Questa voce è stata curata da Arianna Castelli
Scheda sintetica
Il rapporto di lavoro giornalistico deve essere ricondotto nell’area dei rapporti di lavoro speciali, ossia quei rapporti di lavoro che, pur non costituendo una categoria omogenea, si discostano dallo schema di rapporto di lavoro tipico, necessitando di una regolamentazione differenziata che tenga conto degli elementi peculiari rispetto a quest’ultimo.
In particolare, la disciplina del rapporto di lavoro giornalistico sconta fin dalle origini l’inesistenza di una definizione espressa: infatti, le scarne disposizioni legislative esistenti in materia non hanno fornito agli interpreti e ai pratici del diritto una definizione di “attività giornalistica” atta a orientarne l’operato. Analogamente, la contrattazione collettiva si è limitata a enucleare le diverse qualifiche professionali.
Sul punto, invece, si è registrata una copiosa produzione giurisprudenziale che ha enucleato gli elementi tipizzanti della figura in commento.
L’attività giornalistica può essere svolta sia in forma autonoma e privata; occorre però precisare come i giudici a riguardo abbiano elaborato una nozione attenuata di subordinazione che si discosta da quella valida per la generalità dei rapporti di lavoro.
La disciplina sostanziale del rapporto è contenuta, oltre alle risalenti fonti normative cui si è fatto cenno, nel Contratto collettivo nazionale giornalisti che prevede una serie di disposizioni volte a contemperare le esigenze regolatorie con quelle -riconducibili al principio costituzionalmente tutelato della libera manifestazione del pensiero- di libertà di informazione e di esercizio di critica da parte del giornalista.
Fonti normative
- Legge 31 dicembre 2012, n. 233;
- Legge 5 agosto 1981, n. 416;
- Legge 3 febbraio 1963, n. 69;
- CCNL di Lavoro Giornalistico
A chi rivolgersi
- Studio legale specializzato in diritto del lavoro
- Ufficio vertenze sindacale
Definizione
Come anticipato, un’univoca definizione di “attività giornalistica” non è rinvenibile né nei testi normativi né nella contrattazione collettiva, ragione per cui l’arduo compito di supplire a tale lacuna è spettato alla giurisprudenza che, da un lato, ha valorizzato una serie di elementi caratterizzanti l’attività giornalistica generalmente intesa, dall’altro, ha enucleato i tratti caratterizzanti le singole mansioni tipizzate dalle parti sociali.
In linea generale, l’attività giornalistica è stata definita come un’attività intellettuale volta alla diffusione di idee, opinioni o notizie, caratterizzata dall’apporto creativo fornito dal giornalista. Non è certamente definibile come attività giornalistica quella svolta da soggetti che si limitano alla mera raccolta e pubblicazione di informazioni, essendo invece assolutamente necessario che, nell’esercitare tale operazione, il giornalista fornisca un contributo personale consistente nell’elaborazione critica delle notizie prima di comunicarle al pubblico.
In particolare, il prodotto di tale attività può essere diffuso non solo tramite il mezzo scritto – stampa intesa in senso tradizionale-, ma anche attraverso strumenti che privilegino la comunicazione verbale o visiva – servizi giornalistici della radio o della televisione-. Infatti, la giurisprudenza ha riconosciuto la natura di giornalista anche a redattori grafici, fotoreporter e cineoperatori, purché le loro attività presentassero i caratteri di cui si è appena detto.
Ferma restando dunque la nozione di attività giornalistica di matrice giurisprudenziale, la contrattazione collettiva ha invece previsto una serie di qualifiche e profili professionali:
- redattore con meno di 30 mesi di anzianità;
- redattore con più di 30 mesi di anzianità;
- vice caposervizio;
- redattore esperto;
- caposervizio;
- redattore senior;
- vice-caporedattore;
- capo-redattore;
- direttore.
In particolare, il redattore esperto è il redattore con più di 30 mesi di anzianità e con un’anzianità di servizio superiore a 8 anni nella stessa azienda; il caposervizio, invece, è il redattore a cui è stata attribuita continuativamente la responsabilità di un dato servizio e che, a tal fine, coordina e sovrintende il lavoro di due o più redattori o collaboratori ex art. 2 CNLG, oppure il giornalista professionista responsabile di una sede decentrata e che abbia sempre alle proprie dipendenze almeno due redattori o collaboratori fissi. Il redattore senior deve necessariamente possedere un’anzianità di servizio nella stessa azienda superiore a 5 anni in relazione all’esperienza e all’attività professionale, mentre al il capo-redattore è affidato il compito di dirigere l’attività di servizio della redazione centrale o dell’ufficio di corrispondenza della capitale sulla scorta delle indicazioni della direzione; tale qualifica, tuttavia, viene attribuita anche a colui che deve dirigere e coordinare le redazioni decentrate e gli uffici di corrispondenza, nonché occuparsi dei servizi di informazione particolarmente rilevanti.
Il direttore, infine, svolge un ruolo fondamentale nell’ambito dell’impresa editoriale: propone le assunzioni e, per motivi tecnico-professionali, i licenziamenti dei giornalisti; oltre a ciò, è tenuto a impartire le direttive politiche e tecnico professionali del lavoro redazionale, stabilire le mansioni dei giornalisti e adottare tutte le precauzioni necessarie per assicurare l’autonomia della testata.
Le specifiche facoltà, anche inerenti la linea politica, riconosciute al direttore vengono concordate direttamente tra lo stesso e l’editore e vengono comunicate al Comitato di Redazione (o al fiduciario) (si veda il paragrafo dedicato) unitamente alla sua nomina, in modo tale che vengano tempestivamente comunicate all’intera redazione.
L’art. 2 del CCNL ha istituito anche la particolare figura del collaboratore fisso, ossia quel giornalista, addetto ai quotidiani, alle agenzie di informazioni quotidiane per la stampa, ai periodici, alle emittenti radiotelevisive private e agli uffici stampa collegati alle aziende editoriali, che, pur non svolgendo la professione quotidianamente, assicura la continuità della propria prestazione, è soggetto a un vincolo di dipendenza ed assume la responsabilità di un servizio.
Le parti sociali si sono preoccupate di dettagliare i requisiti della prestazione del collaboratore fisso, stabilendo che, da un lato, la prestazione continuativa debba estrinsecarsi in una prestazione non occasionale, volta a soddisfare le esigenze informative riguardanti uno specifico settore di competenza del collaboratore; dall’altro, che il vincolo di dipendenza sussista solo laddove l’impegno del collaboratore fisso di mettere a disposizione la propria prestazione non venga meno tra una prestazione e l’altra. Infine, il collaboratore ha la responsabilità di un servizio quando gli viene affidato il compito di redigere normalmente e continuativamente articoli su specifici argomenti o compilare rubriche.
La giurisprudenza, pur senza fornire soluzioni univoche, ha valorizzato gli elementi distintivi della figura del collaboratore rispetto a quella del redattore. Infatti, talune pronunce, ai fini dell’individuazione dell’attività di quest’ultimo, hanno valorizzato lo svolgimento dell’attività giornalistica quotidianamente, conformemente a vincoli di orario predeterminati e tramite l’inserimento in una redazione; altre sentenze, invece, hanno riconosciuto la qualifica di redattori anche a soggetti che, pur prestando la propria attività quotidianamente, non sono inseriti stabilmente in una redazione e non sono tenuti al rispetto di un orario, ma forniscono all’editore notizie di un particolare tipo.
Minimo comune denominatore della figura del redattore risulta essere dunque la prestazione dell’attività lavorativa quotidianamente, caratteristica che, nell’elaborazione giurisprudenziale, lo distingue perciò dal collaboratore che, al contrario, pur non svolgendo un’attività meramente occasionale, non è comunque tenuto a fornire la propria prestazione lavorativa giornalmente.
L’art. 12, invece, prevede la figura del corrispondente, ossia del giornalista che, pur non essendo specializzato su una determinata tematica o argomento, è incaricato di fornire informazioni di qualsiasi tipo, riguardanti una data zona geografica che gli viene assegnata.
Il legislatore ha invece fornito una definizione espressa solo di “giornalista professionista” e di “giornalista pubblicista”.
L’art. 1 della legge 3 febbraio 1063 n. 69 ha stabilito che possono essere definiti giornalisti professionisti esclusivamente coloro che esercitano la professione in modo esclusivo e continuativo e che, pertanto sono iscritti all’Albo professionale nel relativo elenco.
