delle proroghe già intervenuti in virtù delle precedenti disposizioni normative.

Per gli apprendisti e per i titolari di contratti a termine, anche in somministrazione, a cui fosse stata sospesa l’attività lavorativa in conseguenza dell’emergenza, il decreto Rilancio aveva anche previsto che il termine dei relativi contratti fosse prorogato in misura equivalente al periodo per i quali gli stessi sono stati sospesi. Tale previsione è stata successivamente abrogata dal decreto Agosto.

 

Trattenimento in servizio oltre lo scadere del termine

Qualora il rapporto di lavoro proseguisse dopo lo scadere del termine, non si verificherebbe automaticamente la conversione a tempo indeterminato del rapporto stesso.
Infatti, l’art. 22 D. Lgs. 81/2015 prevede la trasformazione solo nel caso di prosecuzione del rapporto oltre il termine protratta per un certo periodo, prima del quale si verificano conseguenze di tipo esclusivamente risarcitorio.
Più precisamente, la norma stabilisce che la prosecuzione del rapporto dopo lo scadere del termine comporta, a carico del datore di lavoro, l’obbligo di corrispondere al lavoratore, per ogni giornata di prosecuzione, una maggiorazione della retribuzione pari al 20% fino al decimo giorno successivo, pari al 40% per ogni giorno ulteriore.
Ai fini della conversione a tempo indeterminato del rapporto, invece, la norma distingue a seconda che il termine fosse di durata inferiore a sei mesi, ovvero di durata pari o superiore a quella appena indicata.
Nel primo caso, la conversione si verifica se il rapporto prosegue oltre il trentesimo giorno dopo la scadenza; nel secondo caso, perché si verifichi la conversione è necessaria la prosecuzione oltre il cinquantesimo giorno.
Si deve escludere che l’indicato periodo di tolleranza valga anche nel caso di conversione a tempo indeterminato del rapporto per superamento del tetto massimo di 24 mesi. Infatti, sebbene in entrambi casi si verifichi la conversione del rapporto, si tratta di due sanzioni diverse, una prevista nel caso in cui il rapporto duri oltre il termine originariamente concordato; l’altra, nel caso di superamento del tetto massimo indicato dalla legge. Si deve dunque concludere che il superamento anche di un solo giorno del tetto dei 24 mesi comporta di per sé la conversione a tempo indeterminato del rapporto.

 

Reiterazione (successione) di contratti

Al fine di evitare abusivi ricorsi al lavoro a tempo determinato, l’art. 21 c. 2 del D.Lgs. 81/2015 ha previsto che, tra un contratto a termine e l’altro, debba intercorrere un intervallo minimo: nel caso di violazione di tale intervallo, il secondo contratto si considera a tempo indeterminato; se invece i due contratti si susseguono senza nessun intervallo, il rapporto deve considerarsi a tempo indeterminato sin dall’origine.
Più precisamente, la durata dell’intervallo dipende dalla circostanza che il precedente contratto a termine fosse di durata fino a sei mesi, o superiore: nel primo caso, tra un contratto a termine e l’altro devono decorrere almeno dieci giorni; nel secondo caso, venti.
L’obbligo di far trascorrere i suddetti intervalli temporali tra un contratto a termine e il successivo non si applica:

  • nei confronti dei lavoratori impiegati nelle attività stagionali individuate con decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali (fino all’adozione di tale decreto, continueranno a trovare applicazione le disposizioni del dPR n. 1525/1963);
  • nelle ipotesi individuate dai contratti collettivi (ai sensi dell’art. 52 del D.Lgs. 81/2015 per contratti collettivi si intendono i contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e i contratti collettivi aziendali stipulati dalle loro rappresentanze sindacali aziendali ovvero dalla rappresentanza sindacale unitaria);
  • alle imprese start-up innovative per i primi 4 anni dalla loro costituzione ovvero, nel caso di imprese già costituite all’epoca dell’entrata in vigore del D.L. 179/2012, per i più limitati periodi previsti dall’art. 25, c. 3, di detto decreto.

In ogni caso, si è già visto che, ai sensi dell’art. 19 c. 2 D.Lgs. 81/2015, la conversione a tempo indeterminato si verifica nel caso in cui, per effetto di successione di contratti a termine, il rapporto duri più di 24 mesi. In questo caso, dunque, si applica la sanzione della conversione a prescindere dal rispetto dell’intervallo minimo tra un contratto e l’altro.
Nel computo dei 24 mesi non si dovrà tener conto dei periodi di interruzione tra un contratto e l’altro. La norma precisa che, ai fini del computo del periodo massimo di 24 mesi, si tiene altresì conto dei periodi di missione svolti nell’ambito di un rapporto di somministrazione, quando abbiano a oggetto mansioni di pari livello e categoria legale e si siano svolti fra i medesimi soggetti.
Un ulteriore successivo contratto a termine potrà essere stipulato solo avanti l’Ispettorato Territoriale del Lavoro e non potrà in ogni caso avere durata superiore a 12 mesi.

 

Regime particolare per il settore trasporto aereo, aziende esercenti i servizi aeroportuali e poste

L’art. 2 D. Lgs. 368/01 prevedeva una disciplina aggiuntiva applicabile al settore del trasporto aereo e ai servizi aeroportuali. La riforma del 2015 ha disposto che tale disciplina rimarrà in vigore fino al 31 dicembre 2016.
La norma in questione stabiliva in particolare che nel settore indicato, e in alcune ipotesi, il contratto a termine potesse essere stipulato anche in assenza di ragioni tecniche, produttive, organizzative o sostitutive, e ciò ancor prima che il DL 34/14 escludesse la necessità della causale.
Più precisamente, l’ipotesi era prevista per lo svolgimento dei servizi operativi di terra e di volo, di assistenza a bordo ai passeggeri e merci.
Inoltre, il contratto doveva avere un limite di durata e doveva svolgersi in particolari periodi dell’anno: il contratto non può eccedere la durata di sei mesi, compresi tra aprile e ottobre di ogni anno; tuttavia, se la durata del contratto non eccede i quattro mesi, lo stesso può svolgersi nell’ambito di periodi diversamente distribuiti.
In ogni caso, le assunzioni a termine di cui si parla non potevano eccedere il 15% del personale aziendale che risulti, al primo gennaio di ogni anno, complessivamente adibito ai servizi prima indicati (il limite era però elevabile negli aeroporti minori su autorizzazione della Direzione Provinciale del lavoro).
Della richiesta di tali assunzioni il datore di lavoro doveva rendere comunicazione alle Oo.Ss. provinciali di categoria.
Il c. 1 bis del citato art. 2 estendeva le disposizioni sopra descritte alle assunzioni effettuate da imprese concessionarie di servizi nei settori delle poste, per un periodo massimo complessivo di 6 mesi, compresi tra aprile e ottobre di ogni anno, e di quattro mesi per periodi diversamente distribuiti e nella percentuale non superiore al 15% dell’organico aziendale, riferito al primo gennaio dell’anno cui le assunzioni si riferiscono.

 

Regime particolare per il settore del turismo e dei pubblici esercizi

Da un punto di vista generale, anche nei settori del turismo e dei pubblici esercizi l’assunzione di personale a tempo determinato è disciplinata dal D.Lgs. 81/2015.
Per questi settori è però anche prevista la possibilità di stipulare contratti a termine di durata non superiore a tre giorni, per l’esecuzione di speciali servizi determinati dai contratti collettivi, fermo l’obbligo di comunicare l’instaurazione del rapporto di lavoro entro il giorno antecedente (art. 29, c. 2, lett. b), D.Lgs. 81/2015).
Il citato art. 29, c. 2, lett. b), dispone anche che i contratti a termine in questione sono esclusi dal campo di applicazione del Decreto Legislativo 81/2015. Ciò in particolare significa che l’atto scritto non è necessario ai fini dell’efficacia del contratto. A tal fine, sarà in ogni caso necessario che il lavoratore sia effettivamente addetto al servizio contemplato dal contratto collettivo.
Il Decreto Dignità ha esteso la disciplina sopra descritta ai rapporti instaurati per la fornitura di lavoro portuale temporaneo di cui all’art. 17 L. 84/1994.

 

Assunzione a termine di dirigenti

Ai sensi dell’art. 29, comma 2, lettera a), del D.Lgs. 81/2015, è possibile assumere un dirigente mediante la stipulazione di un contratto a tempo determinato, purché di durata non superiore a 5 anni.
I dirigenti possono, comunque, recedere dal contratto stesso trascorsi 3 anni e osservata la disposizione dell’art. 2118, quindi dando il preavviso stabilito dalla contrattazione collettiva. Ciò rappresenta una norma di favore per il dirigente: infatti, nel caso di rapporto a termine, la regola generale è che chi recede dal rapporto prima dello scadere del termine deve corrispondere all’altra parte le retribuzioni teoricamente dovute da allora fino alla naturale scadenza del contratto.
Questa regola generale vale anche per il lavoratore; tuttavia, nel caso di cui si sta parlando, e come si è visto, il risarcimento del danno è limitato al periodo di preavviso.
Il medesimo articolo 29 stabilisce ancora che i rapporti a termine con i dirigenti sono esclusi dal campo di applicazione delle norme contenute nel capo III del D.Lgs. 81/2015; diversamente, la normativa pre-riforma (contenuta nel comma 4 dell’art. 10 D.Lgs. 368/2001) prevedeva l’applicazione ai dirigenti assunti a termine quanto meno delle norme relative al principio di non discriminazione e ai criteri di computo.
A tal proposito, va tuttavia osservato che, in tema di criteri di computo, l’art. 27 D.Lgs. 81/2015 ricomprende espressamente i dirigenti assunti a termine.
Quanto, poi, al principio di non discriminazione, sebbene l’art. 25 del D.Lgs. 81/2015 non faccia espresso riferimento ai dirigenti, può tuttavia ritenersi che la necessità di rispettare un tale principio possa in ogni caso ricavarsi dai principi comuni.

 

Assunzione a termine del lavoratore collocato in mobilità

In base a quanto previsto dall’art. 8 della Legge 23 luglio 1991, n. 223, i lavoratori in mobilità possono essere assunti con contratto a termine della durata non superiore a 12 mesi. Durante tale periodo il lavoratore conserva l’iscrizione nella lista di mobilità (previa comunicazione all’INPS), mentre rimane sospeso il trattamento di mobilità.
Inoltre, il datore di lavoro ottiene alcuni benefici previdenziali.
In linea con la disciplina previgente, l’art. 29, c. 1, lett. a) del D.Lgs. 81/2015 prevede che, in relazione alle assunzioni a termine di lavoratori in mobilità ai sensi dell’art. 8, comma 2, della Legge 223/1991, non trovano applicazione le disposizioni previste dallo stesso D. Lgs. 81/2015 (fatta eccezione per il principio di non discriminazione ex art. 25 e per i criteri di computo ex art. 27 del medesimo D. Lgs. 81/2015).
Come evidenziato in una circolare del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali (n. 35/2013), “ciò sta a significare che, in relazione alle assunzioni di tale categoria di lavoratori, non è necessario il rispetto della disciplina concernente, ad esempio, (…) il rispetto degli intervalli”.

 

Diritto di precedenza nel caso di assunzioni presso la stessa azienda

L’art. 24 del D.Lgs. 81/2015 prevede alcune ipotesi in cui il lavoratore a termine ha un diritto di precedenza nelle assunzioni presso la stessa azienda.
Si tratta, in primo luogo, dell’ipotesi del lavoratore che, nell’esecuzione di uno o più contratti a termine presso la stessa azienda, abbia prestato attività lavorativa per un periodo superiore a sei mesi. Tale lavoratore ha appunto il diritto di precedenza nelle assunzioni a tempo indeterminato, effettuate dal datore di lavoro entro i successivi 12 mesi, con riferimento alle mansioni già espletate in esecuzione dei rapporti a termine. Sono espressamente fatte salve le diverse disposizioni dei contratti collettivi.
La norma precisa che per le lavoratrici il congedo di maternità di cui al Capo III del D. Lgs. 151/01, intervenuto nell’esecuzione di un contratto a termine presso la stessa azienda, concorre a determinare il periodo di attività lavorativa utile a conseguire il diritto di precedenza. Alle medesime lavoratrici è poi riconosciuto il diritto di precedenza anche nelle assunzioni a tempo determinato effettuate dal datore di lavoro entro i successivi 12 mesi, sempre con riferimento alle mansioni già espletate in esecuzione dei precedenti rapporti a termine.
La seconda ipotesi riguarda invece il lavoratore assunto a termine per lo svolgimento di attività stagionale. In questo caso, la precedenza riguarda le nuove assunzioni a termine da parte dello stesso datore di lavoro per la medesima attività stagionale.
In entrambi i casi, il diritto di precedenza può essere esercitato a condizione che il lavoratore manifesti per iscritto la propria volontà in tal senso al datore di lavoro. Ciò deve avvenire, nella prima ipotesi, nel termine di sei mesi dalla cessazione del rapporto; nella seconda ipotesi (lavoratore assunto per lo svolgimento di attività stagionali), entro tre mesi. In ogni caso, il diritto si estingue entro un anno dalla data di cessazione del rapporto.
E’ infine previsto che il diritto di precedenza sia espressamente richiamato nel contratto di assunzione.

 

La violazione della soglia percentuale

L’art. 23 c. 4 D.Lgs. 81/2015 prevede una sanzione amministrativa per il caso di violazione della soglia percentuale stabilita quale limite massimo di lavoratori che possono essere assunti a termine da parte del medesimo datore di lavoro.
Più precisamente, la sanzione è, per ciascun lavoratore, pari:

  • al 20 per cento della retribuzione, per ciascun mese o frazione di mese superiore a quindici giorni di durata del rapporto di lavoro, se il numero dei lavoratori assunti in violazione del limite percentuale non è superiore a uno;
  • al 50 per cento della retribuzione, per ciascun mese o frazione di mese superiore a quindici giorni di durata del rapporto di lavoro, se il numero dei lavoratori assunti in violazione del limite percentuale è superiore a uno.

La disciplina antecedente la riforma del 2015 non chiariva se, in caso di violazione della soglia del 20%, alla sanzione amministrativa si potesse accompagnare anche la conversione a tempo indeterminato dei rapporti di lavoro a termine stipulati in violazione del limite fissato dal legislatore.
In assenza di una chiara indicazione da parte della legge, pareva doversi preferire la soluzione che consentiva il cumularsi delle due sanzioni, ciò in forza del principio generale per cui la forma comune del rapporto di lavoro è quello a tempo indeterminato, con la conseguenza che ogni rapporto di lavoro diverso, stipulato al di fuori dei limiti e dei requisiti previsti dalla legge, deve essere ricondotto alla forma comune del rapporto e, dunque, deve essere convertito in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.
Il D.Lgs. 81/2015 ha spazzato via ogni dubbio, facendo tuttavia propria la soluzione inversa. L’art. 23 c. 4, nel riproporre la sanzione amministrativa già prevista dal D.Lgs. 368/2001, precisa infatti che resta “esclusa la trasformazione dei contratti interessati in contratti a tempo indeterminato”.
Da ciò consegue che la violazione della soglia del 20% comporta, ora, l’applicazione della sola sanzione amministrativa.

 

Licenziamento prima della scadenza del termine

Il lavoratore a termine non è tutelato contro i [licenziamento|licenziamenti alla pari di un lavoratore a tempo indeterminato. Ovviamente, alla scadenza del periodo concordato, il rapporto si esaurisce automaticamente.
Ma anche nel caso in cui il datore di lavoro licenziasse illegittimamente il lavoratore in anticipo rispetto alla data concordata per la fine del rapporto, quest’ultimo non potrebbe invocare la reintegrazione nel posto di lavoro, neppure per il tempo che manca alla scadenza del termine originariamente pattuito.
In ogni caso, il licenziamento anticipato non è necessariamente illegittimo. Infatti, il datore di lavoro può recedere dal rapporto, anche prima della scadenza del termine, in presenza di una giusta causa.
In altre parole, si tratta di un gravissimo comportamento del lavoratore, che comprometta in modo irreparabile il rapporto fiduciario, al punto da rendere intollerabile la prosecuzione, anche in via provvisoria, del rapporto di lavoro.
Se invece il licenziamento anticipato non fosse sorretto da una giusta causa, il licenziamento sarebbe illegittimo.
Tuttavia, anche in questo caso – come si diceva – il lavoratore non avrebbe diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro.
Più semplicemente, il prestatore potrebbe domandare al giudice la condanna del datore di lavoro per il danno subito a seguito dell’illegittimo licenziamento.
Di regola, il danno viene commisurato alle retribuzioni che il datore di lavoro avrebbe corrisposto dal giorno del licenziamento dichiarato illegittimo al giorno in cui scade il termine apposto al contratto di lavoro.
Le stesse regole valgono per il lavoratore a termine che volesse dimettersi. Ciò infatti potrebbe avvenire senza impedimenti solo per giusta causa. Diversamente, qualora non sussistesse questo requisito (ad esempio perché ha trovato un’altra occupazione anche se a tempo indeterminato, ipotesi che non integra la giusta causa per dimissioni), è necessario concordare una risoluzione consensuale del rapporto di lavoro con il suo datore di lavoro.
In caso contrario, il lavoratore dovrebbe risarcire il danno, nella misura delle retribuzioni dovute fino alla scadenza naturale del contratto.

 

L’impugnazione del contratto a termine

La Legge 183/2010 ha profondamente modificato gli oneri a carico del lavoratore che intenda ottenere l’accertamento giudiziario della illegittimità del termine, stabilendo che la illegittima apposizione del termine deve essere impugnata, a pena di decadenza. La legge 92/2012 ha successivamente stabilito che l’impugnazione doveva avvenire entro 120 giorni dalla scadenza del termine; nei successivi 180 giorni, sempre a pena di decadenza, doveva essere depositato il ricorso giudiziario.
Il D.Lgs. 81/2015 ha abrogato le disposizioni della L. 183/2010 in tema di impugnazione del contratto a termine. La nuova disciplina, tuttavia, ricalca sostanzialmente quella antecedente la riforma, con una differenza: mentre in precedenza l’onere di impugnazione era limitato alle sole ipotesi in cui si intendeva far valere specifici vizi del contratto a termine, specificatamente individuati dal legislatore (vale a dire quelli contemplati dagli artt. 1, 2 e 4 D.Lgs. 368/01), la riforma del 2015 – in particolare, l’art. 28, c. 1, D.Lgs. 81/2015 – prevede invece l’impugnazione del termine apposto al contratto senza ulteriori precisazioni.
In base alla nuova disciplina, dunque, l’onere di impugnazione ricorrerà, per esempio, anche nel caso di illegittimità del termine per violazione dell’intervallo minimo tra un contratto e l’altro (vizio che in precedenza era invece escluso dall’onere di impugnazione, non rientrando tra quelli richiamati dall’art. 32 della L. 183/2010).
Per quanto riguarda i termini per l’impugnazione, il D.Lgs. 81/2015 si è originariamente allineato alla precedente disciplina, stabilendo che il contratto a termine deve essere impugnato entro 120 giorni dalla cessazione del singolo contratto e che, nei successivi 180 giorni, deve poi essere depositato il ricorso giudiziario. Il DL 87/18 ha successivamente esteso da 120 a 180 giorni il termine per l’impugnazione del contratto.
L’interpretazione della norma non pone particolari problemi nel caso in cui il rapporto sia caratterizzato da un unico contratto a termine: in questo caso è evidente che i termini di impugnazione decorrono dopo la cessazione del rapporto.
Problemi interpretativi possono invece sorgere con riferimento ai casi caratterizzati da una pluralità di contratti a termine che si sono succeduti nel tempo: in questo caso, si potrebbe sostenere che il lavoratore debba impugnare ogni singolo contratto, anche se il relativo termine di impugnazione decorra non dopo la cessazione definitiva del rapporto, ma durante l’esecuzione di un successivo contratto a termine. La conseguenza di questo ragionamento è che se l’impugnazione avvenisse solo dopo che il rapporto è definitivamente cessato, la causa non potrebbe riguardare i primi contratti a termine di quel rapporto, per i quali sia intervenuta la decadenza.
Questa interpretazione, peraltro, sembrerebbe trovare conferma nella lettera dell’art. 28 del D.Lgs. 81/2015, in particolare laddove tale norma afferma che l’impugnazione del contratto a termine deve avvenire entro 120 giorni dalla cessazione del “singolo” contratto.
È tuttavia evidente che una soluzione di questo tipo rischia di limitare fortemente la praticabilità stessa del rimedio previsto dal legislatore contro le ipotesi di illegittima apposizione del termine: basti pensare che un lavoratore non impugnerà mai un precedente contratto a termine mentre ne sta svolgendo un altro, con la conseguenza di precludere di fatto (o di limitare) il controllo giudiziario in un caso in cui il datore di lavoro ha fatto illegittimo ricorso a un rapporto di lavoro eccezionale, in luogo dell’ordinario rapporto di lavoro a tempo indeterminato. In altre parole, il controllo giudiziario sarebbe di fatto vanificato a fronte di uno dei più gravi comportamenti che un datore di lavoro può porre in essere.
Una simile interpretazione, dunque, finirebbe di fatto per vanificare la normativa limitativa del contratto a termine, e ciò in contrasto con il principio basilare della eccezionalità del termine e con il rigore cui il legislatore subordina il ricorso a questa tipologia contrattuale.
A ciò si aggiunga che, benché frammentato tra un contratto a termine e l’altro, in realtà la illegittimità del termine comporta la sussistenza di un unico rapporto a tempo indeterminato, decorrente dal primo contratto a termine illegittimo fino alla scadenza dell’ultimo. Ciò significa che, benché formalmente anche prima di allora si siano verificate plurime scadenze del termine, in realtà il rapporto è caratterizzato da una sua continuità e da un unico, complessivo termine, giacché quelli intermedi sono simulati e, comunque, di effimera efficacia, in quanto destinati a essere di lì a poco vanificati dalla instaurazione di un nuovo contratto a termine.
In buona sostanza, anche in un caso come questo vi è in realtà un unico termine scaduto, ovvero quello che ha comportato definitivamente la fine del rapporto (perché quelli precedenti non hanno impedito che il rapporto proseguisse), con la conseguenza che il giorno dal quale decorre il termine di decadenza è quello della scadenza del termine conclusivo, dopo il quale il rapporto (complessivamente considerato) è finito.
In ogni caso, l’ipotesi in questione non dice nulla per l’ipotesi della illegittimità dei contratti a termine per fraudolenta elusione della relativa legge. Infatti, la reiterata stipulazione di contratti a termine, di per sé anche formalmente legittimi, può portare a concludere nel senso che, così facendo, il datore di lavoro ha in realtà eluso l’imperativo principio generale, secondo cui il rapporto di lavoro è, di regola, a tempo indeterminato, e solo nei casi eccezionali contemplati alla legge si può far ricorso a un rapporto a termine.
Questo può per esempio rilevare nel caso in cui, considerato il numero dei contratti a termine stipulati nel caso di specie, si deve concludere che, in realtà, il lavoratore era stato assunto a termine in assenza di un reale motivo temporaneo (che, solo, potrebbe giustificare l’apposizione del termine), ma al solo e reale fine di far fronte a ordinarie e strutturali esigenze lavorative.
Ebbene, l’illegittimità di un simile comportamento trova la sua fonte nell’art. 1344 c.c. (che disciplina appunto l’ipotesi della frode alla legge): si tratta quindi di una fonte diversa dal D.Lgs. 81/2015, con la conseguenza che, in ogni caso e se non altro a questo fine, i primi contratti a termine della serie possono essere sempre presi in considerazione.

 

La disdetta del contratto a termine

Normalmente le cause in materia di contratto a termine vengono proposte dopo che il rapporto si sia interrotto alla scadenza del contratto e per effetto di tale scadenza. In questi casi, la illegittima apposizione del termine comporta, da un lato, la conversione a tempo indeterminato del rapporto e, dall’altro, la illegittimità della risoluzione del rapporto di lavoro.
Al riguardo, la giurisprudenza si è ormai consolidata affermando i seguenti principi:

  • poiché un contratto a termine non può essere validamente stipulato nel corso di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, nel caso di un rapporto caratterizzato da una molteplicità di contratti a termine è sufficiente che sia illegittima l’apposizione del termine al primo contratto per trasformare a tempo indeterminato l’intero rapporto, così comportando l’automatica illegittimità del termine apposto ai contratti successivi;
  • la risoluzione del rapporto alla scadenza del contratto non è un licenziamento in senso stretto, ma una semplice disdetta di un rapporto a termine: se il termine era stato apposto illegittimamente, è illegittima anche la disdetta;
  • poiché, come si è appena detto, la risoluzione del rapporto non è qualificabile alla stregua di un licenziamento, non si applicano le regole sancite dall’art. 18 Statuto dei lavoratori (reintegrazione e risarcimento del danno) e dall’art. 8 Legge 604/66 (pagamento di un’indennità compresa tra 2,5 e 6 mensilità) – che riguardano i lavoratori assunti prima del 7 marzo 2015 –, né le regole previste dal D.Lgs. 23/2015 – che invece disciplina le tutele applicabili in caso di licenziamento di un lavoratore assunto a tempo indeterminato dal 7 marzo 2015 in avanti;
  • piuttosto, in base ai principi comuni, alla illegittima disdetta consegue sempre l’ordine di ricostituire il rapporto e la condanna al risarcimento del danno.

Con riferimento proprio al risarcimento del danno, il secondo comma dell’art. 28 D.Lgs. 81/2015 dispone che, nei casi di trasformazione del contratto a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato, il giudice condanna il datore di lavoro al risarcimento del danno a favore del lavoratore, stabilendo un’indennità onnicomprensiva, in misura compresa tra un minimo di 2,5 e un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del TFR (il limite massimo è però di 6 mesi in presenza di contratti collettivi – definizione che ricomprende, ai sensi dell’art. 51 D.Lgs. 81/2015, anche i contratti collettivi aziendali stipulati dalle RSU – che prevedano l’assunzione, anche a tempo indeterminato e comunque nell’ambito di specifiche graduatorie, di lavoratori già occupati con contratto a termine).
Per espressa indicazione del legislatore, la suddetta indennità ristora per intero il pregiudizio subito dal lavoratore, comprese le conseguenze retributive e contributive relative al periodo compreso tra la scadenza del termine e la pronuncia con la quale il giudice ha ordinato la ricostituzione del rapporto di lavoro.
La norma da ultimo ricordata non può indurre a concludere che l’indennità onnicomprensiva in questione sia sostitutiva non solo del risarcimento del danno, ma anche della ricostituzione del rapporto: al contrario, l’indennità è, a tutto voler concedere e in quanto onnicomprensiva, sostitutiva del solo risarcimento del danno.
Infatti, la norma parla espressamente del caso di conversione del contratto a tempo determinato. Tuttavia, questa è una conseguenza che si determina tutte le volte in cui vi sia l’illegittima apposizione del termine, a prescindere dal fatto che il rapporto sia stato risolto o sia ancora in essere.
Infatti, se è vero che, normalmente, le cause riguardano fattispecie caratterizzate dalla risoluzione del rapporto, non si può escludere (e la casistica giudiziaria concretamente non lo esclude) che la causa sia proposta, e si concluda, in corso di rapporto. Anche in questo caso, dunque, vi è una domanda di conversione a tempo indeterminato del rapporto.
Pertanto, nelle ipotesi in cui vi sia anche la risoluzione del rapporto per effetto della scadenza del termine, le domande sono in realtà due: una concerne la conversione del rapporto, come effetto della illegittimità del termine; l’altra la ricostituzione del rapporto, come effetto della illegittimità della disdetta (o della risoluzione del rapporto).
Ebbene, di queste due domande la legge contempla espressamente solo la prima e, come si è appena visto, questa domanda è diversa e autonoma rispetto all’altra e di per sé non è idonea a determinare la ricostituzione del rapporto che, invece, è conseguenza della seconda domanda, che potrebbe anche non essere proposta e che comunque non è contemplata dalla legge. Per questo motivo, dunque, l’indennità di cui si parla non ha nulla a che vedere né con la disdetta del rapporto a termine né con il conseguente ordine di ricostituzione del rapporto, ed è dunque inevitabile che la stessa, conseguendo alla domanda di conversione del rapporto e non anche alla domanda di illegittimità della disdetta, sia del tutto inapplicabile alla diversa problematica della ricostituzione del rapporto.

 

Come veniva intesa la causale prima del DL 34/14

Prima che il DL 34/14, convertito in L. 78/14, modificasse l’art. 1 c. 1 D. Lgs. 368/01, e quindi quando la stipulazione di un contratto a termine presupponeva sicuramente l’esistenza di una causale, la giurisprudenza aveva elaborato una serie di principi che è bene ricordare, sia perché tuttora ci si può imbattere in un contratto a termine stipulato con la previgente disciplina, sia perché potrebbero trovare applicazione anche rispetto alle causali contemplate dalla contrattazione collettiva, ai sensi del nuovo art. 19, co. 1, lett. a), d.lgs. 81/15, e alla causale consistente nella sostituzione di altri lavoratori, di cui alla lett. b-bis) della medesima disposizione.

In primo luogo, era pacifico che la causale dovesse essere dettagliatamente specificata nella lettera di assunzione, pena l’inefficacia del termine apposto al contratto. A tal fine, non sarebbe sufficiente ripetere la generica formulazione utilizzata dal legislatore (ragione tecnica, o produttiva, o organizzativa, o sostitutiva). Per esempio, non è sufficiente affermare che l’assunzione avviene a termine per ragioni sostitutive, ma bisogna indicare quale lavoratore viene sostituito e per quale motivo si dà luogo alla sostituzione (per esempio, maternità o malattia del sostituito).
Soprattutto, era pacifico che la causale dovesse avere il carattere di temporaneità: in altri termini, doveva essere concretamente verificabile un’esigenza oggettiva di carattere transitorio, che legittimasse il ricorso ad un contratto a termine anziché a tempo indeterminato.
Qualsiasi vizio della motivazione comportava la trasformazione a tempo indeterminato del rapporto. Pertanto, ciò si verificava quando la motivazione risultava radicalmente omessa, o troppo generica o inidonea a giustificare il termine, o quando il datore di lavoro non provava la sua effettiva sussistenza.

Con riferimento alla causale sostitutiva, il Tribunale di Milano, con sentenza del 21/4/04, ha stabilito che il datore di lavoro ha l’onere di indicare la ragione sostitutiva in modo tale da rendere possibile l’individuazione della persona che il lavoratore a termine è destinato a sostituire, soprattutto quando – come nel caso preso in esame da quella sentenza – la struttura aziendale sia numerosa e territorialmente vasta. Infatti, in una situazione come questa, una formula che genericamente faccia riferimento al personale assente con diritto alla conservazione del posto di lavoro legittimerebbe sempre e comunque la stipulazione di contratti a termine, in quanto in quella vasta struttura aziendale ogni giorno si verifica certamente una significativa assenza di personale, per esempio, per ferie o per malattia. La tesi è stata autorevolmente e definitivamente confermata dalla Corte Costituzionale con sentenza 14 luglio 2009. n. 214 che ha ritenuto che in ipotesi di contratto a termine per ragioni sostitutive sia necessario specificare il nominativo del lavoratore che si sostituisce.
Sempre con riferimento alla ragione sostitutiva, era stato affermato che la durata del contratto del lavoro a termine non deve necessariamente coincidere con quella della prevista assenza del lavoratore sostituito.
Allorché il termine del rapporto sia indicato da una data fissa, il lavoratore assunto per sostituire una persona temporaneamente assente conserva il diritto a lavorare fino alla scadenza del termine apposto nel contratto, indipendentemente dal verificarsi della cessazione del rapporto del lavoratore sostituito. Ciò, peraltro, comporta che, in tale ipotesi, il rapporto non si converte a tempo indeterminato, ma resta soggetto alla naturale, successiva, scadenza del termine stabilito. Infatti, una volta rispettati all’origine i presupposti per l’apposizione al contratto del termine, lo svolgimento del rapporto è soggetto, quanto alla sua durata, unicamente a quanto disposto nel contratto, senza che rilevi la circostanza che, dopo la stipulazione del contratto ma prima della prevista scadenza del termine, sia venuto meno il diritto del lavoratore sostituito alla conservazione del posto di lavoro.
Oltre che fissato in una data precisa, il termine potrebbe anche essere individuato dal datore di lavoro “per relationem”, ossia con riferimento al ritorno in servizio del lavoratore sostituito: in questo ultimo caso, secondo la giurisprudenza maggioritaria, se si risolve il rapporto di lavoro della persona sostituita, viene altresì meno la causa giustificativa del contratto del lavoratore assunto in sostituzione di essa, e pertanto il termine si considera come scaduto.
In definitiva, quindi, se nel contratto a termine vi è fissata una data di scadenza del rapporto, il recesso del datore di lavoro prima della data fissata sarà illegittimo, e, in tal caso, il lavoratore potrà solo chiedere in giudizio le retribuzioni che avrebbe percepito fino alla scadenza fissata, ma non può, in ogni caso, pretendere la reintegrazione sul posto di lavoro.
Nel caso, invece, in cui il termine fissato coincida con il rientro in servizio del lavoratore sostituito e si verifichi la definitiva cessazione del rapporto di quest’ultimo, il termine si intende scaduto, in quanto la condizione che lo ha legittimato è definitivamente venuta meno, e pertanto si risolve anche il rapporto del lavoratore assunto per sostituire la persona temporaneamente assente.

 

La causale nella vigenza della disciplina prevista dal DL 34/14

Come è già stato detto, il DL 34/14, convertito in L. 78/14, ha modificato l’art. 1 c. 1 D. Lgs. 368/01, nel senso di subordinare la legittimità del contratto a termine non più a una ragione tecnica, organizzativa, produttiva o sostitutiva, ma a requisiti meramente formali (durata massima del rapporto e rispetto della soglia).
Tale impostazione ha trovato inizialmente conferma nella disciplina del contratto a termine introdotta dal D.Lgs. 81/2015, ed è stata mitigata, con un parziale ripristino delle causali, a seguito del c.d. Decreto Dignità, salvo poi venire definitivamente superata dal DL 48/23.

Neanche con riferimento ai contratti stipulati nella vigenza della disciplina introdotta dal DL 34/14, peraltro, si può sbrigativamente concludere che la legittimità del contratto a termine può del tutto prescindere dall’esistenza di una causale, o di una giustificazione oggettiva: se così fosse, tale disciplina si porrebbe in contrasto con la normativa europea sui contratti a termine (direttiva 1999/70/CE).
Infatti, la direttiva richiede ragioni obiettive per la stipulazione di un contratto a termine, o almeno per le sue proroghe o rinnovi, mentre la normativa nazionale qui in esame considera esclusivamente ragioni tutt’altro che oggettive. Inoltre, la direttiva era stata recepita nell’ordinamento italiano con il D. Lgs. 368/01, che il DL 34/14, convertito in L. 78/14, ha modificato. Com’è noto, la direttiva contiene la c.d. clausola di non regresso, che impedisce, nel recepimento della normativa comunitaria, peggioramenti della disciplina nazionale. Ciò è quanto è avvenuto con la riforma in questione: per effetto della riforma del 2014, si è infatti determinato un arretramento rispetto alla normativa nazionale previgente (in quanto quest’ultima imponeva la causalità del contratto a termine); pertanto, violando la clausola di non regresso, essa deve considerarsi illegittima.
Non va poi dimenticato che nei principi generali del nostro ordinamento sta la regola secondo cui il rapporto di lavoro normale è quello a tempo indeterminato, mentre quello a termine rappresenta un’eccezione. Sul punto la giurisprudenza era pacifica ancor prima che fosse introdotto l’art. 1 c. 01 D. Lgs. 368/01, e su tale principio era fondata la convinzione (anch’essa pacifica) che la ragione ex art. 1 c. 1 dovesse essere specificamente indicata e avere natura temporanea.
Il principio generale insito nel nostro ordinamento è stato poi esplicitamente enunciato dal legislatore nel 2007, mediante appunto l’introduzione dell’art. 1 c. 01 che, com’è noto, a seguito della riforma ex L. 92/12 disponeva che “Il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato costituisce la forma comune di rapporto di lavoro”.
Si noti che la riforma del 2015 non solo ha esplicitamente ribadito questo principio, ma l’ha anche inserito nel primo articolo del D.Lgs. 81/2015, a conferma della particolare importanza che a esso viene attribuita dal nostro legislatore. Il che vuol dire che anche il legislatore di questa riforma parte dalla consapevolezza che la forma comune del rapporto di lavoro subordinato è quello a tempo indeterminato. Ma se è così, la causalità del contratto a termine, originariamente disposta in maniera esplicita dall’art. 1 c. 1 del D.Lgs. 368/01, trova la propria fonte non tanto nella norma di legge che specificamente la preveda, ma nel principio generale di cui si sta parlando, il che significa che il contratto a termine è per natura causale, nel senso che comunque il datore di lavoro deve spiegare perché abbia posto in essere un rapporto di lavoro non comune in luogo di quello normale.
In questa prospettiva, l’originaria formulazione dell’art. 1 c. 1 del D.Lgs. 368/01, che esplicitamente disponeva la causalità del contratto a termine, era meramente esplicativa del principio ora contenuto nell’art. 1 del D.Lgs. 81/2015. Pertanto, aver abrogato ogni riferimento alla motivazione del contratto, al contempo lasciando integra la disposizione che vuole che il contratto a tempo indeterminato sia la forma comune del rapporto di lavoro, ha comportato solamente il venir meno della esplicazione, o della esemplificazione della ragione da addurre, fermo comunque restando ex art. 1 D.Lgs. 81/2015 che una ragione debba essere addotta. In altre parole, il datore di lavoro, anche nella vigenza della disciplina contemplata dal DL 34/14, doveva sempre e comunque spiegare le ragioni del ricorso a un rapporto di lavoro che non rappresenta la forma comune del rapporto di lavoro subordinato.
Né si può pensare che l’eccezionalità del contratto a termine ex art. 1 D.Lgs. 81/2015 sia rispettata dai limiti formali previsti dallo stesso decreto. In primo luogo, ciò va escluso proprio perché si tratta di limiti meramente formali. In ogni caso, e a prescindere da ciò:

  • il limite dei 36 mesi (previsto dall’art. 19 D.Lgs. 81/2015 e abbassato a 24 dal D.L. Dignità) già esisteva ex art. 5 c. 4 bis D. Lgs. 368/01, ma non era sufficiente a soddisfare il disposto dell’art. 1 c. 01. In altre parole, ciò che giustifica e legittima il ricorso a questa forma anomala di rapporto di lavoro è altro che non la semplice durata massima. Infatti, la durata del rapporto non dice nulla in ordine alla sua natura: ben può sussistere un rapporto di lavoro a tempo indeterminato che duri meno di quanto possa durare al massimo un contratto a termine, perché sopravviene una giusta causa o un giustificato motivo di licenziamento. Quindi ciò che distingue le due tipologie di rapporto di lavoro subordinato (a termine o a tempo indeterminato) non è e non può essere la rispettiva durata;
  • neppure il limite quantitativo del 20% è dirimente, se non altro perché non applicabile a tutti i datori di lavoro.