E’ possibile iscriversi in tale elenco solo dopo aver svolto continuativamente la pratica professionale per almeno 18 mesi (di cui i primi sei possono essere svolti anche durante la frequenza del corso di studio universitario).
Nel caso in cui il giornalista eserciti la professione senza essere iscritto all’albo si applicano le sanzioni appositamente prevista dall’art. 45 della l. 69/63 (ossia la reclusione fino a sei mesi oppure una multa da €103 a € 516); in ogni caso, il contratto è nullo, ma si applica l’art. 2126 del codice civile, in forza del quale, per il periodo per cui il rapporto ha avuto esecuzione, il giornalista ha diritto al trattamento economico e normativo previsto dalla contrattazione collettiva e al risarcimento del danno per la mancata contribuzione previdenziale.
Al contrario, i giornalisti pubblicisti esercitano abitualmente un’attività lavorativa diversa, ma continuano comunque a svolgere attività giornalistica non occasionale e retribuita, e sono iscritti all’Albo professionale nell’Elenco pubblicisti.
In questo caso, ai fini dell’iscrizione è necessario che il giornalista produca i giornali e i periodici in cui sono stati pubblicati i propri scritti e i certificati dei direttori comprovanti lo svolgimento dell’attività giornalistica retribuita da almeno due anni.
Il rapporto intercorrente tra categorie legali e categorie contrattuali non è di facile lettura in quanto dal confronto tra le relative disposizioni non emerge chiaramente la legittimità dell’instaurazione di una corrispondenza biunivoca tra pubblicisti/collaboratori e giornalisti professionisti/redattori.
Circa il primo profilo, non si può dubitare del fatto che anche un giornalista professionista possa essere legittimamente impiegato come collaboratore, dovendosi dunque confutare la tesi di una necessaria coincidenza tra la figura del collaboratore e del pubblicista.
In relazione al secondo profilo, invece, la giurisprudenza non si è mostrata concorde. Da un lato, talune pronunce hanno valorizzato la disposizione del CCNL che prescrive l’affidamento delle mansioni di redattore ai soli giornalisti professionisti, deducendone la nullità del rapporto intercorso tra il pubblicista e l’editore, e l’applicabilità dell’art. 2126 c.c. Al contrario, alcuni giudici -oltre a parte della dottrina- hanno affermato che la distinzione tra giornalisti professionisti e pubblicisti deve essere ricondotta all’esclusività della prestazione e non al contenuto delle mansioni svolte, ragione per cui, nel caso in cui i pubblicisti esercitino quotidianamente l’attività giornalistica in via esclusiva (art. 36 CCNL), hanno affermato che il rapporto venutosi a instaurare tra l’editore e il giornalista è pienamente legittimo e, dunque, non può definirsi nullo.
Tale contrasto è auspicabilmente destinato a venir meno per effetto della modifica dell’art. 45 della L. 69/1963 (Ordinamento della professione di giornalista), attuata con la L. 198/2016, che ora prevede espressamente la facoltà di esercizio della professione di giornalista anche per i pubblicisti.
Rapporto di lavoro giornalistico subordinato
Nell’ambito del lavoro giornalistico, il discrimine tra lavoro autonomo e lavoro subordinato è più sfumato rispetto a quanto avviene in relazione alla generalità degli altri rapporti di lavoro: vi sono una serie di caratteristiche peculiari di tale tipo di attività che rendono impossibile applicare come criterio discretivo determinante quello dell’eterodirezione (intesa come assoggettamento del prestatore ai poteri direttivi e disciplinari del datore di lavoro).
A riguardo, la giurisprudenza ha individuato i tratti distintivi dell’attività giornalistica atti a giustificare l’elaborazione di una nozione di subordinazione più attenuata e, successivamente, sono stati identificati gli elementi rivelatori della natura subordinata del rapporto di lavoro giornalistico.
Infatti, la natura esclusivamente intellettuale dell’attività, il carattere collettivo dell’opera redazionale e la minore rigidità dell’orario di lavoro hanno reso necessaria l’elaborazione di una particolare nozione di subordinazione, in forza della quale il lavoro giornalistico deve essere ricondotto nell’alveo del lavoro subordinato quando il giornalista viene inserito stabilmente nell’organizzazione aziendale e si mantiene a disposizione dell’editore anche tra una prestazione e l’altra, in modo da poterne eseguire comunque gli ordini e le direttive. Al contrario, non si è in presenza di un rapporto di lavoro subordinato -bensì autonomo- quando le prestazioni siano concordate sulla base di una serie di incarichi fiduciari e remunerate singolarmente, oppure nel caso in cui vi sia un’unica fornitura la cui remunerazione sia stata convenuta nel contratto o in più contratti simili e successivi.
Anche le pronunce in cui permane il riferimento all’assoggettamento del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro sottolineano come tale requisito debba essere valutato alla luce delle peculiarità del rapporto analizzato, ragione per cui, al fine della qualificazione del rapporto come subordinato, è irrilevante che il giornalista goda di una certa libertà di movimento, ben potendo non rispettare un orario di lavoro predeterminato e non essere obbligato ad assicurare una permanenza fissa in ufficio, purché garantisca comunque la propria disponibilità e il proprio assoggettamento alle direttive dell’editore.
Come è stato anticipato, la qualificazione del rapporto di lavoro giornalistico diviene ancora più problematica in relazione al rapporto di lavoro dei collaboratori: la giurisprudenza ha escluso un’incompatibilità netta tra rapporto di lavoro subordinato e la figura del collaboratore, precisando che, in questo caso, gli indici rivelatori della subordinazione sono quelli fatti propri da tempo dalla contrattazione collettiva, ossia continuità di prestazione, vincolo di dipendenza e responsabilità di un servizio. In questo caso, il fatto che il collaboratore non presti la propria attività quotidianamente o per un numero di ore limitato risulta essere irrilevante, essendo invece imprescindibile che il giornalista tratti continuativamente uno o più argomenti, mettendo a diposizione -nell’ambito delle direttive dell’editore- la propria attività intellettuale.
Disciplina normativa del rapporto di lavoro
Nessun giornalista può instaurare più di un rapporto di lavoro a tempo pieno e la contrattazione collettiva ha stabilito espressamente che il rapporto di lavoro deve risultare espressamente da un atto scritto rilasciato al momento dell’entrata in servizio che, tuttavia, non ha alcun valore costitutivo.
Nella lettera di assunzione devono essere specificate:
- la qualifica e la retribuzione del giornalista;
- la testata di assegnazione;
Qualora venga assunto in forza di un rapporto in esclusiva, il giornalista può assumere un altro incarico solo in presenza di un’apposita autorizzazione rilasciata dal direttore; in caso contrario, può liberamente prestare la propria attività professionale per un’altra impresa, salvo il diritto a percepire la correlata indennità (si veda paragrafo retribuzione).
Il contratto di lavoro può prevedere un periodo di prova con una durata non superiore a tre mesi, durante il quale ciascuna delle parti potrà interrompere il relativo rapporto liberamente; tuttavia, tale possibilità non è ammessa nel caso in cui venga assunto un giornalista che ha svolto la pratica nella medesima azienda.
Ad esclusione del direttore, vicedirettore e condirettore, il giornalista che viene adibito a mansioni superiori ha diritto, per tutta la durata della sostituzione, alla differenza tra il minimo di stipendio della categoria di appartenenza e quella del giornalista sostituito e l’assegnazione diviene definitiva dopo tre mesi (salvo il caso di sostituzione di lavoratore con diritto alla conservazione del posto).
Inoltre, il giornalista assunto per prestare servizio in un dato comune non può essere trasferito a più di 40 km di distanza senza il suo consenso e laddove esso manchi, oltre ad essere richiesto obbligatoriamente il parere del Comitato di Redazione (si veda il paragrafo dedicato), il lavoratore potrà addurre il trasferimento come giusta causa per la risoluzione del rapporto.
Il giornalista può essere distaccato esclusivamente in presenza di comprovate ragioni tecniche, organizzative o sostitutive, e verso testate edite da società controllate dalla medesima proprietà per un periodo non superiore a 24 mesi. Il giornalista che rientra nella testata di provenienza dopo un distacco di almeno dodici mesi non potrà essere distaccato nuovamente prima di otto mesi (salvo il caso in cui presti il suo consenso), mentre, in ogni caso, non è mai ammesso il distacco a favore di testate che stiano usufruendo della Cassa integrazione guadagni.
Il contratto di lavoro può essere stipulato sia a tempo indeterminato che a termine, e sia a tempo pieno che part-time; la contrattazione collettiva, però, si è preoccupata di dettare una regolamentazione specifica in merito al contratto a tempo determinato, al contratto a tempo parziale e al contratto di somministrazione di lavoro.
Laddove si sottoscriva un contratto a tempo determinato, si applica la disciplina generale salvo per quanto riguarda il regime della successione di contratti: in particolare, qualora si siano susseguiti più contratti per un periodo eccedente i 36 mesi, non avviene la conversione a tempo indeterminato qualora siano state perseguite esigenze di carattere sostitutivo, oppure se vi sia stata una fase di avviamento e sviluppo per nuove iniziative multimediali e editoriali, nonché nel caso in cui vi siano state intese aziendali volte ad individuare percorsi di stabilizzazione dei rapporti a termine. Oltre a ciò, quando in seguito alla stipula di una serie di contratti per lo svolgimento di mansioni equivalenti sia stato superato il predetto termine di trentasei mesi, il giornalista può eccezionalmente sottoscrivere un ulteriore contratto -della durata massima di dodici mesi- con lo stesso editore, purché tale sottoscrizione avvenga dinanzi alla DTL competente e con l’assistenza della propria associazione sindacale.
Per quanto riguarda invece il contratto di lavoro a tempo parziale, la contrattazione collettiva ammette la possibilità di trasformare il rapporto a tempo pieno in part time per un periodo di tempo predeterminato ed eventualmente rinnovabile, a condizione che venga prima sentito il direttore e non vengano pregiudicate le esigenze di servizio e organizzative dell’azienda. In caso di assunzioni a tempo pieno, i giornalisti part time che hanno svolto le medesime mansioni rispetto alle quali si procede alle nuove assunzioni hanno un diritto di precedenza; inoltre, coloro che hanno già trasformato il proprio rapporto a tempo pieno in tempo parziale hanno una particolare priorità.
Circa il contratto di somministrazione di lavoro si applica la disciplina generale, salvo l’obbligo di comunicazione preventiva al Comitato di Redazione di numero, mansioni, qualifiche e dei motivi che ne impongono l’utilizzo dei giornalisti somministrati.
La contrattazione collettiva ha disciplinato espressamente anche il contratto di apprendistato professionalizzante stipulabile con i praticanti giornalisti.
In particolare, è necessario che quest’ultimi abbiano un’età compresa tra i 18 e i 29 anni e che il contratto non abbia una durata superiore ai trentasei mesi. Durante il periodo di praticantato, si applicherà il trattamento economico e normativo relativo, ma in seguito al superamento degli esami di idoneità professionale, al praticante dovrà essere riconosciuto un incremento del minimo tabellare pari al 10% per i successivi nove mesi e un ulteriore 5 percento per la durata residua dei predetti trentasei mesi.
La finalità formativa tipica di tale tipologia contrattuale è garantita dalla previsione di appositi stage, riguardo ai quali azienda e direttore sono tenuti a comunicare ai comitati di redazione il numero degli stagisti, l’ambito temporale del loro utilizzo e il percorso formativo perseguito.
Come anticipato nel paragrafo relativo alle caratteristiche della subordinazione nell’ambito del lavoro giornalistico, l’assenza di un orario di lavoro predeterminato è una caratteristica alquanto ricorrente nei rapporti di questo tipo, infatti, lo stesso CCNL dichiara espressamente che le peculiarità dell’attività in commento rendono difficoltosa l’individuazione del numero delle ore di lavoro e la loro collocazione.
Pertanto, le parti sociali hanno ritenuto di non adottare come parametro di riferimento l’orario normale settimanale valido per la generalità dei lavoratori, bensì hanno fissato un orario di massimo di trentasei ore settimanale, ripartito su cinque giorni settimanali.
In ogni caso, laddove esigenze organizzative e produttive lo richiedano, azienda, direttore e Comitato di Redazione possono concordare la distribuzione dell’orario settimanale in misura differenziata per cinque giorni settimanali entro l’arco massimo giornaliero di dieci ore.
Occorre sottolineare come, in ogni caso, permanga il limite massimo delle quarantotto ore settimanali.
La contrattazione collettiva, inoltre, prevede l’adozione di particolari cautele nella predisposizione dei soggetti addetti ai terminali VDT.
Le ore di lavoro straordinario – che comporta una maggiorazione del 20% – devono essere richieste e certificate dal direttore o dal caporedattore e, di norma, non possono superare le ventidue ore mensili; nelle redazioni in cui venga superato abitualmente quest’ultimo limite, l’editore, il direttore e il Comitato di Redazione sono tenuti ad elaborare nuove strategie per ovviare tale situazione.
Nel caso di part time orizzontale è ammesso il lavoro supplementare a condizione che vi siano particolari esigenze organizzative o produttive e che, in ogni caso, si mantenga entro il limite del 30% dell’orario giornaliero concordato.
La contrattazione collettiva ammette anche il lavoro notturno e il lavoro festivo prevedendo, rispettivamente, delle maggiorazioni rispetto alla retribuzione tabellare e delle retribuzioni aggiuntive variabili a seconda della festività in concomitanza della quale viene svolta la prestazione.
Dall’osservanza degli orari di lavoro sono invece esclusi direttori, vice direttori, condirettori, redattori capo, titolari o capi ufficio di corrispondenza dalla capitale -o capitali estere-, capi o titolari degli uffici regionali delle agenzie di informazione per la stampa, i critici, gli inviati, gli informatori politici e parlamentari e i vaticanisti.
Trattamento economico del rapporto di lavoro
I giornalisti, in forza delle previsioni della contrazione collettiva, percepiscono elementi retributivi ulteriori rispetto a quelli spettanti alla generalità dei prestatori di lavoro.
In particolare tali elementi di retribuzione tipici sono:
- l’indennità redazionale, ossia una mensilità aggiuntiva di importo massimo variabile a seconda della qualifica professionale del giornalista;
- diritto di esclusiva, ossia un superminimo non inferiore al 13% della paga base da erogarsi a tutti quei giornalisti non assunti in esclusiva cui, in costanza di rapporto, venga richiesta la prestazione in esclusiva;
- cessione di servizi, ossia una maggiorazione pari al 30% dello stipendio mensile da riconoscersi ai giornalisti che hanno prestato i propri servizi o la propria collaborazione ad altra azienda o testata rispetto a quella di appartenenza per tutta la durata dell’utilizzazione;
Oltre a ciò, particolari indennità sono riconosciute dalla contrattazione collettiva a favore dei giornalisti che rivestono determinate qualifiche professionali.
Agli inviati è riconosciuta un’indennità temporanea di funzione volta ad assicurargli un trattamento economico pari a quello riconosciuto ai capi servizi e un’indennità mensile compensativa pari ad almeno il 15% della retribuzione mensile.
Il caporedattore centrale, limitatamente alla durata dell’incarico, percepisce un’indennità di funzione il cui ammontare è concordato con l’editore; al termine dello svolgimento dell’incarico, laddove dovesse optare per la risoluzione del rapporto, il caporedattore avrebbe diritto anche all’indennità sostitutiva del preavviso maggiorata del 50%.
Comitato di Redazione
Nelle aziende editrici di giornali quotidiani, periodici e nelle agenzie di informazioni quotidiane per la stampa che occupano almeno dieci redattori, deve essere istituito il cd. Comitato di Redazione; mentre nelle aziende editrici in cui siano impiegati meno di dieci redattori viene eletto un fiduciario tenuto a svolgere i medesimi compiti assegnati al CdR.
Quest’ultimo organismo è di fondamentale importanza per la tutale dei diritti morali e materiali riconosciuti ai giornalisti dalla contrattazione collettiva e dalle norme di legge.
Il CdR è costituito da tre membri eletti dall’assemblea di redazione alla quale partecipano con diritto di voto i giornalisti professioni e i praticanti; tuttavia, è possibile che il CdR venga integrato con un fiduciario -pubblicista o professionista a seconda dei casi- nelle ipotesi previste dalla contrattazione collettiva.
Oltre a ciò, nelle aziende editrici di periodici anche i giornalisti pubblicisti godono sia dell’elettorato attivo che passivo.