In ogni caso, a seguito del c.d. Decreto Dignità, che – come si è detto – ha reintrodotto le causali, e a maggior ragione dopo l’entrata in vigore del c.d. Decreto Lavoro, la questione deve ritenersi superata e può valere solo per i contratti a termine stipulati precedentemente.

 

Spazi aperti dal D.Lgs. 81/2015 alla contrattazione collettiva

Il D.Lgs. 81/2015, che ha recentemente riformato il contratto a termine, contiene i seguenti rinvii alla contrattazione collettiva:

  • Limiti quantitativi di utilizzo dei contratti a termine. Ciò evidentemente vuol dire che, in un accordo collettivo, si può disporre che i lavoratori assunti a termine non eccedano una certa percentuale dei lavoratori assunti a tempo indeterminato, e ciò anche in deroga alla soglia del 20% stabilita dall’art. 23 D.Lgs. 81/2015; a tal proposito, si è in precedenza evidenziato come la riforma del 2015 abbia esteso la tipologia di contratti che possono apportare deroghe alla soglia del 20%: gli articoli 23 e 51 del decreto, infatti, riconoscono oggi tale facoltà non solo ai contratti collettivi nazionali stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi, ma anche ai contratti collettivi aziendali (purché stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi o dalle loro Rsa o dalle Rsu).
  • Formazione dei lavoratori assunti a termine. La disciplina ante-riforma riconosceva in capo al lavoratore a termine il diritto a ricevere una formazione sufficiente, nonché adeguata alle caratteristiche della mansione che avrebbe dovuto svolgere, e ciò al fine di prevenire i rischi connessi. Questa formazione – per così dire – di base, poteva poi essere ampliata dalla contrattazione collettiva, che poteva in particolare prevedere modalità e strumenti che consentano ai lavoratori a termine l’accesso alla formazione, al fine di migliorarne la qualificazione, la carriera e la mobilità occupazionale. La riforma del 2015 ha eliminato ogni riferimento al diritto del lavoratore di ricevere una formazione sufficiente e adeguata, e ha demandato per intero il tema della formazione alla contrattazione collettiva: l’art. 26 del D.Lgs. 81/2015 stabilisce infatti che “i contratti collettivi possono prevedere modalità e strumenti diretti ad agevolare l’accesso dei lavoratori a tempo determinato a opportunità di formazione adeguata, per aumentarne la qualificazione, promuoverne la carriera e migliorarne la mobilità occupazionale”.
  • Diritto di precedenza nell’assunzione presso la stessa azienda: ai sensi dell’art. 24, c.1, D.Lgs. 81/2015, i contratti collettivi possono introdurre deroghe al diritto di precedenza del lavoratore a termine, che abbia prestato la sua attività lavorativa per un periodo superiore a sei mesi, nel caso di assunzioni a tempo indeterminate effettuate nelle mansioni da lui espletate entro i dodici mesi successivi (si ricorda che tale diritto si esercita a condizione che il lavoratore manifesti per iscritto tale sua volontà al datore di lavoro entro sei mesi dalla cessazione del rapporto).
  • Con specifico riguardo ai settori del turismo e dei pubblici esercizi, i contratti collettivi possono prevedere casi nei quali è possibile l’assunzione di manodopera per l’esecuzione di speciali servizi di durata non superiore a tre giorni. I lavoratori conseguentemente assunti sono esclusi dalla disciplina del D.Lgs. 81/2015.

Da ultimo, come già ricordato, l’art. 19, co. 1, D.Lgs. 81/15, a seguito delle modifiche introdotte dal DL 48/23, affida ai contratti collettivi (in particolare quelli nazionali, territoriali o aziendali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e quelli aziendali stipulati dalle loro rappresentanze sindacali aziendali ovvero dalla rappresentanza sindacale unitaria) il compito di identificare i casi nei quali le parti possono apporre al contratto un termine di durata superiore a 12 mesi, ma comunque non eccedente i 24 mesi.

 