Se un’azienda editrice pubblica più testate, il numero dei rappresentanti sindacali eletti in ognuna di esse varierà a seconda della consistenza occupazionale di quest’ultime; per la tutela di interessi di carattere generale, deve invece essere istituito un organismo unitario composto dai rappresentanti di cui si è detto in precedenza.
Laddove l’azienda pubblichi un periodico e un altro giornale, oltre al CdR – o al fiduciario- per la testata principale, deve essere eletto un nuovo CdR per ogni testata con più di 25 tra giornalisti e praticanti, mentre negli altri casi deve essere eletto esclusivamente un fiduciario che integrerà il CdR.
In ogni caso, il CdR dura in carica due anni con possibilità di rielezione.
Segnatamente, il CdR svolge i seguenti compiti:
- mantiene il collegamento con le Associazioni regionali di stampa e i giornalisti professionisti e pubblicisti e i praticanti dell’azienda;
- controlla l’esatta applicazione della contrattazione collettiva;
tenta la conciliazione delle controversie individuali e collettive sorte tra le parti; - esprime -talvolta obbligatoriamente- pareri e formula proposte in una serie di materie particolarmente rilevanti individuate dall’art. 54 del ccnl (condizioni di lavoro, orari, licenziamenti -salvo i casi riguardanti il direttore, condirettore, vicedirettore e quelli in cui ricorre una giusta causa-, trasferimenti, mutamenti di mansioni, indirizzo tecnico-professionale dell’azienda).
Affinché le funzioni consultive svolte dal CdR possano essere esercitate proficuamente, il direttore e l’editore sono tenuti a fornire le informazioni necessarie almeno 72 ore prima dell’operazione, salvo casi di necessità ed urgenza.
Cessazione del rapporto di lavoro
In tema di licenziamento e dimissioni del giornalista, le parti sociali hanno ritenuto opportuno stabilire un’apposita disciplina tenendo conto dal fatto che l’espletamento dell’attività giornalistica è strettamente connessa con l’esercizio del principio costituzionale di libera manifestazione del pensiero.
Oltre a ciò, disposizioni particolari -legate alla cessazione del rapporto- riguardano le modalità di calcolo del TFR poiché, diversamente a quanto avviene per la generalità dei lavoratori, nella retribuzione utile deve essere computato ogni compenso speciale percepito da almeno sei mesi consecutivi in relazione ad incarichi continuativi, nonché il 40% dell’indennità di residenza per i corrispondenti esteri.
Licenziamento
Dal punto di vista procedurale, le decisioni inerenti il licenziamento di un giornalista devono essere precedute da un apposito parere del comitato di redazione, salvo il caso in cui si tratti di licenziamenti riguardanti le qualifiche di direttore, vicedirettore o condirettore, oppure di licenziamenti per giusta causa. In quest’ultimo caso, i licenziamenti devono solo essere preceduti da un’informativa rivolta al CdR.
Oltre a ciò, il licenziamento deve essere necessariamente presentato dal direttore di testata, ossia da un soggetto che svolga anch’esso l’attività giornalistica – pertanto idoneo a valutare l’operato del giornalista -.
Dal punto di vista sostanziale, invece, anche i giornalisti possono essere licenziati in presenza delle usuali causali giustificative, ossia giusta causa e giustificato motivo, tuttavia la contrattazione collettiva ha previsto una regolamentazione in parte difforme.
In particolare, anche laddove il licenziamento venga irrogato in forza di un giustificato motivo, il giornalista non potrà prestare la propria attività lavorativa durante il periodo di preavviso, ma avrà diritto esclusivamente a un’indennità sostituiva pari a otto mensilità di retribuzione (nove in caso l’anzianità di servizio superi i venti anni).
Nel caso in cui il licenziamento venga comminato nei confronti di un praticante, il contratto collettivo prevede un periodo di preavviso di un mese oppure un’indennità sostitutiva pari a un mese di retribuzione; invece, la durata del preavviso varia da tre o quattro mesi a seconda dell’anzianità del lavoratore, qualora il soggetto licenziato sia un pubblicista assunto nelle redazioni decentrate o negli uffici di corrispondenza.
Infine, il rapporto di lavoro con direttore, condirettore e vicedirettore può essere interrotto liberamente senza che sia necessario indicare alcuna causale giustificativa: in questa ipotesi, oltre all’indennità sostitutiva del preavviso, il giornalista riceverà, in caso il recesso risulti ingiustificato, un indennizzo fino a 12 mensilità di retribuzione.
La contrattazione collettiva ha previsto una tutela particolare in relazione ai licenziamenti dei rappresentanti sindacali. Infatti, i componenti del comitato di redazione e i fiduciari non possono essere licenziati – e neppure trasferiti – qualora manchi il nulla osta dell’Agenzia regionale di stampa.
L’art. 34 del CCNL ha stabilito che il nulla osta deve intervenire tassativamente entro 8 giorni dalla richiesta del provvedimento, mentre, in caso di rifiuto del provvedimento, la Commissione Paritetica Nazionale dovrà pronunciarsi entro quaranta giorni dal diniego stesso.
Dimissioni
Il giornalista che intende rassegnare le proprie dimissioni è tenuto a rispettare un obbligo di preavviso di due mesi, laddove ciò non avvenga l’editore ha diritto a percepire un’indennità equivalente all’importo della retribuzione relativa al periodo di preavviso durante il quale non è stata svolta la prestazione lavorativa.
L’art. 32 del CCNL contiene la cd. clausola di coscienza in forza della quale in giornalista, in ragione delle particolari esigenze di tutela professionale connesse all’attività svolta, può legittimamente risolvere il proprio rapporto con diritto al TFR e all’indennità di preavviso, laddove ricorrano una serie di situazioni che siano suscettibile di lederne la dignità professionale.
Specificatamente, la clausola individua tali situazioni nelle seguenti ipotesi:
- sostanziale mutamento dell’indirizzo politico del giornale;
- utilizzazione dell’opera del giornalista in altro giornale della stessa azienda con caratteristiche sostanzialmente diverse.
- tutti quei casi in cui sia venuta a crearsi una condizione generale incompatibile con la dignità del giornalista e vi sia una responsabilità dell’editore.
Tale disposizione è evidentemente volta a tutelare l’ideologia professata dal giornalista sulla base della quale era avvenuta la stipulazione del contratto, stante il fatto che l’esercizio dell’attività giornalistica involve il diritto di critica del professionista, strettamente connesso al principio di libera manifestazione del pensiero sancito dall’art. 21 della Costituzione.
Rapporto di lavoro giornalistico autonomo
Nel caso in cui non ricorrano gli estremi della subordinazione così come enucleati dalla giurisprudenza, il rapporto di lavoro giornalistico dovrà essere ascritto all’area del lavoro autonomo.
In particolare la professione può essere svolta in forma di lavoro autonomo, non solo dai giornalisti professionisti, ma anche da pubblicisti e praticanti, anche se, in quest’ultimo caso, le prestazioni svolte non varranno ai fini della pratica e dunque non consentiranno l’accesso all’Albo dei giornalisti-Elenco professionisti.
Una specifica categoria di giornalisti che svolge l’attività autonoma sono i cd. free-lance, ossia coloro che, pur svolgendo la professione con carattere di continuità e professionalità, di volta in volta prestano i propri servizi a favore di una serie di editori diversi valutando liberamente se accettare l’incarico.
Nel campo del lavoro giornalistico autonomo, fondamentale importanza ha rivestito la l. 233/2010 che ha previsto il riconoscimento di un equo compenso a tutti i giornalisti autonomi iscritti all’albo.
Il compenso corrisposto a questi soggetti dovrà necessariamente essere proporzionato alla qualità e alla quantità del lavoro svolto, tenendo conto della natura, del contenuto e delle caratteristiche della prestazione, nonché della coerenza con i trattamenti previsti dalla contrattazione collettiva nazionale di categoria in favore dei giornalisti titolari di un rapporto di lavoro subordinato.
Ai fini della determinazione del predetto compenso è stata istituita un’apposita commissione presso Dipartimento per l’informazione e l’editoria della Presidenza del Consiglio dei ministri.
Casistica di decisioni della Magistratura sul lavoro giornalistico
Nozione di attività giornalistica
- Costituisce attività giornalistica la prestazione di lavoro intellettuale diretta alla raccolta, commento ed elaborazione di notizie attraverso gli organi di informazione, in cui il giornalista si pone quale mediatore intellettuale tra il fatto e la sua diffusione, con il compito di acquisire la conoscenza dell’evento, valutarne la rilevanza in relazione ai destinatari e confezionare il messaggio con apporto soggettivo e creativo; assume inoltre rilievo la continuità o periodicità del servizio nel cui ambito il lavoro è utilizzato, nonché l’attualità delle notizie e la tempestività dell’informazione. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la decisione di merito che aveva escluso la natura giornalistica dell’attività svolta da collaboratori che si limitavano a ricercare nel web notizie sportive, ad aggiungerne altre da altri segnalate e predisposte, per poi inserirle nel sito della società committente senza alcun reale apporto creativo). (Cass. 1/2/2016, n. 1853, Pres. Roselli. Est. Nobile, in Giustizia Civile Massimario 2016).
- Le prestazioni lavorative dei dipendenti RAI presso la redazione del Centro Coordinamento Informazioni Sicurezza Stradale (CCISS – Viaggiare informati) possono essere ritenute di natura giornalistica ove siano accertati i requisiti dell’autonoma elaborazione delle notizie, con valutazione della loro rilevanza in relazione ai destinatari, e della predisposizione di un messaggio comunicativo contraddistinto da un apporto creativo, potendo l’attività giornalistica radiotelevisiva rientrare anche in programmi di intrattenimento o svago, purché a contenuto propriamente informativo, mentre non assume rilievo, a tali fini, sia la l. n. 69 del 1963 sull’ordinamento della professione di giornalista (che presuppone ma non definisce) sia la struttura aziendale dell’ente presso cui viene prestata l’attività. (Cass. 19/1/2016 n. 830, Pres. Venuti Est. Balestrieri in Giustizia Civile Massimario 2016).
- L’opera del giornalista è il risultato di raccolta, elaborazione e interpretazione critica delle notizie, pertanto il suo carattere creativo è rappresentato dalla “mediazione culturale” fra il fatto e la diffusione della conoscenza di esso, sviluppato nelle fasi della acquisizione della conoscenza dell’evento, valutazione della sua rilevanza in funzione della cerchia dei destinatari, informazione e confezionamento del messaggio. Tale carattere creativo rimane invece assente dalla attività dell’addetto alla tempestiva messa in onda radiotelevisiva delle informazioni su traffico e viabilità fornite dalla centrale operativa del Centro di Coordinamento delle Informazioni sulla Sicurezza Stradale (CCISS – Viaggiare informati) organismo istituito presso il Ministero dei lavori pubblici e sprovvisto della qualifica di testata giornalistica, in considerazione del fatto che, in base al protocollo di intesa Rai-CCISS, alla RAI non compete alcuna responsabilità in ordine al contenuto delle notizie diffuse nell’ambito dello svolgimento del servizio, notizie che pertanto non possono essere elaborate né commentate. (Cass. 21/01/2016 n. 988, Pres. Venuti Est. Balestrieri, in Rivista di Diritto Industriale 2017, 1, II, 230).
- E’ di natura giornalistica anche l’attività svolta dal grafico il quale, mediante la progettazione e la realizzazione della pagina di giornale come la collocazione del singolo pezzo giornalistico e la scelta delle immagini e dei caratteri topografici con i quali lo stesso viene riportato sulla pagina, esprime pur nell’eventuale presenza delle scelte e delle indicazioni degli autori degli articoli e del direttore un personale contributo di pensiero ed una valutazione sulla rilevanza della notizia. (Cass. 18/03/2016, n. 5456, Pres. Roselli Est. Negri della Torre, in Diritto & Giustizia 2016, 21 marzo (nota di: LEVERONE).
- Non può iscriversi, in maniera riduttiva, l’attività giornalistica radiotelevisiva soltanto nell’ambito dei radio o telegiornali o nelle testate tipicamente giornalistiche e di informazione, ben potendo rientrare la stessa anche in programmi di intrattenimento o di svago, purché con contenuto propriamente informativo (cassata, nella specie, la decisione dei giudici del merito che non avevano riconosciuto la natura giornalistica dell’attività svolta dalla ricorrente presso il Centro Coordinamento Informazioni Sicurezza Stradale). (Cass. 19/01/2016 n. 830, Pres. Venuti Est. Balestrieri, in Diritto & Giustizia 2016, 20 gennaio).
- L’attività del tecnico montatore di riprese televisive, preposto ad operare redazionalmente su immagini prodotte e procurate da altri, può essere qualificata giornalistica quando si concreta nella predisposizione di un servizio dotato di capacità di completamento della notizia, senza la quale verrebbe meno, o sarebbe sostanzialmente diversa, l’efficacia comunicativa del servizio scritto o parlato al quale accede e, dunque, fornisca un contributo che va al di là della mera esposizione delle immagini raccolte, concretizzandosi in un “messaggio” ovvero in un pensiero originale di attitudine ed intermediazione informativa. (Cass. 13/03/2014 n. 5794, Pres. Segreto Est. Stalla, in Giustizia Civile Massimario 2014).
- Il tele-foto-cine operatore assume la qualifica di giornalista ove lo stesso non si limiti a riprendere immagini destinate ad un giornale, scritto o parlato, ma, dovendo realizzare la trasmissione di un messaggio, effettui con continuità, in condizioni di autonomia tecnica, per il datore di lavoro, riprese di immagini di valenza informativa, tali da sostituire o completare il pezzo scritto o parlato, e, successivamente, partecipi alla selezione, al montaggio e, in genere, all’elaborazione del materiale filmato o fotografato in posizione di autonomia decisionale, come desumibile dell’idoneità del servizio televisivo a svolgere, di per sé, la necessaria funzione informativa. (Cass. 11/09/2009 n. 19681, Pres. Roselli Est. Zappia, in Giust. civ. Mass. 2009, 9, 1304).
- Il contenuto proprio dell’attività giornalistica presupposto dalla l. 3 febbraio 1963, n. 69, sull’ordinamento della professione di giornalista, (nozione che la legge suddetta volutamente si astiene dal definire) va individuato nell’attività, di carattere intellettuale, di partecipazione alla compilazione di un particolare prodotto della manifestazione del pensiero attraverso la stampa periodica o i servizi giornalistici della radio e della televisione, la cui specificità (non coincidente necessariamente con il contenuto della nozione tradizionale del giornalista che si esprime attraverso la stampa) sta nella particolare sintesi fra la manifestazione del pensiero e la funzione informativa che ben può essere svolta attraverso l’immagine, essendo anche questa fornita, in linea generale, di una rilevante efficacia comunicativa e informativa. Nella sopraindicata attività giornalistica può quindi rientrare anche quella del cine foto operatore, quando essa, come previsto dall’art. 1 del regolamento di esecuzione della menzionata legge n. 69 del 1963 (d.P.R. n. 649 del 1976) si concretizzi in un’attività di realizzazione di immagini che completano o sostituiscono l’informazione scritta nell’esercizio dell’autonomia decisionale e operativa e avuto riguardo alla natura giornalistica della prestazione, mentre non sono d’ostacolo alla iscrizione del cinefotooperatore all’albo dei giornalisti nè determinano illegittimità del menzionato regolamento gli art. 332 e 35 della legge n. 69 del 1963 che prevedono l’accertamento della idoneità professionale mediante prove scritte e pubblicazioni scritte, i quali fanno riferimento al modo prevalente di svolgimento dell’attività e al modo parimenti usuale di documentazione della stessa, senza per questo implicare una particolare e formale nozione dell’attività giornalistica o impedire di tradurre (così come fa il regolamento) detta forma in altra equivalente sul piano documentale qualificato, desumendola dalla natura dell’attività da documentare. (Cass. 25/05/1996 n. 4840 Pres. Mollica Est. Santojanni, in Giust. civ. Mass. 1996, 773).