Casistica di decisioni della Magistratura sul Contratto a termine

In genere

  1. Un GOT che svolga attività reale ed effettiva, con carattere prevalente rispetto ad ogni altra attività lavorativa astrattamente esercitabile, percependo emolumenti, dev’essere considerato “lavoratore” ai sensi della clausola 2 dell’accordo quadro annesso alla Dir. 1997/81/CE e della clausola 2 dell’accordo quadro annesso alla Dir. 1999/70/CE, con conseguente applicazione al rapporto lavorativo ad esso riferibile del disposto della clausola 4 degli accordi quadro annessi alle citate direttive (recante il divieto di discriminazione dei lavoratori a tempo parziale e a tempo determinato rispetto ai lavoratori a tempo pieno e a tempo indeterminato comparabili per il solo motivo di essere occupati a tempo parziale o determinato, salvo che un trattamento differente sia giustificato da ragioni oggettive)
  2. L’indennità ex art. 32, L. n. 183 del 2010 non deve essere liquidata in ragione di ogni singolo contratto per il quale venga accertata la illegittimità del termine. Il danno comunitario presunto nel settore pubblico non è quello derivante dalla nullità del termine del contratto di lavoro, ma è quello conseguente all’abuso per “l’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato”, come prevede la clausola 5 dell’accordo quadro allegato alla Dir. 1999/70/CE. L’illecito si consuma non in relazione ai singoli contratti a termine ma soltanto dal momento e per effetto della loro successione e, pertanto, il danno presunto dovrà essere liquidato una sola volta, nel limite minimo e massimo fissato dalla L. n. 183 del 2010, art. 32, considerando nella liquidazione dell’unica indennità il numero dei contratti in successione intervenuti tra le parti sotto il profilo della gravità della violazione. (Cass. 14/12/2020 n. 28422, ord., Pres. Tria Est. Cinque, in Lav. nella giur. 2021, 312)
  3. Il D.L. n. 726 del 1984, art. 5, comma 11, (in forza del quale ai fini della determinazione del trattamento di pensione l’anzianità contributiva “inerente ai periodi di lavoro a tempo parziale” va calcolata “proporzionalmente all’orario effettivamente svolto”) va inteso, sia per formulazione della disciplina, sia per ragioni di conformità rispetto alla normativa Eurounitaria, sia anche per ragioni di parità di trattamento proprie già del diritto interno, nel senso che l’ammontare dei contributi versati ai sensi del D.L. n. 463 del 1983, art. 7 (o poi sulla base delle successive ed identiche previsioni di cui al D.Lgs. n. 61 del 2000, art. 9, comma 4 e di cui al D.Lgs. n. 81 del 2015, art. 11, comma 4), debba essere riproporzionato sull’intero anno cui i contributi stessi ed il rapporto si riferiscono, non potendosi quindi escludere dal calcolo dell’anzianità contributiva utile per acquisire il diritto alla pensione nei confronti dei lavoratori con rapporto a tempo parziale c.d. verticale ciclico, i periodi non lavorati nell’ambito del programma negoziale lavorativo concordato con il datore di lavoro. (Cass. 9/7/2020 n. 14644, Pres. Manna Rel. Pagetta, e Cass. 10/7/2020 n. 14817, Pres. Manna Rel. Pagetta, in Lav. nella giur. 2021, 92)
  4. Nel caso di reiterazione di contratti a termine, le peculiarità del settore televisivo non giustificano da sole la deroga ai limiti previsti dalla normativa nazionale (d.lgs. n. 268 del 2001) ed europea in materia di numero massimo dei successivi rinnovi e di durata complessiva del rapporto a tempo determinato. (Trib. Milano 14/9/2017, Est. Bertoli, in Riv. Giur. Lav. prev. soc. 2018, con nota di N. Frasca, “Il lavoro a termine nel settore radio-televisivo”, 51)
  5. È suscettibile di essere ricompreso nella fattispecie legale di cui all’art. 1372, comma 1, c.c. il comportamento delle parti che determini la cessazione della funzionalità di fatto del rapporto lavorativo a termine in base a modalità tali da evidenziare il loro disinteresse alla sua attuazione, trovando tale operazione ermeneutica supporto nella crescente valorizzazione che si registra nel quadro della disciplina dei contratti. (Corte app. Lecce 14/11/2016, Giud. Ferreri, in Lav. nella giur. 2017, 207)
  6. In materia di contratto a termine, è necessario distinguere la disdetta con cui il datore di lavoro, al fine di evitare il rinnovo tacito del rapporto, comunica la data di scadenza del contratto, dall’atto formale di licenziamento per giusta causa o giustificato motivo, con il quale invece recede dal rapporto a tempo indeterminato. L’indennità onnicomprensiva ex art. 32, comma 5, L. n. 183/2010 è applicabile anche ai giudizi pendenti (comma 7) che, al momento dell’entrata in vigore della legge, erano già stati decisi in secondo grado se la richiesta relativa alla normativa sopravvenuta è pertinente con gli altri motivi di ricorso, i quali a loro volta devono essere ammissibili in base alla loro disciplina propria. (Cass. 2/11/2016 n. 22124, Pres. Di Cerbo Est. Ghinoy, in Lav. nella giur. 2017, con commento di C. Cordella, 150)
  7. Non è necessaria la forma scritta dei contratti a termine di durata inferiore a dodici giorni, di carattere occasionale, dovendo considerarsi tale un rapporto di lavoro eventuale, non ordinario, e temporalmente limitato a pochi giorni. Diverso è il problema della necessaria contestualità della sottoscrizione del contratto con l’inizio della prestazione lavorativa. (Cass. 21/9/2016 n. 18512, Pres. Nobile Est. Venuti, in Lav. nella giur. 2016, con commento di C. Santoro, 1086)
  8. La clausola 5, paragrafo 1, dell’Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, siglato il 18 marzo 1999, che figura in allegato alla Direttiva n. 1999/70/Ce, deve essere interpretata nel senso che osta a una normativa nazionale, quale quella di cui ai procedimenti principali, sia applicata dai giudici nazionali dello Stato membro interessato in modo che, in caso di utilizzo abusivo di una successione di contratti di lavoro a tempo determinato, il diritto alla conservazione del rapporto di lavoro è accordato alle persone assunte dall’amministrazione mediante un contratto di lavoro soggetto a normativa del lavoro di natura privatistica, ma non è riconosciuto, in generale, al personale assunto da tale amministrazione in regime di diritto pubblico, a meno che non esista un’altra misura efficace nell’ordinamento giuridico nazionale per sanzionare tali abusi nei confronti dei lavoratori: circostanza che spetta al giudice nazionale verificare. (Corte di Giustizia 14/9/2016, C-184/15 e C-197/15, in Riv. Giur. Lav. prev. soc. 2017, V. De Michele, “La Corte di Giustizia sulla riqualificazione del precariato pubblico spagnolo”, 231)
  9. Le disposizioni dell’Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato che figura in allegato alla Direttiva n. 1999/70, lette in combinato disposto con il principio di effettività, devono essere interpretate nel senso che esse ostano a norme processuali nazionali che obbligano il lavoratore a tempo determinato a intentare una nuova azione per la determinazione della sanzione adeguata, quando un’autorità giudiziaria abbia accertato un ricorso abusivo a una successione di contratti a tempo determinato, in quanto ciò comporterebbe per tale lavoratore inconvenienti processuali, in termini, segnatamente, di costo, durata e regole di rappresentanza, tali da rendere eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti che gli sono conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione. (Corte di Giustizia 14/9/2016, C-184/15 e C-197/15, in Riv. Giur. Lav. prev. soc. 2017, V. De Michele, “La Corte di Giustizia sulla riqualificazione del precariato pubblico spagnolo”, 231)
  10. La clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, che figura nell’allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, deve essere interpretata nel senso che osta a una normativa nazionale, quale quella di cui trattasi nei procedimenti principali, che autorizzi, in attesa dell’espletamento delle procedure concorsuali per l’assunzione di personale di ruolo delle scuole statali, il rinnovo di contratti di lavoro a tempo determinato per la copertura di posti vacanti e disponibili di docenti nonché di personale amministrativo, tecnico e ausiliario, senza indicare tempi certi per l’espletamento di dette procedure concorsuali ed escludendo qualsiasi possibilità, per tali docenti e detto personale, di ottenere il risarcimento del danno eventualmente subito a causa di un siffatto rinnovo. Risulta, infatti, che tale normativa, fatte salve le necessarie verifiche da parte dei giudici del rinvio, da un lato, non consente di definire criteri obiettivi e trasparenti al fine di verificare se il rinnovo di tali contratti risponda effettivamente a un’esigenza reale, sia idoneo a conseguire l’obiettivo perseguito e sia necessario a tal fine, e, dall’altro, non prevede nessun’altra misura diretta a prevenire e a sanzionare il ricorso abusivo a una successione di contratti di lavoro a tempo determinato. (Corte di Giustizia 26/11/2014, C-22/13, da C-61/13 a C-63/13 e C-418/13, Pres. Ilesic Est. Caoimh, in Riv. it. dir. lav. 2015, con nota di L. Calafà, “Il dialogo multilevel tra Corti e la ‘dialettica prevalente’: le supplenze scolastiche al vaglio della Corte di Giustizia”, e di L. Menghini, “Sistema delle supplenze e parziale contrasto con l’accordo europeo: ora cosa succederà?”, 309)
  11. Nel giudizio volto al riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto dell’illegittima apposizione di un termine finale al contratto ormai scaduto, perché possa configurarsi la risoluzione del rapporto per mutuo consenso è necessario che sia accertata – sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonché del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze significative – una chiara e certa comune volontà di porre definitivamente fine a ogni rapporto lavorativo. (Cass. 30/9/2014 n. 20605, Pres. Lamorgese Rel. Nobile, in Lav. nella giur. 2015, 91)
  12. L’art. 32, comma 5, L. n. 183/2010 riguarda anche il contratto per prestazioni di lavoro temporaneo previsto dalla L. 24 giugno 1997, n. 196, art. 3, comma 1, lett. a). Infatti, deve rilevarsi che tale articolo richiama l’istituto del contratto a tempo determinato in generale, non una o più regolamentazioni specifiche di tale contratto. (Cass. 8/9/2014 n. 18861, Pres. Roselli Rel. Balestrieri, in Lav. nella giur. 2015, con commento di Elisabetta Bavasso, 173)
  13. L’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato dev’essere interpretato nel senso che esso si applica a lavoratori occupati in qualità di marittimi con contratti di lavoro a tempo determinato su traghetti che effettuano un tragitto marittimo tra due porti situati nel medesimo Stato membro. (Corte di Giustizia 3/7/2014, cause riunite C-362/13, C-363/13 e C-407/13, Pres. Ilesic Rel. O Caoimh, con nota di E. Ales, “La nuova disciplina del contratto a termine è conforme al diritto comunitario? Una risposta (nel complesso) positiva”, 291)
  14. Le disposizioni dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato devono essere interpretate nel senso che esse non ostano a una normativa nazionale la quale prevede che i contratti di lavoro a tempo determinato debbono indicare la loro durata, ma non il loro termine. (Corte di Giustizia 3/7/2014, cause riunite C-362/13, C-363/13 e C-407/13, Pres. Ilesic Rel. O Caoimh, con nota di E. Ales, “La nuova disciplina del contratto a termine è conforme al diritto comunitario? Una risposta (nel complesso) positiva”, 291)
  15. La clausola 5 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato dev’essere interpretata nel senso che essa non osta, in linea di principio, a una normativa nazionale la quale prevede la trasformazione di contratti di lavoro a tempo determinato in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato unicamente nel caso in cui il lavoratore interessato sia stato occupato ininterrottamente in forza di contratti del genere dallo stesso datore di lavoro per una durata superiore a un anno, tenendo presente che il rapporto di lavoro va considerato ininterrotto quando i contratti di lavoro a tempo determinato sono separati da un intervallo inferiore o pari a 60 giorni. Spetta tuttavia al giudice del rinvio verificare che i presupposti per l’applicazione nonché l’effettiva attuazione di detta normativa costituiscano una misura adeguata per prevenire e punire l’uso abusivo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato. (Corte di Giustizia 3/7/2014, cause riunite C-362/13, C-363/13 e C-407/13, Pres. Ilesic Rel. O Caoimh, con nota di E. Ales, “La nuova disciplina del contratto a termine è conforme al diritto comunitario? Una risposta (nel complesso) positiva”, 291)
  16. Non è fondata con riferimento all’art. 3 Cost. la questione di legittimità costituzionale dell’art. 32, comma 4, lett. b), della legge 4 novembre 2010, n. 183, nella parte in cui prevede l’applicazione del termine di decadenza di cui al riformato art. 6, primo comma, della legge 15 luglio 1966, n. 604 ai contratti di lavoro a tempo determinato già conclusi alla data di entrata in vigore della citata legge n. 183 del 2010 e con decorrenza dalla medesima data. (Corte Cost. 4/6/2014 n. 155, Pres. Silvestri Est. Criscuolo, in Riv. it. dir. lav. 2015, con nota di L. Di Paola, “Impugnativa del contratto di lavoro a tempo determinato: brevi considerazioni in materia di decadenza”, 44)
  17. Con riferimento al requisito del rispetto del limite massimo determinato dall’art. 2, c. 1-bis d.lgs. n. 368/2001 nella misura percentuale del 15% dell’organico aziendale, l’organico va considerato secondo il criterio previsto dall’art. 6 del d.lgs. n. 61 del 2000 ai sensi del quale i lavoratori a tempo parziale assunti a tempo indeterminato sono computati in proporzione all’orario di lavoro e non capitariamente. (Trib. Bari 4/6/2014, Giud. Pazienza, in Lav. nella giur. 2014, 1029)
  18. L’attribuzione ai soli dipendenti con contratto di lavoro a tempo indeterminato di una gratifica particolare e di un premio di produttività non viola l’art. 5, legge n. 230 del 1962, avendo finalità di fidelizzazione ed essendo perciò incompatibili con rapporti di lavoro a termine. (Cass. 3/3/2014 n. 4911, Pres. Miani Canevari Est. Berrino, in Lav. nella giur. 2014, con commento di Andrea Rondo, 553)
  19. Sebbene l’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, inserito in allegato alla direttiva 1999/70/CE, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, non osti a che gli Stati membri introducano un trattamento più favorevole rispetto a quello previsto dall’accordo stesso per i lavoratori a tempo determinato, la clausola 4, punto 1, deve essere interpretata nel senso che non impone di trattare in maniera identica l’indennità corrisposta in caso di illecita apposizione di un termine a un contratto di lavoro e quella versata in caso di illecita interruzione di un contratto di lavoro a tempo indeterminato. (Corte di Giustizia UE 13/12/2013, causa C-361/12, Pres. Illesic Rel. Toader, in Lav. nella giur. 2014, con commento di Vincenzo De Michele, 241, e in Riv. It. Dir. lav. 2014, con nota di Giuseppe Gentile, “Corte di giustizia e contratto a termine: la legittimità dell’indennità forfetizzata e la natura di ente pubblico delle società partecipate dallo Stato”, e di Maria Lughezzani, “Il principio di parità di trattamento nella dir. 99/70/CE e le sue ricadute sugli ordinamenti interni”, 479)
  20. L’indicazione da parte del datore di lavoro delle ragioni sostitutive legate alla maternità di una dipendente assunta a tempo indeterminato, della città e dell’ufficio presso i quali il dipendente a termine abbia poi effettivamente prestato la propria attività, risponde al criterio di specificità e comporta la legittimità dell’apposizione del termine al contratto di lavoro, a prescindere dalla non esatta coincidenza tra l’assenza della lavoratrice sostituita e la durata del rapporto del lavoratore assunto a tempo determinato. (Cass. 27/9/2013 n. 22245, Pres. Lamorgese Rel. Bronzini, in Lav. nella giur. 2013, 1120)
  21. Le ragioni oggettive che consentono l’apposizione del termine al contratto di lavoro subordinato devono essere specificatamente individuate nel contratto in maniera che sia accertabile il nesso di causa tra le suddette ragioni e la temporaneità dell’assunzione del lavoratore. (Trib. Milano 19/8/2013, Giud. Cuomo, in Lav. nella giur. 2013, 1129)
  22. Non sono fondate le due questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, d.lgs. n. 368/2001 sulle assunzioni a termine per esigenze di carattere sostitutivo. In primo luogo, non è fondata la violazione dell’art. 77 Cost. per assenza di delega, in quanto sono stati rispettati i due criteri fissati dalla legge delega n. 422 del 2000. Il primo criterio è quello della direttiva 1999/70/CE, di cui il decreto legislativo costituisce attuazione, su cui la Corte di Giustizia dell’Unione europea con la sentenza del 24 giugno 2010 in causa Sorge C-98/09, esprimendosi sulla compatibilità comunitaria della normativa in oggetto, ha riaffermato il principio che anche il primo e unico contratto a termine rientra nell’ambito di applicazione della direttiva 1999/70/CE e dell’accordo quadro a essa allegato. Anche il secondo criterio della legge delega, che all’art. 2 comma 2 lett. b autorizza il Governo, “per evitare disarmonie con le discipline vigenti per i singoli settori interessati dalla normativa da attuare, (a introdurre) le occorrenti modifiche o integrazioni alle discipline stesse”, è stato rispettato. In conclusione, le disposizioni censurate del d.lgs. n. 368 del 2001, intervenute in un ambito regolato dall’accordo quadro allegato alla direttiva n. 1999/70/CE come quello del contratto a termine (anche se primo e unico) per armonizzarne la disciplina nell’ambito delle innovazioni apportate in attuazione della normativa europea, sono certamente contenute nel “programma” della legge di delegazione. Non è neppure ravvisabile alcuna discriminazione dei lavoratori subordinati assunti a termine per esigenze sostitutive da imprese di grandi dimensioni rispetto a quelli assunti alle dipendenze di piccole imprese. (Corte Cost. 29/5/2013 n. 107, Pres. Gallo Rel. Mazzella, in Lav. nella giur. 2013, con commento di Vincenzo De Michele, 813)
  23. Il momento in cui valutare il rispetto del limite del 15% previsto dall’art. 2, comma 1, del D.Lgs. n. 368/2001 non può che essere quello della singola assunzione a termine, poiché la nullità è un vizio genetico del contratto e non può derivare da un evento sopravvenuto. (Trib. Milano 28/5/2013, Giud. Dossi, in Lav. nella giur. 2013, 851)
  24. In caso di distacco, il limite del 15% opera unicamente rispetto all’organico dell’azienda che ha effettuato l’assunzione e non anche rispetto all’organico del soggetto presso il quale il dipendente è stato distaccato, non essendovi alcuna norma che disponga l’estensione del vincolo anche a quest’ultimo e dovendosi considerare che, in caso di distacco, il lavoratore rimane a tutti gli effetti alle dipendenze del datore di lavoro “distaccante”. (Trib. Milano 28/5/2013, Giud. Dossi, in Lav. nella giur. 2013, 851)
  25. È non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 32 comma 5 l. n. 183 del 2010, come autenticamente interpretato dall’art. 1 comma 13 l. n. 92 del 2012, in rapporto agli artt. 11 e 117 comma 1 Cost., in quanto, per effetto dell’interpretazione autentica di cui all’art. 1 comma 13 l. n. 92 del 2012, la norma è non conforme al punto 8.3 dell’accordo quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE, perché è suscettibile di arretrare il livello generale di tutela previsto per i lavoratori illegittimamente assunti a termine. (Trib. Velletri 21/12/2012, Giud. Russo, in Lav. nella giur. 2013, con commento di Arianna Calandri, 477)
  26. Nel caso di recesso ante tempus da un contratto a tempo determinato intimato a una lavoratrice in stato di gravidanza antecedentemente al 18 luglio 2012, esclusa l’applicabilità dell’art. 18 Stat. Lav. come modificato dalla l. n. 92 del 2012, deve ritenersi l’erroneità del ricorso al rito speciale introdotto da detta legge e, nel silenzio del legislatore in ordine alle conseguenze dell’erronea adozione del nuovo rito piuttosto che di quello lavoristico, può farsi riferimento all’art. 4 d.lgs. 1 settembre 2011, n. 150, che conferma l’individuabilità nell’ordinamento di un principio generale di “mutamento del rito”. (Trib. Roma 31/10/2012, ord., Giud. Pucci, in Lav, nella giur. 2013, con commento di Filippo Maria Giorgi, 926)
  27. Per la stipulazione di un valido contratto a termine, le ragioni di cui al comma 1 non possano essere letteralmente ripetute o semplicemente determinate senza precisione: tramite una giustificazione che si risolva sostanzialmente in una tautologica riproposizione delle cause di cui al primo comma: sarebbe, infatti, eluso l’onere di specificazione di cui al comma 2. È, viceversa, necessario, per assolvere all’onere di specificazione, che dalle ipotesi generali indicate dal legislatore, in via astratta, nella prima parte della norma (“ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo”), si passi alla determinazione delle esigenze che, nel caso concreto, legittimano e motivano il ricorso a una assunzione a termine, così da rendere controllabile da parte del giudce la reale sussistenza delle stesse. (Trib. Milano 2/10/2012, Giud. Di Leo, in Lav. nella giur. 2013, 96)
  28. Le esigenze temporanee che il legislatore ha voluto soddisfare attraverso lo strumento del ricorso al contratto a tempo determinato sono assolutamente compatibili con qualunque fase di start-up aziendale che, per definizione, comporta l’esigenza per l’imprenditore di verificare flussi di lavoro, modalità di erogazione della prestazione, necessità di forza lavoro in attesa di strutturare in via definitiva la propria organizzazione aziendale in maniera confacente a tali esigenze. (Trib. Milano 15/6/2012, Giud. Lualdi, in Lav. nella giur. 2012, 1120)
  29. Non pare potersi riconoscere alcuna efficacia retroattiva all’art. 3, comma 6, d.l. n. 64/2010 ove stabilisce che “non si applicano, in ogni caso, alle fondazioni lirico-sinfoniche le disposizioni dell’art. 1, commi 1 e 2, del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368. (Trib. Milano 6/4/2012, Giud. Cipolla, in Lav. nella giur. 2012, 827)
  30. Per i contratti a termine “già conclusi alla data di entrata in vigore della legge” 4 novembre 2010, n. 183 (ossia al 24 novembre 2010) e non impugnati entro il 23 gennaio 2011 si è verificata una decadenza che va quindi sancita. L’art. 32, comma 1, l. 4 novembre 2010, n. 183 indica per l’impugnazione un termine di decadenza di 330 giorni (60 giorni per l’impugnazione del licenziamento, e 270 giorni per il deposito del ricorso), dovendosi quindi giudicare che la legge intenda come socialmente congruo il termine di 330 giorni, arrotondabile all’anno, per la proposizione dell’azione giudiziaria, in assenza di elementi che possano far ritenere il contrario. (Trib. Milano 3/4/2012, Giud. Mariani, in Lav. nella giur. 2012, 828)
  31. Per i contratti a termine “già conclusi alla data di entrata in vigore della legge” 4 novembre 2010, n. 183 (ossia al 24 novembre 2010) e non impugnati entro il 23 gennaio 2011 si è verificata una decadenza che va quindi sancita. L’art. 32, comma 1, l. 4 novembre 2010, n. 183 indica per l’impugnazione un termine di decadenza di 330 giorni (60 giorni per l’impugnazione del licenziamento, e 270 giorni per il deposito del ricorso), dovendosi quindi giudicare che la legge intenda come socialmente congruo il termine di 330 giorni, arrotondabile all’anno, per la proposizione dell’azione giudiziaria, in assenza di elementi che possano far ritenere il contrario. (Trib. Milano 3/4/2012, Giud. Mariani, in Lav. nella giur. 2012, 828)
  32. Il datore di lavoro ha l’onere di specificare le ragioni che hanno determinato l’assunzione a termine del lavoratore e darne la prova; non bastano, pertanto, a giustificare l’apposizione del termine formulazioni generiche o di stile, essendo necessario il riferimento alla situazione concreta integrante la temporaneità dell’occasione lavorativa oppure l’oggettiva esigenza di utilizzare un’assunzione a termine nonostante il carattere permanente dell’occasione lavoro. L’indicazione di ragioni sostitutive non richiede, a pena di invalidità, l’indicazione del nome del sostituito e della causale dell’assenza, tuttavia le allegazioni del datore di lavoro devono permettere di verificare la sussistenza della ragione sostitutiva addotta. (Trib. Milano 26/3/2012, Giud. Cipolla, in Lav. nella giur. 2012)
  33. In caso di trasformazione del rapporto di lavoro attraverso la stipulazione di un contratto a tempo indeterminato, non possono ammettersi modifiche alle clausole del contratto precedente che abbiano carattere sostanziale e si rivelino globalmente sfavorevoli al lavoratore, qualora l’oggetto del suo incarico e la natura delle sue funzioni restino invariati. (Corte Giustizia 8/3/2012, C-251/11, Pres. Lohmus Rel. Caoimh, in Riv. It. Dir. lav. 2012, con nota di Giulia Beltrame, “Contratto a termine: trasformazione a clausole (in)variate?”, 942)
  34. In materia di rapporto di lavoro a tempo determinato, l’art. 3 3 del d.lgs. n. 368 del 2001, che sancisce il divieto di stipulare contratti di lavoro subordinato a termine per le imprese che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, costituisce norma imperativa, la cui ratio è diretta alla più intensa protezione dei lavoratori rispetto ai quali la flessibilità di impiego riduce la familiarità con l’ambiente e gli strumenti di lavoro. Ne consegue che, ove il datore di lavoro non provi di aver provveduto alla valutazione dei rischi prima della stipulazione, la clausola di apposizione del termine è nulla e il contratto di lavoro si considera a tempo indeterminato ai sensi degli artt. 1339 e 1419, co. 2, c.c. (Cass. 8/3/2012 n. 5241, Pres. Miani Canevari Est. Mancino, in Riv. It. Dir. lav. 2013, con nota di Nicoletta De Angelis, “Omessa valutazione dei rischi e conseguente nullità della clausola di apposizione del termine al contratto di lavoro”, 11)
  35. Nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto dell’illegittima apposizione al contratto di un termine finale ormai scaduto, non è possibile ravvisare gli estremi della risoluzione per mutuo consenso qualora non sia accertata una chiara e certa comune volontà delle parti nel senso di porre definitivamente fine al rapporto di lavoro. Grava sulla parte che eccepisce l’estinzione del rapporto l’onere di provare le circostanze dalle quali possa ricavarsi una tale volontà. (Cass. 29/2/2012 n. 3056, Pres. Roselli Est. Nobile, in Riv. It. Dir. lav. 2012, con nota di William Chiaromonte, “Due questioni in tema di contratto a termine: la prova della sussistenza del mutuo consenso nella risoluzione del negozio e gli effetti retroattivi del nuovo regime di tutela risarcitorio”, 796)
  36. Lo ius superveniens che abbia introdotto con efficacia retroattiva una nuova disciplina del rapporto controverso si applica nel giudizio di legittimità a condizione che essa sia pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura nel ricorso – in ragione del controllo di legittimità il cui perimetro è limitato dagli specifici motivi di ricorso – e sia ammissibile secondo la disciplina sua propria (nella fattispecie è stata riconosciuta l’applicabilità dell’art. 32, co. 5, 6 e 7, l. n. 183/2010 in quanto la S.C. è stata investita al riguardo nei motivi del ricorso incidentale, sorretti da idonei e specifici quesiti di diritto e dalla chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assumeva omesa). (Cass. 31/1/2012 n. 1411, Pres. De Luca Est. Nobile, in Riv. It. Dir. lav. 2012, con nota di M.L. Vallauri, “Brevi note sul nuovo regime sanzionatorio del contratto a termine illegittimo: la quantificazione dell’indennità e le condizioni di applicabilità delle nuove regole alle cause pendenti nel giudizio di legittimità”, 400)
  37. Per ipotizzare che il silenzio abbia natura negoziale di consenso occorre provare che il ricorrente, pur essendo consapevole della illegittimità della clausola appositiva del termine, abbia deciso di mantenere il silenzio inducedo così nella controparte l’affidamento di buona fede di una sua adesione alla cessazione definitiva del rapporto. È quindi configurabile una risoluzione per mutuo consenso ex art. 1372 c.c., pur in assenza di dichiarazioni espresse, in presenza di comportamenti significativi tenuti dalle parti. (Trib. Milano 31/1/2012, Giud. Ravazzoni, in Lav. nella giur. 2012, 512)
  38. La mera inerzia del lavoratore dopo la scadenza del contratto a termine è di per sé insufficiente a far consisderare sussistente una risoluzione del rapporto per mutuo consenso in quanto, affinché possa configurarsi una tale risoluzione, è necessario che sia accertata – sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonché del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze significative – una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine a ogni rapporto lavorativo, sicché la valutazione del significato e della portata del complesso di tali elementi di fatto compete al giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non sussistono vizi logici o errori di diritto. (Cass. 12/12/2011 n. 26590, Pres. Lamorgese Est. Berrino, in Lav. nella giur. 2012, 189)
  39. Per aversi tacito mutuo consenso inteso a risolvere o comunque a non proseguire il rapporto di lavoro non basta il mero decorso del tempo fra la scadenza del termine illegittimamente apposto e la relativa impugnazione stragiudiziale, ma è necessario il concorso di ulteriori e significative circostanze tali da far desumere in maniera chiara e certa la comune volontà delle parti di porre definitivamente fine a ogni rapporto lavorativo, circostanze della cui allegazione e prova è gravato il datore di lavoro ovvero la parte che eccepisce un tacito mutuo consenso. (Cass. 16/11/2011 n. 23986, Pres. De Luca Rel. Manna, in Lav. nella giur. 2012, 189)
  40. Non sono fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 32, commi 5, 6 e 7, della legge 4 novembre 2010, n. 183 (Deleghe al Governo in materia di lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l’impiego di incentivi all’occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile, nonché misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro), sollevate con riferimento agli art. 3, 4, 11, 24, 101, 102, 111 e 117, primo comma, Cost. (Corte Cost. 11/11/2011 n. 303, Pres. Quaranta, Est. Mazzella, in Riv. It. Dir. lav. 2012, con nota di L. Di Paola, “La Corte Costituzionale, il contratto a tempo determinato e la singolare specialità del diritto del lavoro”, e di L. Zappalà, “La Consulta e la ponderazione degli interessi nel contratto a termine: stabilizzazione versus indennità risarcitoria forfetizzata”, 252, e in Orient. Giur. Lav. 2012, con nota di Lorenzo Giasanti, “Il nuovo regime sanzionatorio del contratto a tempo determinato: il via libera della Corte Costituzionale e le residue perplessità interpretative”, 205)
  41. L’apposizione di un termine acausale prevista dall’art. 2, comma 1 bis, d.lgs. n. 368/01 può essere effettuata esclusivamente per la stipula di contratti a termine nei settori strettamente collegati al servizio postale, come tale intendendosi le attività di recapito e quelle a esse direttamente connesse (nel caso di specie il ricorrente era stato assunto con inquadramento nel livello professionale D, Operatore Sportello Junior, per lo svolgimento di attività di sportelleria). (Trib. Latina 3/11/2011, Giud. Valente, in Lav. nella giur. 2012, 200)
  42. La disciplina del contratto di arruolamento a termine e del contratto di arruolamento a viaggio prevista nel codice della navigazione non è conforme alla direttiva 99/70/CE di recepimento dell’accordo quadro Ces, Unice, Ceep del 18 marzo 1999 sul lavoro a tempo determinato e, pertanto, i suddetti istituti sono soggetti alle disposizioni dal d.lgs. n. 368/2001. (Trib. Messina 27/10/2011 n. 5021, Giud. Di Bella, in Riv. It. Dir. lav. 2012, con nota di F. D’Aiuto, “Sull’incerta applicazione della direttiva 99/70/CE ai contratti a termine dei marittimi”, 283)
  43. Le disposizioni dell’art. 4 della l. 3 maggio 1999, n. 124, poste in sintonia con il sistema normativo europeo, devono essere interpretate nel senso che le assunzioni a termine nel settore di riferimento possono avere luogo: – se sono state avviate procedure concorsuali e, quindi, sussiste una causa tipizzata dal legislatore che giustifica la copertura provvisoria di posti in organico in attesa della definitiva copertura da parte dei vincitori del concorso in via di espletamento; – se si verificano impreviste fluttuazioni della popolazione scolastica nel singolo istituto, la cui pianta organica resti tuttavia immutata; – se si verifica l’aumento del numero di classi, dovuto a motivi contingenti, ad esempio di carattere logistico e dunque se ricorrono circostanze di carattere temporaneo che escludono la possibilità di procedere all’assunzione di personale stabile tramite concorso. (Trib. Milano 21/10/2011, Giud. Mariani, in Lav. nella giur. 2012, 96)
  44. Con l’art. 2, comma 1 bis, d.lgs. n. 368/2001 il legislatore ha previsto una nuova ipotesi tipica di rapporto di lavoro a termine, estendendo anche al settore postale l’ambito di applicazione dell’art. 2, comma 1 – relativo alla facoltà di stipulare contratti a tempo determinato acausali – originariamente dettato per le aziende di trasporto aereo o esercenti servizi aeroportuali. In tal modo, ha inteso consentire – anche alle società concessionarie di servizi postali – di ricorrere alla stipulazione di contratti a termine senza l’indicazione espressa delle specifiche ragioni giustificative, purché siano rispettati i limiti temporali e quantitativi indicati. La disciplina de qua è infatti fondata sulla valutazione – presuntiva ed ex ante – della sussistenza delle ragioni legittimanti l’apposizione del termine; valutazione effettuata dal legislatore tenendo conto della natura delle attività interessate e delle caratteristiche peculiari dei settori coinvolti, notoriamente contrassegnati da ricorrenti esigenze sostitutive e produttive. (Corte app. Milano 6/10/2011, Pres. e Rel. Sbordone, in Lav. nella giur. 2012, 97)
  45. Pur in assenza di una espressa previsione, deve ritenersi che con l’art. 2, comma 54, del c.d. Decreto Mille Proroghe (d.l. n. 225 del 2010, conv. in l. n. 10 del 2011), il legislatore abbia voluto posticipare l’efficacia del termine decadenziale anche per l’impugnazione di atti diversi dal licenziamento, facendo così salvi i diritti di quanti non avessero ancora provveduto alle impugnazioni ivi disciplinate alla data del 24 gennaio 2011. (Trib. Milano 4/8/2011 n. 3914, Giud. Colosimo, in Riv. It. Dir. lav. 2012, con nota di Francesca Bonfrate, “Contrasti giurisprudenziali in ordine al differimento del termine decadenziale introdotto dalla L. n. 10/2011 in materia di impugnazione dei contratti flessibili”, 3)
  46. Il differimento del termine di impugnazione introdotto dal d.l. n. 225/2010 opera limitatamente all’ipotesi di licenziamento e non anche alle fattispecie di contratti flessibili per i quali, se già conclusi e non impugnati entro il 23 gennaio 2011, si è verificata la decadenza. (Trib. Milano 29/9/2011 n. 4404, Giud. Mariani, in Riv. It. Dir. lav. 2012, con nota di Francesca Bonfrate, “Contrasti giurisprudenziali in ordine al differimento del termine decadenziale introdotto dalla L. n. 10/2011 in materia di impugnazione dei contratti flessibili”, 3)
  47. Nel caso in cui le parti sindacali abbiano convenuto di riconoscere la sussistenza – per un limitato periodo di tempo – delle situazioni di fatto integranti le esigenze eccezionali che consentono di derogare ai limiti di legge previsti per l’assunzione di personale a tempo determinato, l’azienda può procedere nei limiti riconosciuti appunto dagli accordi di cui sopra mentre è esclusa la legittimità dei contratti a termine stipulati dopo le date previste. (Cass. 20/5/2011 n. 11197, Pres. Lamorgese Rel. Mammone, in Lav. nella giur. 2011, 844)
  48. L’apposizione di un termine al contratto di lavoro, consentita dall’art. 1 del d.lgs. 6 settembre 2001, n. 368, a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, che devono risultare specificate, a pena di inefficacia, in apposito atto scritto, impone al datore di lavoro l’onere di indicare in modo circostanziato e puntuale, al fine di assicurare la trasparenza e la veridicità di tali ragioni, nonché l’immodificabilità delle stesse nel corso del rapporto, le circostanze che contraddistinguono una particolare attività e che rendono conforme alle esigenze del datore di lavoro, nell’ambito di un determinato contesto aziendale, la prestazione a tempo determinato, sì da rendere evidente la specifica connessione fra la durata solo temporanea della prestazione e le esigenze produttive e organizzative che la stessa sia chiamata a realizzare e la utilizzazione del lavoratore assunto esclusivamente nell’ambito della specifica ragione indicata e in stretto collegamento con la stessa. Spetta al giudice di merito accertare, con valutazione che, se correttamente motivata ed esente da vizi giuridici, resta esente dal sindacato di legittimità, la sussistenza di tali presupposti, valutando ogni elemento, ritualmente acquisito al processo, idoneo a dar riscontro alle ragioni specificatamente indicate con atto scritto ai fini dell’assunzione a termine, ivi compresi gli accordi collettivi intervenuti tra le parti sociali e richiamati nel contratto costitutivo del rapporto. (Cass. 11/5/2011 n. 10346, Pres. Roselli Est. Meliadò, in Lav. nella giur. 2011, 737)
  49. Nel sistema normativo introdotto dal d.lgs. n. 368/2001, l’assunzione con contratto di lavoro a tempo determinato è consentita a fronte di ragioni di carattere tecnico, organizzativo, produttivo o sostitutivo e postula, al fine di non cadere nella genericità e pena la conversione in rapporto di lavoro a tempo indeterminato, l’obbligo del datore di lavoro di adottare l’atto scritto e di specificare in esso le ragioni in concreto adottate. (Cass. 18/4/2011 n. 8836, Pres. Lamorgese Rel. Mammone, in Lav. nella giur. 2011, 739)
  50. Nel giudizio vertente sulla declaratoria di nullità del termine apposto al contratto di lavoro e sulla conversione in contratto a tempo indeterminato, è configurabile la risoluzione per mutuo consenso solo qualora sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione del contratto a termine (o dell’ultimo di essi, allorché essi si siano succeduti più contratti), nonché del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze significative, si accerti una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine a ogni rapporto lavorativo, con la precisazione che, a tal fine, non è sufficiente la mera discontinuità della prestazione lavorativa. (Cass. 16/3/2011 n. 6252, Pres. ed est. Lamorgese, in Riv. It. Dir. lav. 2012, con nota di M. Cattani, “Nullità del termine apposto al contratto e risoluzione per mutuo consenso del rapporto di lavoro”, 163)
  51. La clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, che figura in allegato alla direttiva del Consiglio 28 giugno 1999, 1999/70/CE, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, dev’essere interpretata nel senso che la nozione di “stretta connessione oggettiva con un precedente contratto di lavoro a tempo indeterminato con il medesimo datore di lavoro”, di cui all’art. 14, n. 3, della legge sul lavoro a tempo parziale e sui contratti di lavoro a tempo determinato (Gesetz über Teilzeitarbeit und befristete Arbeitsverträge), del 21 dicembre 2000, dev’essere applicato alle fattispecie in cui un contratto a tempo determinato non sia stato immediatamente preceduto da un contratto a tempo indeterminato concluso con lo stesso datore di lavoro e un intervallo di vari anni separi tali contratti, qualora, per tutto il corso di tale periodo, il rapporto di lavoro iniziale sia stato proseguito per la stessa attività e con lo stesso datore di lavoro mediante una successione ininterrotta di contratti a tempo determinato. Spetta al giudice del rinvio interpretare le pertinenti disposizioni di diritto nazionale in modo quanto più possibile conforme a detta clausola 5, punto 1. (Corte di Giustizia CE 10/3/2011, Causa C-109/09, Pres. Cunha Rodrigues Est. Lindh, in Orient. Giur. Lav. 2011, 47)
  52. L’art. 32, comma 5, della l. n. 183/2010 non trova applicazione ai giudizi in grado di appello, in considerazione del testo normativo, che appare compatibile solo con i procedimenti in primo grado. (Corte d’app. Roma 11/1/2011, Pres. Cortesani Rel. Delle Donne, in Lav. nella giur. 2011, 418)
  53. Le Fondazioni lirico-sinfoniche non rientrano tra gli organismi di diritto pubblico soggetti al D.Lgs. n. 165/2001. Si tratta, al contrario, di fondazioni di diritto privato, alle quali, ai sensi dell’art. 22, D.Lgs. n. 367/1996 vanno applicate le disposizioni del codice civile e delle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa, ivi compreso il D.Lgs. n. 368/2001. Nel dubbio sulla retroattività dell’art. 3, comma 6, D.L. n. 64/2010, che esclude le fondazioni lirico-sinfoniche dall’applicabilità dell’art. 1, commi 1 e 2, D.Lgs. n. 368/2001, un’interpretazione costituzionalmente orientata all’art. 117 Cost., realizzando un rinvio mobile all’art. 6 Cedu, fa escludere ogni portata retroattiva alla norma. (Trib. Milano 22/12/2010, Est. Di Leo, in Lav. nella giur. 2011, con commento di Vincenzo Di Michele, 698)
  54. Non è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 32, 5°, 6° e 7° comma, L. 4/11/10 n. 183 (Collegato Lavoro) sollevata in riferimento agli artt. 3, 24, 101, 102, 111 e 117, 2° comma. (Trib. Trani 20/12/2010, ord., in D&L 2010, 1039)
  55. L’ambito di applicazione dell’accordo quadro in generale e quello del divieto di reformatio in peius in particolare non possono essere interpretati restrittivamente. La norma in esame non richiedendo, per l’apposizione del termine, diversamente che per il passato, alcuna “valida” e “oggettiva” ragione giustificativa, ha certamente ridotto “il livello generale di tutela” dei dipendenti della S.p.A. Poste Italiane, posto che la sua previsione “di una durata massima e di una quota di percentuale dell’organico complessivo”, non è in grado di compensare l’arretramento di tutela subìto dai dipendenti per il venir meno della necessità delle ragioni “oggettive”. (Trib. Bologna 30/11/2010, Giud. Sorgi, in Lav. nella giur. 2011, 322)
  56. Non è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 32, 5° e 6° comma, L. 4/11/10 n. 183, con riferimento agli artt. 3, 4, 24, 111, 117 Cost. (Cass. 28/11/2010 n. 2112, ord., Pres. Roselli Est. Zappia, in D&L 2010, con nota di Mirko Altimari, “Omnicomprensività dell’indennità: la Cassazione rimette alla Consulta le norme sul contratto a termine del Collegato lavoro”, 1019)
  57. L’accordo quadro allegato alla direttiva 1999/70 in materia di contratti a termine deve essere interpretato nel senso che le misure previste da una normativa nazionale al fine di sanzionare il ricorso abusi a contratti a termine non devono essere meno favorevoli di quelle che disciplinano situazioni analoghe di natura interna, né rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti attribuiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione. (Corte Giustizia CE 1/10/2010 causa C-3/10, Pres. Lindh, Rel. Cahoim, in D&L 2010, con nota di Nicola Zampieri, “Lo stato dell’arte sull’abuso del contratto a termine nel pubblico impiego contrattualizzato”, 956)
  58. La disciplina della risoluzione dei rapporti di lavoro a tempo determinato, o per i quali sia assicurata una temporanea stabilità per mezzo di una clausola di durata minima, va individuata tenendo conto non solo della norma specifica di cui all’art. 2119 c.c., ma anche delle norme generali sulla risoluzione dei contratti a prestazioni corrispettive. In particolare è rilevante, così come in genere nei rapporti di lavoro a tempo indeterminato, l’impossibilità della prestazione (anche se non può operare il raccordo, per altre ipotesi delineato, tra impossibilità sopravvenuta e giustificato motivo oggettivo di cui all’art. 3, L. n. 604/1966), e in relazione a essa la legittimità del recesso del datore di lavoro va stabilita in base all’esistenza o meno di un suo interesse apprezzabile alle future prestazioni lavorative, da valutarsi obiettivamente, avendo riguardo sia alle caratteristiche, anche dimensionali, dell’azienda, sia al tipo di mansioni affidate al dipendente. (Corte App. Bologna 6/7/2010, Pres. Molinaro Rel. Benassi, in Lav. nella giur. 2010, 949)
  59. La clausola 8, n. 3, dell’Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, allegata alla direttiva del Consiglio 28/6/99, 1999/70/Ce, deve essere interpretata nel senso che essa non osta alla normativa di uno Stato membro che, nel recepire la direttiva, ha eliminato il preesistente obbligo, per il datore di lavoro, di indicare nei contratti conclusi per sostituire lavoratori assenti il nome di tali lavoratori e i motivi della loro sostituzione – limitandosi a prevede che siffatti contratti a tempo determinato debbano risultare da atto scritto e debbano specificare le ragioni del loro ricorso – purché dette nuove condizioni siano compensate dall’adozione di altre garanzie o misure di tutela oppure riguardino, unicamente, una categoria circoscritta di lavoratori con un contratto di lavoro a tempo determinato; spetta al giudice del rinvio verificare se sussistano tali circostanze. (Corte Giustizia CE 24/6/2010 causa C-98/09, Pres. Bonichot, Rel. Kuris, in D&L 2010, con nota di Mara Marzolla, “Tre Corti attorno al contratto a termine sostitutivo”, 730, e in Riv. it. dir. lav. 2010, con nota di Zappalà, “Il ricorso al lavoro a termine per ragioni sostitutive tra interpretazione costituzionalmente orientata e giudizio sulla violazione della clausola di non regresso”, 1042)
  60. Le “specifiche ragioni di carattere tecnico, organizzativo, produttivo e sostitutivo” cui fa riferimento il D.Lgs. n. 368 del 2001 richiedono, ai fini di tutela del lavoratore e di controllo sulla corretta applicazione dell’istituto in questione, la trasparenza, la riconoscibilità e la verificabilità della causale addotta allo scopo di giustificare il termine apposto al contratto di lavoro. Ne consegue che tale indicazione deve avere un sufficiente grado di dettaglio e non può limitarsi all’apodittica ripetizione di quanto disposto dalla legge o dal contratto collettivo. In caso di conversione in contratto di lavoro a tempo indeterminato, il diritto del lavoratore alle retribuzioni successive alla scadenza del contratto a termine illegittimo non è automatico ma postula quantomeno la costante messa a disposizione del datore delle energie lavorative da arte del lavoratore ricorrente. (Cass. 18/6/2010 n. 14785, Pres. Sciarelli Rel. Amoroso, in Lav. Nella giur. 2010, 1046)
  61. In caso di assunzione con contratto a tempo determinato di un disabile psichico sulla base di specifica previsione della convenzione stipulata tra l’impresa che assume e la P.A. ai sensi della L. 12 marzo 1999, n. 68, art. 11, non è richiesta l’indicazione nel contratto di lavoro delle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo e che giustificano l’apposizione del termine. (Cass. 31/5/2010 n. 13285, Pres. Vidiri Est. Ianniello, in Orient. Giur. Lav. 2010, 408)
  62. L’adeguatezza della sanzione risarcitoria per l’utilizzazione abusiva di contratti a tempo determinato non può essere schematizzata e parametrata a rigidi elementi patrimoniale desumibili da quanto previsto in tema di illegittima risoluzione del rapporto di lavoro, ma deve essere di volta in volta valutata in ordine al concreto dispiegarsi del rapporto e come tale deve essere necessariamente rimessa all’opera adeguatrice e interpretativa del giudice (Trib. Milano 31/5/2010, Est. Lualdi, in D&L 2010, con nota di Elena Tanzarella, “La somministrazione illegittima nella PA e il conseguente risarcimento del danno”, 1085)
  63. La specificazione delle ragioni giustificatrici del termine può risultare anche indirettamente nel contratto di lavoro e da esso per relationem in altri testi scritti accessibili alle parti. (Cass. 13/5/2010 n. 11625, Pres. De Luca Est. Napoletano, in Lav. Nella giur. 2010, 726)
  64. L’art. 1, comma 2, D.Lgs. n. 368/2001, in particolare, prevede che l’apposizione del termine sia “priva di effetto” qualora non risulti, “direttamente o indirettamente, da atto scritto nel quale sono specificate le ragioni di cui al comma 1”. Tale onere di specificazione, che grava sul datore di lavoro e non può ritenersi soddisfatto da un mero richiamo “testuale” delle ragioni legislativamente previste, esige che le ragioni siano esplicitate in concreto, con puntuale riferimento allo stipulando contratto e alla posizione lavorativa assegnata. Nella regolamentazione contrattuale, in sostanza, le ragioni giustificatrici l’apposizione del termine debbono essere riempite di contenuto, ciò, anche al fine di consentire il successivo controllo giurisdizionale sull’effettiva sussistenza delle stesse. Si tratta di un vero e proprio requisito essenziale della clausola contenente il termine e ne consegue che, ogniqualvolta tali ragioni risultino del tutto omesse, insufficientemente specificate, o soltanto tautologicamente richiamate, l’apposizione del termine è priva di effetto per carenza di un elemento essenziale alla sua validità. (Trib. Milano 24/6/2010, Giud. Colosimo, in Lav. nella giur. 2010, 950)
  65. L’apposizione di un termine al contratto di lavoro, consentita dal D.Lgs. n. 368/2001, a fronte di ragioni di carattere tecnico, organizzativo o sostitutivo, che devono risultare specificate, a pena di inefficacia, in apposito atto scritto, impone al datore di lavoro l’onere di indicare in modo circostanziato e puntuale, al fine di assicurare la trasparenza e la veridicità di tali ragioni, nonché l’immodificabilità delle stesse nel corso del rapporto, le circostanze che contraddistinguono una particolare attività e che rendono conforme alle esigenze del datore di lavoro, nell’ambito di un determinato contesto aziendale, la prestazione a tempo determinato. Solo tale rigorosa specificazione nel contratto di assunzione di esigenze non stabili rende evidente la specifica connessione tra la durata solo temporanea della prestazione e le esigenze produttive ed organizzative che la stessa sia chiamata a realizzare in rapporto alla utilizzazione del lavoratore assunto esclusivamente nell’ambito della specifica ragione indicata e in stretto collegamento con la stessa. (Cass. 27/4/2010 n. 10033, Pres. Lamorgese Est. Meliadò, in Lav. nella giur. 2010, con nota di Sergio Galleano, 1096, e in Riv. it. dir. lav. 2011, con nota di Enrico Raimondi, “La Cassazione conferma la natura temporanea delle causali giustificative del termine”, 41)
  66. Con riferimento alla disciplina del rapporto di lavoro a termine, l’ipotesi di cui all’art. 2, comma 1 – bis del d.lgs. n. 368 del 2001 costituisce un’ipotesi tipizzata dal legislatore in maniera analoga a quanto già contemplato al comma 1 dello stesso articolo. Tale ipotesi non è applicabile alla fattispecie relativa a una successione di contratti, poiché contrasterebbe con il disposto della direttiva comunitaria. Se il citato art. 2, comma 1 bis, può avere a oggetto unicamente la stipulazione di un singolo contratto, la sua applicazione alla fattispecie della successione dei contratti determina la nullità dell’apposizione del termine apposto nel contratto successivo al primo e la conseguente conversione, a decorrere dalla data di stipulazione del secondo contratto, in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato. (Trib. Milano 27/4/2010, Est. Bianchini, in Orient. Giur. Lav. 2010, 437)
  67. La clausola 4 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, allegato alla direttiva 99/70/CE, osta a una disposizione nazionale che escluda dall’ambito di applicazione di tale legge i lavoratori con un contratto di lavoro a tempo determinato della durata massima di sei mesi o occupati solo occasionalmente, in quanto la nozione di “ragioni oggettive”, ai sensi della suddetta clausola richiede che la disparità di trattamento risponda a una reale necessità, sia idonea a conseguire l’obiettivo perseguito e risulti a tal fine necessaria, non essendo sufficiente che la differenza di trattamento sia prevista da una norma interna generale e astratta. (Corte di Giustizia 22/4/2010, causa C-486/08, Pres. Tizzano Rel. Levits, in Riv. it. dir. lav. 2010, con nota di Rita Poggio, “Il rapporto tra difesa dei diritti sociali e tutela della libertà di iniziativa economica alla luce di una recente pronuncia della Corte di Giustizia”, 1030)
  68. In relazione all’art. 2, comma 1 bis, la norma appare chiara nell’individuare e tipizzare la fattispecie di legittima apposizione del termine in considerazione dei settori interessati, pur subordinandola al rispetto di requisiti temporali e quantitativi; è facile rilevare che richiedere anche l’indicazione delle ragioni del termine ai sensi dell’art. 1 finirebbe per creare una fattispecie ben più rigida rispetto a quella generale prevedendo così per il settore postale un regime più restrittivo, in chiaro contrasto con la volontà del legislatore. (Trib. Bologna 2/4/2010, Giud. Palladino, in Lav. nella giur. 2010, 736)
  69. Ai sensi del d.lgs. n. 368/2001 il contratto a tempo determinato può essere stipulato specificando per iscritto “le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo” che giustificano l’apposizione del termine: se però nel caso concreto ricorrono due ragioni legittimanti è ben possibile che le parti, nel rispetto del criterio di specificità, le indichino entrambe ove non sussista incompatibilità o intrinseca contraddittorietà tra le medesime. In ogni caso le dette ragioni, oltre a essere specificate nel contratto, dovranno essere effettive e in rapporto di causalità con l’assunzione a termine. (Cass. 16/3/2010 n. 6328, Pres. De Luca Rel. Ianniello, in Lav. nella giur. 2011, con commento di Angelo Quarto, 593)
  70. L’art. 2, comma 1 bis, D.Lgs. 6/9/01 n. 368, che consente alle imprese concessionarie di servizi nei settori delle poste di stipulare contratti a termine “acausali”, contrasta con la clausola n. 8 punto 3 (c.d. clausola di non regresso) e con la clausola n. 3 punto 1 (che ancora l’apposizione del termine alla sussistenza di “condizioni oggettive”) dell’Accordo Quadro sul lavoro a tempo determinato, recepito dalla Direttiva 1999/70/Ce. (Trib. Trani 25/11/2009, ord., Est. La Notte Chirone, in D&L 2009, con nota di Ilaria Cappelli, “Il contratto a termine ‘acausale’ al giudizio della Corte Ce”, 955)
  71. L’art. 2, comma 1 bis, D.Lgs. 6/9/01 n. 368 è in contrasto con il principio generale di non discriminazione affermato dal diritto comunitario. (Trib. Trani 25/11/2009, ord., Est. La Notte Chirone, in D&L 2009, con nota di Ilaria Cappelli, “Il contratto a termine ‘acausale’ al giudizio della Corte Ce”, 955)
  72. L’art. 10, 7° comma, D.Lgs. 6/9/01 n. 368 – che abilita le OO.SS. comparativamente più rappresentative a individuare limiti quantitativi per la stipulazione di contratti a termine – deve ritenersi riferito ai soli Ccnl stipulati successivamente all’entrata in vigore del predetto D.Lgs. e in ogni caso i Ccnl stipulati in precedenza mantengono efficacia (per effetto della disposizione contenuta nell’art. 11 D.Lgs. cit.) solo sino alla data di scadenza del contratto stesso e non fino alla data in cui il contratto cessa di avere efficacia per effetto di un’eventuale clausola di ultrattività ivi contenuta. Ne segue che il limite numerico contenuto nel Ccnl Metalmeccanici del 1999 – benché detto contratto non possa ritenersi sostituito dal successivo Ccnl del 2003 essendo stato questo sottoscritto dalle sole Fiom e Uilm che non possono considerarsi organizzazione comparativamente più rappresentative – non è comunque più applicabile oltre la data di scadenza del contratto, cioè oltre il 31/12/02 (decisione riferita a contratti a termine stipulati nel 2006 e 2007 e dunque in periodo ove il Ccnl Metalmeccanici 1999 poteva considerarsi operante solo per effetto della prorogatio di cui all’art. 36 del Ccnl stesso). (Trib. Monza 6/10/2009, Est. Dani, in D&L 2009, 978)
  73. Qualora la causale di un contratto a termine sia indicata con la locuzione “incremento dell’attività produttiva con scadenze indifferibili nel tempo”, il datore di lavoro ha l’onere di dimostrare non solo l’incremento di attività, ma anche l’indifferibilità della scadenza; in mancanza il contratto deve ritenersi convertito a tempo indeterminato. (Trib. Monza 6/10/2009, Est. Dani, in D&L 2009, 978)
  74. Le ragioni giustificative di carattere produttivo previste dall’art. , D.Lgs. 6/9/01 n. 368 rappresentano i motivi che ineriscono il rapporto fra il prodotto tipico dell’impresa e l’insieme dei fattori di produzione, e devono essere indicate, a pena di nullità del termine stesso, in modo specifico al fine di consentire il controllo giudiziale della relazione tra l’effettiva esigenza aziendale e il contratto stesso (nel caso di specie il Giudice ha ritenuto che la sola indicazione nel contratto a termine dell’esistenza di una commessa temporanea non fosse sufficiente a chiarire il motivo produttivo per cui il datore di lavoro possa legittimamente derogare alla regola del contratto a tempo indeterminato, non avendo riferito nulla in rapporto a organici esistenti e a eventuali necessità sopravvenute). (Trib. Milano 20/7/2009, est. Mariani, in D&L 2009, con nota di Angelo Beretta, “L’elusivo utilizzo del ricorso al contratto a termine. Osservazioni sull’art. 11, 4° comma, D.Lgs. 368/01”, 687)
  75. E’ costituzionalmente illegittimo, per violazione del principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., l’art. 4 bis del D.Lgs. 6/9/01 n. 368 – introdotto dall’art. 21, 1° comma bis, DL 25/6/08 n. 112, convertito in L. 6/8/08 n. 133 – giacché, per effetto di tale disposizione, situazioni di fatto identiche (contratti di lavoro a tempo determinato stipulati nello stesso periodo, per la stessa durata, per le medesime ragioni e affetti dai medesimi vizi) risultano destinatari di discipline sostanziali diverse (da un lato, secondo il diritto vivente, conversione in rapporto a tempo indeterminato e risarcimento del danno; dall’altro erogazione della modesta indennità economica prevista dall’art. 8 L. 15/7/66 n. 604) e ciò per la mera e del tutto casuale circostanza della pendenza di un giudizio alla data del 22/8/08 (anch’essa sganciata da qualsiasi ragione giustificatrice). (Corte Cost. 8/7/2009 n. 214, Pres. Amirante, in D&L 2009, con nota di Alberto Guarino, “Non si chiude ancora definitivamente la partita sul contratto a termine acausale”, 657)
  76. E’ infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1 bis, D.Lgs. 6/9/01 n. 368, sollevata con riferimento agli artt. 3, 1° comma, 101, 102 e 104 Cost., non essendo irragionevole che il legislatore, in base a una valutazione generale e astratta delle esigenze delle imprese concessionarie di servizi postali di disporre di una quota di organico flessibile, consenta a dette imprese di stipulare contratti a termine acausali, tanto più in quanto la norma prevede limiti temporali e quantitativi all’utilizzo dei contratti a termine, rispetto ai quali ben può esercitarsi il controllo del giudice. (Corte Cost. 8/7/2009 n. 214, Pres. Amirante, in D&L 2009, con nota di Alberto Guarino, “Non si chiude ancora definitivamente la partita sul contratto a termine acausale”, 657)
  77. Con l’art. 2, comma 1 bis, D.Lgs. n. 368/2001 il legislatore ha inteso introdurre una specifica e ulteriore ipotesi in cui è consentito apporre un termine al contratto di lavoro: in presenza delle condizioni soggettive e temporali previste e nel rispetto dei limiti quantitativi indicati, quindi, è possibile procedere ad assunzioni a tempo determinato senza ulteriori requisiti di forma, in particolare senza la necessità di specificare per iscritto le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo che hanno giustificato le assunzioni medesime. (Trib. Milano 16/6/2009, Giud. Porcelli, in Lav. nella giur. 2009, 959)
  78. Nell’ambito del contratto a termine, l’ordinamento sicuramente consente di esercitare il diritto entro i limiti di tempo predeterminati o l’azione di nullità senza limiti di tempo; per cui il tempo non può, contestualmente e contraddittoriamente, produrre da solo e di per sé, anche un effetto diametralmente opposto, vale a dire l’estinzione del diritto o comunque la sussistenza di una presunzione in tal senso. (Corte app. Bologna 13/5/2009, Pres. Castiglione Rel. Brusati, in Lav. nella giur. 2009, 962)
  79. Il D.Lgs. 368/2001 prevede espressamente che l’apposizione del termine, per avere effetto, debba risultare da atto scritto nel quale devono essere specificate le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo che consentono l’apposizione medesima. E’ evidente che tali ragioni devono essere di immediata percezioni e univoche. Si tratta di un’esigenza anche vigente la disciplina della L. n. 230/62, ma che si pone con maggior rilievo ora, in quanto l’attuale disciplina non contiene più una specifica elencazione delle ipotesi in cui è consentito apporre un termine al contratto, e quindi diventa essenziale conoscere con certezza la causa giustificativa concreta. (Trib. Milano 8/5/2009, d.ssa Porcelli, in Lav. nella giur. 2009, 844)
  80. Al lavoratore assunto con contratto a tempo determinato spetta ogni altro trattamento in atto per i lavoratori con contratto a tempo indeterminato comparabili, intendendosi per tali, quelli inquadrati nello stesso livello, in proporzione al periodo lavorativo prestato, e non obiettivamente incompatibile con la natura del contratto a termine. Il mancato riconoscimento dell’anzianità di servizio, ai suddetti lavoratori a tempo determinato, non rileva in quanto tale, ma in quanto riverberante i suoi effetti sul piano economico, in presenza di un sistema retributivo che individua il trattamento economico in rapporto agli aiuti di servizio prestato, attraverso il meccanismo delle posizioni stipendiali, e rappresenta un’ingiustificata e illegittima discriminazione, in presenza di identiche mansioni svolte in una situazione di abuso derivante dalla successione di rapporti a termine. (Trib. Milano 8/5/2009, dott. Mariani, in Lav. nella giur. 2009, 843)
  81. L’art. 2, comma 1 bis, D.Lgs. n. 368/2001 introduce la tipizzazione, per il settore postale della ragione di stipulazione di contratti a termine, prescindendo dalle ragioni economiche-organizzative. Tale possibilità, tuttavia, sussiste solo per il primo contratto a termine e non anche per successivi rinnovi, che, qualora privi dell’indicazione delle ragioni di carattere tecnico, organizzativo, produttivo o sostitutivo che giustificano l’apposizione del termine, devono essere considerati illegittimi. (Trib. Milano 8/5/2009, D.ssa Porcelli, in Lav. nella giur. 2009, 843)
  82. Nel caso di rapporto a tempo determinato motivato dal solo richiamo, fatto nel contratto di assunzione stipulato da Poste italiane s.p.a., all’art. 2, comma 1-bis, D.Lgs. n. 368/2001, se il lavoratore a tempo determinato lamenta la inidoneità della “causale finanziaria” a rappresentare “ex” se le “ragioni obiettive” di apposizione del termine, non vi è alcuna “violazione” dell’art. 2 del decreto legislativo del 2001, come accade quando le Organizzazioni Sindacali provinciali di categoria non ricevono le richieste di assunzione da parte delle aziende, in quanto in al caso della norma ne è stata data specifica applicazione. Non si pone, pertanto, una questione di legittimità costituzionale dell’art. 4-bis del D.Lgs. n. 368/2001 e l’interpretazione comunitaria della disciplina nazionale sul termine, alla luce delle decisioni della Corte di Giustizia e della sentenza n. 12985/2008 della Cassazione, consente al Giudice interno di ritenere insussistenti e, comunque, non provate, le esigenze temporanee ed eccezionali che possono giustificare il ricorso al contratto flessibile, con conseguente riqualificazione a tempo indeterminato del raopporto di lavoro. La stessa interpretazione comunitaria, in ogni caso, consentirebbe un’applicazione della norma “transitoria” nel senso di limitarne l’applicazione al regime del risarcimento del danno, senza escludere il diritto alla conversione del contratto. (Trib. Foggia 10/3/2009 n. 6107/2008, Est. Colucci, in Lav. nella giur. 2009, 484)
  83. Il rapporto di lavoro a tempo determinato, al di fuori del recesso per giusta causa di cui all’art. 2119 c.c., può essere risolto anticipatamente non già per un giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’art. 3 della L. n. 604 del 1966, ma soltanto in presenza delle ipotesi di risoluzione del contratto previste dagli artt. 1453 ss. c.c. Ne consegue che, qualora il datore di lavoro proceda a una riorganizzazione del proprio assetto produttivo, non può avvalersi di tale fatto per risolvere in anticipo un contratto di lavoro a tempo determinato. (Cass. 10/2/2009 n. 3276, Pres. ed Est. Ianniruberto, in Lav. nella giur. 2009, 627, e in Lav. nella giur. 2009, con commento di Marianna Pulice, 807, in Orient. giur. lav. 210)
  84. Il rapporto di lavoro a tempo determinato, al di fuori del recesso per giusta causa di cui all’art. 2119 c.c., può essere risolto anticipatamente non già per un giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’art. 3 della L. n. 604 del 1966, ma soltanto in presenza delle ipotesi di risoluzione del contratto previste dagli artt. 1453 ss. c.c. Ne consegue che, qualora il datore di lavoro proceda a una riorganizzazione del proprio assetto produttivo, non può avvalersi di tale fatto per risolvere in anticipo un contratto di lavoro a tempo determinato. (Cass. 10/2/2009 n. 3276, Pres. ed Est. Ianniruberto, in Lav. nella giur. 2009, 627)
  85. Nel caso di rapporto a tempo determinato motivato dal solo richiamo, fatto nel contratto di assunzione, all’art. 2, comma 1-bis, del D.Lgs. n. 368/2001 non si può parlare di violazione dell’art. 2, come accade qyuando le Organizzazioni Sindacali provinciali di categoria non ricevono le richieste di assunzione da parte delle aziende, in quanto in tal caso della norma ne è stata data specifica applicazione. Non si pone, pertanto, una questione di legittimità costituzionale dell’atr. 4-bis del D.Lgs. n. 368/2001. (Trib. Foggia 22/12/2008, Est. Chiddo, in Lav. nella giur. 2009, con commento di Claudio de Martino, 166)
  86. La nuova disciplina in materia di contratto a tempo determinato contenuta nell’art. 4 bis del d.lgs. 368/01, introdotta con legge 133/08, si sottrae a qualsiasi sospetto di incostituzionalità. Risponde, infatti, al canone di ragionevolezza e non si pone in contrasto con altri principi costituzionali l’introduzione di una norma con efficacia retroattiva, la quale operi in funzione deflattiva del contenzioso con l’obiettivo di rilanciare lo sviluppo economico e la competitività del Paese. (Trib. Roma 21/10/2008, Est. Annunziata, in Orient. della giur. del lav. 2008, con nota di Pasquale Picciariello, 619)
  87. E’ rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del comma 1-bis dell’art. 21 della L. 6 agosto 2008, n. 133, con cui, dopo l’articolo 4 del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, è stato inserito l’art. 4-bis, per contrasto con gli artt. 3 e 117, comma 1 Cost. (Trib. Rossano 17/11/2008, ord., Est. Coppola, in Lav. nella giur. 2009, con commento di Claudio de Martino, 166)
  88. All’art. 21 del D.L. n. 112/2008, che ha inserito l’art. 4-bis nel D.Lgs. n. 368/2001, è sottesa l’esigenza di arginare l’eccessivo ampliamento dell’organico delle imprese che si produrrebbe nel caso in cui numerosi rapporti a termine si trasformassero in rapporti a tempo indeterminato a seguito del contenzioso in corso. La disposizione è peraltro meramente temporanea e riferibile alla peculiare situazione derivata dal contenzioso stesso. Sulla scorta di tali valutazioni, l’attribuzione di efficacia retroattiva alla norma impugnata è giustificata dall’esigenza di porre rimedio a una situazione del tutto eccezionale. Di conseguenza, il sacrificio imposto ai lavoratori – peraltro attenuato dal riconoscimento di un diritto a indennizzo – risulta non contrastante né con il principio di ragionevolezza né con altri valori e interessi costituzionalmente protetti. Inoltre, non sussiste contrasto tra l’art. 4-bis e la clausola di “non regresso” contenuta nella direttiva 99/70/CE, poiché, da un lato, la norma, entrata in vigore a circa nove anni di distanza dall’accordo europeo, non ne costituisce una modalità applicativa; dall’altro, l’ambito coperto dall’accordo in cui opera il divieto di regresso è solo quello relativo alla tutela del principio di non discriminazione e alla prevenzione degli abusi derivanti dalla successione di contratti a termine, sicché non vi rientra la norma in esame, che riguarda gli aspetti dell’apposizione del termine e della proroga. In questa prospettiva, l’art. 4-bis del D.Lgs. n. 368/2001 non presenta caratteri di irrazionalità e si sottrae a qualsiasi censura di legittimità costituzionale. (Trib. Roma 21/10/2008 n. 16604, Est. NUnziata, in Lav. nella giur. 2009, con commento di Giorgiana Manzo, 502)
  89. Non è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 21, comma 1 bis, L. 6/8/08 n. 133 con cui, dopo l’art. 4 D.Lgs. 6/9/01 n. 368, viene inserito l’art. 4 bis, per contrasto con gli artt. 3 e 117, 1° comma, Cost. (Corte app. Genova 26/9/2008, ord., Pres. Meloni Est. Ravera, in D&L 2008, 904)
  90. E’ rilevante e non manifestamente infondata la questione di costituzionalità dell’art. 4-bis del D.Lgs. 368/01, introdotto dalla L. 6 agosto 2008, n. 133, per violazione degli artt. 3, 4, 24, 35, 41, 43, 53, 101, 102, 104 e 111 della Costituzione. (Corte Cost. 18/9/2008, ord., Pres. e Rel. Castellaneta, in Lav. nella giur. 2009, con commento di Claudio de Martino, 166)
  91. Non è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 21, comma 1 bis, L. 6/8/08 n. 133 con cui, dopo l’art. 4 D.Lgs. 6/9/01 n. 368, viene inserito l’art. 4 bis, per contrasto con gli artt. 3 e 117, 1° comma, Cost. (Corte app. Bari 18/9/2008, ord., Pres. ed Est. Castellaneta, in D&L 2008, 904)
  92. In tema di assunzioni a termine regolate dall’art. 23, L. 28 febbraio 1987, n. 56, stante il principio di tassatività della forma, l’omessa indicazione del nominativo del lavoratore sostituito non comporta nullità del contratto per difetto di forma, né la conseguente convesrione del rapporto di lavoro in rapporto a tempo indeterminato, in quanto la nullità per difetto di forma prevista dalla legge non è applicabile al rapporto ad substantiam. (Cass. 5/9/2008 n. 22512, Pres. Mercurio Est. Maiorano, in Lav. nella giur. 2009, 75)
  93. L’art. 2, comma 1 bis (comma aggiunto dall’art. 1, comma 558, L. n. 266/2005), D.Lgs. 368/2001, ha introdotto per Poste italiane una specifica disciplina dell’impiego a termine dei lavoratori addetti al servizio postale, come tale intendendosi le attività di recapito e quelle a esse più direttamente connesse (smistamento e logistica). Si tratta di una disciplina aggiuntiva rispetto a quella generale prevista dall’art. 1 dello stesso Decreto. Alla luce dei principi enunciati dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 44/2008, la stessa disciplina generale delle clausole che consentono l’apposizione del termine si pone, da un lato, al di fuori dell’ambito di applicazione della Direttiva 1999/70/CE sia della delega comunitaria di cui alla L. 422/2000, in violazione dell’art. 77, comma 1, Cost., dall’altro in contrasto con la citata normativa comunitaria e con la clausola di non regresso, che non consente la reformatio in peius del trattamento già riservato ai dipendenti postali. Inoltre, nel caso di specie, la clausola di apposizione del termine, contenuta nel contratto di lavoro, con il mero richiamo dell’art. 2, comma 1 bis, D.Lgs. n. 368/2001 non è comunque applicabile alle attività di sportellista svolte dalla ricorrente, creando l’applicazione della norma in ogni caso non solo una palese disparità di trattamento, tra lavoratori e lavoratori, ma anche tra aziende (Poste) e aziende (istituti bancari e assicurativi, che non potrebbero accedere alle opportunità della nuova causale). Questo quadro normativo e interpretativo consente al giudice di ordinario di dichiarare la nullità della clausola di apposizione del termine, ritenendo inapplicabile al caso di specie l’art. 2, comma 1 bis, D.Lgs. 368/2001, sia perchè la lavoratrice è stata assegnata al servizio di sportelleria sia perchè la clausola di non regresso e3 la L. delega n. 522/2000 impongono la disapplicazione degli artt. 2, comma 1 bis, e 11, D.Lgs. n. 368/2001, in modo da adeguare l’ordinamento interno a quello comunitario e da rendere un’interpretazione “conformata” di dette disposizioni, tale da evitarne la espunzione dall’ordinamento per violazione degli artt. 3, 76 e 77 Cost. (Trib. Trani 6/5/2008, ord., Est. La Notte Chirone, in Lav. nella giur. 2008, 705, con commento di Vincenzo Di Michele)
  94. La clausola 5, n. 1, lett. a), dell’accordo-quadro sul lavoro a tempo parziale concluso dall’UNICE, dal CEEP e dalla CES, allegato alla direttiva del Consiglio 15 dicembre 1997, 97/81/CE, che ha recepito l’accordo medesimo, deve essere interpretata nel senso che osta a una normativa nazionale, come quella di cui alla causa principale, che esige la notifica all’amministrazione di una copia dei contratti di lavoro a tempo parziale entro il termine di 30 giorni successivi alla loro stipulazione. (Corte di Giustizia 24/4/2008, cause riunite 55/07 e C-56/07, Pres. Rosa Rel. Lindh, in Riv. it. dir. lav. 2008, con nota di Claudia Faleri, “Gli obblighi di informazione nel part-time al vaglio della Corte di Giustizia tra principi di non discriminazione e istanze di regolazione”, 738)
  95. L’art. 2, comma 1 bis, D.Lgs. 6/9/01 n. 368 – in considerazione dell’eccezionalità della previsione ivi contenuta che ne rende impossibile un’interpretazione estensiva – non è applicabile ai contratti a termine che , se pure stipulati con Poste Italiane Spa, sono relativi allo svolgimento di attività non attinenti a un servizio specifico nel settore postale (nella specie si trattava di mansioni di gestione dei Kit per l’assunzione di extracomunitari e di inserimento dati per notifica sanzioni amministrative); ne consegue che, non applicandosi detta norma eccezionale, il termine apposto a detti contratti è nullo per mancata indicazione della causale. (Trib. Milano 23/4/2008, Est. Casella, in D&L 2008, con nota di Barbara Fezzi, “Il diritto antidiscriminatorio tra solennità dei principi e modestia dei rimedi”, 944)
  96. E’ rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 11 del D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, con riferimento agli artt. 76 e 77, comma 1, Cost., nella parte in cui il legislatore delegato (dalla L. delega comunitaria n. 422/2000) ha introdotto una nuova disciplina del contratto a termine per ragioni di carattere sostitutivo peggiorativa – in termini di tutela del lavoratore – rispetto a quella contenuta nell’art. 1, comma, 2, lettera b) della L. n. 230/1962 (interamente abrogata dall’art. 11, D.Lgs. n. 368/2001), consentendo al datore di lavoro la mancata indicazione nel contratto di assunzione del nominativo del lavoratore sostituito e la causa della sostituzione, senza incorrere nella sanzione della conversione in un rapporto a tempo indeterminato. La normativa sospettata, secondo i principi già enunciati dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 44/2008, non rientra (assenza di delega) né nell’area di operatività della direttiva comunitaria 1999/70/CE né nel perimetro tracciato dal legislatore delegante, da un lato; per altro verso, si pone in contrasto con la clausola di non regresso che nel preambolo si impegna a rispettare e, quindi, opera in eccesso di delega e in violazione del principio del divieto di reformatio in peius. (Trib. Trani 21/4/2008, ord., Est. La Notte Chirone in Lav. nella giur. 2008, 705, con commento di Vincenzo Di Michele)
  97. Essendo necessarie ai fini della soluzione di un giudizio in cui si controverte di un contratto a tempo determinato stipulato per ragioni di carattere sostitutivo ai sensi dell’art. 1, comma, 2, D.Lgs. n. 368/2001, il Giudice nazionale, nel sospendere il giudizi, sottopone alla Corte di Giustizia delle Comunità europee le seguenti questioni di pregiudizialità ex art. 234 Trattato U.E.: a) se la clausola n. 8 dell’accordo quadro recepito dalla Direttiva 1999/70/CE debba essere interpretata nel senso che osta a una disciplina interna (come quella dettata dagli artt. 11 e 1 del D.Lgs. 368/2001), che, in attuazione della direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dalla CES, dall’UNICE e dal CEP, abbia abrogato l’art. 1, comma 2, lett. b), della L. n. 230/1962 (a mente del quale “era consentita l’apposizione di un termine alla durata del contratto: … quando l’assunzione” avesse avuto “luogo, per sostituire lavoratori assenti e per i quali” fosse sussistito “il diritto alla conservazione del posto, sempreché nel contratto di lavoro a termine” fosse stato “indicato il nome del lavoratore sostituito e la causa della sua sostituzione”), sostituendolo con una disposizione che non prevede più tali oneri di specificazione; b) nel caso in cui la precedente questione venga risolta affermativamente, se il giudice nazionale sia tenuto a disapplicare la normativa interna contrastante con il diritto comunitario. (Trib. Trani 21/4/2008, ord., Est. La Notte Chirone, in Lav. nella giur. 2008, 705, con commento di Vincenzo Di Michele)
  98. Ai sensi del D.Lgs. n. 368/2001 il datore di lavoro ha in primo luogo l’obbligo di indicare nel contratto le ragioni che giustificano l’apposizione del termine (a tal fine non essendo sufficiente far semplice riferimento alle generiche declaratorie contenute nella norma di legge) e, successivamente e in caso di contestazione, di provare la loro sussistenza in concreto. (Trib. Treviso 15/4/2008, Est. De Luca, in Lav. nella giur. 2008, 846)
  99. E’ rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art., comma 1 bis (comma aggiunto dall’art. 1, comma 588, L. n. 266/2005), D.Lgs. n. 368/2001, in relazione artt. 3, comma 1, 101, 102 e 104 Cost., nella parte in cui crea una disparità di trattamento tra i lavoratori delle Poste italiane (rectius, delle “imprese concessionarie nei servizi postali”) e gli altri dipendenti di imprese private, rendendo inapplicabile ai primi la disciplina sanzionatoria della conversione prevista dall’art. 5, comma 3, D.Lgs. n. 368/2001 e sottraendo al giudice ordinario il potere di verifica delle effettive ragioni oggettive e temporanee poste a base delle assunzioni a termine. (Trib. Roma 26/2/2008, ord., Est. Delle Donne, in Lav. nella giur. 2008, 705, con commento di Vincenzo Di Michele)
  100. La disdetta intimata dal datore di lavoro al lavoratore per scadenza del termine invalidamente apposto al contratto di lavoro non si configura come licenziamento, né è soggetta alla relativa disciplina, attesa la specialità della normativa in materia di lavoro a tempo determina, che ne determina la conversione in contratto a tempo indeterminato; ne consegue che, in tal caso, l’azione proposta dal lavoratore a propria difesa non si configura come impugnazione di licenziamento, né può invocarne le tutele (reale e obbligatoria) ma come azione di nullità parziale, fatta salva l’ipotesi in cui il datore di lavoro, sul presupposto della conversione del rapporto in rapporto di lavoro a tempo indeterminato, non intimi un vero e proprio licenziamento del lavoratore a tempo indeterminato. (Trib. Salerno 16/2/2008, Est. D’Antonio, in Lav. nella giur. 2008, 847)
  101. Non è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1 bis, D.Lgs. 6/9/01 n. 368 con riferimento all’art. 3 Cost., dovendosi accertare se la diversificazione di disciplina in favore delle imprese concessionarie di servizi nei settori delle poste, sia ragionevole perchè giustificata dalla diversità della fattispecie. Tale verifica si impone dovendo il Giudice dare un’interpretazione del diritto nazionale conforme non solo al diritto comunitario prevalente su quello interno, ma anche ai valori costituzionali fondamentali dello Stato, e, fra questi, al principio di uguaglianza consacrato nell’art. 3 Cost. (Trib. Roma 26/2/2008, ord., Est. Delle Donne, in D&L 2008, 916)
  102. La sottoscrizione “per ricevuta e accettazione” da parte del lavoratore della comunicazione di risoluzione del rapporto di lavoro a termine esprime il consenso per la cessazione definitiva dello stesso e comporta il rigetto della domanda di accertamento dell’illegittima apposizione del termine e di ripristino del rapporto. (Trib. Firenze 12/2/2008, Est. Muntoni, in D&L 2008, con nota di Andrea Danilo Conte, “La volontà delle parti e l’accettazione/consenso alla risoluzione di un contratto a termine”, 1027)
  103. Nel caso di illegittima apposizione del termine al contratto, deve escludersi che il decorso di un lasso di tempo tra l’interruzione della prestazione lavorativa e la domanda giudiziale determini la risoluzione del rapporto per mutuo consenso dell’eventuale rapporto a tempo indeterminato esistente tra le parti, in quanto da tale elemento non può desumersi la comune volontà di risolvere il rapporto. (Corte app. Caltanissetta 23/1/2008, Pres. Vullo Est. Occhipinti, in D&L 2008, 547)
  104. Con riferimento a realtà imprenditoriali complesse e variamente articolate su tutto il territorio nazionale, l’onere di indicare in modo specifico le ragioni che hanno determinato la necessità di apporre un termine finale al rapporto di lavoro non può ritenersi assolto attraverso un generico richiamo a esigenze di carattere tecnico e produttivo esistenti a livello nazionale; ne segue la nullità parziale del contratto ai sensi dell’art. 1419 c.c., 2° comma, e la conversione del rapporto a tempo indeterminato. (Corte app. Caltanissetta 23/1/2008, Pres. Vullo Est. Occhipinti, in D&L 2008, 547)
  105. La assunzione con contratto a termine costituisce tuttora una deroga rispetto alla regola generale del contratto a tempo indeterminato, per cui il datore di lavoro deve provare la sussistenza della causale indicato nel contratto e il nesso di causalità tra la stessa e l’assunzione a termine del prestatore di lavoro. Restando contumace, invece, il datore di lavoro non offre prova riguardo alla effettiva esistenza delle ragioni che giustificano il ricorso al contratto a tempo determinato. In seguito a tali considerazioni consegue la illegittimità del termine apposto al contratto del lavoratore. (Trib. Milano 17/1/2008, Rel. Ravazzoni, in Lav. nella giur. 2008, 736)
  106. Non può essere accolta l’interpretazione fornita dalla parte ricorrente dell’art. 2, comma 1 bis, del D.Lgs. n. 368 del 2001 secondo cui i contratti a termine conclusi con le imprese concessionarie di servi postali dovrebbero in ogni caso contenere anche la specificazione delle ragioni indicate nell’art. 1. (Trib. Roma 15/1/2008, Est. Mimmo, in Lav. nella giur. 2008, 737)
  107. In conformità ai vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e ai principi costituzionali, l’art. 2, 1 comma bis, D.Lgs. 6/9/01 n. 368, deve essere interpretato nel senso che non consente alle imprese concessionarie dei servizi postali di stipulare contratti a termine senza indicare e provare le ragioni temporanee di apposizione del termine. (Trib. Milano 24/11/2007, Est. Martello, in D&L 2008, 159)
  108. A norma dell’art. 2, D.Lgs. 368/2001, l’apposizione del termine al contratto di lavoro è legittimata, a differenza di quanto previsto dall’art. 1 del medesimo decreto, da una tipizzazione per legge della causale giustificatrice, con la conseguenza che non è richiesta la specificazione della causale in sede di esercizio dell’autonomia contrattuale. (Trib. Napoli 15/11/2007, Giud. Casola, in Riv. it. dir. lav. 2008, con nota di Marco Marazza, “Le assunzioni a termine “formalmente a causali a norma dell’art. 2, D.Lgs. n. 368/2001, sono compatibili con la disciplina comunitaria”, 614)
  109. L’art. 2, comma 1-bis, D.Lgs. n. 368/2001 non si pone in contrasto con la direttiva comunitaria n. 70/1999, stante la volontà del legislatore comunitario di demandare al legislatore nazionale la possibilità di una modulazione delle tutele di dettaglio declinata sul piano nazionale (quindi politico-ordinamentale), sul piano settoriale (quindi aziendale-produttivo) e sul piano stagionale (cioè temporale-organizzativo). (Trib. Napoli 15/11/2007, Giud. Casola, in Riv. it. dir. lav. 2008, con nota di Marco Marazza, “Le assunzioni a termine “formalmente a causali a norma dell’art. 2, D.Lgs. n. 368/2001, sono compatibili con la disciplina comunitaria”, 614)
  110. Il D.Lgs. n. 368/2001 che ha dato attuazione alla normativa comunitaria, pur avendo profondamente innovato il quadro normativo del contratto di lavoro a tempo determinato, svincolando dalla tipicità delle ragioni giustificatrici indicate dal legislatore e dalla contrattazione collettiva, e ammettendolo (con clausola generale) ogni qualvolta si presentino ragioni di carattere organizzativo, tecnico, produttivo o sostitutivo che lo giustifichino, ha pur sempre configurato tale ipotesi come eccezione rispetto al rapporto di lavoro a tempo indeterminato. (Trib. Milano 30/10/2007, Est. Tanara, in Lav. nella giur. 2008, 425)
  111. E’ nulla l’apposizione del termine a un contratto di lavoro allorché nella lettera di assunzione non venga fatta menzione alcuna delle ragioni giustificatrici di carattere tecnico, produttivo o sostitutivo. (Trib. Milano 30/10/2007, Est. Di Ruocco, in D&L 2008, con nota di Andrea Leone D’Agata, “Risoluzione del rapporto per scadenza del termine e licenziamento: una sentenza condivisibile ma non condivisa”, 132)
  112. L’istituto della presupposizione quale elemento determinante della volontà trova applicazione anche in materia di dimissioni da un rapporto di lavoro a tempo determinato successivamente dichiarato illegittimo; pertanto, l’atto di dimissioni, determinato dall’erronea rappresentazione della sussistenza di un valido rapporto a termine, non ha alcun effetto qualora venga dichiarata l’illegittimità del termine e quindi la sussistenza tra le parti di un assetto contrattuale del tutto diverso da quello rappresentato dal lavoratore al momento di presentazione delle dimissioni. (Corte app. Firenze 15/10/2007, Pres. Amato Est. Nisticò, in D&L 2008, con nota di Andrea D. Conte, “Illegittimità del termine ed effetto “moviola”: orientamenti della giurisprudenza verso una tutela “integrale””, 547)
  113. L’art. 2, 1° comma bis, D.Lgs. 6/9/01 n. 368, deve essere interpretato nel senso che consente alle imprese concessionarie dei servizi postali di stipulare contratti a termine senza indicare e provare le ragioni temporanee di apposizione del termine, senza che ciò contrasti con l’ordinamento europeo e costituzionale. (Corte app. Torino 11/10/2007, Pres. ed est. Fierro, in D&L 2008, 159)
  114. L’apposizione di un termine a un contratto di lavoro è legittima solo nell’ipotesi in cui vi sia un nesso di causalità concreto e accertabile che colleghi le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo (che consentono l’apposizione medesima e che devono essere specificate con precisione nel contratto di assunzione) e la singola assunzione e relativa posizione lavorativa (nel caso di specie, è stata esclusa la legittimità del termine in quanto la giustificazione addotta faceva generico riferimento alla intensificazione dell’attività. (Trib. Milano 10/10/2007, Est. Porcelli, in D&L 2008, 152)
  115. Le disposizioni dettate per l’impiego di artisti stranieri extracomunitari dalla legge 8 gennaio 1979 n. 8, dal relativo regolamento di attuazione approvato con D.P.R. n. 179 del 1981 e dal D.Lgs. 286 del 1998 recante il testo unico sull’immigrazione non contengono norme speciali di deroga alla disciplina stabilita dalla legge n. 230 del 1962 in tema di contratto di lavoro subordinato a tempo determinato, alla quale è assoggettato il rapporto instaurato con i predetti lavoratori extracomunitari, anche in base al generale principio di parità di trattamento con i lavoratori italiani. (Cass. 9/10/2007 n. 20167, Pres. Ciciretti Est. Monaco, in Lav. nella giur. 2008, 310)
  116. L’art. 11 L. 12/3/99 n. 68, prevedendo l’assunzione a termine di disabili in esecuzione di convenzioni stipulate con la Provincia e finalizzate a incentivare l’inserimento lavorativo dei disabili, rappresenta una disciplina speciale e prevalente rispetto alle norme di cui al D.Lgs. 6/9/01 n. 368, per cui non vi è la necessità di specificare nel contratto le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo e sostitutivo previste dall’art. 1 D.Lgs. 6/9/01 n. 368. (Trib. Milano 14/9/2007, Est. Sala, in D&L 2008, con nota di Alberto Vescovini, “La maggiore precarietà del posto di lavoro dei disabili”, 139)
  117. In caso di assunzione di invalidi, la forma scritta della convenzione ex art. 11 L. 12/3/99 n. 68, nonché della richiesta e del nullaosta all’assunzione, soddisfa il requisito previsto dall’art. 1, 2° comma, D.Lgs. 6/9/01 n. 368 della specificazione per iscritto delle cause giustificative dell’assunzione a termine. (Trib. Milano 14/9/2007, Est. Sala, in D&L 2008, con nota di Alberto Vescovini, “La maggiore precarietà del posto di lavoro dei disabili”, 139)
  118. La clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro deve essere interpretata nel senso che osta all’introduzione di una disparità di trattamento tra lavoratori a tempo determinato e lavoratori a tempo indeterminato, giustificata dalla mera circostanza che essa sia prevista da una disposizione legislativa o regolamentare di uno Stato membro ovvero da un contratto collettivo concluso tra i rappresentanti sindacali del personale e il datore di lavoro interessato. (Corte di Giustizia CE 13/9/2007 causa C-307/05, Pres. Timmermans Rel. Schintgen, in D&L 2007, 1013)
  119. Il silenzio non ha alcun valore giuridico nell’ordinamento, se non quando per legge o contratto sia previsto che debba darsi al medesimo un significato determinato, per cui, cessata di fatto la prestazione lavorativa con la scadenza del termine illegittimamente apposto, il lavoratore non ha l’onere di comunicare la volontà di continuare a essere parte del rapporto a tempo indeterminato, né tale volontà può essere esclusa solo per la durata dell’intervallo intercorso dalla scadenza del termine, nel qual caso il datore di lavoro deve provare che il lavoratore, pur nella consapevolezza dell’illegittimità della clausola di apposizione del termine, abbia deciso di mantenere il silenzio inducendo così nella controparte l’affidamento di buona fede di una sua adesione alla cessazione definitiva del rapporto. (Trib. Milano 10/8/2007, Est. Ravazzoni, in D&L 2007, con nota di Chiara Asta, “Brevi osservazioni sull’acquiescenza”, 1068)
  120. In assenza della forma scritta ex art. 1, 3° comma, L. 18/4/62 n. 230, il rapporto di lavoro a termine deve essere convertito a tempo indeterminato. (Trib. Milano 4/8/2007, Est. Tanara, in D&L 2007, con nota di Chiara Asta, “Brevi note sull’acquiescenza”, 1067)
  121. Nel caso di illegittima apposizione del termine al contratto deve escludersi che il decorso di un lasso di tempo tra l’interruzione della prestazione lavorativa e la domanda giudiziale, nonché l’inizio di un nuovo lavoro, determinino la risoluzione per mutuo consenso dell’eventuale rapporto a tempo indeterminato esistente tra le parti, in quanto tali elementi non possono far presumere la comune volontà di risolvere il rapporto. (Trib. Milano 12/7/2007, Est. Peragallo, in D&L 2007, con nota di Chiara Asta, “Brevi note sull’acquiescenza”, 1067)
  122. Il contratto di lavoro inizialmente a tempo determinato, impugnato per illegittima apposizione del termine, può ritenersi risolto per mutuo consenso quando, dal comportamento delle parti, protrattosi per un rilevante periodo di tempo, si evince una dichiarazione risolutoria della parte, anche per fatti concludenti. La valutazione del significato e della portata del complesso di tali elementi di fatto resta affidata al giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità, qualora congruamente motivate sul piano logico-giuridico. (Nella specie, la Corte ha confermato la sentenza di appello che ha ritenuto provata, sulla base di elementi oggettivi, una fattispecie negoziale di risoluzione consensuale, valutando come significativi: la limitata durata del rapporto di lavoro contestato, il lungo intervallo temporale tra la cessazione del rapporto di lavoro a termine e l’azione giudiziaria, l’immediata assunzione del lavoratore con contratto di lavoro a tempo indeterminato presso un’azienda dello stesso settore merceologico della precedente. (Cass. 6/7/2008 n. 15264, Pres. Mercurio Est. Balletti, in Riv. it. dir. lav. 2008, con nota di Concetta Lombardo, “Scadenza del contratto a termine e risoluzione del rapporto di lavoro per muto consenso”, 158)
  123. E’ contrario alla direttiva 1999/70/Ce l’art. 2, 1° comma bis, D.Lgs. 6/9/01 n. 368, che consente alle imprese concessionarie dei servizi postali di stipulare contratti a termine senza indicare e provare le ragioni temporanee, con la conseguenza che il giudice interno deve disapplicare detta norma in favore della disciplina generale di cui all’art. 1, D.Lgs. 6/9/01 n. 368, che pone a carico del datore di lavoro l’onere di specificare (e poi di provare) la causale giustificante l’apposizione del termine. (Trib. Foggia 11/4/2007 Est. Colucci, in D&L 2007, con nota di Matteo Paulli, “Il nuovo contratto a termine di Poste Italiane Spa” 728)
  124. Nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato a causa della nullità del termine apposto a successivi contratti, per la configurabilità di una risoluzione per mutuo consenso, l’intervallo fra l’estromissione dal lavoro e la proposizione dell’azione da un lato e, dall’altro, la prestazione da parte del lavoratore di attività per terzi non possono legittimamente combinarsi così da inferirne una volontà dismissiva del rapporto. L’inerzia, infatti, non ha alcun valore sintomatico, mentre la risoluzione postula una chiara volontà del lavoratore che non esperisca l’azione nella consapevolezza (fatta palese, a es., dall’offerta della prestazione) della posizione giuridica cui ha rinunciato. (Corte app. Catania 6/3/2007, Pres. Pagano Est. D’Allura, in Riv. it. dir. lav. 2007, con nota di Marina Nicolosi, “Risoluzione per mutuo consenso del contratto a termine illegittimo, attività lavorativa presso terzi e offerta della prestazione”, 933)
  125. La prosecuzione oltre il ventesimo giorno di un rapporto di lavoro a tempo determinato di durata inferiore a sei mesi non comporta l’illegittimità del termine originariamente apposto al contratto, ma la sua trasformazione a tempo indeterminato a decorrere dallo scadere del ventesimo giorno successivo al termine previsto. (Trib. Prato 27/11/2006 Est. Rizzo, in D&L 2007, con nota di Andrea Danilo Conte, “Contratto a termine illegittimamente proseguito o contratto a termine illegittimo: quando l’art. 1 e l’art. 5 D.Lgs. 368/01 entrano in conflitto”, 759)
  126. In base ai principi generali, grava sul datore di lavoro l’onere di provare la concreta sussistenza delle ragioni ex art. 1 D.Lgs. 6/9/01 n. 368 addotte all’atto dell’assunzione a tempo determinato, dovendo essere specificatamente accertata in giudizio l’effettiva ricollegabilità della singola assunzione a termine alla causa espressa e dichiarata nel contratto, non essendo a tal fine sufficiente addurre generiche indicazioni circa la sussistenza di indifferenziate esigenze generali. (Trib. Milano 9/10/2006, est. Peragallo, in D&L 2007, con nota di Alberto Vescovini, “Prova delle ragioni del contratto a termine”, 123)
  127. Perchè l’apposizione del termine a un contratto di lavoro sia legittima occorre che lo stesso contenga la specificazione in forma scritta delle concrete ragioni giustificatrici, le quali debbono essere espresse in termini sufficienti a consentire al giudice di poter accertarne la corrispondenza alla realtà fattuale ed escludere di talché la loro pretestuosità e arbitrarietà, sì da scongiurare ogni abuso o intento fraudolento del datore di lavoro. (Trib. Piacenza 27/9/2006 Giud. Picciau, in Lav. nelle P.A. 2007, con nota di Alessia Muratorio, “La specificità delle ragioni giustificative dell’apposizione del termine e il controllo del giudice, 577)
  128. Il termine apposto a un contratto di lavoro autonomo, essendo strettamente correlato e funzionale a tale contratto, non limita la durata del rapporto di lavoro subordinato concretamente instauratosi tra le parti che dovrà, pertanto, considerarsi a tempo indeterminato. (Trib. Parma 30/5/2006, Est. Brusati, in D&L 2006, 771)
  129. Poiché è normativamente necessario, ai sensi dell’art. 23 della legge 28 febbraio 1987, n. 56, che l’atto con cui si individuano le ipotesi di contratti a termine sia stipulato dal sindacato nazionale o locale (esterno all’azienda), e poiché nella parte in cui dispone questa necessità la norma è inderogabile, l’individuazione delle ipotesi di contratti a termine effettuata dalla struttura aziendale, escludendo la garanzia richiesta dalla legge, è nulla. Ciò si verifica anche nel caso in cui l’azienda – come, nella fattispecie, relativa al concessionario del servizio di riscossione esattoriale – si estenda a tutto il territorio (coincidente con quello provinciale, nella specie) della struttura sindacale locale. In base alla stessa ragione la clausola del contratto collettivo nazionale di lavoro con cui la struttura nazionale delega, ai fini della predetta individuazione, la struttura aziendale è nulla. (Cass. 18/5/2006 n. 11655, Pres. Mattone Est. Cuoco, in ADL 2007, 119)
  130. L’assunzione con contratto a tempo determinato di lavoratore iscritto alle liste di mobilità ex art. 8, 2° comma, L. 23/7/91 n. 223 rimane comunque assoggettata alla complessiva disciplina dettata dal D.Lgs. 6/9/01 n. 368 che ai sensi dell’art. 1 comporta l’obbligo di specificare per iscritto le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo che giustificano l’apposizione del termine; in mancanza di ciò il termine è nullo e il rapporto va considerato a tempo indeterminato. (Trib. Milano 11/5/2006, Est. Bianchini, in D&L 2006, con nota di Franco Bernini, “Fine del diritto speciale per gli assunti a termine dalla mobilità?, 787)
  131. Il passaggio da un sistema di casi tassativamente indicati e di clausole autorizzatorie da parte dei contraenti collettivi alla liberalizzazione della casistica e alla scelta unilaterale del datore di lavoro non è sufficiente a escludere il carattere di eccezionalità dell’apposizione del termine rispetto ai contratti a tempo indeterminato che continuano a costituire la forma ordinaria e normale del rapporto di lavoro. Ne consegue che non è venuto meno l’impianto che tradizionalmente regola i rapporti di lavoro e, quindi, la necessità di un ancoraggio dell’apposizione del termine alla reale esistenza di specifiche esigenze temporanee. (Corte app. Milano 9/1/2006, Rel. Castellini Rel. Sbordone, in Lav. Nella giur. 2006, 823)
  132. La clausola 8, punto 3, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18/3/99 e attuato con la direttiva 1999/70/Ce (c.d. clausola di non regresso) non impedisce quelle riduzioni del livello generale di protezione offerta ai lavoratori nell’ordinamento giuridico nazionale che non siano in alcun modo collegate con l’applicazione dell’accordo stesso; conseguentemente la predetta direttiva non osta a una normativa che, per motivi connessi con la necessità di promuovere l’occupazione e indipendentemente dall’applicazione di detto accordo, abbassi l’età oltre la quale possono essere stipulati senza restrizioni contratti di lavoro a tempo determinato. (Corte di Giustizia Ce 22/11/2005, causa C-144/04, Pres. P. Jann, Rel. R. Schintgen, in D&L 2006, con n. Alberto Guariso, “Giovani, adulti e anziani nella corsa al posto di lavoro; la Corte Ce mette ordine nelle cause di giustificazione della discriminazione per età”, 387)
  133. Il diritto comunitario e, in particolare, l’art. 6 n. 1 della Direttiva 2000/78/Ce che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, deve essere interpretato nel senso che osta a una normativa nazionale, quale quella controversa nella causa a qua, la quale autorizzi senza restrizioni la stipula di contratti di lavoro a tempo determinato qualora il lavoratore abbia raggiunto l’età di 52 anni. (Corte di Giustizia Ce 22/11/2005, causa C-144/04, Pres. P. Jann, Rel. R. Schintgen, in D&L 2006, con n. Alberto Guariso, “Giovani, adulti e anziani nella corsa al posto di lavoro; la Corte Ce mette ordine nelle cause di giustificazione della discriminazione per età”, 387)
  134. Il dipendente a tempo determinato illegittimamente licenziato in difetto di giusta causa (non potendosi ritenere tale la situazione di transeunte difficoltà economica del datore di lavoro) ha diritto non alla reintegrazione nel posto di lavoro, ma al risarcimento del danno, che può legittimamente quantificarsi, in via equitativa, sulla base delle retribuzioni che gli sarebbero spettate fino alla scadenza del termine; né da esso può essere legittimamente dedotto, a titolo di aliunde perceptum, quanto dal lavoratore percepito a seguito di altra sua occupazione, qualora risulti la non esclusività della prestazione illegittimamente interrotta per volontà unilaterale del datore di lavoro. (Cass. 1/6/2005 n. 11692, Pres. Ciciretti Rel. Figurelli, in Dir. e prat. lav. 2006, 30)
  135. È compito del giudice nazionale assicurare la piena efficacia del principio generale di non discriminazione in ragione dell’età, disapplicando ogni contraria disposizione di legge nazionale, anche quando il termine di trasposizione della detta direttiva non è ancora scaduto. (Corte di Giustizia Ce 22/11/2005, causa C-144/04, Pres. P. Jann, Rel. R. Schintgen, in D&L 2006, con n. Alberto Guariso, “Giovani, adulti e anziani nella corsa al posto di lavoro; la Corte Ce mette ordine nelle cause di giustificazione della discriminazione per età”, 387)
  136. Deve considerarsi legittima l’apposizione del termine a un contratto allorché sia riconosciuto dalle parti sociale – nell’ambito di accordi stipulati per regolamentare una fase, transitoria, di riorganizzazione dell’azienda – un’esigenza organizzativa oggettiva, l’esistenza del nesso causale intercorrente tra la stessa e l’assunzione a termine e la coerenza tra l’assunzione e la situazione aziendale nell’attualità della quale non è possibile al datore di lavoro stabilire quale sia il suo fabbisogno di personale in pianta stabile per lo svolgimento dell’attività di impresa. (Corte app. Milano 25/10/2005, Pres. Castellini Rel. Sbordone, in Lav. Nella giur. 2006, 71)
  137. In base all’art. 1 del D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368 le ragioni oggettive che consento l’apposizione del termine al contratto di lavoro subordinato devono essere specificatamente individuate nel contratto e avere i connotati della strutturale temporaneità, in modo tale che sia accertabile il nesso di causa fra le suddette ragioni e la temporaneità dell’assunzione del lavoratore. (Corte app. Firenze 30/5/2005, Pres. Bartolomei, in Riv. it. dir. lav. 2006, con nota di Pasqualino Albi, “Le ragioni oggettive che consento l’apposizione del termine al contratto di lavoro subordinato”, 111)
  138. Le ipotesi eventualmente previste dalla contrattazione collettiva per la stipula di contratti a termine non possono in ogni caso ritenersi esentate dal rispetto della disciplina generale in materia: conversione in un rapporto a tempo indeterminato e onere della prova a carico del datore di lavoro sono principi di base cui è necessario attenersi. (Cass. 14/4/2005 n. 7745, Pres. Sciarelli Rel. Vidiri, in Dir. e prat. lav. 2005, 1945
  139. Ai sensi del D.Lgs. 6/9/01 n. 368, il datore di lavoro ha in primo luogo l’obbligo di indicare nel contratto le ragioni che giustificano l’apposizione del termine (a tal fine non essendo sufficiente far semplice riferimento alle generiche declaratorie contenute nella norma di legge) e, successivamente e in caso di contestazione, di provare la loro sussistenza in concreto (nel caso di specie, è stata ritenuta generica la motivazione che faceva riferimento a una “maggiore richiesta di servizi” e a necessità collegate al “periodo feriale”, senza peraltro indicare quali servizi sarebbero stati acquisiti, in relazione ai quali non sarebbe stato sufficiente il personale già in forza. Deve ritenersi sussistente – in applicazione dell’art. 4 Cost. e in considerazione del carattere alimentare della retribuzione – il periculum in mora in caso di estromissione del dipendente alla scadenza del termine illegalmente apposto. (Trib. Milano 25/11/2004, ord., Est. Atanasio, in D&L 2005, con nota di Stefano Chiusolo, “Primi orientamenti giurisprudenziali sulla riforma del contratto a termine”, 152)
  140. L’indicazione nel contratto di una duplice causale legittimante l’assunzione a tempo determinato non può di per sé comportare la nullità del contratto, specie allorché risulti confermato dalle prove assunte che sussisteva effettivamente uno dei presupposti indicati nel contratto – nella specie la sostituzione di lavoratori in ferie. In tale ipotesi, tuttavia, deve ritenersi la nullità dell’assunzione a termine allorché risulti che di fatto il lavoratore è stato incaricato anche di mansioni diverse da quelle di semplice sostituzione del personale in ferie. (Corte d’appello Milano 9/11/2004, Pres. e Rel. Castellini, in Lav. nella giur. 2005
  141. L’apposizione del termine a contratti stipulati ai sensi dell’art. 1, comma 2, lett. e), L. n. 230/1962 è illegittima qualora il lavoratore sia utilizzato in programmi diversi da quelli previsti nei singoli contratti. (Cass. 5/10/2004 n. 19899, Pres. Prestipino Rel. Cataldi, in Lav. nella giur. 2005, con commento di Irene Corso, 751
  142. Considerato che la nuova disciplina del D.Lgs. 6/9/2001 n. 368 non è venuto meno il principio generale per cui il contratto a termine rimane possibilità ammessa in via di eccezione rispetto alla regola del rapporto a tempo indeterminato, occorre che in concreto siano dal datore di lavoro esplicitate (e provate in giudizio) le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo astrattamente indicate dalla disposizione dell’art. 1 D.Lgs. 6/9/01 n. 368. (Trib. Firenze 5/2/2004, Est. Muntoni, in D&L 2004, 325, con nota di Andre a Danilo Conte, “Nuova disciplina dei contratti a termine, primi orientamenti giurisprudenziali”)
  143. L’art. 1 D.Lgs. 6/9/01 n. 368 deve essere interpretato, anche alla luce della normativa comunitaria di cui la norma italiana è attuazione, nel senso che il datore di lavoro ha l’onere a monte, di specificare, e a valle, di dimostrare le ragioni a fronte delle quali è consentita la stipulazione di contratti a termine (nella fattispecie è stata dichiarata la nullità del termine, con conseguente accertamento della sussistenza di un ordinario rapporto di lavoro a tempo indeterminato, in quanto-tra l’altro-è stato ritenuto che, anche ammettendo come fatto notorio il maggior flusso postale nel periodo natalizio, nulla era stato dedotto in ordine agli effetti di tale aumento sul centro in cui era stato addetto il lavoratore, anche in relazione al numero complessivo di contratti a termine stipulati per far fronte a quella esigenza). (Trib. Milano 13/11/2003, Est. Mascarello, in D&L 2003, 937)
  144. Anche nel contesto normativo delineato dal D.Lgs. 6/9/01 n. 368, la legittima apposizione del termine ad un rapporto di lavoro presuppone che il datore di lavoro indichi specificatamente le ragioni che la giustifichino e, in sede giudiziaria, provi l’effettiva ricorrenza in fatto delle esigenze che legittimano la deroga al principio generale per cui l’ordinario rapporto di lavoro è a tempo indeterminato, nonché il nesso eziologico tra tali esigenze e la stipulazione del singolo contratto a termine (nella fattispecie è stata dichiarata l’illegittimità dell’apposizione del termine, con conseguente accertamento della sussistenza di un ordinario rapporto di lavoro a tempo indeterminato, in quanto la motivazione addotta nella lettera di assunzione, oltre ad essere stereotipata e ripetitiva, faceva riferimento ad una pluralità di ragioni alternative. (Trib. Milano 31/10/2003, Est. Martello, in D&L 2003, 936)
  145. L’ampiezza dell’ambito delle ragioni che giustificano l’apposizione del termine ad un contratto di lavoro ex art. 1 D.Lgs. 6/9/01 n. 368 è ridimensionata dalla previsione contenuta nel 2° comma di quella norma, che impone una specifica indicazione delle ragioni stesse (nel caso di specie, è stata dichiarata la nullità del termine, con conseguente accertamento della sussistenza di un ordinario rapporto di lavoro a tempo indeterminato, in quanto le due ragioni indicate nella lettera di assunzione, da valutarsi necessariamente in maniera congiunta e non alternativa, erano l’una generica, l’altra non provata). (trib. Milano 15/10/2003, Est. Sala, in D&L 2003, 937)
  146. La clausola che permette lecitamente l’apposizione del termine al rapporto di lavoro prevista dall’art. 1, D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, pur caratterizzandosi per generalità ed apertura, deve essere interpretata con rigore formale, non essendo sufficiente la presenza nel contratto di un generico richiamo alle esigenze di “carattere tecnico, produttivo o sostitutivo”. Le ragioni che stanno alla base della apposizione del termine devono essere infatti indicate contestualmente nel contratto stipulato e devono rispondere a requisiti di oggettività, in modo da essere riscontrabili al momento della assunzione e verificabili anche in seguito. (Trib. Ravenna 7/10/2003, Est. Mazzini, in Lav. nella giur. 2004, con commento di Paola Nodari, 1285)
  147. È illegittima l’apposizione del termine giustificato, a seguito dell’entrata in vigore del D.Lgs. 6/9/01 n. 368, dalla necessità di sperimentare l’internalizzazione di un servizio prima appaltato all’esterno, in quanto le ragioni organizzative di cui all’art. 1 del D.Lgs. Citato devono attenere esclusivamente ad elementi oggettivi, senza poter riguardare risorse umane o il mero apporto di prestazioni personali. (trib. Milano 18/7/2003, ord., Est. Chiavassa, in D&L 2003, 937, con nota di Angelo Beretta, “La riforma del contratto a termine: primi interventi giurisprudenziali”)
  148. L’apposizione del termine di durata al contratto per prestazione d’opera intellettuale costituisce deroga implicita alla facoltà di recesso ad nutum ex art. 2237, 1° comma, c.c.; ne consegue che al collaboratore, in caso di recesso anticipato del committente, devono essere corrisposti i compensi che sarebbero maturati sino alla scadenza predeterminata del rapporto. (Trib. Milano 23/4/2003, Est. Mascarello, in D&L 2003, 764)
  149. Per i contratti a termine stipulati vigente la L. 18/4/62 n. 230 il datore di lavoro non è obbligato ad indicare, in sede di assunzione, la causale che legittima l’apposizione del termine; ciò nondimeno, qualora l’abbia indicata, è ad essa vincolato e non può poi in giudizio addurre a giustificazione del termine una diversa causale (nella specie l’assunzione era avvenuta per “esigenza straordinaria connessa all’esecuzione di un’opera definita nel tempo” ed il datore aveva portato in giudizio, a giustificazione della stessa, l’esistenza di un picco produttivo). (Trib. Milano 26/2/2003, Est. Frattin, in D&L 2003, 309)
  150. E’ priva di effetto l’apposizione del termine-anteriore al d.leg. 6 settembre 2001 n. 368 e per questo ad esso non soggetto al contratto di lavoro contenuta in lettera d’assunzione consegnata al lavoratore priva di sottoscrizione dello stesso. (Cass. 11/12/2002, n. 17674 Pres. Sciarelli, Est. Vidiri, in Foro it. 2003, parte prima, 443)
  151. Nei settori del commercio e del turismo, per i quali l’art. 1 L. 3/2/78 n. 18 prevede la possibilità di assunzione a termine per intensificazione dell’attività lavorativa, la preventiva autorizzazione dell’Ispettorato del Lavoro non conferisce al datore di lavoro una incondizionata facoltà di proroga nell’ambito del periodo preventivamente autorizzato, dovendo comunque sussistere i requisiti di cui all’art. 2 L. 18/6/62 n. 230. (Cass. 12/7/2002 n. 10189, Pres. Ianniruberto Est. Filadoro, in D&L 2003, 75)
  152. Anche dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. 6/9/01 n. 368, l’apposizione del termine al rapporto di lavoro subordinato costituisce deroga al principio generale secondo cui detto rapporto, per sua natura, è a tempo indeterminato. (Cass. 17/5/2002 n. 7468, Pres. Mileo Est. Cuoco, in D&L 2002, 609, con nota di Stefano Chiusolo, “La riforma del contratto di lavoro a termine”)
  153. Le circostanze idonee, ai sensi dell’art. 2 L. 18/6//62 n. 230, a legittimare la proroga del termine ad un contratto di lavoro a tempo determinato debbono essere ontologicamente differenti rispetto a quelle che hanno giustificato l’originaria apposizione del termine stesso. (Cass. 12/7/2002 n. 10189, Pres. Ianniruberto Est. Filadoro, in D&L 2003, 75)
  154. In ipotesi di successive assunzioni a termine, la verifica del rispetto del limite temporale previsto dall’art. 2, 2° comma, L. 18/4/62 n. 230, ai fini della trasformazione in rapporto a tempo indeterminato, va effettuata con riferimento alla data di stipulazione del contratto successivo, e non alla data di inizio della prestazione lavorativa dallo stesso prevista. (Trib. Firenze 18/6/2002, Est. Nuvoli, in D&L 2003, 80, con nota di Roberto Muller, “Successione di contratti a termine e conversione del rapporto”)
  155. Nell’ipotesi in cui il contratto a tempo determinato debba considerarsi nullo con conseguente conversione ex legge del contratto in contratto a tempo indeterminato, la dichiarazione del datore di lavoro di cessazione del rapporto per scadenza del termine non può essere altrimenti intesa che come volontà di risolvere il rapporto e, quindi, come licenziamento con conseguente applicazione di tutta la relativa disciplina, ivi compresa la disposizione dell’art. 6, L. n. 604/1966. (Trib. Milano 11/4/2002, Est. Di Ruocco, in Lav. nella giur. 2003, 189)
  156. Sono manifestamente inammissibili, per difetto di rilevanza e per difetto di motivazione sulla stessa, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9, 21° comma, d.l. 1/10/96, n. 510, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, 1° comma, l. 28/11/96, n. 608, nella parte in cui prevede, per i lavoratori con contratto a tempo determinato assunti dall’Ente poste italiane non oltre il 30/6/97, un trattamento discriminatorio rispetto a quello dei lavoratori dipendenti da altri datori di lavoro, ledendo spazi riservati all’autonomia collettiva, in riferimento agli artt. 3 e 39 Cost.; sono infondate le questioni di legittimità costituzionale della stessa norma, nella parte in cui esclude che le assunzioni di personale con contratto di lavoro a tempo determinato, effettuate dall’Ente poste italiane non oltre il 30/6/97, possano dar luogo a rapporti di lavoro a tempo indeterminato, in riferimento agli artt. 3, 4, 24, 35, 39, 41, 77, 101, 102 e 104 Cost. (Corte cost. 13/10/00, n. 419, pres. Mirabelli, est. Marini, in Foro it. 2001, I, 1087; in Lavoro giur. 2001, pag. 33, con nota di Casadio, Legittimità a tempo ed eccezionale dei contratti a termine nelle Poste Italiane s.p.a.; in Riv. Giur. Lav. 2001, pag. 33)
  157. Nel settore del turismo e dei pubblici servizi è legittima l’assunzione a termine di manodopera per servizi speciali di durata giornaliera solo ove tali evenienze si presentino con caratteristiche quantitative e qualitative particolari e tali da generare esigenze non suscettibili di essere soddisfatte con l’organico stabile (Trib. Roma 24/3/00, est. Di Sario, in Riv. it. dir. lav. 2001, pag. 320, con nota di Bartalotta, Il contratto a termine “a giornata”)
  158. E’ inammissibile ai sensi dell’art. 75, 2° comma, Cost. il referendum abrogativo dell’art. 1 L. 18/4/62 n. 230, che vincola a condizioni oggettive e determinate la facoltà di apporre un termine al contratto di lavoro, poiché l’abrogazione di tale norma esporrebbe lo Stato italiano a responsabilità per violazione degli impegni assunti in sede comunitaria e derivanti dalla direttiva 1999/70/CE del 28/6/99 che impone a ogni stato membro di regolamentare e limitare il ricorso al contratto di lavoro a termine secondo i criteri ivi espressi e già contenuti nella norma da abrogare (Corte Cost. 7 febbraio 2000 n. 41, pres. Vassalli, rel. Bile, in D&L 2000, 310, n. Paganuzzi, Referendum e contratti a tempo determinato)
  159. Si trasforma in contratto a tempo indeterminato ai sensi dell’art. 2, 2° comma, L. 18/4/62 n. 230, con conseguente illegittimità del recesso intimato per asserita scadenza del termine, un contratto a termine stipulato fittiziamente come contratto a part-time verticale, qualora il part-time sia nullo per mancata indicazione della distribuzione temporale della prestazione e il contratto stesso preveda di conseguenza due distinti rapporti a termine, il secondo dei quali insorga prima del termine di quindici giorni dalla fine del precedente (Trib. Milano 29 gennaio 2000, pres. Mannacio, est. Gargiulo, in D&L 2000, 366)
  160. Le cosiddette punte stagionali (dovute al maggior flusso di clientela in determinati periodi dell’anno) nonché le esigenze determinate da ferie dei dipendenti non possono essere considerate evento straordinario od occasionale che determina esigenze inconsuete ed imprevedibili tali da sfuggire alla normale programmazione imprenditoriale (Corte Appello Genova 7/11/00, pres. Russo, est. Meloni, in Lavoro e prev. oggi 2001, pag 150, con nota di Viceconte, L’uso delle varie tipologie di contratto a tempo determinato)
  161. Lo svolgimento successivo nel tempo (nel caso alternativamente in anni successivi) di contestuali esigenze straordinarie prima da parte di personale in organico e quindi di personale assunto con contratto a termine deve trovare adeguata giustificazione da parte del datore di lavoro e ove non sia chiaramente desumibile se i lavoratori assunti con contratto a tempo determinato siano stati adibiti alle mansioni connesse alle esigenze straordinarie il termine apposto deve considerarsi nullo e i contratti devono essere considerati a tempo indeterminato (Corte Appello Genova 7/11/00, pres. Russo, est. Meloni, in Lavoro e prev. oggi 2001, pag 150, con nota di Viceconte, L’uso delle varie tipologie di contratto a tempo determinato)
  162. Ai sensi dell’art. 1, 3° comma, L. 18/4/62 n. 230, nel caso in cui il contratto di lavoro subordinato contenente l’apposizione del termine venga stipulato successivamente all’effettivo inizio del rapporto, consegue la nullità del termine, nonché, nell’ipotesi di risoluzione del rapporto per scadenza del medesimo termine tardivamente apposto, il diritto del lavoratore alla riammissione in servizio e al pagamento delle retribuzioni medio tempore maturate (Pret. Milano 24 febbraio 1999, est. Frattin, in D&L 1999, 339)
  163. In caso di più contratti a termine, la nullità del termine apposto al primo contratto comporta la conversione a tempo indeterminato del rapporto, ma la retribuzione per i periodi non lavorati e per il periodo successivo alla definitiva cessazione del rapporto spetta solo qualora il lavoratore abbia offerto la propria prestazione di lavoro (Pret. Parma 27/11/98, est. Vezzosi, in D&L 1999, 329)
  164. Va esclusa l’applicabilità del regime di decadenza stabilito dall’art. 6, L. 15/7/66 n. 604, all’ipotesi di impugnazione del termine apposto al contratto di lavoro effettuata per sostenere la conversione di quest’ultimo in contratto a tempo indeterminato (Pret. Milano 3/2/98, est. Porcelli, in D&L 1998, 675)
  165. In caso di conversione di più contratti di lavoro a termine in un unico contratto a tempo indeterminato fin dall’origine, gli eventuali intervalli lavorativi tra l’uno e l’altro contratto sono valutabili come sospensioni concordate del rapporto, inutilizzabili pertanto sul piano dell’anzianità di servizio (Pret. Roma 20/7/96, est. Cannella, in D&L 1997, 306)
  166. Ai sensi dell’art. 1 c. 3 L. 230/62, nel caso in cui il contratto di lavoro subordinato contenente l’apposizione del termine venga stipulato per iscritto successivamente all’inizio della prestazione lavorativa, deve ritenersi che il rapporto di lavoro sia sorto sin dall’origine a tempo indeterminato; l’atto scritto intervenuto successivamente, nel quale sia previsto un termine finale del rapporto, non può infatti avere l’effetto di rendere a tempo determinato un rapporto già sorto a tempo indeterminato (Pret. Chiavari 23/10/95, est. Barenghi, in D&L 1996, 139)
  167. Il requisito della forma scritta ad substantiam, imposta per la determinazione della durata del rapporto a termine, non si estende all’enunciazione delle particolari situazioni di fatto che lo giustificano (Cass. 8/7/95 n. 7507, pres. Donnaruma, est. Miani, in D&L 1996, 119, nota MUGGIA, Il contratto a termine ovvero il rigore apparente)