- Per attività giornalistica – i cui connotati tipici, per la rilevanza pubblicistica (con riflessi costituzionali) di essa (art. 21 cost.), vanno desunti in via primaria dalle norme di legge in materia e non già dalla disciplina collettiva, ancorché di questa non possa disconoscersi l’efficacia integrativa – deve intendersi quella prestazione di lavoro intellettuale, della sfera dell’espressione originale o di critica rielaborazione del pensiero, la quale, utilizzando il mezzo di diffusione scritto, verbale o visivo, è diretta a comunicare ad una massa indifferenziata di utenti idee, convinzioni o nozioni, attinenti ai campi più diversi della vita spirituale, sociale, politica, economica, scientifica e culturale, ovvero notizie raccolte ed elaborate con obiettività, anche se non disgiunta da valutazione critica. Essa, pertanto, si differenzia nettamente dalle altre prestazioni, connesse ad un determinato mezzo di diffusione, siano esse soltanto tecniche ed esecutive o anche, sebbene intellettuali, di semplice collaborazione ed organizzazione amministrativa (raccolta e catalogazione di dati, tenuta di archivi, segreteria ecc.), che non possono definirsi, a vari livelli, impiegatizie. (Nella specie, i giudici di merito avevano qualificato come intrinsecamente giornalistica l’attività di un dipendente della RAI che, sebbene non inserito nella direzione servizi giornalistici, aveva curato servizi e rubriche di carattere culturale. La S.C. ha confermato la decisione di merito enunciando il principio che precede). (Cass. 12/06/85 n. 3525, in Giust. civ. Mass. 1985, fasc. 6).
- La nozione dell’attività giornalistica, in mancanza di una esplicita definizione da parte della l. professionale 3 febbraio 1963 n. 69 o della disciplina collettiva, non può che trarsi da canoni di comune esperienza, presupposti tanto dalla legge quanto delle fonti collettive, con la conseguenza che per attività giornalistica è da intendere l’attività, contraddistinta dall’elemento della creatività, di colui che, con opera tipicamente (anche se non esclusivamente) intellettuale, provvede alla raccolta, elaborazione o commento delle notizie destinate a formare oggetto di comunicazione interpersonale attraverso gli organi d’informazione, mediando tra il fatto di cui acquisisce la conoscenza e la diffusione di esso attraverso un messaggio (scritto, verbale, grafico o visivo, necessariamente influenzato dalla personale sensibilità e dalla particolare formazione culturale e ideologica). (Cass. 23/11/1983 n. 7007, in Giust. civ. Mass. 1983, fasc. 10.).
Attività giornalistica subordinata
- In tema di attività giornalistica, la subordinazione sussiste in presenza di ben precisi elementi, quali la continuità della prestazione, la responsabilità di un servizio, il vincolo di dipendenza. L’attività, quindi, deve essere di tipo non occasionale e la redazione di articoli o la cura di rubriche devono essere sistematiche, senza obbligo di tenersi a disposizione del datore di lavoro tra una prestazione e l’altra. (Cass. 17/05/2016 n. 10048, Pres. Roselli Est. Mammone, in Diritto & Giustizia 2016, 18 maggio (nota di: Maura Corrado)).
- In tema di attività giornalistica, tenuto conto del carattere creativo del lavoro – sono configurabili gli estremi della subordinazione in presenza di indici rivelatori quali l’inserimento stabile nella struttura produttiva e la persistenza, nell’intervallo tra una prestazione e l’altra, dell’impegno di porre la propria opera a disposizione del datore di lavoro, in modo da essere sempre disponibile a soddisfarne le esigenze; né la subordinazione è esclusa per il solo fatto che il prestatore goda di una certa libertà di movimento e non sia obbligato al rispetto di un determinato orario o alla permanenza sul luogo di lavoro, non essendo neanche incompatibile con il suddetto vincolo la commisurazione della retribuzione a singole prestazioni. (Cass. 03/08/2016 n. 16210, Pres. Bronzini Est. Negri della Torre, in Diritto & Giustizia 2016, 4 agosto (nota di: Martina Tonetti)
- In tema di attività giornalistica, sono configurabili gli estremi della subordinazione – considerate anche le previsioni contenute nel contratto collettivo nazionale di lavoro giornalistico del 10 gennaio 1959, reso efficace erga omnes con d.P.R. 16 gennaio 1961 n. 153, che peraltro non altera la nozione di subordinazione desumibile dall’art. 2094 c.c. – qualora ricorrano i requisiti della continuità della prestazione, della responsabilità di un servizio e del vincolo di dipendenza, e cioè qualora si sia in presenza dello svolgimento di un’attività non occasionale, rivolta ad assicurare le esigenze informative riguardanti uno specifico settore, della sistematica redazione di articoli su specifici argomenti e di rubriche, e della persistenza, nell’intervallo tra una prestazione e l’altra, dell’impegno di porre la propria opera a disposizione del datore di lavoro, in modo da essere sempre disponibile per soddisfarne le esigenze ed eseguirne le direttive; di contro, il vincolo della subordinazione non è ravvisabile in ipotesi di prestazioni singolarmente convenute e retribuite in base a distinti contratti che si succedono nel tempo, ovvero nel caso in cui siano concordate singole, ancorché continuative, prestazioni secondo la struttura del conferimento di una serie di incarichi professionali. (Cass. 06/03/2006 n. 4770, Pres. Mileo Est. Balletti, in Giust. civ. Mass. 2006, 3).
- In tema di attività giornalistica, sono configurabili gli estremi della subordinazione – qualora ricorrano i requisiti dell’assoggettamento del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, estrinsecantesi in ordini specifici oltre che in una vigilanza e in un controllo assiduo delle prestazioni lavorative, da valutarsi, nel lavoro del giornalista, con riferimento alle peculiarità dell’incarico conferito al lavoratore e alle modalità della sua attuazione. La subordinazione non è esclusa dal fatto che il prestatore goda di una certa libertà di movimento e non sia obbligato al rispetto di un orario predeterminato o alla continua permanenza sul luogo di lavoro, non essendo neanche incompatibile con il suddetto vincolo la commisurazione della retribuzione a singole prestazioni, essendo invece determinante che il giornalista si sia tenuto stabilmente a disposizione dell’editore, anche nell’intervallo fra una prestazione e l’altra, per evaderne richieste variabili e non sempre predeterminate e predeterminabili, eseguendone direttive ed istruzioni, e non quando prestazioni predeterminate siano singolarmente convenute, in base ad una successione di incarichi, ed eseguite in autonomia. (Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ravvisato il vincolo di subordinazione nell’attività svolta recandosi tutti i giorni presso la redazione, partecipando alle riunioni di essa, espletando i compiti assegnati dal caposervizio e trattenendosi sul posto di lavoro fino a sera tardi. Inoltre il giornalista concordava sia settimanalmente che quotidianamente l’attività da svolgere, anche in base alla presenza degli altri redattori). (Cass. 07/09/2006 Pres. Mercurio Est. Lamorgese, in Giust. civ. Mass. 2006, 9).
- In materia di prestazione di lavoro giornalistico, considerato che tale prestazione può dar luogo, come qualsiasi attività umana svolta nell’interesse di un terzo, ad un rapporto di lavoro sia subordinato che autonomo, deve farsi riferimento al concreto atteggiarsi del rapporto e alle specifiche modalità di svolgimento della prestazione, avendo riguardo, in particolare, al vincolo di assoggettamento del giornalista all’altrui potere direttivo e disciplinare: pertanto – salvo non debba essere esclusa, in base ad elementi di prova certi, l’esistenza di tale vincolo – l’elemento della subordinazione non può disconoscersi per il solo fatto che il giornalista goda di una certa libertà di movimento e non sia obbligato a rispettare un orario predeterminato o la continua permanenza sul luogo di lavoro, non essendo nemmeno incompatibile con il suddetto vincolo la commisurazione della retribuzione a singole prestazioni. (Cass. 17/08/2004 n. 16038, Pres. Senese Est. Prestipino, in Orient. giur. lav. 2004, I, 548).
Collaboratore fisso e Redattore
- In materia di attività giornalistica, per la configurabilità della qualifica di “collaboratore fisso”, di cui all’art. 2 del c.c.n.l. lavoro giornalistico (reso efficace “erga omnes” con d.P.R. 16 gennaio 1961, n. 153), la “responsabilità di un servizio” va intesa come l’impegno del giornalista di trattare, con continuità di prestazioni, uno specifico settore o specifici argomenti d’informazione, onde deve ritenersi tale colui che mette a disposizione le proprie energie lavorative, per fornire con continuità ai lettori della testata un flusso di notizie in una specifica e predeterminata area dell’informazione, attraverso la redazione sistematica di articoli o con la tenuta di rubriche, con conseguente affidamento dell’impresa giornalistica, che si assicura così la “copertura” di detta area informativa, rientrante nei propri piani editoriali e nella propria autonoma gestione delle notizie da far conoscere, contando, per il perseguimento di tali obiettivi, sulla piena disponibilità del lavoratore, anche nell’intervallo tra una prestazione e l’altra. (Cass. 20/05/2014 n. 11065, Pres. Vidiri Est. Napoletano, in Giustizia Civile Massimario 2014).