 

 

Sostituzione lavoratori assenti

  1. Nulla l’assunzione a termine in sostituzione di dipendente assente, se non può mai essere eseguita per divieto delle mansioni in gravidanza.
    La vicenda riguarda una psichiatra che, dopo aver sottoscritto con una ASL un contratto a tempo determinato per la sostituzione di un medico assente nel reparto di psichiatria, pochi giorni prima della data di inizio del rapporto di lavoro aveva comunicato il proprio stato di gravidanza all’azienda, che, appresa la notizia, aveva deciso di annullare la delibera di conferimento dell’incarico, in quanto il disposto dell’art. 7, d.lgs. 151/11, All. A, punto L – che vieta, tra l’altro, l’assegnazione, durante la gravidanza, di mansioni di assistenza e cura di soggetti affetti da malattie mentali – avrebbe impedito alla lavoratrice di svolgere le mansioni per le quali era stata assunta. La Cassazione, nel confermare il rigetto della domanda di reintegrazione della ricorrente, osserva che il ricorrere fin dal primo giorno di lavoro di un impedimento, connesso a un divieto normativo, destinato a perdurare per tutta la durata del rapporto, determina un vizio originario e radicale del contratto, vista l’impossibilità giuridica (dell’oggetto), oltre che l’illiceità (della causa), di attuare il programma negoziale in esso incorporato; vizio integrante la nullità del contratto ai sensi dell’art. 1418, co. 2, c.c. A fronte di tale nullità di natura obbiettiva, la ASL ha giustamente, secondo la corte, ritenuto di non far iniziare il rapporto di lavoro e poi di rifiutare l’attuazione del contratto. (Cass. 13/6/2023 n. 16785, ord., Pres. Manna Rel. Bellè, in Wikilabour, Newsletter n. 13/2023)
  2. In tema di assunzione a termine per ragioni di carattere sostitutivo, nelle situazioni aziendali complesse, in cui la sostituzione non è riferita a una singola persona, ma a una funzione produttiva specifica, l’apposizione del termine è legittima se l’enunciazione dell’esigenza di sostituire lavoratori assenti – da sola insufficiente ad assolvere l’onere di specificazione delle ragioni stesse – risulti integrata da elementi ulteriori (quali l’ambito territoriale di riferimento, il luogo della prestazione, le mansioni dei lavoratori da sostituire, il diritto degli stessi alla conservazione del posto) che consentano di determinare il numero dei lavoratori da sostituire, ancorché non identificati nominativamente. (Cass. 2/5/2013 n. 10260, Pres. Roselli Rel. Bronzini, in Lav. nella giur. 2013, 740)
  3. Posto che nelle “ragioni sostitutive” sono ricompresi tutti i casi in cui vi è l’esigenza di sostituire uno o più lavoratori, la specificazione di tali motivi implica necessariamente sia l’indicazione del lavoratore o dei lavoratori da sostituire, che delle cause della loro sostituzione. Nel caso di sostituzione per maternità, come nel caso di sostituzione per malattia, non è necessario che il datore di lavoro individui il limite temporale dell’assunzione con l’indicazione di una specifica data, risultando detto limite intrinsecamente correlato alla ragione della sostituzione e, conseguentemente, coincidente con il verificarsi di quell’unico e specifico evento rappresentato dal rientro del lavoratore sostituito. (Trib. Milano 25/10/2011, Giud. Colosimo, in Lav. nella giur. 2012, 197)
  4. E’ infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 1, 1° comma, e 11 D.Lgs. 6/9/01 n. 368, sollevata con riferimento agli artt. 76, 77 e 117, 1° comma, Cost., posto che, in ipotesi di contratto a termine per ragioni sostitutive, il datore di lavoro ha l’onere, ai sensi dell’art. 1, 2° comma del medesimo D.Lgs., di indicare il nome del lavoratore o dei lavoratori sostituiti e le ragioni della sostituzione giacché solo così l’onere di specificazione previsto dalla norma può assicurare la trasparenza e la veridicità della causa dell’apposizione del termine e l’immodificabilità della stessa nel corso del rapporto; ne segue che, non comportando la novella legislativa alcun mutamento rispetto alla L. 18/4/62 n. 230 (che tale obbligo di indicazione conteneva) non si ha violazione né della legge delega, né della clausola di non regresso contenuta nella direttiva 1999/70/Ce. (Corte Cost. 8/7/2009 n. 214, Pres. Amirante, in D&L 2009, con nota di Alberto Guarino, “Non si chiude ancora definitivamente la partita sul contratto a termine acausale”, 657)
  5. In tema di assunzioni a termine regolate dall’art. 23, L. 28 febbraio 1987, n. 56, stante il principio di tassatività della forma, l’omessa indicazione del nominativo del lavoratore sostituito non comporta nullità del contratto per difetto di forma, né la conseguente convesrione del rapporto di lavoro in rapporto a tempo indeterminato, in quanto la nullità per difetto di forma prevista dalla legge non è applicabile al rapporto ad substantiam. (Cass. 5/9/2008 n. 22512, Pres. Mercurio Est. Maiorano, in Lav. nella giur. 2009, 75)
  6. A seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 44/2008 deve considerarsi fuori delega, per eccesso rispetto alla Direttiva comunitaria 1999/70/CE, nonché rispetto alla legge 29 dicembre 2000, n. 422, sia l’abrogazione della l. n. 230/1962, intervenuta con l’art. 11, d.lgs. n. 368/2001, sia le successive integrazioni al decreto adottate per i contratti a termine stipulati da imprese concessionarie di servizi postali dall’art. 1, comma 558, legge 23 dicembre 2005, n. 266, posto che, secondo una interpretazione adeguatrice, l’illegittimità della prima non può che estendersi anche alle seconde. (Trib. Trani 6/5/2008, Giud. La Notte Chirone, in Riv. it. dir. lav. 2009, con nota di Maddalena Rosano, “Effetti e ‘miraggi’ provocati dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 44/2008 sulla tenuta della legislazione italiana in tema di contratto a termine”, 55)
  7. Alla luce della decisione della C. Cost. n. 44/2008, è non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 11 del d.lgs. n. 368/2001 per violazione degli artt. 76 e 77 Cost., posto che, pur non essendo il governo a ciò delegato, nel dettare le ipotesi di accesso al contratto a termine per ragioni sostitutive, ha eliminato la condizione della specificazione del nome del soggetto sostituito. (Trib. Trani 21/4/2008, ord., Giud. La Notte Chirone, in Riv. it. dir. lav. 2009, con nota di Maddalena Rosano, “Effetti e ‘miraggi’ provocati dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 44/2008 sulla tenuta della legislazione italiana in tema di contratto a termine”, 55)
  8. In caso di assunzione con contratto a tempo determinato per sostituzione di lavoratrice in maternità, la prosecuzione del rapporto di lavoro a termine anche dopo le dimissioni della lavoratrice sostituita – e quindi dopo che era venuta meno la ragione della stipulazione del contratto a tempo determinato – comporta l’instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con decorrenza dalla data delle dimissioni. (Trib. Milano 9/3/2007, Est. Sala, in Lav. nella giur. 2007, 1260)
  9. Con riferimento all’assunzione a termine per sostituzione di lavoratori assenti per ferie, consentita dal contratto collettivo applicabile ai dipendenti postali, non rientra nella nozione di fatto notorio l’assenza di lavoratori per ferie nel periodo estivo in una determinata sede postale. (Cass. 7/3/2005 n. 4862, Pres. Ianniruberto, Est. Balletti, in Orient. Giur. Lav. 2005, 105)
  10. La ragione sostitutiva, che giustifica ex art. 1 D.Lgs. 6/9/01 n. 368 l’assunzione di persone a tempo determinato, deve essere specificatamente indicata, in modo da consentire l’individuazione del personale che l’assunto a termine deve sostituire, a maggior ragione in una struttura aziendale numerosa e terribilmente vasta. (Trib. Milano 21/4/2004, Est. Sala, in D&L 2004, 319)
  11. L’assunzione a termine per sostituzione di lavoratore assente per ferie, prevista dalla contrattazione collettiva, deve rispondere necessariamente a tutti i requisiti indicati dall’art. 1, 2° comma, L. 15/4/62 n. 230 ,e, pertanto, la lettera di assunzione deve contenere il nominativo del dipendente da sostituire ed il periodo della sostituzione. (Cass. 1/12/2003 n. 18354, Pres. Ciciretti Est. Filadoro, in D&L 2004, 67)
  12. Nel caso di decesso del dipendente sostituito è inammissibile la proroga di un contratto di lavoro a tempo determinato per sostituire un diverso lavoratore assente per malattia (Trib. Milano 28/111/95, pres. Mannacio, est. Gargiulo, in D&L 1996, 422)

 

 

Turismo e pubblici servizi

  1. Nei settori del turismo e dei pubblici servizi in cui, ai sensi dell’art. 23 della L. n. 56 del 1987, è ammessa l’assunzione diretta di manodopera per prestazioni di durata non superiore a un giorno, deve ritenersi legittima la stipulazione di un contratto a termine soltanto quando lo speciale servizio previsto dalla norma collettiva attuativa del citato art. 23, la durata giornaliera del servizio stesso e l’adibizione del lavoratore alla sua esecuzione integrino la causa del contratto, specificandosi che, nel caso di necessità di assunzione di personale aggiuntivo rispetto a quello impiegato ogni giorno nei servizi ordinari (anche se le assunzioni giornaliere di uno stesso lavoratore siano reiterate nel tempo), deve escludersi la configurabilità di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato allorché nell’intervallo fra singole prestazioni il lavoratore non abbia l’obbligo di tenersi a disposizione del datore di lavoro e, chiamato per la singola prestazione giornaliera, abbia la facoltà di rifiutare. (Cass. 21/3/2006 n. 6245, Pres. Sciarelli Rel. Balletti, in Lav. Nella giur. 2006, 912)
  2. Gli speciali servizi che, nei settori del turismo e dei pubblici servizi, giustificano l’assunzione diretta di manodopera per la durata di un giorno, non necessariamente debbono essere eccezionali ed imprevedibili ma possono essere anche prevedibili e programmabili, purché non quotidiani o con caratteristiche sempre uguali. (Cass. 12/3/2004 n. 15946, Pres. Senese Rel. Roselli, in Lav. nella giur. 2005, con commento di Paola Nodari, 142)
  3. In caso di assunzione del lavoratore per “speciali servizi di durata non superiore ad un giorno” di cui all’art. 10 D.Lgs. 6/9/01 n. 368, non è ammissibile lo “scorrimento” di mansioni con lavoratori che siano addetti ad altri servizi, posto che il servizio speciale deve essere la causa e l’esecuzione del contratto; sussistendo tale condizione il contratto è legittimo anche qualora gli speciali servizi siano periodicamente programmati dall’impresa ed anche qualora a detti servizi il datore di lavoro possa provvedere con il normale organico. (Cass. 17/5/2002 n. 7468, Pres. Mileo Est. Cuoco, in D&L 2002, 609, con nota di Stefano Chiusolo, “La riforma del contratto di lavoro a termine”)
  4. Non si può considerare lavoratore “extra” ai sensi dell’art. 23, 3° comma, l. 28/2/87, n. 56, chi venga impiegato senza rispettare i requisiti di legittimità, fissati dalla legge e dalla contrattazione collettiva per l’assunzione del personale “extra”, della durata al massimo giornaliera della prestazione e della necessità determinata dall’esecuzione di speciali servizi. La specialità dei servizi – che non è straordinarietà – è legata alla non prevedibilità del fabbisogno di ogni specifico evento e non anche alla non prevedibilità dell’evento stesso. Tali contratti della durata di un giorno devono comunque considerarsi species del genere dei contratti a termine dai quali, però, si distinguono, presupponendo una diversa durata e diverse ipotesi di ammissibilità: per tale motivo, comunque, si estende nei confronti di tali contratti di durata giornaliera la disciplina prevista per i contratti a tempo determinato. Dal riconoscimento del mancato rispetto dei requisiti previsti dalla legge e dalla contrattazione collettiva in tema di assunzioni giornaliere, deriva, perciò, la trasformazione dei successivi rapporti a termine in un unico rapporto di lavoro subordinato a tempo determinato. ( Trib. Roma 17/12/99, pres. e est. Martoni, in Riv. Giur. Lav. 2001, pag. 88, con nota di Casamento, Il lavoro “extra” e Trib. Roma 19/1/00, pres. e est. Di Sario, in Riv. Giur. Lav. 2001, pag. 88, con nota di Casamento, Il lavoro “extra”)

 

 

Contrattazione collettiva

  1. L’art. 23 della L. 28 febbraio 1987, n. 56 (poi abrogato dalla L. n. 368/2001), ha operato una sorta di “delega in bianco” alla contrattazione collettiva quanto alla individuazione di ipotesi ulteriori di legittima apposizione di un termine al rapporto di lavoro subordinato. Siffatta individuazione di ipotesi aggiuntive può essere operata anche direttamente, attraverso l’accertamento da parte dei contraenti collettivi di determinate situazioni di fatto e la valutazione delle stesse come idonea causale del contratto a termine, senza necessità di un accertamento a posteriori in ordine alla effettività delle stesse. (Cass. 19/10/2012 n. 18028, Pres. Lamorgese Est. Ianniello, in Lav. nella giur. 2013, 92)
  2. In materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del CCNL 26 novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente e alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998; ne consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con la ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti a tempo indeterminato, in forza dell’art. 1, l. 18 aprile 1962, n. 230 (Cass. 23/3/2011 n. 6636, Pres. Lamorgese Rel. Meliadò, in Lav, nella giur. 2011, 629)
  3. In un sistema improntato alla libera pattuibilità della causale di assunzione a termine, la clausola di contingentamento rinforza la sua funzione di contrappeso e la sua violazione determina la conversione del contratto a tempo a tempo determinato in un contratto a tempo indeterminato. (Trib. Milano 3/3/2011, Giud. Visonà, in Lav. nella giur. 2011, 635)
  4. In materia di assunzione a termine di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del CCNL 26 novembre 1994 e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente e alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con la ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti a tempo indeterminato, in forza della l. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1. (Cass. 18/2/2011 n. 4059, Pres. Lamorgese Rel. Nobile, in Lav. nella giur. 2011, 521)
  5. In tema di assunzioni a termine dei lavoratori subordinati, l’art. 23 della L. 28 febbraio 1987, n. 56 ha esteso l’ambito dei contratti a termine “autorizzati”, consentendo anche alla contrattazione collettiva (nazionale o locale, con esclusione di quella aziendale) di individuare nuove ipotesi di legittima apposizione di un termine al contratto di lavoro. Ne risulta, quindi, una sorta di “delega in bianco” a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo questi vincolati alla individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle già previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della disciplina generale in materia e inserendosi nel sistema da questa delineato. Ne consegue che l’applicazione di questa disposizione non si sottrae alla sanzione della conversione (del rapporto di lavoro a termine) in rapporto a tempo indeterminato e non deroga al principio dell’onere della prova a carico del datore di lavoro. (Nella specie, la S.C., nel confermare la sentenza impugnata, ha osservato che, in materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, l’accordo sindacale 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del Ccnl 26 novembre 1994, aveva previsto la possibilità di contratti a termine sino al 31 gennaio 1998, con successiva proroga al 30 aprile 1998, inragione della trasformazione giuridica dell’ente e della conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, e ha dunque escluso la legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998, con relativa trasformazione degli stessi contratti a tempo indeterminato, in forza dell’art. 1 della legge 18 aprile 1962, n. 230). (Cass. 4/8/2008 n. 21062, Pres. Senese Est. Nobile, in Lav. nella giur. 2009, 75, e in Dir. e prat. lav. 2009, 460)
  6. Ai sensi dell’art. 11 D.Lgs. 6/9/01 n. 368, il termine apposto al contratto di lavoro può essere giustificato in base alle clausole dei contratti collettivi stipulate ai sensi dell’art. 23 L. 28/2/87 n. 56 solo fino alla scadenza dei contratti medesimi, e ciò in quand’anche il contratto collettivo prevedesse il proprio rinnovo automatico in mancanza di preventiva disdetta. (Trib. Milano 10/10/2007, Est. Porcelli, in D&L 2008, con nota di Barbara Fezzi, “Illegittimità dell’apposizione del termine a un contratto di lavoro e trasformazione in rapporto a tempo indeterminato”, 153)
  7. Qualora il Ccnl stabilisca una percentuale massima di lavoratori che possono lavorare contemporaneamente assunti a tempo determinato rispetto alla forza lavoro occupata a tempo indeterminato, i dipendenti assunti con contratto a termine in numero superiore rispetto alla percentuale devono essere computati ai fini del raggiungimento del requisito dimensionale di cui all’art. 18 SL per l’applicazione del regime di tutela. (Trib. Milano 19/10/2006, est. Mennuni, in D&L 2007, con nota di Giuseppe Bulgarini d’Elci, “Breve rassegna in tema di modalità di calcolo dei dipendenti ai fini dell’art. 18 SL”, 229)
  8. L’art. 23 della L. 28 febbraio 1987, n. 56, che demanda alla contrattazione collettiva la possibilità di individuare – oltre le fattispecie tassativamente previste dalla legge – nuove ipotesi di apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una vera e propria “delega in bianco” a favore dei sindacati, i quali, pertanto, senza essere vincolati alla individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge, possono legittimare il ricorso al contratto di lavoro a termine per causali di carattere oggettivo e anche – alla stregua di esigenze riscontrabili a livello nazionale o locale – per ragioni di tipo meramente “soggettivo”, costituendo l’esame congiunto delle parti sociali sulla necessità del mercato idonea garanzia per i lavoratori per un’efficace salvaguardia dei loro diritti. (Nella specie, sulla scorta dell’enunciato principio, la S.C. ha confermato la decisione di merito che, avuto riguardo all’interpretazione dell’art. 8 del contratto collettivo del 26 novembre 1994 relativo all’assunzione a termine di dipendenti postali, aveva ritenuto non richiesto, per la legittimità dell’assunzione a termine, che il lavoratore fosse stato assunto per la sostituzione di un dipendente normativamente indicato e che venisse indicata la causa specifica della sostituzione, ma soltanto che l’assunzione ex art. 8 del CCNL fosse stata necessitata da esigenze di espletamento del servizio che non potevano essere soddisfatte in conseguenza delle assenze per ferie del personale nel periodo giugno-settembre). (Cass. 9/8/2006 n. 17957, Pres. Mercurio Est. Stile, in Lav. nella giur. 2007, 203)
  9. Le assunzioni disposte ai sensi dell’art. 23 della legge 28 febbraio 1987 n. 56, che demanda alla contrattazione collettiva la possibilità di individuare nuove ipotesi di apposizioni di un termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una vera e propria “delega in bianco” a favore dei sindacati, i quali, pertanto, senza essere vincolati alla individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge, possono legittimare il ricorso al contratto di lavoro a termine per causali di carattere “oggettivo” e anche, alla stregua di esigenze riscontrabili a livello nazionale o locale, per ragioni di tipo meramente “soggettivo”, consentendo l’assunzione di speciali categorie di lavoratori, costituendo anche in questo caso l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro garanzia per i suddetti lavoratori e per una efficace salvaguardia dei loro diritti. (Cass. Sez. Un. 2/3/2006 n. 4588, Pres. Carbone Rel. Vidimi, in Lav. Nella giur. 2006, con commento di Paola Nodali, 781)
  10. La contrattazione collettiva può ben individuare nuove ipotesi che consentono la stipula di contratti di lavoro subordinato a tempo determinato senza per questo capovolgere il rapporto di regola-eccezione tra contratto a termine e contratto a tempo indeterminato. (Cass. 10/1/2006 n. 167, Pres. Ianniruberto Rel. Di Cerbo, in Lav. Nella giur. 2006, 699)
  11. Con riferimento alla previsione di esigenze eccezionali, conseguenti alla fase di ristrutturazione, contenuta nel contratto del 25 settembre 1997 dei dipendenti postali, integrativo del CCNL del 26 novembre 1994, legittimanti le assunzioni a termine (in fattispecie sottratta “ratione temporis” al D.Lgs. n. 638 del 2001), l’attribuzione alla contrattazione collettiva, ex art. 23 della legge n. 56 del 1987, del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine, rispetto a quelli previsti dalla legge n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulla necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti e prescinde, pertanto, dalla necessità che – anche quando le nuove ipotesi di contratto a termine siano dotate di particolare ampiezza – la norma contrattuale abbia, di per sé, una efficacia temporale limitata, atteso che l’autonomia sindacale non trova limite nella legge con riferimento alla tipologia e all’ambito temporale di operatività delle ipotesi di contratti a termine da introdurre. (Cass. 21/3/2005 n. 6029, Pres. Sciarelli Est. Balletti, in Orient. Giur. Lav. 2005, 114)
  12. Nei contratti a termine cosiddetti “extra” (di personale extra organico) che sono regolati dall’art. 23, 3° comma, della legge 56/87 che prevede la possibilità di assunzione per periodi non superiori a tre giorni (non superiori a un giorno prima della modificazione introdotta con l’art. 54 legge 488/98) per “servizi speciali” individuati dalla contrattazione collettiva, poiché questa parla specificatamente di esigenze per le quali non si può sopperire con il normale organico e ancora di presenze straordinarie e non prevedibili, deve trattarsi proprio di eventi non prevedibili e comunque straordinari. (Pret. Milano 28/1/2005, Est. Atanasio, in Orient. Giur. Lav. 2005, 91)
  13. È consentito alla contrattazione collettiva, in forza dell’art. 23, L. n. 56/1987 ed in assenza di limiti testuali, introdurre fattispecie ampiamente derogatorie della rigida disciplina generale del contratto a termine quale quella prevista da contratti e accordi collettivi dei dipendenti della società Poste Italiane per la fase di ristrutturazione e di rimodulazione degli assetti occupazionali in corso. A condizione, tuttavia, che l’ampiezza della deroga e la omessa indicazione di un termine di durata della ristrutturazione non si traduca di fatto nell’indeterminata sospensione dell’intero regime ordinario delle assunzioni da effettuarsi e, quindi, nel capovolgimento del rapporto – legislativamente previsto – tra regola (contratto a tempo indeterminato) ed eccezione (contratto a termine). (Corte d’appello Milano 13/12/2004, Pres. De Angelis Rel. Accardo, in Lav. nella giur. 2005, 695)
  14. L’art. 23 L. 28/2/87 n. 56 ha conferito ai contraenti collettivi una “delega in bianco” per l’istituzione di nuove tipologie di contratti a termine, del tutto svincolate dalle ipotesi già previste dalla L. 18/4/62 n. 230; ne consegue che non può essere dichiarata la nullità di una clausola contrattuale stipulata ai sensi dell’art. 23 cit. per il solo fatto che la causale ivi prevista sia generica ed applicabile senza limiti di tempo (nella specie il Giudice di merito aveva affermato la nullità, sotto tali profili, dell’accordo integrativo 25/9/97 per i dipendenti Poste Italiane). È corretta l’interpretazione del giudice di merito secondo la quale gli accordi integrativi del Ccnl Poste Italiane stipulati in data 25/9/97, 16/1/98 e 27/4/98, laddove prevedono la possibilità di assunzioni a termine per esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione dell’Ente, sono sottoposti al termine finale di efficacia del 30/4/98; conseguentemente le assunzioni a termine successive a tale data devono ritenersi effettuate al di fuori della previsione di legge. (Cass. 23/12/2003 n. 19695, Pres. Ciciretti Rel. La Terza , in D&L 2004, 74)
  15. In caso di contratto a termine stipulato per la sostituzione di lavoratore in ferie, nel caso in cui tale ipotesi sia prevista dal Ccnl applicato, deve essere indicato per iscritto, al momento dell’assunzione, il nominativo del lavoratore sostituito, pena la conversione in contratto a tempo indeterminato (Trib. Milano 25 maggio 2000, est. Atanasio, in D&L 2000, 955)
  16. Gli accordi collettivi, stipulati ai sensi dell’art. 23 L. 28/2/87 n. 56, per l’individuazione di ulteriori ipotesi di contratti a termine per i dipendenti di Poste Italiane Spa, ed autorizzati già dall’art. 8 Ccnl 26/11/94 – ossia le successive integrazioni di quest’ultimo in data 25/9/97, 16/1/98 e 27/4/98 – sono fondati sulla necessità di continuare a consentire la ristrutturazione dell’azienda e la rimodulazione degli assetti occupazionali in ragione dell’introduzione di nuovi processi produttivi nonché della sperimentazione di nuovi servizi, ma individuano esplicitamente il terminale finale del 30/5/98 per la stipulazione in base a tale causale di contratti a termine; pertanto detta causale non può considerarsi applicabile a contratti stipulati dopo tale data, indipendentemente dal fatto che non si sia compiuta la complessa organizzazione di ristrutturazione. (Corte d’Appello Firenze 7/5/2002, Pres. Bartolomei Est. Amato, in D&L 2002, 605)
  17. Le ipotesi in cui possono legittimamente instaurarsi contratti di lavoro a tempo determinato ai sensi dell’art. 23, l. n. 56/87 debbono essere previsti in contratti collettivi di natura “normativa” e non “gestionale”. Ne consegue la nullità dell’apposizione del termine qualora i contratti a termine siano stati stipulati in virtù delle previsioni di un contratto collettivo gestionale (Trib. Rovigo 14/3/00, est. Pauletti, in Riv. Giur. Lav. 2001, pag. 174, con nota di Ghirardi, Note su contratto a termine, contratto collettivo gestionale e condizione risolutiva del contratto di lavoro)
  18. L’identificazione della fattispecie in cui è consentita, ex art. 23, L. n. 56/1987, l’assunzione dei lavoratori subordinati con contratto di lavoro a termine va effettuata avendo riguardo al contratto collettivo applicabile al rapporto, che reca la specifica previsione delle ipotesi nelle quali, in considerazione delle particolari esigenze di settore, è apponibile il termine (Nella specie-alla quale, ratione temporis, non era applicabile il D.Lgs. n. 368/2001- la S.C. ha confermato la sentenza di merito, che aveva fatto riferimento alle specifiche ipotesi di assunzione a termine previste dall’art. 25 Ccnl del 1995 per il settore tessile, escludendo la possibilità di avere riguardo all’art. 10 dell’accordo interconfederale del 1988, in quanto quest’ultimo recava una clausola meramente programmatica in materia di contratti di lavoro a termine). (Cass. 28/1/2003, n. 1255, Pres. Sciarelli, Rel. Balletti, in Lav. nella giur. 2003, 572)
  19. Il contratto collettivo in quanto fonte normativa, potendo introdurre nuove ipotesi di contratto a tempo determinato ex art. 23, l. n. 56/87, deve necessariamente avere i requisiti della generalità ed astrattezza ed è a garanzia di tali requisiti la previsione della indicazione della percentuale dei lavoratori da assumere (Corte Appello Genova 7/11/00, pres. Russo, est. Meloni, in Lavoro e prev. oggi 2001, pag 150, con nota di Viceconte, L’uso delle varie tipologie di contratto a tempo determinato)
  20. E’ legittima l’apposizione di un termine al contratto di lavoro stipulato (con le Poste Italiane Spa) ai sensi dell’art. 23 L. 28/2/87 n. 56, laddove ricorra effettivamente l’ipotesi, al riguardo prevista dal contratto collettivo applicabile, di una trasformazione e ristrutturazione della società datrice di lavoro (Trib. Milano 5 maggio 2000, est. Muntoni, in D&L 2000, 731)
  21. La delega alle parti collettive per l’individuazione di ipotesi ulteriori di contratto a termine e per la determinazione della percentuale di assunzioni a termine rispetto a quelle a tempo indeterminato deve essere esercitata nel quadro logico dei principi ispiratori dell’istituto stesso del contratto a termine (nella fattispecie, sono da considerare illegittime le assunzioni a termine previste da un contratto collettivo aziendale e in assenza di limite percentuale, per gestire la fase di sperimentazione di un nuovo servizio di call center) (Trib. Milano 30/3/00, est. Muntoni, in Riv. it. dir. lav. 2001, pag. 326, con nota di Lazzarini, Rapporti tra legge e contrattazione collettiva nell’individuazione di nuove ipotesi di assunzione a termine; in D&L 2000, 719)
  22. Nel caso di stipulazione di un contratto di lavoro a termine ex art. 23 L. 28/2/87 n. 56, la presenza dei presupposti di fatto che legittimano l’apposizione del termine rappresenta la condizione di legittimità di tale contratto; in caso contrario, l’apposizione del termine è nulla e il rapporto deve essere considerato a tempo indeterminato (Trib. Milano 31 luglio 1999, pres. ed est. Gargiulo, in D&L 2000, 149)
  23. L’ipotesi prevista dall’art. 5 del Ccnl della Telecom Italia Spa, che ha introdotto, in forza dell’art. 23 L. 28/2/87 n. 56, la possibilità di assunzione a tempo determinato di lavoratori nel caso di “incrementi di attività in dipendenza di eventi eccezionali o di esigenze produttive particolari e di carattere temporaneo che non sia possibile soddisfare con il normale organico” non ricorre quando l’attività dei servizi cui sono stati adibiti i lavoratori assunti a termine risulti addirittura ridotta (Trib. Milano 10/7/99, pres. Ruiz, est. de Angelis, in D&L 1999, 852)
  24. Il Ccnl del 1995 del settore tessile, nel disciplinare, secondo quanto consentito dall’art. 23 L. 28/2/87 n. 56, le ipotesi “ulteriori” in cui è consentita l’apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro implicitamente esclude, nel medesimo settore, la perdurante vigenza in materia di discipline collettive previgenti anche di diverso livello (Pret. Monza 5/7/99, est. Gasparini, in D&L 1999, 848)
  25. L’ipotesi prevista dall’art. 61 Ccnl Turismo e Pubblici esercizi ha introdotto, in forza dell’art. 23 L. 28/2/87 n. 56, la possibilità di assumere a tempo determinato lavoratori nel caso di “esigenze per le quali non sia possibile sopperire con un normale organico, quali meeting, convegni, fiere, congressi, presenze straordinarie e non prevedibili di gruppi nonché eventi similari” non ricorre quando l’assunzione di lavoratrici a termine sia stata effettuata per soddisfare esigenze aziendali normali, quali la sostituzione di lavoratrici in malattia o in permesso, o del tutto prevedibili (Trib. Milano 2/7/99, est. Negri della Torre, in D&L 1999, 850)
  26. Costituisce condizione di legittimità del termine finale apposto al contratto di lavoro, nelle ipotesi previste dalla contrattazione collettiva ai sensi dell’art. 23 L. 28/2/87 n. 56, la presenza dei presupposti di fatto cui il contratto collettivo subordina la legittimità dell’apposizione del termine, in mancanza dei quali l’apposizione del termine è nulla e il contratto rientra nell’ordinario regime a tempo indeterminato (Trib. Milano 30/4/99, pres. ed est. Gargiulo, in D&L 1999, 557)
  27. E’ illegittima l’apposizione del termine a un contratto di lavoro, nel caso in cui risulti mancante la ragione giustificatrice del termine, contemplata da una norma collettiva ex art. 23 L. 28/2/87 n. 56 (Trib. Milano 17/4/99, pres. Gargiulo, est. de Angelis, in D&L 1999, 554)
  28. In caso di contratto a termine stipulato in forza di un’ipotesi introdotta dalla contrattazione collettiva, in applicazione dell’art. 1 L. 28/2/98 n. 56, spetta al datore di lavoro dimostrare la sussistenza dell’evento legittimante il ricorso al contratto a termine al di fuori delle ipotesi di legge, pena l’illegittimità dell’apposizione del termine (Trib. Milano 20/1/99, pres. Ruiz, est. de Angelis, in D&L 1999, 327)
  29. E’ nullo il termine apposto al contratto di lavoro stipulato in mancanza degli obblighi di comunicazione e verifica preventiva di cui all’Accordo interconfederale che ne costituisce normativa di riferimento ex art. 23 L. 28/2/87 n. 56 (Pret. Parma 27/11/98, est. Vezzosi, in D&L 1999, 329)
  30. L’accordo aziendale che, in base alla previsione dell’art. 23 della L. 28/2/87 n. 56, autorizzi il ricorso ad assunzioni a termine, deve specificare la singola esigenza che lo giustifica; a tale scopo non è sufficiente la semplice indicazione di un fine di incremento della produzione che, in quanto obiettivo di portata generale e normalmente perseguibile con l’incremento della forza lavoro, non giustifica la necessità per cui le assunzioni debbano essere a termine (Trib. Milano 6/5/98, pres. Ruiz, est. Accardo, in D&L 1998, 951)
  31. Deve escludersi che il progressivo incremento di attività relativa al numero telefonico 187 (del resto non provato) e la necessità di avviare il personale stabile a corsi di formazione professionale possano concretare l’ipotesi descritta dall’art. 5 del Ccnl della Telecom (“incrementi di attività in dipendenza di eventi eccezionali e di carattere temporaneo che non sia possibile soddisfare con il normale organico”) la quale giustifica, ai sensi dell’art. 23, punto 1 della L. 28/2/87 n. 56, l’apposizione di un termine al contratto di lavoro. Al riguardo, inoltre, non può essere attribuito valore ricognitivo e comunque di fonte autonoma di legittimazione di una tale apposizione all’accordo regionale Telecom del 18/12/95, che attiene più propriamente alla determinazione delle sole modalità di attuazione del contratto nazionale (Trib. Milano 20/12/97, pres. ed est. Mannacio, in D&L 1998, 402)
  32. Nell’individuazione degli eventi eccezionali che a norma dell’art. 5 del Ccnl della Telecom giustificano, ex art. 23, punto 1 della L. 28/2/87 n. 56, l’apposizione di un termine al contratto di lavoro, non può essere attribuito valore ricognitivo e comunque di fonte autonoma di legittimazione all’accordo regionale del 18/12/95, che attiene più propriamente alla determinazione delle sole modalità di attuazione del contratto nazionale (Pret. Milano 19/8/97, est. Ianniello, in D&L 1998, 105)
  33. La contrattazione collettiva, nell’individuazione delle situazioni nelle quali è ammessa l’assunzione diretta di mano d’opera di durata non superiore a un giorno (ex art. 23 L. 28/2/87 n. 56 e art. 61 Ccnl per il settore del turismo) non può prescindere dal fondamentale requisito della presenza di un’occasione di lavoro provvisoria, eccezionale e imprevedibile che non rientri nell’ordinario ciclo organizzativo-produttivo dell’impresa datrice di lavoro (Pret. Roma 19/11/96, est. Sangiovanni, in D&L 1997, 562)
  34. Deve escludersi che ricorrenti aumenti del traffico telefonico e dell’attività formativa dei dipendenti stabili nonché la ristrutturazione di alcuni servizi della Telecom possano configurare l’ipotesi di “eventi eccezionali o esigenze produttive particolari e di carattere temporaneo”, che a norma del Ccnl applicato presso tale società consente, ex art. 23 L. 28/2/87 n. 56, l’apposizione di un termine al contratto di lavoro (Pret. Milano 7/10/96, est. Frattin, in D&L 1997, 305)

 

 

Successione di contratti a termine

  1. In caso di successione di contratti di lavoro a termine, l’impugnazione dell’ultimo di essi non si comunica ai precedenti.
    La mancata impugnazione dei contratti a termine precedenti l’ultimo non impedisce una loro considerazione incidentale per valutare l’eventuale superamento dei limiti temporali complessivi ad opera dell’ultimo.
    In un caso di azione per ottenere la conversione a tempo indeterminato di una serie di contratti a termine succedutisi con brevi intervalli, la Corte conferma la decisione dei giudici di merito di decadenza del ricorrente dall’impugnazione dei contratti precedenti l’ultimo e afferma il principio di cui alla prima massima, ribadendo che l’obbligo di impugnazione stragiudiziale deve essere rispettato per ogni singolo contratto, a pena di decadenza. Pur aderendo alla pronuncia di decadenza del ricorrente dall’impugnazione (in quanto tardiva) dei contratti di lavoro a termine antecedenti l’ultimo, la Corte accoglie il secondo motivo di ricorso del dipendente, relativo al (possibile) superamento della durata massima stabilita, dalla legge all’epoca vigente per i contratti a termine successivi con un unico datore di lavoro. in 36 mesi. La Corte parte dall’interpretazione del diritto comunitario operata recentemente della Corte di giustizia UE (sent. 14 ottobre 2020 in causa n. C-681/18, relativa all’istituto parallelo della somministrazione), secondo la quale gli Stati membri devono adottare misure per preservare la natura temporanea del lavoro interinale, al fine di evitare l’elusione della direttiva su tale tipo di lavoro. Trasponendo sul contratto a termine tale tipo di ragionamento e procedendo a una interpretazione del diritto nazionale allora vigente in maniera conforme al diritto comunitario, la Cassazione afferma che per ritenere temporanea l’esigenza di cui è contestata la ricorrenza nell’ultimo contratto a termine (quello tempestivamente impugnato), è necessario che la valutazione del giudice si estenda alle modalità complessive di svolgimento del rapporto, tenendo pertanto conto anche del dato fattuale, incidentalmente accertato, dei precedenti contratti in successione con lo stesso datore di lavoro. Solo con tale tipo di accertamento è infatti possibile stabilire se con l’ultimo contratto a termine è stato superato il connotato di temporaneità rappresentato nel diritto nazionale da una durata complessiva non superiore a 36 mesi. (Cass. 30/6/2023 n. 15226, Pres. Raimondi Rel.Garri, in Wikilabour, Newsletter n. 11/23)
  2. Il vizio di nullità delle clausole appositive del termine a una serie di successivi contratti a tempo determinato stipulati per far fronte a esigenze di carattere durevole o permanente non può essere valutato in relazione al solo primo contratto di tale serie, ipotesi in cui non trova applicazione la direttiva n. 1999/70/CE, ma può rilevare nell’ambito della successione della quale fanno parte anche i successivi contratti, presupposto per l’applicabilità della predetta direttiva e la configurazione di una violazione del diritto dell’Unione europea, con la conseguenza che il termine di decadenza per l’impugnazione del primo contratto non inizia a decorrere a far data dalla cessazione del relativo rapporto, peraltro privo del suddetto vizio di nullità, bensì dalla data di cessazione dell’ultimo rapporto intercorso tra le parti. (Trib. Trento 4/12/2018, Rel. Flaim, in Riv. It. Dir. Lav. 2019, con nota di M. Turrin, Sulla complessa questione della decorrenza dei termini di impugnazione del contratto a termine e del trasferimento d’azienda in un caso di successione di contratti a tempo determinato”, 237)
  3. La previsione di un limite di durata massima ai rapporti di lavoro a tempo determinato intercorsi tra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore, per effetto di una successione di contratti, quale quello introdotto dall’art. 19, co. 2, d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81, costituisce – ai sensi della direttiva n. 1999/70/CE – una misura adeguata a prevenire e, se del caso, punire gli abusi derivanti da una successione di contratti a tempo determinato, a condizione che detta disposizione venga interpretata nel senso di riconoscere alla parte che abbia un interesse contrario alla durata determinata del rapporto la facoltà di dimostrare che la successione di contratti oggetto di controversia, seppur rispettosa del limite di durata massima totale ivi prevista, nel concreto, sia invece diretta a soddisfare esigenze aventi carattere permanente o durevole e comunque non temporaneo e di richiederne, pertanto, la trasformazione in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Il rispetto del predetto limite di durata massima non può far sorgere la presunzione legale assoluta che la successione di contratti oggetto di controversia sia diretta a soddisfare esigenze temporanee, bensì una mera presunzione relativa, cui consegue il riconoscimento alla parte che abbia un interesse contrario alla durata determinata del rapporto la facoltà di offrire prova contraria. (Trib. Trento 4/12/2018, Rel. Flaim, in Riv. It. Dir. Lav. 2019, con nota di M. Turrin, Sulla complessa questione della decorrenza dei termini di impugnazione del contratto a termine e del trasferimento d’azienda in un caso di successione di contratti a tempo determinato”, 237)
  4. L’indennità prevista dalla l. n. 183/2010, art. 32, ristora in generale il danno subito dal lavoratore per l’allontanamento dal lavoro, tanto se questo sia stato unico, quanto se sia stato ripetuto. Per tali periodi di non lavoro, mentre prima il lavoratore aveva diritto a essere comunque retribuito a decorrere dalla messa a disposizione delle energie lavorative pur non avendo lavorato, oggi è prevista solo l’indennità da un minimo di 2,5 a un massimo di 12 mensilità. (Cass. 28/5/2015 n. 11077, ord., Pres. Curzio Rel. Mancino, in Riv. it. dir. lav. 2016, con nota di Alessandra Ingrao, “Successione di contratti a termine illegittimi e funzione risarcitoria dell’indennità omnicomprensiva. Quali prospettive dopo il Jobs Act?”, 84)
  5. Per il periodo di lavoro (o i periodi di lavoro, in caso di sequenza di contratti) il lavoratore ha invece diritto a essere retribuito e ha diritto a che tale periodo o tali periodi siano computati ai fini della anzianità di servizio e, quindi, della maturazione degli scatti di anzianità. (Cass. 28/5/2015 n. 11077, ord., Pres. Curzio Rel. Mancino, in Riv. it. dir. lav. 2016, con nota di Alessandra Ingrao, “Successione di contratti a termine illegittimi e funzione risarcitoria dell’indennità omnicomprensiva. Quali prospettive dopo il Jobs Act?”, 84)
  6. È legittima, e non comporta la conversione a tempo indeterminato del rapporto, la stipulazione di una numerosa serie di contratti a tempo determinato nei confronti di un professore d’orchestra allorché siano state rispettate le clausole contrattuali in materia nonché i requisiti di specificità di ogni contratto quanto all’indicazione del concerto, all’indicazione del direttore e al periodo di tempo interessato. (Cass. 11/12/2012 n. 22657, Pres. Vidiri Rel. Fernandes, in Lav. nella giur. 2013, 191)
  7. La clausola 5 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato allegato alla direttiva 1999/70/CE deve essere interpretata nel senso che qualora la legislazione di uno Stato membro preveda una termine massimo di durata dei contratti a termine successivi, oltre la quale la prosecuzione del rapporto di lavoro sia subordinata alla stipulazione di un contratto a tempo indeterminato, non è necessario che essa imponga altresì l’obbligo di mantenere immutato, nel nuovo contratto, le clausole principali contenute in quello precedente. (Corte Giustizia 8/3/2012, C-251/11, Pres. Lohmus Rel. Caoimh, in Riv. It. Dir. lav. 2012, con nota di Giulia Beltrame, “Contratto a termine: trasformazione a clausole (in)variate?”, 942)
  8. In presenza di una serie di contratti a termine illegittimi, la successiva stipulazione di un contratto legittimo non estingue il rapporto a tempo indeterminato venutosi a creare e tanto meno raggiunge questo effetto a causa del fatto che le parti avrebbero posto in essere una novazione contrattuale. Affinché si possa configurare una novazione occorre la verifica degli elementi che la connotano (modifica dei soggetti, dell’oggetto o del titolo, l’animus novandi). (In Cass. 12/3/2010 n. 6081, Pres. Sciarelli Est. Curzio, in Riv. giur. lav. e prev. soc. 2010, con commento di Filippo Aiello, 255)
  9. La risoluzione consensuale tacita di un contratto di lavoro a tempo indeterminato, in cui si siano convertiti ex lege più contratti a termine illegittimi stipulati tra le stesse parti, va accertata con particolare rigore,, dovendo risultare da un comportamento inequivoco che evidenzi il completo disinteresse delle stesse alla prosecuzione del rapporto di lavoro; occorre, infatti, superare la presunzione contraria secondo cui, in siffatte ipotesi, comportamenti del lavoratore che potrebbero essere indice di acquiescenza, quali, tra l’altro, lo sbvolgimento di attività presso diversi datori di lavoro, lungi dal manifestare una volontà risolutiva, possono essere indotti dalla consapevolezza dello stato di precarietà in cui il medesimo versa. In tale senso, sono prive di univoco valore sintomatico, oltre all’illegittima apposizione del termine, anche la mancanza, pure se per un lungo periodo, di attività lavorativa, la restituzione del libretto di lavoro al lavoratore, nonché l’accettazione, da parte del medesimo, di competenze economiche. (Cass. 5/8/2008 n. 21141, Pres. Ianniruberto Est. Vidiri, in Riv. it. dir. lav. 2009, con nota di Stefania Brun, “L’impossibile applicazione della risoluzione per mutuo dissenso al contratto di lavoro a tempo indeterminato in cui si sia convertito il contratto di lavoro a termine illegittimo”, 268)
  10. Sul preteso intento elusivo e fraudolento del datore di lavoro operante nel mondo dello spettacolo, in considerazione della pluralità e molteplicità dei contratti stipulati con il medesimo prestatore di lavoro, si osserva innanzitutto che la sola circostanza della continuazione di contratti ripetutisi nel tempo non comporta automaticamente la loro invalidità, anche per il pregresso; posto che altrimenti l’istituto sarebbe stato inutilizzabile , tanto più nel settore dello spettacolo che prevede sempre cicli di rappresentazioni, repliche, spettacoli in genere ripetuti nel tempo. (Trib. Milano 15/1/2008, Rel. Tarraborelli, in Lav. nella giur. 2008, 738)
  11. In caso di successione di contratti, la clausola 5 Direttiva 1999/70/Ce impone di interpretare la norma interna nel senso che non consente alle imprese concessionarie dei servizi postali di stipulare contratti successivi al primo senza indicare e provare le ragioni temporanee di apposizione del termine. (Trib. Milano 13/12/2007, Est. Porcelli, in D&L 2008, 160)
  12. Nel caso di successione di molteplici contratti a tempo determinato, non sussiste per il lavoratore l’onere di impugnazione nel termine di cui all’art. 6 L. 15/7/66 n. 604, con la conseguenza che lo stesso può, in qualsiasi tempo, far valere l’illegittimità del termine, stante l’imprescrittibilità dell’azione di nullità, né la richiesta del lavoratore di restituzione del libretto di lavoro per ottenere l’indennità di disoccupazione per il periodo di interruzione dei rapporti può essere considerata come acquiescenza all’interruzione del rapporto. (Trib. Milano 4/8/2007, Est. Tanara, in D&L 2007, con nota di Chiara Asta, “Brevi note sull’acquiescenza”, 1067)
  13. In caso di nullità del termine apposto al contratto di lavoro non sussiste per il lavoratore cessato dal servizio l’onere di impugnazione nel termine (di sessanta giorni) previsto a pena di decadenza dell’art. 6, L. 15 luglio 1966, n. 604 (che presuppone un licenziamento), atteso che il rapporto cessa per l’apparente operatività del termine stesso in ragione dell’esecuzione che le parti danno alla clausola nulla; pertanto, applicandosi la disciplina della nullità in qualsiasi tempo il lavoratore può far valere l’illegittimità del termine e chiedere conseguentemente l’accertamento della perdurante sussistenza del rapporto e la condanna del datore di lavoro a riattivarlo riammettendolo al lavoro, salvo che il protrarsi della mancata reazione del lavoratore all’estromissione dall’azienda e il suo prolungato disinteresse alla prosecuzione del rapporto esprimano, come comportamento tacito concludente, la volontà di risoluzione consensuale del rapporto e sempre che il rapporto (apparentemente) a termine non si sia risolto per effetto di uno specifico atto di recesso del datore di lavoro (licenziamento), che si sia sovrapposto alla mera operatività del termine con la conseguente applicazione, in tale ultimo caso, sia del termine di decadenza di cui all’art. 6 cit., sia della disciplina della giusta causa e del giustificato motivo del licenziamento. (Cass. 21/5/2007 n. 11741, Pres. Ciciretti Est. Balletti, in Lav. nella giur. 2007, 1250)
  14. Nel caso di successione di molteplici contratti a tempo determinato, deve escludersi che la stipulazione dei contratti a tempo determinato determini la risoluzione per mutuo consenso ai sensi dell’art. 1732 c.c. dell’eventuale rapporto a tempo indeterminato esistente tra le parti, in quanto la sottoscrizione di ciascuno di detti contratti implica la volontà del lavoratore di proseguire il rapporto di lavoro, non potendosi desumere da tale comportamento alcuna univoca volontà risolutiva. (Trib. Milano 26/2/2007, Est. Di Leo, in D&L 2007, con n. di Alberto Vescovini, “Questioni sempre attuali in tema di contratto a termine: scorrimento, applicabilità dell’art. 1419, 1° comma, c.c., risoluzione tacita”, 715)
  15. Per ravvisare nella stipulazione di successivi contratti a termine la risoluzione per mero consenso di un rapporto che è a tempo indeterminato in conseguenza della nullità del termine è necessario accertare che sia presente una volontà chiara e certa delle parti di volere porre definitivamente fine ad ogni rapporto. L’onere della prova grava sul datore di lavoro che eccepisce la risoluzione per mero consenso. (Cass. 5/10/2004 n. 19899, Pres. Prestipino Rel. Cataldi, in Lav. nella giur. 2005, con commento di Irene Corso, 751)
  16. A seguito della privatizzazione del pubblico impiego, il rapporto di lavoro dei lettori universitari non si distingue più dagli altri rapporti di lavoro pubblico contrattualizzati; pertanto anche nei confronti dei lettori trova applicazione l’art. 36, 2° comma, D.Lgs. 30/3/01 n. 165 con la conseguenza che la reiterata stipulazione di contratti a termine al di fuori delle ipotesi di cui alla L. 18/4/62 n. 230, non può dar luogo alla costituzione di rapporti a tempo indeterminato. (Trib. Firenze 13/11/2003, Est. Bazzoffi, in D&L 2004, 329, con nota di Filippo Pirelli, “L’annoso problema del rapporto di lavoro dei collaboratori linguistici presso le università”)
  17. Nell’ipotesi di conversione di una serie di contratti a termine in un unico a rapporto indeterminato, la retribuzione per i periodi non lavorati spetta soltanto qualora il lavoratore abbia offerto la propria prestazione di lavoro, offerta che si può concretizzare anche nella richiesta di precedenza ex art. 8 bis, d.l. 29/1/83, n. 17, convertito con modificazioni dalla l. 25/3/83, n. 79, inviata dal lavoratore alla competente autorità amministrativa, e non anche al datore di lavoro (Trib. Frosinone 5/7/00, pres. e est. Fraulini, in Dir. lav. 2001, pag. 31, con nota di Pizzuti, Sulla proroga del contratto a termine per “punte stagionali”)
  18. L’applicabilità dell’art. 23 bis L. 28/2/87, n. 56 – che, nel dettare una nuova regolamentazione del collocamento ordinario, ha in generale consentito l’apponibilità del termine al contratto di lavoro in tutte le ipotesi individuate nei contratti collettivi stipulati con i sindacati nazionali o locali aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale – presuppone che tra le parti non sussista già un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, non avendo il legislatore inteso legittimare (neppure solo negli stessi casi in cui ha reso possibile l’apposizione del termine) la trasformazione del rapporto a tempo indeterminato in rapporto a termine; pertanto, in caso di sequenza di ripetuti contratti a tempo determinato senza soluzione di continuità – il cui primo contratto, stipulato prima dell’entrata in vigore della citata L. 56/87, sia illegittimo alla stregua della previgente (più rigida) disciplina, applicabile ratione temporis, con conseguente trasformazione del rapporto a termine in rapporto a tempo indeterminato – la stipulazione di un ulteriore contratto a termine della medesima sequenza dopo l’entrata in vigore della L. 56/87 non incide (salva l’ipotesi della novazione del rapporto) sulla già intervenuta trasformazione del rapporto stesso, non consentendo l’apposizione ad esso di alcun termine di scadenza (Cass. 8/3/00 n. 2647, pres. Lanni, in Orient. Giur. Lav. 2000, pag. 452)
  19. Si trasforma in contratto a tempo indeterminato ai sensi dell’art. 2, 2° comma, L. 18/4/62 n. 230, con conseguente illegittimità del licenziamento intimato per asserita scadenza del termine, un contratto a termine stipulato fittiziamente come contratto con part-time verticale, qualora il part-time sia nullo per mancata indicazione della distribuzione temporale della prestazione e il contratto stesso preveda di conseguenza due distinti rapporti a termine, il secondo dei quali insorga prima del termine di quindici giorni dalla fine del precedente (Pret. Milano 30/4/99, est. Salmeri, in D&L 1999, 550, n. Franceschinis, Sulla stagionalità nel rapporti di lavoro a tempo determinato)
  20. In caso di stipulazione di due successivi contratti di lavoro a tempo determinato senza soluzione di continuità tra gli stessi, il contratto si considera a tempo indeterminato fin dall’origine, indipendentemente dalla diversità delle cause giustificative dei due termini e dall’eventuale legittimità di ognuno di essi (Pret. Milano 15/2/96, est. Di Ruocco, in D&L 1996, 648)

 

 

Proroga

  1. Se è vero che il legislatore con l’art. 2 del D.Lgs. 6/9/01 n. 368 ha previsto una fattispecie di contratto a termine acausale, tale acausalità non è stata prevista per l’eventuale proroga, che deve quindi rispettare la previsione dell’art. 4 D.Lgs. 6/9/01 n. 368, con la conseguente illegittimità di una motivazione del tutto generica (nella fattispecie per “ragioni oggettive non prevedibili”). (Trib. Milano 6/7/2012, Est. Atanasio, in D&L 2012, con nota di Matteo Paulli, “Proroga del contratto a termine e onere di specificazione”, 705)
  2. Una normativa nazionale che preveda proroghe di contratti a termine non giustificate da ragioni oggettive e per esigenze provvisorie viola la clausola 5 dell’Accordo Quadro sul lavoro a tempo determinato allegato alla direttiva 1999/70/Ce. La domanda di risarcimento del danno non può essere accolta, non potendo il datore di lavoro essere considerato legittimato passivo, semmai, in caso di contrasto tra normativa nazionale con quella comunitaria, doveva essere avanzata nei confronti della Presidenza del Consiglio. (Trib. Napoli 8/3/2010, Est. D’Ancona, in D&L 2010, con nota di Tiziana Laratta, “Qualche breve riflessione su un’insolita sentenza in tema di successione di contratti a termine nel pubblico impiego”, 510)
  3. Viola la norma di cui all’art. 4 del D.Lgs. n. 368/2001 – che vieta più di una proroga – nonché la norma di cui all’art. 5, comma 3, stesso decreto, il datore di lavoro che stipula con il lavoratore già assunto a termine un successivo contratto a tempo determinato nella costanza del rapporto precedente, ancorché il secondo contratto abbia una decorrenza da data posteriore alla cessazione del primo rapporto tale da rispettare formalmente anche l’intervallo di tempo minimo che deve intercorrere tra un contratto e il successivo. (Trib. Milano 30/6/2006, Est. Frattin, in Lav. nella giur. 2007, 93)
  4. Le “ragioni oggettive” che, ai sensi dell’art. 4 D.Lgs. 6/9/01 n. 368, giustificano la proroga di un contratto a tempo determinato devono essere intese nel senso di circostanze sopravvenute rispetto al momento della originaria stipulazione del contratto. Deve pertanto ritenersi nulla una proroga motivata da ragioni già presenti ab initio, con conseguente conversione del rapporto a tempo indeterminato (nella specie la durata del rapporto era stata inizialmente determinata in un periodo inferiore all’aspettativa obbligatoria per maternità della lavoratrice sostituita e, alla scadenza, il contratto era stato prorogato motivando con il mero protrarsi della assenza). (trib. Milano 31/3/2006, Est. Ravazzoni, in D&L 2006, 454)

 

 