- In materia di lavoro giornalistico, il collaboratore fisso di una agenzia di informazioni quotidiane (nella specie, l’Ansa), da identificarsi nel giornalista che, pur non assicurando una attività giornaliera, fornisca con continuità ai lettori un flusso di notizie attraverso la redazione sistematica di articoli o la tenuta di rubriche, ha diritto, ai sensi dell’art. 2, comma 4, del c.c.n.l. lavoro giornalistico (applicabile “ratione temporis”), ad una retribuzione collegata al numero di collaborazioni fornite, ossia al numero di articoli redatti o rubriche tenute, nonché all’impegno di frequenza e alla natura e all’importanza delle materie trattate, ferma restando la soglia minima di quattro od otto collaborazioni al mese. Ne consegue che, ove il numero delle collaborazioni sia particolarmente elevato e superiore a quello pattuito, il giudice, ai fini della equa determinazione della retribuzione, nel provvedere ad un adeguamento della retribuzione, non può limitarsi ad un aumento proporzionale della stessa in rapporto al maggior numero di articoli o rubriche rispetto a quelli concordati, dovendo anche tenere conto di tutti gli altri parametri previsti dalla disposizione collettiva. (Cass. 09/01/2014 n. 290, Pres. Vidiri Est. Balestrieri, in Diritto & Giustizia 2014, 10 gennaio).
- Per la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato nella attività giornalistica, in cui l’elemento della subordinazione risulta attenuato, prevalendo quello della collaborazione, sono aspetti qualificanti (in particolare ai fini, come nella specie, dell’integrazione della figura del collaboratore fisso di cui all’art. 2 del c.c.n.l. del settore) la continuità e la responsabilità del servizio, che ricorrono quando il giornalista abbia l’incarico di trattare in via continuativa un argomento o un settore di informazione e metta costantemente a disposizione la sua opera, nell’ambito delle istruzioni ricevute, non rilevando in contrario nè la commisurazione della retribuzione alle singole prestazioni, nè l’eventuale collaborazione del giornalista ad altri giornali, nè la circostanza che l’attività informativa sia soltanto marginale rispetto ad altre diverse svolte dal datore di lavoro, ed impegni il giornalista anche non quotidianamente e per un limitato numero di ore. (Cass. 16/05/2001n. 6727, Pres. Trezza Est. Toffoli, in Giust. civ. Mass. 2001, 983).
- Nell’ambito del lavoro giornalistico, la qualifica di redattore, è configurabile anche con riferimento a posizioni di lavoro diverse da quelle per cui l’art. 5 del c.c.n.l. 10 gennaio 1959 (reso efficace erga omnes con d.P.R. 16 gennaio 1961 n. 153), e le analoghe disposizioni dei successivi contratti collettivi, impongono l’utilizzazione di giornalisti professionisti o espressamente prevedono la qualifica di redattore, e in particolare anche con riferimento a casi (diversi da quelli espressamente previsti) di svolgimento di attività fuori sede e senza l’osservanza di un particolare orario di lavoro. Tuttavia, ai fini della integrazione della qualifica di redattore e della sua distinzione dalle altre figure di giornalisti, è imprescindibile il requisito della quotidianità della prestazione in contrapposizione alla semplice sua continuità, caratterizzante la figura del collaboratore fisso, mentre non è di per sè sufficiente lo svolgimento di compiti propri di ogni attività giornalistica (quali il controllo della notizia e la sua elaborazione, la stesura di pezzi o di articoli) e l’esecuzione di inchieste (modalità di acquisizione e verifica delle notizie su un tema, di cui possono servirsi anche i redattori in sede, i corrispondenti e i collaboratori fissi). In caso, poi, di accertata eccedenza delle attività svolte dal lavoratore rispetto a quelle del normale corrispondente, può configurarsi il diritto del medesimo ad un’integrazione della retribuzione ex art. 36 cost. (Nella specie, la S.C. ha annullato la sentenza con cui il giudice di merito aveva ricondotto alla qualifica di redattore l’attività di raccolta, trasmissione e verifica di notizie, redazione di articoli, assistenza agli inviati, svolta da un giornalista a favore di un periodico di particolare importanza, operando, in maniera decentrata, presso una grande città e con riferimento agli argomenti alla stessa relativi, senza adeguatamente accertare, in base agli esposti principi, l’esistenza dei requisiti della qualifica di redattore e di elementi di differenziazione rispetto alle mansioni di corrispondente e di collaboratore fisso). (Cass. 28/07/1995 n. 8260, Pres. Buccarelli Est. Berni Canani, in Giust. civ. Mass. 1995, 1442).
- Lo svolgimento delle mansioni di redattore è configurabile, non sussistendo ragioni di astratta incompatibilità, anche con riguardo ad attività giornalistica espletata quotidianamente, ma senza l’osservanza dell’orario fissato per i giornalisti professionisti, da un pubblicista, e cioè da soggetto esercente anche altre attività. Pertanto, nella detta ipotesi, non disciplinata dalla contrattazione collettiva, di espletamento di mansioni di redattore da parte di un pubblicista (art. 1 l. 3 febbraio 1963 n. 69), la determinazione, ai sensi dell’art. 36 cost., della retribuzione spettante al lavoratore – il cui onere probatorio si esaurisce nella dimostrazione dell’avvenuto svolgimento delle mansioni predette, essendo l’insufficienza dei compensi percepiti solo un risultato dell’accertamento della retribuzione dovuta – ben può essere compiuta dal giudice assumendo come parametro il trattamento economico contrattualmente previsto per il redattore ordinario e quindi riducendolo in considerazione del fatto che tale trattamento è stabilito in funzione di un determinato orario di lavoro e compensa anche la rinuncia ad altre attività. (Cass. 18/04/1990, n. 3191, Pres. Chiavelli Est. Canini, in Giust. civ. Mass. 1990, fasc. 4).
Inviato e Corrispondente
- In tema di lavoro giornalistico, la qualifica di inviato speciale spetta al giornalista cui venga assegnato come mansione ordinaria, anche se non esclusiva, lo svolgimento di attività giornalistica fuori sede, normalmente allo scopo di seguire determinati avvenimenti od eventi che rientrino nelle sue specifiche competenze, fermo l’obbligo di prestare attività di redazione, sia pure con orario ridotto, in assenza d’impegno in servizi esterni. (Cass. 04/05/2012 n. 6744, Pres. Miani Canevari Est. Balestrieri, in Giust. civ. Mass. 2012, 5, 557).
Direttore
- Il mero conferimento dell’incarico di direttore responsabile di un periodico, ai sensi dell’art. 3, della l. n. 47 del 1948, con la relativa indicazione dello stesso nel periodico, comporta l’instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato solo se l’incarico si cumuli con altri e diversi compiti di svolgimento dell’attività giornalistica, e, in ispecie, di funzione direttoriale esercitata in regime di subordinazione, tali da dimostrare l’inserimento del lavoratore nell’organizzazione editoriale, sicché, in tale evenienza, anche il direttore responsabile dello stampato resta assoggettato al potere gerarchico e disciplinare del datore di lavoro. (Cass. 27/01/2016 n. 1542, Pres. Roselli Est. Ghinoy, in Giustizia Civile Massimario 2016).
- Ai sensi del CCNL per giornalisti 11 aprile 2001, non può essere qualificato dirigente il direttore di giornale che non gestisce autonomamente la struttura redazionale e la linea editoriale, non si occupi autonomamente delle assunzioni, cessazioni e trasferimenti del personale e che sia soggetto alle disposizioni dell’editore anche per l’utilizzazione del personale redazionale. (Trib. Perugia 5/1/2013, Giud. Liscio, in Lav. nella giur. 2013, con commento di Ilaria Fiaoni, 712)
- In caso di licenziamento di direttore di giornale non qualificabile come dirigente è applicabile l’art. 18 l. 20 maggio 1970 n. 300. (Trib. Perugia 5/1/2013, Giud. Liscio, in Lav. nella giur. 2013, con commento di Ilaria Fiaoni, 712)
- Allorché un periodico o una rivista vengano iscritti – ai sensi dell’art. 5, secondo comma, numero 1), della legge 18 febbraio 1948, n. 47 – come a carattere tecnico, professionale, o scientifico, l’indicazione, come direttore della pubblicazione, di un soggetto non iscritto all’albo dei giornalisti e la sua conseguente iscrizione nell’elenco speciale di cui all’art. 28 della legge 3 febbraio 1963, n. 69, implicano che – agli effetti della legge da ultimo citata – il periodico o la rivista non possano considerarsi mezzi di espressione di attività giornalistica. Ne consegue che eventuali pubblicazioni su tali periodici non costituiscono condizioni legittimanti una richiesta di iscrizione nell’albo dei giornalisti, elenco dei pubblicisti, a norma dell’art. 35 della citata legge n. 69 del 1963. (Cass. 17/10/2003 n. 23580, Pres. Battista Est. Frasca, in Giustizia Civile Massimario 2013).