Nullità del termine: conseguenze

  1. L’ottemperanza del datore di lavoro all’ordine giudiziale di riammissione in servizio, a seguito di accertamento della nullità dell’apposizione di un termine al contratto di lavoro, implica il ripristino della posizione di lavoro del dipendente, il cui reinserimento nell’attività lavorativa deve quindi avvenire nel luogo precedente e nelle mansioni originarie, a meno che il datore di lavoro non intenda disporre il trasferimento del lavoratore ad altra unità produttiva, e sempre che il mutamento della sede sia giustificato da sufficienti ragioni tecniche, organizzative e produttive. (Cass. 23/4/2019 n. 11180, Pres. Manna Est. Curcio, in Riv. it. dir. lav. 2019, con nota di F. Corso, “Termine illegittimo, riammissione in servizio, trasferimento e ‘disobbedienza’ del lavoratore”, 569)
  2. In caso di utilizzo illegittimo di un contratto per prestazioni di lavoro temporaneo a tempo determinato, oltre alla conversione dello stesso in contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato presso l’utilizzatore, spetta al lavoratore il risarcimento del danno in misura pari a quanto previsto dall’art. 32, co. 5, l. n. 183/2010 (c.d. Collegato Lavoro). (Cass. 22/5/2017, n. 12811, Pres. Di Cerbo Est. Balestrieri, in Riv. It. Dir. Lav. 2017, con nota di T. Ercolani, “Illegittimità del contratto di lavoro temporaneo e risarcimento del danno”, 671)
  3. Nel caso di conversione a tempo indeterminato di un contratto a termine che sia stato illegittimamente stipulato prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81 (ossia prima del 25 giugno 2015), si applicano i criteri economici di risarcimento del danno previsti dall’art. 32, commi 5 e 6, L. 4 novembre 2010, n. 183. (Cass. 9/9/2016 n. 17866, Pres. Amoroso Rel. Ghinoy, in Lav. nella giur. 2017, 94)
  4. In materia di contratto di lavoro a tempo determinato, la nullità della clausola appositiva del termine può essere rilevata d’ufficio dal giudice, il quale ha l’obbligo di segnalare la questione alle parti affinché il lavoratore possa proporre apposita domanda e la parte convenuta esercitare tutte le proprie difese. In difetto, la sentenza – contenente la pronuncia in via incidentale della nullità – emessa all’esito del giudizio è nulla e le parti vanno rimesse in termini, nel grado di appello, per formulare deduzioni ed eccezioni, ivi compresa quella di decadenza ex art. 32 della legge 4 novembre 2010, n. 183. (Corte app. Firenze 18/2/2015 n. 816, Pres. Silvestrini Est. Liscio, in Riv. it. dir. lav. 2015, con nota Luigi Di Paola, “Rilevabilità officiosa delle nullità negoziali e diritto del lavoro: un tema da approfondire”, 1109)
  5. In caso di trasformazione in un unico rapporto a tempo indeterminato di più contratti a termine per effetto dell’illegittima apposizione del termine, l’indennità risarcitoria, dovuta ai sensi della L. 4 novembre 2010, n. 183, ristora il pregiudizio subito dal lavoratore, comprendendo tutti i danni causati dalla perdita del lavoro per l’illegittima apposizione del termine, l’indennità risarcitoria, dovuta ai sensi della L. 4 novembre 2010, n. 183, ristora il pregiudizio subito dal lavoratore, comprendendo tutti i danni causati dalla perdita del lavoro per l’illegittima apposizione del termine con riferimento agli intervalli non lavorati fra l’uno e l’altro rapporto a termine; al contrario, i periodi lavorati, una volta inseriti nell’unico rapporto a tempo indeterminato, fanno parte dell’anzianità lavorativa e vanno considerati ai fini della maturazione degli scatti di anzianità. (Cass. 12/1/2015 n. 262, Pres. Curzio Rel. Marotta, in Lav. nella giur. 2015, 415, e in Riv. it. dir. lav. 2015, con nota di Roberto Voza, “Successione di contratti a termine illegittimi e determinazione dell’anzianità lavorativa”, 436)
  6. L’instaurazione di rapporti di lavoro da parte delle università con collaboratori ed esperti linguistici di lingua madre, in possesso di laurea o titolo universitario straniero adeguato alle funzioni da svolgere e di idonea qualificazione e competenza, con contratto di lavoro subordinato di diritto privato a tempo determinato, anziché a tempo indeterminato, pur in assenza di esigenze temporanee, a norma dell’art. 4 del D.L. n. 120 del 1995, convertito con modificazioni in L. n. 236 del 1995, non implica la conversione del primo nel secondo, ai sensi dell’art. 2 della L. n. 230 del 1962 e poi dell’art. 5 del D.Lgs. n. 368 del 2001. Ciò, infatti, è escluso dalla peculiare disciplina del citato art. 4 che prevede i vincoli di compatibilità con le risorse disponibili nei bilanci e di selezione pubblica con modalità disciplinate dalle università secondo i rispettivi ordinamenti; ovvero criteri di efficiente impiego delle finanze pubbliche e di garanzia di imparziale valutazione meritocratica, rispondenti al principio di buon andamento e imparzialità dell’Amministrazione, che rendono palese la non omogeneità dei rapporti di lavoro in esame con la disciplina del rapporto privato. (Cass. 15/10/2014 n. 21831, Pres. Vidiri Est. Patti, in Lav. nella giur. 2015, con commento di Ilaria Bresciani, 257)
  7. L’art. 32, comma 5, L. n. 183/2010 richiama in senso ampio l’istituto del contratto di lavoro a tempo determinato, con formulazione unitaria, indistinta e generale adoperandosi la locuzione “casi” di “conversione del contratto a tempo determinato” non associata all’indicazione di normativa specifica di riferimento, né al riferimento a ulteriori elementi selettivi. Ciò che, quindi, rileva al fine della verifica della applicazione della norma considerata, è la ricorrenza del duplice presupposto della natura a tempo determinato del contratto di lavoro e della sussistenza di un momento di “conversione” del contratto medesimo. (Cass. 6/10/2014 n. 21001, Pres. Lamorgese Rel. Lorito, in Lav. nella giur. 2015, con commento di Elisabetta Bavasso, 174)
  8. Il termine decadenziale per l’impugnazione dell’illegittimità del termine apposto al contratto è applicabile anche all’ipotesi di violazione dell’articolo 5 del D.Lgs. n. 368/2001, cioè di superamento del termine complessivo di 36 mesi di prestazione e non solo per la violazione delle norme di cui agli articoli 1, 2 e 4 del detto D.Lgs. (Trib. Milano 4/4/2014, Giud. Taraborrelli, in Lav. nella giur. 2014, 826)
  9. L’indennità ex art. 32, comma 5, della Legge 183/2010, come rilevato dalla Corte Costituzionale 11 novembre 2011, n. 303, e come definitivamente chiarito dal Legislatore all’art. 1, comma 13, Legge 92/2012, è satisfattiva di ogni conseguenza negativa patita a cagione della nullità del termine sino alla pronunzia del provvedimento con il quale viene ordinata la costituzione del rapporto. (Trib. Milano 18/3/2014, Giud. Ravazzoni, in Lav. nella giur. 2014, 719)
  10. Va escluso il dubbio di legittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 13, legge n. 92/2012, atteso che tale disposizione si è limitata a recepire l’interpretazione della Corte Costituzionale, attribuendogli valore di norma di interpretazione autentica per ovviare ai persistenti dubbi interpretativi giustificati dalla circostanza che, essendo la sentenza n. 303/2011 della Corte Costituzionale una pronuncia di rigetto, non vincola oltre i giudizi in cui è stata sollevata la questione. (Corte app. Roma 6/2/2014, Pres. Gallo, in Lav. nella giur. 2014, 930)
  11. Se da una parte, in caso di riammissione in servizio in adempimento di un provvedimento giudiziale il datore di lavoro è tenuto a riassumere il lavoratore nello stesso posto di lavoro e nelle stesse mansioni precedentemente svolte, dall’altra, se non sussistono più le condizioni oggettive per la riammissione nello stesso posto e quindi nella stessa sede di lavoro e nelle stesse mansioni, è legittimo che il datore di lavoro, per causa a lui non imputabile e soprattutto non per sua volontà e scelta, riammetta in servizio il lavoratore anche in una sede diversa da quella originaria e in mansioni equivalenti alle precedenti. (Trib. Milano 19/8/2013, Giud. Cuomo, in Lav. nella giur. 2013, 1130)
  12. Il lavoratore reintegrato dal giudice non può essere trasferito in una sede diversa da quella in cui lavorava al momento della fine del rapporto, a meno che il datore di lavoro non dimostri l’esistenza di esigenze di carattere tecnico, produttivo e organizzativo, che rendono necessario il mutamento del luogo di lavoro. L’obbligo di eseguire la sentenza del giudice non può dirsi rispettato quando il lavoratore viene destinato a mansioni diverse da quelle svolte in precedenza o presso una sede lavorativa diversa da quella originaria. Questo perché, a seguito della sentenza che accerta la nullità del termine apposto al contratto di lavoro, il rapporto deve intendersi come mai cessato e quindi deve esserci continuità lavorativa piena. (Cass. 16/5/2013 n. 11927, Pres. Miani Canevari Est. Arienzo, in Lav. nella giur. 2013, 846)
  13. In tema di risarcimento del danno conseguente alla conversione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato, l’art. 32, 5° e 6° comma, L. 4/11/10 n. 183 (cd. Collegato Lavoro) costituisce una sorta di penale ex lege a carico del datore di lavoro che ha apposto il termine nullo, trattandosi di una indennità forfetizzata e omnicomprensiva di ogni danno sofferto dal lavoratore nel periodo compreso tra la scadenza del termine nullo e la sentenza di conversione. (Cass. 7/9/2012 n. 14996, Pres. Roselli Est. Nobile, in D&L 2012, con nota di Giuseppe Bulgarini D’Elci, “Sul carattere forfetizzato e omnicomprensivo dell’indennità risarcitoria ex art. 32, commi 5 e 6, del Collegato lavoro in presenza di contratto a termine nullo”, 689)
  14. Attesa la natura omnicomprensiva dell’indennità forfetizzata di cui all’art. 32, 5° e 6° comma, L. 4/11/10 n. 183, deve ritenersi che la stessa, comprendendo tutti i danni causati dalla nullità del termine nel periodo che va dalla scadenza del termine alla sentenza di conversione, sia di natura retributiva che contributiva, non può che comprendere anche gli scatti di anzianità e il risarcimento del danno conseguente alla mancata assegnazione delle azioni, trattandosi di danni direttamente ricollegabili alla nullità del termine. (Cass. 7/9/2012 n. 14996, Pres. Roselli Est. Nobile, in D&L 2012, con nota di Giuseppe Bulgarini D’Elci, “Sul carattere forfetizzato e omnicomprensivo dell’indennità risarcitoria ex art. 32, commi 5 e 6, del Collegato lavoro in presenza di contratto a termine nullo”, 689)
  15. L’indennità di cui all’art. 32, 5° comma, L. 4/11/10 n. 18, copre il periodo fino alla domanda giudiziale, cioè fino al deposito del ricorso introduttivo, e da quella data spettano al lavoratore le retribuzioni maturate per effetto della conversione del rapporto. (Corte app. Torino 24/7/2012, Pres. Maffiodo Est. Pietrini, in D&L 2012, con nota di Matteo Paulli, “Illegittimità del termine tra indennità e risarcimento”, 700)
  16. L’introduzione del comma 1-bis dell’art. 32 L. 4/11/10 n. 183 a opera dell’art. 2, 54° comma, DL 29/12/10 n. 255, convertito con L. 26/12/11 n. 10, determina la posticipazione al 31/12/11 di tutta la disciplina dei termini di decadenza introdotta con l’art. 32 L. 4/11/10 n. 183. (Trib. Milano 6/7/2012, Est. Atanasio, in D&L 2012, con nota di Matteo Paulli, “Proroga del contratto a termine e onere di specificazione”, 705)
  17. L’ottemperanza del datore di lavoro all’ordine giudiziale di riammissione in servizio a seguito di accertamento della nullità dell’apposizione di un termine al contratto di lavoro implica il ripristino della posizione di lavoro del dipendente, il cui reinserimento nell’attività lavorativa deve avvenire nel luogo e nelle mansioni originarie, visto che il rapporto contrattuale si intende come mai cessato e quindi la continuità dello stesso implica che la prestazione deve persistere nella medesima sede. (Cass. 16/5/2013 n. 11927, Pres. Miani Canevari Rel. Arienzo, in Lav. nella giur. 2013, 735)
  18. All’illegittimità del termine per difetto di specificazione dei motivi consegue l’invalidità parziale relativa alla sola clausola e l’instaurarsi di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato. (Cass. 21/9/2011 n. 24479, Pres. Miani Canevari Est. La Terza, in D&L 2012, con nota di Alessia Piscone, “Termine illegittimo e regime sanzionatorio”, 694)
  19. All’illegittimità del termine per difetto di specificazione dei motivi consegue l’invalidità parziale relativa alla sola clausola e l’instaurarsi di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato. (Cass. 21/9/2011 n. 24479, Pres. Miani Canevari Est. La Terza, in D&L 2012, con nota di Alessia Piscone, “Termine illegittimo e regime sanzionatorio”, 694)
  20. L’intento manifestato dal legislatore è chiaro e il comma 5 (dell’art. 32 ndr) non sembra offrire difficoltà interpretative particolari. Lo scopo e l’effetto della disposizione sono di agevole individuazione: in tutti i casi in cui il giudice dichiari la conversione del rapporto a termine in rapporto a tempo indeterminato, per il periodo compreso fra l’interruzione del rapporto stesso (alla scadenza del termine dichiaro illegittimo) e la sentenza dichiarativa della nullità del termine, è dovuta al lavoratore, a titolo di risarcimento, soltanto un’indennità omnicomprensiva, dunque, esaustiva di qualsiasi pretesa risarcitoria o retributiva, da un minimo di 2,5 a un massimo di 12 mensilità della retribuzione globale di fatto in godimento all’epoca di risoluzione del contratto. La predeterminazione del risarcimento da parte del legislatore in una somma omnicomprensiva rende irrilevante che il lavoratore abbia messo in mora il datore di lavoro, offrendogli le proprie prestazioni, poiché il danno è presunto e il risarcimento prestabilito, sia pure in misura graduabile fra un minimo e un massimo, secondo i criteri dettati dall’art. 8 della l. n. 604/1966. (Corte app. Perugia 3/5/2011, Pres. e Rel. Pratillo Hellmann, in Lav. nella giur. 2011, 849)
  21. In applicazione della disposizione del Collegato lavoro, l’unica conseguenza in caso di nullità del termine per la totale mancanza delle ragioni tecniche, organizzative, produttive e sostitutive previste dall’art. 1 del d.lgs. n. 368/2001, è la condanna della società al pagamento delle mensilità: tale misura è congrua attesa la risoluzione definitiva del rapporto intervenuta ex lege. Con la nuova disciplina non deve essere restituito il TFR in quanto il rapporto non è ricostituito e non rivive. (Trib. Milano 9/2/2011 n. 618, Giud. Taraborrelli, in Lav. nella giur. 2011, con commento di Elisabetta Cassaneti e Sergio Spatato, 929)
  22. L’indennità prevista dall’art. 32, commi 5 e 6, l. 4 novembre 2010 n. 183, esclude qualsiasi altro credito, indennitario o risarcitorio, del lavoratore e si applica, alla stregua del comma 7, anche ai giudizi pendenti in Cassazione. Non sono manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 32, commi 5 e 6, della legge citata, con riferimento agli artt. 3, 4, 24, 111 e 117, Cost. (Cass. 28/1/2011, ord., n. 2112, Pres. Roselli Est. Zappia, in Orient. giur. lav. 2011, 39)
  23. Il comma 5, dell’art. 32, l. n. 183/2010 non ha fatto venire meno il diritto del lavoratore di chiedere e ottenere la pronuncia della conversione del rapporto. La novità, rispetto alla situazione precedente, sta nell’introduzione di un particolare regime risarcitorio che prevede il pagamento di un’indennità onnicomprensiva che si sostituisce e non si aggiunge alle conseguenze risarcitorie di diritto comune e quindi esaurisce in sé tutte le conseguenze – risarcitorie – dell’accertata legittimità del termine. (Trib. Roma 11/1/2011, Giud. Sordi, in Lav. nella giur. 2011, 418)
  24. In tema di rapporto di lavoro a termine, l’applicazione retroattiva dell’art. 32, comma 5, l. 4 novembre 2010 n. 183 – il quale ha stabilito che, in caso di conversione del contratto a tempo determinato, il giudice condanna il datore di lavoro al pagamento di una “indennità omnicomprensiva” compresa tra 2,5 e 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nell’art. 8 l. 15 luglio 1966 n. 604 – prevista dal successivo comma 7 del medesimo articolo in relazione a tutti i giudizi, compresi quelli pendenti alla data di entrata in vigore della legge, trova limite nel giudicato formatosi sulla domanda risarcitoria a seguito dell’impugnazione del solo capo relativo alla declaratoria di nullità del termine, e non anche della ulteriore statuizione relativa alla condanna al risarcimento del danno, essendo quest’ultima una statuizione avente individualità, specificità e autonomia proprie rispetto alle determinazioni concernenti la natura del rapporto. (Cass. 3/1/2011 n. 65, Pres. Roselli Est. Zappia, in Orient. Giur. Lav. 2011, 107)
  25. Dall’accertata nullità del termine apposto a un contratto stipulato con una Pubblica Amministrazione non può derivare la conversione in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, ma, a norma dell’art. 36 del D.Lgs. 30/3/01 n. 165, il lavoratore acquisisce il diritto al risarcimento del danno subito, il quale deve essere quantificato sulla base del disposto dell’art. 18, commi 4 (danno provocato dall’intimazione del licenziamento invalido) e 5 (indennità sostitutiva della reintegra) SL, in materia di licenziamento invalido, previsioni attraverso le quali il legislatore ha inteso monetizzare il valore del posto di lavoro assistito dalla c.d. stabilità reale, quale è quella alle dipendenze della Amministrazione Pubblica. (Trib. Foggia 5/11/09, est. Del Prete, in D&L 2010, con nota di Anna Rota, “Illegittimità dei contratti a termine nella PA e ‘originalità’ giurisprudenziali sulla questione della tutela risarcitoria”, 453)
  26. Nel caso in cui il contratto difetti di uno dei requisiti essenziali per la valida apposizione del termine – quale è la specificazione delle ragioni di cui al comma 2 dell’art. 1 – e non sia quindi integrata la fattispecie delineata dal Decreto Legislativo in parola, il rapporto istaurato non sia sine titulo e regolato, quindi, dall’art. 2126 c.c., ma sia da reputarsi a tempo indeterminato fin dal suo inizio e disciplinato dalle relative disposizioni di legge. (Trib. Milano 24/2/2009, Dott. Di Leo, in Lav. nella giur. 2009, 526)
  27. Nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto dell’illegittima apposizione al contratto di un termine finale ormai scaduto, per la configurabilità di una risoluzione del rapporto per mutuo consenso, è necessario che sia accertata – sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonché del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze significative – una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine a ogni rapporto lavorativo. (Cass. 24/6/2008 n. 17150, Pres. Mattone Est. Napoletano, in Riv. it. dir. lav. 2009, con nota di F. Bonfrate, “L’inerzia del lavoratore e la sua rilevanza ai fini della risoluzione del rapporto di lavoro”, 3)
  28. La mancanza di ragioni giustificatrici dell’apposizione del termine al contratto di lavoro non comporta la nullità dell’intero contratto ex art. 1419, 1° comma, c.c., ma la mera sostituzione della clausola nulla ex art. 1419, 2° comma, con conseguente trasformazione del rapporto a tempo indeterminato; ciò anche in mancanza di una norma che espressamente stabilisca le conseguenze di tale omissione, giacché la sanzione da applicarsi ben può essere ricavata dai principi generali e, comunque, interpretando la norma nel quadro delineato dalla direttiva 1999/70/Ce, della quale il D.Lgs. 6/9/01 n. 368 è attuazione. (Cass. 21/5/2008 n. 12985, Pres. Mattone Est. Nobile, in D&L 2008, con nota di Matteo Paulli, “Primo intervento della Corte di Cassazione sulle conseguenze della nullità del termine dopo il D.Lgs. 368/01”, 889)
  29. La mancata specificazione, nel contratto di lavoro, delle ragioni legittimanti l’assunzione a termine è sanzionata con l’efficacia della clausola del termine. Ne consegue che il contratto, privo di una valida clausola del termine, è a tempo indeterminato sin dalla sua stipulazione. In tal caso, il risarcimento del danno spettante al lavoratore va liquidato secondo la disciplina comune in materia di responsabilità contrattuale e, quindi, nella misura delle retribuzioni perdute a causa dell’illegittimo rifiuto di ricevere la prestazione lavorativa opposto dal datore di lavoro. (Corte app. Torino 14/1/2008, Pres. e Rel. Girolami, in Lav. nella giur. 2008, 1068)
  30. In caso di contratto a termine convertito in contratto a tempo indeterminato, la dichiarazione del datore di lavoro di cessazione del rapporto di lavoro per scadenza del termine non può essere altrimenti intesa che come volontà di risolvere il rapporto e, quindi, come licenziamento con conseguente applicazione di tutta la relativa disciplina. (Trib. Milano 30/10/2007, Est. Di Ruocco, in D&L 2008, con nota di Andrea Leone D’Agata, “Risoluzione del rapporto per scadenza del termine e licenziamento: una sentenza condivisibile ma non condivisa”, 130, e in Lav. nella giur. 2008, 531)
  31. Dichiarata la nullità del termine con conseguente dichiarazione della sussistenza tra le parti di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato sin dall’inizio della prestazione, la disciplina del comporto di malattia non è quella dettata con riguardo al contratto a termine e parametrata sulla sua durata, bensì quella relativa ai rapporti di lavoro a tempo indeterminato prevista in generale; ne discende la nullità del recesso operato dal datore di lavoro per superamento del periodo di comporto breve previsto per il dipendente a tempo determinato. (Corte app. Firenze 15/10/2007, Pres. Amato Est. Nisticò, in D&L 2008, con nota di Andrea D. Conte, “Illegittimità del termine ed effetto “moviola”: orientamenti della giurisprudenza verso una tutela “integrale””, 547, e in Riv. it. dir. lav. 2008, con nota di Lorea, “Nullità del termine, trasferimento del lavoratore all’atto della reintegrazione e suo rifiuto di riprendere servizio per illegittimità del mutamento del luogo di lavoro”, 605)
  32. In caso di apposizione del termine non consentita, il contratto deve intendersi a tempo indeterminato fin dall’origine. Non può essere accolta la tesi secondo cui sarebbe inutilizzabile la sostituzione dell’effetto legale tutte le volte in cui il datore di lavoro dimostri che non avrebbe concluso il contratto senza il termine, ovvero, in una preferibile lettura oggettiva dell’art. 1419 c.c., tutte le volte in cui il mantenimento del termine del contratto abbia importanza determinante tenuto conto dell’interesse del datore di lavoro stesso, posto che la caducazione dell’intero contratto per il venir meno di un suo elemento accidentale danneggerebbe il lavoratore, soggetto tutelato. (Corte app. Milano 17/9/2007, Pres. Salmeri Rel. Trogni, in Lav. nella giur. 2008, 197)
  33. L’accertata illegittimità di un contratto a termine comporta la nullità del termine di tutti i contratti successivamente stipulati. (Trib. Milano 4/8/2007, Est. Tanara, in D&L 2007, con nota di Chiara Asta, “Brevi note sull’acquiescenza”, 1067)
  34. Il risarcimento del danno previsto dall’art. 36, D.Lgs. n. 165/2001 costituisce un’ipotesi di responsabilità contrattuale e va quantificato facendosi riferimento al tempo medio necessario per ricercare una nuova occupazione stabile, tenuto conto della zona geografica, dell’età, del sesso e del titolo di studio dei lavoratori. (Trib. Rossano 4/6/2007, Giud. Coppola, in Riv. it. dir. lav. 2007, con nota di Laura Tebano, “Il contratto a termine nel lavoro pubblico: quando la tutela risarcitoria può ritenersi effettiva, adeguata e dissuasiva”, 906)
  35. In caso di nullità del termine apposto al contratto di lavoro non sussiste per il lavoratore cessato dal servizio l’onere di impugnazione nel termine (di sessanta giorni) previsto a pena di decadenza dall’art. 6 legge 15 luglio 1966 n. 604 (che presuppone un licenziamento), atteso che il rapporto cessa per l’apparente operatività del termine stesso in ragione dell’esecuzione che le parti danno alla clausola nulla; pertanto, applicandosi la disciplina della nullità in qualsiasi tempo il lavoratore può far valere l’illegittimità del termine e chiedere conseguentemente l’accertamento della perdurante sussistenza del rapporto e la condanna del datore di lavoro a riattivarlo riammettendolo al lavoro, salvo che il protrarsi della mancata reazione del lavoratore all’estromissione dall’azienda e il suo prolungato disinteresse alla prosecuzione del rapporto esprimano, come comportamento tacito concludente, la volontà di risoluzione consensuale del rapporto stesso e sempre che il rapporto (apparentemente) a termine non si sia risolto per effetto di uno specifico atto di recesso del datore di lavoro (licenziamento), che si sia sovrapposto alla mera operatività del termine con la conseguente applicazione, in tale ultimo caso, sia del termine di decadenza di cui all’art. 6 cit., sia della disciplina della giusta causa e del giustificato motivo del licenziamento. (Rigetta, App. Catanzaro, 23 aprile 2004). (Cass. 21/5/2007 n. 11741, Pres. Ciciretti Est. Balletti, in Dir. e prat. lav. 2008, 649)
  36. Dall’accertata nullità del termine apposto al contratto di lavoro alle dipendenze di un’amministrazione pubblica non può conseguire la conversione in rapporto di lavoro a tempo indeterminato; tuttavia, il lavoratore acquisisce il diritto al risarcimento del danno subito, che va parametrato alla sanzione prevista dal quarto e quinto comma dell’art. 18 St. Lav. (Trib. Genova 5/4/2007, Giud. Basilico, in Riv. it. dir. lav. 2007, con nota di Laura Tebano, “Il contratto a termine nel lavoro pubblico: quando la tutela risarcitoria può ritenersi effettiva, adeguata e dissuasiva”, 906)
  37. Nel caso di invalidità della clausola di durata va dichiarata la sussistenza inter partes di un rapporto a tempo indeterminato. Al dipendente spetta la riammissione in servizio e il risarcimento del danno (non comprendente i contributi previdenziali), pari alle retribuzioni non percepite dalla messa in mora del datore di lavoro, la quale può identificarsi nella notificazione del ricorso introduttivo del giudizio, detratte le somme percepite per le attività lavorative svolte presso terzi. (Corte app. Catania 6/3/2007, Pres. Pagano Est. D’Allura, in Riv. it. dir. lav. 2007, con nota di Marina Nicolosi, “Risoluzione per mutuo consenso del contratto a termine illegittimo, attività lavorativa presso terzi e offerta della prestazione”, 933)
  38. In ipotesi di assunzione a termine di personale di volo, lo scorrimento su diverse rotte, rispetto a quelle per cui il dipendente era stato assunto con contratto a tempo determinato, ai sensi dell’art. 1 D.Lgs. 6/9/01 n. 368, determina (in assenza di una prova specifica, il cui onere grava sul datore di lavoro, circa le modalità dello scorrimento e i motivi per i quali il lavoratore non è stato adibito alle rotte dedotte in contratto) l’interruzione del rapporto causale tra l’esigenza descritta nel contratto e l’assunzione a termine, con la conseguente nullità del termine di durata apposto al contratto. (Trib. Milano 26/1/2007, Est. Di Leo, in D&L 2007, con n. di Alberto Vescovini, “Questioni sempre attuali in tema di contratto a termine: scorrimento, applicabilità dell’art. 1419, 1° comma, c.c., risoluzione tacita”, 715)
  39. Pur in assenza di un’espressa previsione nel D.Lgs. 6/9/01 n. 368, si deve ritenere che la nullità del termine di durata apposto a un contratto di lavoro non comporti la nullità dell’intero contratto ai sensi dell’art. 1419, 2° comma, c.c., con applicazione della disciplina del contratto a tempo indeterminato, quando un’interpretazione adeguatrice della normativa nazionale rispetto la Direttiva 1999/70 Ce. (Trib. Milano 26/1/2007, Est. Di Leo, in D&L 2007, con n. di Alberto Vescovini, “Questioni sempre attuali in tema di contratto a termine: scorrimento, applicabilità dell’art. 1419, 1° comma, c.c., risoluzione tacita”, 715)
  40. Il danno risarcibile di cui all’art. 36, D.Lgs. n. 165/2001 è pienamente compatibile con il diritto comunitario, rientrando nella categoria dei danni da illecito aquiliano, fonte di pregiudizio risarcibile nei limiti del danno emergente e del lucro cessante. (Trib. Foggia 6/11/2006, Giud. Quitadamo, in Riv. it. dir. lav. 2007, con nota di Laura Tebano, “Il contratto a termine nel lavoro pubblico: quando la tutela risarcitoria può ritenersi effettiva, adeguata e dissuasiva”, 906)
  41. L’azione di accertamento dell’illegittima apposizione di un termine si configura quale azione di nullità parziale e non quale azione di impugnazione del licenziamento, con conseguente diritto del lavoratore (in caso di recesso da parte del datore di lavoro) al ripristino del rapporto e al risarcimento del danno dalla data di offerta della prestazione lavorativa. (Trib. Milano 12/10/2006, Est. peragallo, in D&L 2007, 132)
  42. Ai sensi dell’art. 1 D.Lgs. 6/9/01 n. 368, l’apposizione di un termine a un contratto di lavoro è consentita solo in presenza di ragioni oggettive, specificatamente individuate per iscritto nel contratto, tali da rendere accertabile il nesso di causalità tra queste e la temporaneità dell’assunzione del lavoratore; in caso contrario, il rapporto si trasforma a tempo indeterminato e il lavoratore ha diritto alla riammissione in servizio, nonché al pagamento delle retribuzioni a decorrere dalla data di offerta della prestazione lavorativa sino alla riammissione in servizio o al verificarsi di legittima causa di estinzione del rapporto. (Trib. Treviso 26/9/2006, Est. Parise, in D&L 2008, con nota di Barbara Fezzi, “Illegittimità dell’apposizione del termine a un contratto di lavoro e trasformazione in rapporto a tempo indeterminato”, 153)
  43. Il contratto di lavoro, al quale sia stato illegittimamente apposto il termine, sopravvive nella forma di un contratto a tempo indeterminato solo se le parti non provano il carattere essenziale della clausola di durata, essendo altrimenti affetto da nullità ai sensi dell’art. 1419, comma 1, c.c. (nel caso di specie, la natura essenziale della clausola risultava dal contratto individuale stipulato dalle parti). (Trib. Palermo 6/5/2006, Giud. Cavallaro, in Riv. it. dir. lav. 2007, con nota di Maria Luisa Vallauri, “Quale sanzione per il contratto a termine illegittimo”, 395)
  44. Il recesso della società per lo spirare del termine non può considerarsi licenziamento privo di giusta causa o giustificato motivo, con conseguente applicazione dell’art. 18 SL, ma è invece esperibile l’azione di nullità parziale del contratto, con conseguente ordine al datore di lavoro di ripristinare il rapporto e corrispondere le retribuzioni maturate dalla messa in mora del datore di lavoro. (Corte app. Milano 20/1/2006, Pres. Castellini Est. Sbordone, in D&L 2006, con n. Eleonora Pini, “Avviamento obbligatorio e contratto a termine”, 444)
  45. L’esigenza di specificazione della causale ex art. 1, 2° comma, D.Lgs. 6/9/01 n. 368 riguarda anche i contratti di lavoro a termine stipulati, nel regime transitorio nei casi previsti dai Ccnl ex art. 23 L. 23/2/87 n. 56 (nella fattispecie, è stata dichiarata l’illegittimità del termine, giacché la lettera di assunzione faceva generico riferimento alla norma contrattuale che prevedeva, ai sensi della L. 23/2/87 n. 56, una pluralità di ipotesi legittimanti l’apposizione del termine, senza specificare quale di queste ipotesi ricorresse nel caso concreto). Ogni ipotesi di illegittima apposizione del termine al contratto di lavoro, a prescindere dal fatto che ciò dipenda da motivi formali o dall’accertata insussistenza in concreto della motivazione addotta, comporta la conversione a tempo indeterminato del rapporto, e ciò – nel primo caso – in conseguenza dell’espressa previsione dell’art. 1, 2° comma, D.Lgs. 6/9/01 n. 368, nel secondo caso ex art. 1419, 2° comma, c.c., con conseguente diritto del lavoratore (in caso di recesso da parte del datore di lavoro) al ripristino del rapporto e al risarcimento del danno dalla data di offerta della prestazione lavorativa. (Trib. Monza 18/1/2005, Est. Cella, in D&L 2005, con nota di Stefano Chiusolo, “Primi orientamenti giurisprudenziali sulla riforma del contratto a termine”, 152)
  46. L’illegittima apposizione del termine comporta sempre, ex art. 1419 c.c., la conversione a tempo indeterminato del rapporto di lavoro, con conseguente diritto del lavoratore al ripristino del rapporto e al risarcimento del danno alla data di offerta della prestazione lavorativa. (Trib. Milano 10/11/2004, Est. Ianniello, in D&L 2005, con nota di Stefano Chiusolo, “Primi orientamenti giurisprudenziali sulla riforma del contratto a termine”, 152)
  47. Al dipendente che cessi l’esecuzione della prestazione lavorativa per attuazione di fatto del termine nullo non spetta la retribuzione finché non provveda ad offrire la prestazione stessa determinando una situazione di mora accipiendi del datore di lavoro. (Cass. 5/10/2004 n. 19899, Pres. Prestipino Rel. Cataldi, in Lav. nella giur. 2005, con commento di Irene Corso, 751)
  48. Nell’ipotesi di scadenza di un termine illegittimamente apposto non è applicabile la norma di cui all’art. 18 St. Lav. ma è del tutto ammissibile la richiesta di adempimento dell’obbligo del datore di lavoro di far lavorare il lavoratore e di condanna alla corresponsione delle retribuzioni a titolo di risarcimento del danno. (Cass. 5/10/2004 n. 19899, Pres. Prestipino Rel. Cataldi, in Lav. nella giur. 2005, con commento di Irene Corso, 751)
  49. In virtù dell’art. 1183, primo comma, parte seconda, c.c., tra la conversione giudiziale del contratto a termine e l’effettivo ripristino del rapporto di lavoro si apre un periodo transitorio- la cui durata è equitativamente determinabile con riferimento al termine di 30 giorni previsto nel comunque inapplicabile art. 18, 5° comma, SL-, nel quale le parti devono collaborare alla comune definizione del giorno di ripresa del servizio, con la conseguenza che la ritardata presentazione al lavoro in seguito alla convocazione non può di per sé costituire assenza ingiustificata. (Corte d’appello Milano 13/1/2004, Pres. Mannacio Est. Castellini, in D&L 2004, con nota di Matteo Paulli “Nullità del contratto a tempo determinato e fissazione del termine per la ripresa del servizio”, 167)
  50. Nel caso di apposizione del termine al di fuori dei casi consentiti dal D.Lgs. 6/9/01 n. 368, il contratto deve essere considerato a tempo indeterminato ed al recesso del datore di lavoro consegue non l’applicabilità dell’art. 18 SL, ma la riattivazione del rapporto ed il pagamento delle retribuzioni dalla data di costituzione in mora. (Corte d’appello Milano 9/12/2003, Pres. Ruiz Est. De Angelis, in D&L 2004, 79)
  51. Sono nulle, per contrasto sia con l’art. 23 della L. 28/2/87 n. 56 sia con i principi generali in materia di rapporto di lavoro a termine, le previsioni contrattuali che, invece di individuare concrete situazioni di fatto chiaramente determinate ed ulteriori rispetto a quelle già indicate dal legislatore, introducano previsioni talmente ampie da risolversi in una possibilità sostanzialmente illimitata di stipulare contratti a termine (nel caso di specie è stata reputata nulla la clausola, pattizia, contenuta nell’Accordo integrativo vigente per i giornalisti dipendenti della Rai, che consente l’apposizione del termine anche nelle ipotesi di assunzione di personale riferite a programmi, produzioni, trasmissioni e rubriche, aventi carattere continuativo e/o ciclico). (Trib. Milano 8/7/2003 Est. Porcelli, in D&L 2003, 934, con nota di Eleonora Bacciola, “La delega dell’art. 23 L. 56/87: orientamenti dottrinari e giurisprudenziali”)
  52. L’impugnazione del recesso intimato nell’ambito di un rapporto di lavoro a termine per mancato superamento della prova non soggiace-tenuto conto della specialità della disciplina di cui alla l. n. 230/1962 rispetto a quella della l. n. 604/1966 (relativa all’estinzione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato) e della qualificabilità dell’azione diretta all’accertamento dell’illegittimità del patto non come impugnazione, ma come azione (imprescrittibile) di nullità parziale della pattuizione-al termine di decadenza previsto dall’art. 6 della legge da ultimo citata, dovendosi avere riguardo esclusivamente alla qualificazione del recesso come atto unilaterale del datore di lavoro, idoneo di per sé ad estinguere il rapporto di lavoro. (Cass. 9/7/2002, n. 9962, Pres. Dell’Anno, Est. Cellerino, in Riv. it. dir. lav. 2003, 369, con nota di Claudia Faleri, Rapporto di lavoro a termine, patto di prova, regime del recesso: una questione di interconnessione tra discipline).
  53. In caso di illegittima apposizione del termine, con conseguente trasformazione del contratto a tempo indeterminato, il recesso disposto dal datore di lavoro per presunta scadenza del termine equivale a licenziamento, con conseguente applicabilità dell’art. 18 SL. (Trib. Milano 21/6/2002, Est. Di Ruocco, in D&L 2002, 891)
  54. Al licenziamento della lavoratrice che si trovi in accertato stato di gravidanza alla data della sua comunicazione non si applica la disciplina di cui all’art. 18 SL, bensì quella prevista per la nullità di diritto comune; il recesso va pertanto considerato sin dall’inizio privo di effetti risolutori del rapporto con la conseguenza che la lavoratrice ha diritto al risarcimento del danno. A questo fine, la speciale tutela stabilita per la lavoratrice madre, tuttavia, non esonera la stessa dall’offrire la prestazione di lavoro, con la conseguenza che, in caso contrario, alla stessa compete esclusivamente il trattamento economico che le sarebbe comunque spettato, a prescindere dall’offerta della prestazione di lavoro, per il periodo d’interdizione obbligatoria (nella fattispecie, la causa era stata promossa dopo due anni dall’impugnazione del licenziamento, nel corso dei quali la lavoratrice non aveva avuto alcun contatto con il datore di lavoro). (Trib. Milano 16/4/2002, Est. Di Ruocco, in D&L 2002, 617, con nota di Sara Rolandi, “Illegittimità del contratto a termine e licenziamento della lavoratrice madre”)
  55. La comunicazione della cessazione del rapporto per scadenza del termine illegittimamente apposto equivale ad un licenziamento, con conseguente applicabilità dell’art. 18 SL. (Trib. Milano 27/9/2001, Est. Porcelli, in D&L 2002, 99. In senso conforme, Trib. Milano 16/4/2002, Est. Di Ruocco, in D&L 2002, 617, con nota di Sara Rolandi, “Illegittimità del contratto a termine e licenziamento della lavoratrice madre”)
  56. La disdetta intimata dal datore di lavoro al lavoratore per scadenza del termine invalidamente apposto al contratto di lavoro (nella specie, per mancanza della forma scritta) non è parificabile al licenziamento, atto negoziale unilaterale implicante la volontà di porre fine a un rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Ne consegue che l’azione diretta all’accertamento della illegittimità di tale disdetta e alla pronuncia risarcitoria non va proposta come impugnativa di licenziamento con richiesta di applicazione di quanto previsto dall’art. 18, L. 300/70, bensì come azione di nullità dell’accordo relativo all’apposizione del termine, con nullità dell’ intimata disdetta ed eventuale richiesta dei danni secondo gli ordinari criteri civilistici. Qualora la parte abbia erroneamente richiesto la declaratoria di illegittimità del licenziamento e la reintegrazione nel posto di lavoro, il giudice di merito non può emettere pronuncia di nullità della disdetta e di risarcimento dei danni senza ledere il principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, giacché non si limiterebbe a dare una diversa qualificazione giuridica ai fatti dedotti, trattandosi di azioni diverse non solo per petitum e causa petendi, ma altresì per quanto concerne la disciplina della decadenza, della prescrizione e dei criteri di determinazione del danno (Cass. 8/5/00, n. 5821, pres. Lanni, est. Cataldi, in Riv. It. dir. lav. 2001, pag. 73, con nota di Ferraro, Estinzione di contratto a termine orale e licenziamento)
  57. L’estromissione di un lavoratore da parte del datore di lavoro alla scadenza del termine illegittimamente apposto non può essere qualificata come licenziamento, ma come inadempimento contrattuale, con le conseguenze di cui all’art. 1223 c.c. (Trib. Milano 31 luglio 1999, pres. ed est. Gargiulo, in D&L 2000, 149)
  58. In caso di illegittimità dell’apposizione del termine con conseguente trasformazione in contratto a tempo indeterminato, il recesso operato dal datore di lavoro per presunta scadenza del termine equivale a licenziamento, con conseguente applicabilità dell’art. 18 SL (Pret. Milano 30/4/99, est. Salmeri, in D&L 1999, 550, n. Franceschinis, Sulla stagionalità nel rapporti di lavoro a tempo determinato. In senso conforme, v. Trib. Milano 29 gennaio 2000, pres. Mannacio, est. Gargiulo, in D&L 2000, 366)
  59. L’atto con cui il datore di lavoro comunica la cessazione del rapporto alla scadenza del termine illegittimamente apposto ha valenza meramente conoscitiva e non è qualificabile come licenziamento, con conseguente inapplicabilità degli artt. 18 SL e 6 L. 15/7/66 n. 604 e con conseguente diritto al lavoratore a percepire le retribuzioni a far tempo dalla data di estromissione dal servizio, a prescindere da una formale messa in mora del datore di lavoro (Trib. Milano 17/4/99, pres. Gargiulo, est. de Angelis, in D&L 1999, 554. In senso conforme, v. Trib. Milano 30/4/99, pres. ed est. Gargiulo, in D&L 1999, 557; Trib. Milano 10/7/99, pres. Ruiz, est. de Angelis, in D&L 1999, 852)
  60. In caso di comunicazione della cessazione del rapporto per scadenza del termine illegittimamente apposto, non è applicabile l’art. 18 SL, ma in ogni caso spettano al lavoratore tutti gli importi che egli avrebbe percepito dalla data di estromissione sino a quella di riammissione in servizio, e ciò in quanto la sospensione della prestazione per fatto imputabile al datore di lavoro implica la permanenza del diritto alla retribuzione (Trib. Milano 20/1/99, pres. Ruiz, est. de Angelis, in D&L 1999, 327)
  61. In caso di nullità della clausola appositiva di un termine finale al rapporto di lavoro, la comunicazione da parte del datore di lavoro della scadenza del termine non è qualificabile come licenziamento, per cui l’azione giudiziaria di contestazione di tale comunicazione si configura come diretta unicamente all’accertamento della permanenza del rapporto di lavoro (Trib. Milano 26/4/97, pres. Gargiulo, est. de Angelis, in D&L 1997, 781)
  62. In caso di nullità della clausola appositiva di un termine finale al contratto di lavoro, quest’ultimo va ricondotto al tipo normale a tempo indeterminato e l’azione diretta a contestare la cessazione del rapporto alla scadenza del termine si configura come azione di nullità parziale e non quale azione di impugnazione del licenziamento. Ne consegue la declaratoria della sussistenza attuale del rapporto, col diritto del lavoratore a riprendere il lavoro e a ottenere le retribuzioni arretrate fino all’effettiva ricostruzione del rapporto (Pret. Milano 2/7/96, est. Peragallo, in D&L 1997, 98. In senso conforme, v. Pret. Milano 10/6/96, est. Vitali, in D&L 1997, 98; Pret. Roma 20/7/96, est. Cannella, in D&L 1997, 306; Pret. Parma 27/11/98, est. Vezzosi, in D&L 1999, 329)

 

 

Pubblico impiego

  1. La clausola 5 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, che figura in allegato alla direttiva 1999/70/Ce del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, deve essere interpretata nel senso che essa non osta a una normativa nazionale che non sanzioni il ricorso abusivo, da parte di un datore di lavoro rientrante nel settore pubblico, a una successione di contratti a tempo determinato mediante il versamento, al lavoratore interessato, di un’indennità volta a compensare la mancata trasformazione del rapporto di lavoro a tempo determinato in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Dall’altra parte, è compatibile con una normativa che preveda la concessione di un’indennità compresa tra 2,5 e 12 mensilità dell’ultima retribuzione di detto lavoratore, accompagnata dalla possibilità, per quest’ultimo, di ottenere il risarcimento integrale del danno dimostrando, mediante presunzioni, la perdita di opportunità di trovare un impiego o il fatto che, qualora un concorso fosse stato organizzato in modo regolare, egli lo avrebbe superato, purché una siffatta disciplina di livello nazionale sia accompagnata da un meccanismo sanzionatorio effettivo e dissuasivo, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare. (Corte di Giustizia 7/3/2018, C-494/16, Pres. Silva de Lapuerta Rel. Arabadjiev, in Riv. it. dir. lav. 2018, con nota di F. Siotto, “La via giurisprudenziale europea per la tutela risarcitoria dei precari pubblici”, 683)
  2. Nel settore scolastico, nelle ipotesi di reiterazione illegittima dei contratti a termine stipulati ai sensi dell’art. 4, cc. 1 e 11, della l. n. 124 del 1999, devono essere qualificate misure proporzionate, effettive e idonee a sanzionare debitamente l’abuso e a cancellare le conseguenze della violazione del diritto dell’Ue, la stabilizzazione prevista nella l. n. 107/2015 per il personale docente, attraverso il piano straordinario destinato alla copertura di tutti i posti dell’organico di diritto, sia nel caso di concreta assegnazione del posto di ruolo sia in quello in cui vi sia certezza di fruire, in tempi certi e ravvicinati, di un accesso privilegiato al pubblico impiego, nel tempo compreso fino al totale scorrimento delle graduatorie a esaurimento, secondo l’art. 1, c. 109, della l. n. 107/2015, nonché l’immissione in ruolo acquisita da docenti e personale Ata attraverso l’operare dei pregressi strumenti selettivi concorsuale, che non preclude la domanda per il risarcimento dei danno ulteriori e diversi rispetto a quelli esclusi dalla stessa, con oneri di allegazione e prova a carico del lavoratore. (Cass. 7/11/2016 n. 22552, Pres. Macioce Est. Torrice, in Riv. giur. lav. e prev. soc. 2017, II, con nota di M. Aimo, “Incostituzionalità (parziale) del sistema delle supplenze e riforma della scuola”, 3, e in Riv. It. Dir. lav. 2017, con nota di L. Calafa, “The ultimate say della Cassaizone sul ‘caso scuola’”, 347)
  3. È costituzionalmente illegittimo, per violazione dell’art. 117, c. 1, Cost., in relazione alla clausola 5.1 dell’Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato allegato alla Direttiva n. 1999/70/Ce, l’art. 4, cc. 1 e 11, della l. 3.5.1999, n. 124 (Disposizioni urgenti in materia di personale scolastico), nella parte in cui autorizza, in mancanza di limiti effettivi alla durata massima totale dei rapporti di lavoro successivi, il rinnovo potenzialmente illimitato di contratti di lavoro a termine per la copertura di posti vacanti e disponibili di docenti, nonché di personale amministrativo, tecnico e ausiliario, senza che ragioni obiettive lo giustifichino. (Corte Cost. 20/7/2016 n. 187, Pres. Grossi Est. Coraggio, in Riv. giur. lav. e prev. soc. 2017, II, con nota di M. Aimo, “Incostituzionalità (parziale) del sistema delle supplenze e riforma della scuola”, 3, e in Riv. It. Dir. lav. 2017, con nota di V. Allocca, “Il giudizio della Corte Costituzionale sul conferimento di supplenze nelle scuole pubbliche prima e dopo la legge sulla ‘buona scuola’”, 325)
  4. Sono restituiti al mittente gli atti relativi alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma primo, l. n. 124 del 1999 e dell’art. 93, commi primo e secondo, l. della Provincia autonoma di Trento n. 5 del 2006, in riferimento agli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., in relazione alla clausola 5 dell’accordo quadro, allegato alla dir. n. 70/1999, nella parte in cui consentono la copertura delle cattedre disponibili entro la data del 31 dicembre e che rimangono scoperte per l’intero anno scolastico mediante il conferimento di supplenze annuali, in attesa dell’espletamento delle procedure concorsuali, dovendo essere valutata la perdurante rilevanza della questione in ragione della sopravvenuta l. n. 107 del 2015. (Corte Cost. 20/7/2016, ord., n. 194, Pres. Grossi Est. Coraggio, in Riv. It. Dir. lav. 2017, con nota di V. Allocca, “Il giudizio della Corte Costituzionale sul conferimento di supplenze nelle scuole pubbliche prima e dopo la legge sulla ‘buona scuola’”, 325)
  5. La pubblica amministrazione ha la facoltà di dare corso o meno alla procedura di stabilizzazione ma, una volta che questa è stata avviata e che siano state individuate le posizioni da ricoprire nella pianta organica, l’operato dell’amministrazione nella verifica dei titoli vantati dagli aspiranti deve essere vincolati ai requisiti previsti dalla normativa vigente, per cui il diniego di stabilizzazione di coloro che siano in possesso dei suddetti requisiti e che abbiano avanzato regolare istanza è illegittimo con conseguente condanna dell’amministrazione alla costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato. (Trib. Genova 10/4/2009, Est. Basilico, in D&L 2009, con nota di Andrea Danilo Conte, “Procedure di stabilizzazione nel pubblico impiego: prime pronunce dopo i dubbi sulla giurisdizione”, 1089)
  6. Deve ritenersi l’illegittimità del termine apposto ai contratti di lavoro stipulati successivamente al 30 aprile 1998, costituendo tale data il momento finale all’autorizzazione di contratti a termine, secondo le ipotesi previste dagli accordi del 25 settembre 1997 e 16 gennaio 1998 (nel caso di specie, la Corte ha ritenuto la nullità del termine apposto al contratto di lavoro successivamente a tale data, ritenendo che, in forza della delega in bianco conferita ai sindacati, quella fosse il momento in cui venivano a cessare le esigenze a fronte delle quali era concessa l’assunzione di personale straordinario con contratto a tempo determinato). (Cass. 27/2/2009 n. 4840, Pres. Mattone Rel. Di Cerbo, in Lav. nelle P.A. 2009, 144)
  7. Deve ritenersi l’illegittimità del termine apposto ai contratti di lavoro stipulati successivamente al 30 aprile 1998, costituendo tale data il momento finale all’autorizzazione di contratti a termine, secondo le ipotesi previste dagli accordi del 25 settembre 1997 e 16 gennaio 1998. Sul caso non esplica efficacia alcuna l’art. 21, comma 1-bis, d.l. n. 112/2008, che introduce un nuovo regime sanzionatorio circoscritto, tuttavia, per il carattere di eccezionalità della norma, alle sole ipotesi espressamente previste. (Cass. 22/12/2008 n. 29930, Pres. Mattone Rel. Nobile, in Lav. nelle P.A. 2008, 1146)
  8. Posto che la legge 28 febbraio 198, n. 56, art. 23, demanda alla contrattazione collettiva la possibilità di individuare nuove ipotesi di apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro e che le parti sindacali hanno individuato quella di cui all’accordo integrativo del 25 settembre 1997 (esigenze eccezionali, conseguenti alla fase di riorganizzazione e rimodulazione degli assetti occupazionali), è corretta l’interpretazione dei giudici di merito che, con riferimento al distinto accordo attuativo sottoscritto in pari data e a successivo accordo attuativo sottoscritto in data 16 gennaio 1998, ha ritenuto che tali accordi le parti hanno ritenuto la sussistenza del presupposto normativo fino al 30 aprile 1998, escludendosi la legittimità di contratti a termine stipulati dopo il 30 aprile 1998 in quanto privi di presupposto normativo. (Cass. 19/9/2008 n. 23895, Pres. De Luca Rel. Di Cerbo, in La. nelle P.A. 2008, 882)
  9. Il divieto di costituire rapporti di lavoro a tempo indeterminato in violazione delle norme imperative (di cui all’art. 36, comma 8 del d.lgs. n. 29 del 1993, come modificato dal d.lgs. n. 80 del 1998, art. 22 e ora trasfuso nel d.lgs. n. 165 del 2001, art. 36, comma 2) che dispongono l’assunzione con pubblico concorso opera nei confronti dei soggetti che abbiano stipulato con la pubblica amministrazione un contratto di lavoro a tempo indeterminato al di fuori dei casi consentiti, anche qualora siano risultati idonei in una procedura selettiva. (Cass. 7/5/2008 n. 11161, Pres. Mattone Rel. D’Agostino, in Lav. nelle P.A. 2008, 644)
  10. E’ illegittimo il termine apposto al contratto di lavoro di un assistente amministrativo fino al termine delle attività didattiche (30 giugno) in quanto contrario alle previsioni di cui agli artt. 4 della l. n. 124 del 1999 e 1 del d.m. 13.12.2000, n. 430, allorché risulti che la supplenza è stata conferita per coprire un posto vacante in organico e disponibile al 31 dicembre dell’anno precedente, e non per esigenze temporanee o per la sostituzione del titolare, a nulla rilevando quale organo abbia provveduto alla nomina (nel caso, il dirigente scolastico). (Trib. Sassari 2/5/2008, Est. Lucarini, in Lav. nelle P.A. 2008, 635)
  11. Non è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 519, l. n. 296/2006, che disciplina la c.d. stabilizzazione dei lavoratori a termine nelle pubbliche amministrazioni, per contrasto con gli artt. 3 e 97 Cost, in quanto nel sistema determinato dalla legge, posizioni deteriori, proprie di chi è risultato soltanto idoneo in procedure seletive per l’assunzione a termine, a parità di condizioni, ricevono un trattamento migliore rispetto a situazioni attestanti un maggiore merito, quali quelle di chi nelle stesse procedure è risultato vincitore e che, in quanto assunto in data anteriore, può risultare – a differenza degli idonei – non in possesso dei requisiti previsti dalla disposizione in oggetto per l’acquisizione dell’impiego a tempo indeterminato. (Cons. St. 11/3/2008 n. 2230, Pres. Barbaglio Est. Vigotti, in Lav. nelle P.A. 2008, con nota di Fabio Pantano, “La legittimità costituzionale delle norme sulla c.d. stabilizzazione dei lavoratori a termine nella finanziaria 2007: precarietà, eguaglianza e buon andamento”, 549)
  12. La responsabilità della PA, ai sensi dell’art. 36 D.Lgs. 30/3/01 n. 165 per illegittima apposizione del termine in una successione di contratti a tempo determinato, ha natura contrattuale; stante la legittimità della disciplina della mancata conversione, il danno risarcibile va commisurato alle retribuzioni non percepite per il tempo mediamente necessario per ricercare una nuova occupazione stabile, tenuto conto di zona geografica, età dei lavoratori, sesso e titolo di studio. (Trib. Rossano 13/6/2007, Est. Coppola, con nota di Letizia Martini, 737)
  13. Dall’accertata nullità del termine apposto al contratto di lavoro alle dipendenze di un’amministrazione pubblica non può conseguire la conversione in rapporto di lavoro a tempo indeterminato; tuttavia, il lavoratore acquisisce il diritto al risarcimento del danno subito, che va parametrato alla sanzione prevista dal quarto e quinto comma dell’art. 18 St. Lav. (Trib. Genova 5/4/2007, Giud. Basilico, in Riv. it. dir. lav. 2007, con nota di Laura Tebano, “Il contratto a termine nel lavoro pubblico: quando la tutela risarcitoria può ritenersi effettiva, adeguata e dissuasiva”, 906)
  14. Nell’ipotesi in cui, nell’ambito della dirigenza medica e veterinaria del servizio sanitario nazionale, siano illegittimamente stipulati con soluzione di continuità diversi contratti di lavoro a tempo determinato, pur non potendo aversi conversione del contratto a termine in contratto di lavoro a tempo indeterminato, è dovuto al lavoratore il risarcimento del danno, ex art. 36, 2° comma, D.Lgs. 165/01; tale risarcimento può essere quantificato calcolando l’indennità di esclusività prevista dalla contrattazione collettiva. (Trib. Milano 12/1/2007, Est. Sala, in D&L 2007, 182)
  15. L’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, che figura in allegato alla direttiva del Consiglio 28 giugno 1999, n. 1999/70/CE, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, deve essere interpretato nel senso che non osta, in linea di principio, a una normativa nazionale che esclude, in caso di abuso derivante dall’utilizzo di una successione di contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato da parte di un datore di lavoro rientrante nel settore pubblico, che questi siano trasformati in contratti o in rapporti di lavoro a tempo indeterminato, mentre tale trasformazione è prevista per i contratti e i rapporti di lavoro conclusi con un datore di lavoro appartenente al settore privato, qualora tale normativa contenga un’altra misura effettiva destinata a evitare e, se del caso, a sanzionare un utilizzo abusivo di una successione di contratti a tempo determinato da parte di un datore di lavoro rientrante nel settore pubblico. (Corte di Giustizia CE 7/9/2006, proc. C-180/04, Pres. C.W.A. Timmermans Rel. R. Schintgen, in Lav. nella giur. 2006, con commento di Michele Miscione, 965)
  16. In caso di successive assunzioni a termine alle dipendenze di una Pubblica Amministrazione, la prestazione lavorativa in periodi non coperti da contratto non può, stante il disposto dell’art. 35 D.Lgs. 30/3/01 n. 165, dar luogo alla costituzione di un rapporto dipendente con la medesima PA; sussiste, tuttavia, il diritto del lavoratore ex art. 36 Cost. a una retribuzione adeguata alla qualità e quantità del lavoro prestato. Opera, nel caso, la presunzione di onerosità che assiste qualsiasi prestazione lavorativa in assenza di prova rigorosa circa l’esistenza tra le parti di situazioni particolari che ne giustifichino la gravità. (Trib. Firenze 6/12/2005, Est. Bazzoffi, in D&L 2007, con nota di Yara Serafini, 145)
  17. Il dipendente pubblico, al termine di un contratto di lavoro a tempo determinato inferiore all’anno, anche prima della entrata in vigore della disciplina introdotta dal 5°, 6° e 7° comma dell’art. 2 L. 335/95 (i cui effetti sono stati posticipati dal 1/1/96 al 30/5/2000 dell’accordo quadro 29/7/99 e dal DPCM di esecuzione dell’accordo del 31/12/99), ha diritto al trattamento di fine rapporto secondo la regolamentazione dell’art. 2120 c.c., in quanto detta posticipazione del diritto è in contrasto con l’art. 36 Cost. (Corte d’appello Firenze 21/1/2005, Pres. Drago Est. Amato, in D&L 2005, 213)
  18. In caso di illegittima e reiterata assunzione a termine alle dipendenze della Pubblica Amministrazione, il lavoratore ha diritto – ai sensi dell’art. 36 D.Lgs. 30/3/01 n. 165 – al risarcimento del danno derivante dalla prestazione di lavoro in violazione di disposizioni imperative; tale risarcimento deve avere a oggetto anche il Tfr che il dipendente avrebbe percepito in caso di assunzione a tempo indeterminato. (Trib. Napoli 12/1/2005, Est. Simeoli, in D&L 2005, con nota di Alberto Guariso, “Il risarcimento del danno da contratto a termine illegittimo nel pubblico impiego”, 167)
  19. Il tribunale di Genova propone alla Corte di Giustizia una questione pregiudiziale, relativa all’interpretazione delle clausole 1, lett. b), e 5) dell’accordo quadro tra CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, recepito dalla direttiva 1999/70/CE. Il giudice a quo chiede se la normativa comunitaria debba essere inteso nel senso che osta all’applicazione dell’art. 36, comma 2, D.Lgs. 165/2001, che priva i lavoratori assunti a termine dalla Pubblica Amministrazione della tutela rappresentata dalla costituzione di un rapporto a tempo indeterminato in caso di violazione di norme imperative alla successione di contratti a termine. (Trib. Genova 21/1/2004, ord., Est. Basilico, in Lav. nella giur. 2004, con commento di Carlo Alberto Costantino, 885)
  20. Si dispone la trasmissione del provvedimento della Corte di giustizia delle Comunità Europee per risolvere il seguente dubbio interpretativo “se la Direttiva 1999/70/CE (art. 1 nonché clausole 1, lett. b, e clausola 5 dell’Accordo quadro sul lavoro CES-UNICE-CEEP recepito dalla Direttiva) debba essere intesa nel senso che osta ad una disciplina interna (previgente all’attuazione della Direttiva stessa) che differenzia i contratti di lavoro stipulati con la pubblica amministrazione, rispetto ai contratti con datori di lavoro privati, escludendo i primi dalla tutela rappresentata dalla costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato in caso di violazione di regole imperative sulla successione dei contratti a termine”. (Trib. Genova ord. 21/1/2004, Est. Basilico, in Lav. nelle P.A. 2004, 693)
  21. In caso di illegittima apposizione del termine al contratto, la disdetta del datore di lavoro non è equiparabile a licenziamento, in quanto in tale ipotesi le prestazioni cessano in ragione dell’esecuzione che le parti danno ad una clausola nulla; conseguentemente non trova applicazione l’art. 18 SL ed il lavoratore ha diritto alle retribuzioni successive alla cessazione solo qualora provveda ad offrire la prestazione, essendo a tal fine insufficiente la richiesta di reintegrazione nel posto di lavoro. (Cass. 8/10/2002 n. 14381, Pres. Carbone Est. Miani Canevari, in D&L 2002, 891)
  22. Per effetto dell’entrata in vigore “per amministrazioni pubbliche si intende, tra l’altro”…i Comuni, le Comunità montane e loro consorzi ed associazioni”, tout court è venuta meno distinzione tra consorzi aventi natura istituzionale e consorzi costituiti per la gestione dei servizi, con conseguente assoggettamento del personale di questi ultimi alla disciplina del rapporto di lavoro privato e non a quella dell’impiego pubblico, introdotta dall’art. 25, L. 8 giugno 1990, n. 142. Ex art. 36, comma 8, del citato decreto, la violazione delle disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori, da parte delle pubbliche amministrazioni-tra le quali sono espressamente e senza limitazioni di sorta inclusi i consorzi-non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni; essa infatti comporta unicamente conseguenze di natura risarcitoria senza che vi sia spazio per la concedibilità della tutela cautelare. (Trib. Salerno 12/3/2002, ordinanza, Est. Notari, in Lav. nella giur. 2003, 292)
  23. Nell’ambito di un rapporto di lavoro a tempo determinato instaurato con un ente pubblico economico, il vizio genetico del contratto, conseguente alle prescrizioni di una norma speciale contenuta in una legge regionale, non comporta l’applicazione del sistema sanzionatorio dell’art. 2, l. n. 230/62 bensì quello previsto dall’art. 1418 c.c., ferme per il prestatore le garanzie di cui all’art. 2126 c.c. (Corte Appello Bari 26/9/00, pres. Berloco, est. Curzio, in Lavoro giur. 2001, pag. 653, con nota di Farina, Contratto a termine: vizio genetico e apparato sanzionatorio)

 

 

Questioni economiche

  1. Il trattamento retributivo accessorio, rappresentato dal compenso incentivante collegato ai miglioramenti di efficienza dell’amministrazione e di qualità dei servizi secondo la programmazione di produttività dell’ente rientra indiscutibilmente nel concetto di “condizioni di impiego” di cui parla la direttiva 1999/70/CE, trasposta nel D.Lgs. n. 368/2001 con la formula dell’art. 6. (Corte app. Milano 6/11/2012, Pres. Curcio Rel. Vitali, in Lav. nella giur. 2013, 202)
  2. L’azione, tendente a ottenere il diritto del ricorrente a partecipare al concorso per la somma (indennizzo) eventualmente determinata dal giudice in caso di accertata illegittimità del termine, non può che ritenersi improcedibile ai sensi dell’art. 13 d.lgs. n. 270/1999, domanda quindi da azionarsi secondo le modalità previste dallo stesso D.Lgs. n. 270/1999. (Trib. Milano 16/10/2012, in Lav. nella giur. 2013, 100)
  3. Nel caso di pronuncia di conversione del contratto a termine in contratto a tempo indeterminato, che ha natura dichiarativa con efficacia ex tunc, l’indennità di cui all’art. 32 del Collegato lavoro, che non può considerarsi aggiuntiva rispetto al risarcimento del danno da diritto comune, non copre il periodo sino alla sentenza, come ritenuto con sentenza meramente interpretativa di rigetto dalla Corte Costituzionale (sent. n. 303/2011), bensì il solo periodo intercorso dalla scadenza del termine illegittimo al deposito del ricorso, momento con riferimento al quale occorre valutare anche i criteri di cui all’art. 8 della l. n. 604/1966, mentre per il periodo successivo, quale effetto della conversione, sono dovute le retribuzioni e gli accessori. (Corte app. Roma 14/2/2012 n. 547, Pres. e Rel. Cannella, in Lav. nella giur. 2012, con commento di Filippo Maria Giorgi, 699)
  4. L’indennità onnicomprensiva prevista dall’art. 32, co. 5, l. n. 183/2010, dalla quale non è detraibile l’aliunde perceptum, copre soltanto il periodo c.d. “intermedio”, che corre dalla scadenza del termine fino alla sentenza che accerta la nullità di esso e dichiara la conversione del rapporto, con la conseguenza che a partire da tale sentenza è da ritenere che il datore di lavoro sia indefettibilmente obbligato a riammettere in servizio il lavoratore e a corrispondergli, in ogni caso, le retribuzioni dovute, anche in ipotesi di mancata riammissione effettiva. (Cass. 31/1/2012 n. 1411, Pres. De Luca Est. Nobile, in Riv. It. Dir. lav. 2012, con nota di M.L. Vallauri, “Brevi note sul nuovo regime sanzionatorio del contratto a termine illegittimo: la quantificazione dell’indennità e le condizioni di applicabilità delle nuove regole alle cause pendenti nel giudizio di legittimità”, 400)
  5. Poiché la sentenza che dichiara la nullità parziale del contratto di lavoro per illegittimità del termine è pronuncia dichiarativa con effetti ex tunc e del tutto “inedita” appare “la fattispecie di nullità ex nunc” ipotizzata (con interpretazione non vincolante) dalla Corte costituzionale (sent. n. 303/2011), ai fini della compatibilità con gli artt. 111 e 24 Cost. e con i principi dell’ordinamento processuale, appare preferibile l’interpretazione secondo la quale l’indennità forfetizzata di cui all’art. 32 del Collegato lavoro copra il periodo intercorso dalla scadenza del termine illegittimo al deposito del ricorso, mentre da questo momento maturi il diritto alle retribuzioni. (Corte app. Torino 20/12/2011 n. 1519, Pres. Mariani Rel. Pasquarelli, in Lav. nella giur. 2012, con commento di Filippo Maria Giorgi, 701)
  6. Il lavoratore, in caso di contratto di lavoro a termine illegittimo, ha diritto, oltre l’indennità forfetaria prevista dall’art. 32, l. 4 novembre 2010, n. 183 (“Collegato lavoro”), al risarcimento del danno pari alle retribuzioni dal momento in cui propone la domanda e non dalla sentenza. (Trib. Napoli 16/11/2011, Est. Coppola, in Lav. nella giur. 2012, con commento di Roberto e Stefano Muggia, 259)
  7. La nozione di “condizioni di impiego” di cui alla clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato (concluso il 18/3/99, contenuto in allegato alla direttiva del Consiglio 1999/70/Ce, relativa all’accordo quadro Ces, Unice e Ceep sul lavoro a tempo determinato), deve essere interpretata nel senso che osta a una disposizione del diritto interno che esclude l’attribuzione a un lavoratore a tempo determinato degli scatti di anzianità che il medesimo ordinamento nazionale concede ai lavoratori a tempo indeterminato. (Corte di Giustizia CE 13/9/2007 causa C-307/05, Pres. Timmermans Rel. Schintgen, in D&L 2007)
  8. Al dipendente che cessi l’esecuzione della prestazione lavorativa alla scadenza del termine illegittimamente apposto al contratto non spetta la retribuzione finché non provveda ad offrire la prestazione lavorativa determinando una “mora accipiendi” del datore di lavoro, situazione questa che non è integrata dalla domanda di annullamento del (ritenuto) licenziamento illegittimo con richiesta di reintegrazione nel posto di lavoro, né spetta al lavoratore il risarcimento del danno commisurato alle retribuzioni perdute per il periodo successivo alla scadenza del suddetto termine, posto che dalla regola generale di effettività e corrispettività delle prestazioni nel rapporto di lavoro deriva che, al di fuori di espresse deroghe legali o contrattuali, la retribuzione spetta soltanto se la prestazione di lavoro viene eseguita, salvo che il datore di lavoro versi in una situazione di “mora accipiendi” nei confronti del dipendente. (Cass. 25/11/2003 n. 17987, Pres. Mattone Rel. Vigolo, in Dir. e prat. lav. 2004, 767)
  9. Il contratto a termine, in mancanza degli specifici presupposti di legge, deve considerarsi a tempo indeterminato sin dall’inizio, ma non spettano al lavoratore le retribuzioni per gli intervalli non lavorati, in virtù del principio di sinallagmaticità del rapporto. (Trib. Milano 16/4/2002, Est. Di Ruocco, in D&L 2002, 617, con nota di Sara Rolandi, “Illegittimità del contratto a termine e licenziamento della lavoratrice madre”)
  10. E’ legittima e non contrasta con l’art. 5 della l. n. 230/1962 la mancata corresponsione ai lavoratori a tempo determinato di emolumenti quali la gratifica speciale, la gratifica particolare e il premio di produttività che, per la loro essenza e funzione, sono diretti a compensare un’attività lavorativa connotata dai requisiti della continuità e della pienezza di partecipazione all’attività aziendale, non essendo inoltre riscontrabile un principio di assoluta parità di trattamento tra lavoratori a tempo determinato e lavoratori a tempo indeterminato. (Trib. Ravenna 11/7/2002, Giud. Riverso, in Riv. it. dir. lav. 2003, 373, con nota di Anna Montanari, Un caso di legittima differenziazione retributiva tra lavoratori a termine e no).

 

 

Precedenza nelle assunzioni

  1. Sono costituzionalmente illegittimi, per violazione dell’art. 77, primo comma, della Costituzione e assenza di delega, l’art. 10, commi 9 e 10, nonché l’art. 11, commi 1 e 2, del D.Lgs. 6 settembre 2001 n. 368 (Attuazione della direttiva 1999/70/CE relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato dall’UNICE, dal CEEP e dal CES), nella parte in cui abrogano l’art. 23, comma 2, della L. 28 febbraio 1987, n. 56, che regolava l’esercizio del diritto di precedenza dei lavoratori stagionali nella riassunzione presso la medesima azienda e con la medesima qualifica. Le norme censurate e dichiarate illegittime, infatti, si collocano al di fuori della direttiva comunitaria e anche al di fuori della delega conferita al Governo dalla legge comunitaria 29 dicembre 2000, n. 422 che, a differenza di altre ipotesi, non ha dettato specifici criteri o principi capaci di ampliare lo spazio di intervento del legislatore delegato. (Corte Cost. 4/3/2008 n. 44, Pres. Bile Rel. Mazzella, in Lav. nella giur. 2008, con commento di Vincenzo Di Michele, 367 e in Dir. e prat. lav. 2008, 907, e in Riv. it. dir. lav. 2008, con nota “La disciplina del contratto a termine sotto la lente comunitaria della Corte Costituzionale”, 504, e in Riv. it. dir. lav. 2008, con nota di Federica Amici, “Lavoratori stagionali a termine e diritto di precedenza di fronte alla Corte Costituzionale”, 764)
  2. La questione di costituzionalità degli artt. 10, commi 9 e 10, e 11, commi 1 e 2, del D.Lgs. 368/2001, nella misura in cui non riconoscono il diritto di precedenza nella assunzione presso la stessa azienda e con la medesima qualifica a favore dei lavoratori che abbiano prestato attività lavorativa con contratto a tempo determinato per le ipotesi già previste dall’art. 23, comma 2, L. 28 febbraio 1987, n. 56, è rilevante e non manifestamente infondata in relazione alla violazione dell’art. 76 Cost. (Trib. Rossano 17/5/2004, ord., Est. Coppola, in Lav. nella giur. 2005, con commento di Paola Nodari, 472)
  3. I lavoratori assunti a termine da aziende di trasporto aereo ai sensi dell’art. 1, lett. F), l. 18 aprile 1962 n. 230 (quale aggiunto dalla l. 25 marzo 1986 n. 84) non hanno il diritto di precedenza nelle assunzioni con la medesima qualifica presso l’azienda stessa di cui agli artt. 8 bis d.l. 29 gennaio 1983 n. 17, convertito, con modificazioni, nella l. 25 marzo 1983 n. 79, e 23, secondo comma, l. 28 febbraio 1987, n. 56. (Trib. Catania 13/5/2003, ord., Pres. Camilleri, Rel. Cordio, in Foro it. 2003, parte prima, 2861)
  4. I lavoratori che abbiano prestato attività lavorativa a carattere stagionale con contratto a tempo determinato dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. 6 settembre 2001 n. 368, non hanno il diritto di precedenza nelle assunzioni con la medesima qualifica presso l’azienda stessa di cui agli artt. 8 bis d.l. 29 gennaio 1983 n. 17, convertito con modificazioni nella l. 25 marzo 1983 n. 79 e 23, secondo comma, l. 28 febbraio 1987, n. 56, questo non derivando neppure da clausola contrattuale collettiva, anteriore a tale entrata in vigore, per la quale si sia inteso “confermare la normativa pregressa”. (Trib. Catania 13/5/2003, ord., Pres. Camilleri, Rel. Cordio, in Foro it. 2003, parte prima, 2861)
  5. La questione di costituzionalità degli artt. 10, commi 9 e 10, e 11, commi 1 e 2, del D.Lgs. 368/2001, nella misura in cui non riconoscono il diritto di precedenza nella assunzione presso la stessa azienda e con la medesima qualifica a favore dei lavoratori che abbiano prestato attività lavorativa con contratto a tempo determinato per le ipotesi già previste dall’art. 23, comma 2, L. 28 febbraio 1987, n. 56, è rilevante e non manifestamente infondata in relazione alla violazione dell’art. 76 Cost. (Trib. Rossano 17/5/2004, ord., Est. Coppola, in Lav. nella giur. 2005, con commento di Paola Nodari, 472)

 

 

Assunzione da liste di mobilità (Art. 8 L. 223/91)

  1. Nell’ipotesi di assunzione a termine di un lavoratore posto in mobilità ex art. 8, comma 2, l. n. 223/1991, la semplice sussistenza in capo al lavoratore di uno specifico requisito soggettivo (l’essere posto in mobilità con collocazione nelle relative liste) rappresenta una valida ragione giustificatrice dell’apposizione di un termine al contratto di lavoro. (Trib. Milano 3/12/2013, Giud. Cipolla, in Lav. nella giur. 2014, 290)
  2. La fattispecie di contratto a termine prevista dall’art. 8, l. 223/91 è del tutto nuova ed autonoma, sia sul piano dei presupposti, sia su quello della disciplina, rispetto alle ipotesi fissate dalla l. 230/62, con la conseguenza che è consentita alla volontà delle parti la proroga del termine iniziale del contratto, anche in assenza dei presupposti oggettivi previsti dalla l. 230/62, purché sia mantenuta entro il limite dei dodici mesi (Cass. 10/7/00, n. 9174, pres. de Musis, est. Castiglione, in Foro it. 2000, I, 3487; in Riv. it. dir. lav. 2001, pag. 309, con nota di Faleri, La Corte Suprema interviene in tema di assunzione a termine dei lavoratori in mobilità)
  3. L’art. 8, 2° comma, L. 23/7/93 n. 223, il quale dispone che i lavoratori in mobilità possono essere assunti con contratto di lavoro a termine di durata non superiore a dodici mesi, ha introdotto una fattispecie di assunzione a termine autonoma ed ulteriore rispetto alle ipotesi contemplate nella L. 18/4/62 n. 230 (Cass. 10/7/00 n. 9174, pres. De Mutis, in Dir. lav. 2000, pag. 387, con nota di Pozzaglia, Contratto a termine e mobilità e in Orient. giur. lav. 2000, pag. 701)
  4. L’apposizione del termine annuale non va considerata illegittima per il solo fatto che il predetto termine annuale non trova giustificazione in nessuna delle ipotesi previste dalla generale disciplina sui contratti a termine di cui alla legge n. 230/62, in quanto l’assunzione a termine di lavoratori in mobilità resa possibile dall’art. 8, 2° comma, L. n. 223/91, costituisce una fattispecie ulteriore rispetto a quelle previste dalla L. 230/62 (Trib. Cassino 6/12/99, est. Lisi, in Dir. lav. 2000, pag. 387, con nota di Pozzaglia, Contratto a termine e mobilità)
  5. L’ipotesi di contratto di lavoro a tempo determinato prevista dall’art. 8 L. 223/01 va ricondotta alla disciplina generale stabilità dalla L. 230/62, con la conseguenza che, in difetto del collegamento causale ipotizzato da quest’ultima legge, anche il termine apposto a un contratto con in lavoratore iscritto nelle liste di mobilità è nullo (Pret. Milano 21/7/95, est. Atanasio, in D&L 1995, 905. In senso conforme, v. Pret. Milano 26/4/96, est. Mascarello, in D&L 1997, 85; Pret. Milano 26/3/97, est. Santosuosso, in D&L 1997, 539; Pret. Monza 9/8/96, est. Padalino, in D&L 1997, 302, n. Cecconi, Sui requisiti del contratto a tempo determinato stipulato con il lavoratore in mobilità)
  6. Il contratto a termine stipulato ex art. 8 L. 223/91 può essere prorogato nei casi e con i limiti indicati dall’art. 2 L. 230/62 (Pret. Milano 6/7/95, est. Cecconi, in D&L 1995, 902, nota CHIUSOLO, La proroga del contratto a termine ex art. 8 L. 223/91)

Le segnalazioni della Newsletter di Wikilabour in tema di contratto a termine

  1. Proroga del contratto a tempo determinato e periodo transitorio del Decreto dignità: ai fini dell’individuazione della normativa applicabile deve farsi riferimento alla produzione degli effetti e non alla stipula.
    Il caso riguarda un contratto a tempo determinato prorogato nel c.d. periodo bianco disposto dal “Decreto dignità” del 2018 (ossia fra il 12 agosto 2018 e il 31 ottobre 2018), i cui effetti si sono prodotti dalla data di entrata in vigore a pieno regime del D. Lgs 87/18. Nel caso, la proroga aveva avuto effetto il 1° novembre 2018, a periodo transitorio scaduto, ma era stata comunicata qualche giorno prima, pretendendo la Società di non doversi applicare il nuovo regime legale della motivazione della proroga. Il Giudice, nell’individuare la normativa applicabile, ha statuito che con riferimento alla proroga deve aversi riguardo non alla data della stipula, bensì al momento in cui gli effetti della proroga stessa si producono. Sino a tale momento, infatti, il contratto a tempo determinato continua ad avere una copertura legale sino alla sua naturale scadenza. (Trib. Milano 22/6/2020, Giud. Ravazzoni, in Wikilabour, Newsletter n. 13/2020)