- Con riferimento al rapporto di lavoro giornalistico e, in particolare, all’attività prestata dal direttore di testata, la qualifica dirigenziale, in relazione alla previsione dell’art. 2095 c.c., va determinata alla stregua della relativa definizione giurisprudenziale, in mancanza di una esplicita previsione del contratto collettivo, ed è perciò caratterizzata dall’autonomia e discrezionalità delle decisioni e dall’assenza di dipendenza gerarchica, nonché dall’ampiezza delle funzioni, tali da influire sulla conduzione dell’azienda, mentre resta irrilevante, a tali fini, la circostanza che, in forza di accordi intervenuti in sede di assunzione, l’editore si sia riservato il controllo dell’indirizzo politico e della linea editoriale della testata, appartenendo pur sempre al datore di lavoro, in via generale, il potere di emanare direttive programmatiche di indirizzo e di orientamento aziendale, alle quali il dirigente deve necessariamente attenersi nell’espletamento delle mansioni di direzione, e non incidendo tali direttive sulle attribuzioni, proprie di un dirigente, del governo complessivo dell’azienda e della scelta dei mezzi produttivi di questa. (Cass. 9/7/01, n. 9307, pres. Trezza, est. Dell’Anno, in Dir. informazione e informatica 2002, pag. 384).
Giornalista Pubblicista
- In tema di rapporto di lavoro giornalistico, l’attività del collaboratore fisso espletata con continuità, vincolo di dipendenza e responsabilità di un servizio rientra nel concetto di “professione giornalistica”. Ai fini della legittimità del suo esercizio è condizione necessaria e sufficiente l’iscrizione del collaboratore fisso nell’albo dei giornalisti, sia esso elenco dei pubblicisti o dei giornalisti professionisti: conseguentemente, non è affetto da nullità per violazione della norma imperativa contenuta nell’art. 45 l. n. 69/1963 il contratto di lavoro subordinato del collaboratore fisso, iscritto nell’elenco dei pubblicisti, anche nel caso in cui svolga l’attività giornalistica in modo esclusivo. (Cass. S.U. 28/1/2020 n. 1867, Pres. Mammone Est. Doronzo, in Riv. It. Dir. lav. 2020, con nota di G. Petraglia, “I pubblicisti non sono giornalisti figli di un dio minore”, 282)
- Atteso che l’iscrizione nell’elenco dei pubblicisti non è idonea alla costituzione di un regolare rapporto di praticantato giornalistico – finalizzato all’iscrizione nell’elenco dei professionisti – e pertanto non può sopperire alla mancanza di una regolare iscrizione nel registro dei praticanti giornalisti di cui all’art. 33 della legge n. 39 del 1963, ne consegue che l’attività di praticantato giornalistico o di giornalista professionista svolta da pubblicista, essendo espletata da soggetto non iscritto al relativo albo, resta invalida, ancorché non illecita nell’oggetto o nella causa e, quindi, produttiva di effetti per il tempo in cui il rapporto ha avuto esecuzione, secondo il disposto dell’art. 2126 c.c. ; tra gli effetti fatti salvi dalla suddetta norma non rientra, però, la reintegrazione in caso di dedotta illegittimità della risoluzione del rapporto nullo. (Cass. 05/04/2005 n. 7016, Pres. Mercurio Est. Vidiri, in Giust. civ. Mass. 2005, 4).
- È illegittimo il licenziamento di un dipendente assunto come giornalista pubblicista ex art. 36 c.c.n.l. giornalistico motivato dal mancato superamento degli esami per l’iscrizione all’albo come giornalista dopo 3 anni di iscrizione come praticante, qualora manchi un provvedimento di cancellazione dal registro dei praticanti ed ancorché la permanenza dell’iscrizione sia “contra legem”, dovendosi anche in tal caso fare applicazione del principio generale per cui deve escludersi la messa in discussione dell’atto amministrativo costitutivo di “status” nel rapporto tra il soggetto in possesso di quello “status” e di un soggetto terzo qual è, nella specie, l’editore. (Trib. Milano 10712/2005 in Lavoro nella giur. 2006, 9, 923).
Praticante giornalista
- In tema di rapporto di lavoro giornalistico, la mancata iscrizione nell’Albo dei praticanti giornalisti comporta la nullità del contratto di lavoro per violazione di legge, che non è sanabile con la retrodatazione successiva dell’iscrizione, ma non esclude, non derivando da illiceità dell’oggetto o della causa, che l’attività svolta conservi giuridica rilevanza ed efficacia ai sensi dell’art. 2126 c.c., sicché per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione, pur avendo il lavoratore diritto al trattamento economico e previdenziale, non sorge anche lo specifico obbligo dell’assicurazione presso l’I.N.P.G.I., che trova fondamento nell’iscrizione all’Albo e non solo nella natura dell’attività svolta. (Cass. 25/01/2016 n. 1256, Pres. Roselli Est. Ghinoy, in Giustizia Civile Massimario 2016).
- Poiché la retrodatazione dell’iscrizione all’albo dei praticanti giornalisti, non sanando la nullità del contratto di lavoro, non elimina, per il periodo per cui è disposta, la mancanza del requisito dell’iscrizione, nel periodo corrispondente alla retrodatazione il presupposto per l’iscrizione nell’Inpgi non sussiste. L’attività svolta in questo periodo (indipendentemente dai suoi strutturali caratteri), pur determinando per il datore obblighi retributivi e contributivi, non determina lo specifico obbligo di iscrivere il lavoratore presso l’Inpgi; a maggior ragione questo obbligo non sussiste ove l’attività non abbia i caratteri normativamente previsti per il lavoro del praticante giornalista. (Cass. 17/06/2008 n.16383, Pres. De Luca Est. Cuoco, in Guida al diritto 2008, 42, 80 (s.m).
- Il contratto di lavoro per l’espletamento di attività di praticantato giornalistico, stipulato con soggetto non iscritto preventivamente nell’apposito registro previsto dall’art. 33 l. n. 69 del 1963, è nullo, ancorché non illecito nell’oggetto o nella causa, con la conseguente applicabilità dell’art. 2126 c.c. Poiché, ai sensi dell’art. 1423 c.c., il contratto nullo non può essere convalidato se la legge non dispone diversamente, ne consegue che, mancando un’apposita norma che consenta la convalida di un contratto di lavoro giornalistico nullo (fatti salvi gli effetti del suddetto art. 2126 c.c.), il provvedimento del Consiglio dell’Ordine dei giornalisti, che iscriva un soggetto nel registro dei praticanti con effetto retroattivo ed attesti lo svolgimento della pratica per un periodo superiore a quello massimo di iscrizione nel registro (equivalente a tre anni), comporta che il periodo di praticantato riconosciuto, seppure utile ai fini dell’ammissione all’esame di abilitazione quale giornalista professionista, non vale, però, a convalidare un rapporto di lavoro affetto da nullità (nella specie, la Suprema Corte, enunciando il principio in questione, ha rigettato il ricorso proposto e confermato la sentenza impugnata, con la quale era stato accertato, prospettandosi un’adeguata motivazione al riguardo, che la ricorrente, durante tutto lo svolgimento del rapporto, era stata iscritta unicamente all’elenco dei pubblicisti e che, quindi, non era iscritta né nell’elenco dei «giornalisti professionisti», né nel «registro dei praticanti», con la conseguenza che la declaratoria di illegittimità del licenziamento e la reintegrazione nel posto di lavoro non potevano rientrare tra gli effetti fatti salvi dall’art. 2126 c.c.). (Cass. 06/03/2006 n. 4770, Pres. Mileo Est. Balletti, in Giust. civ. 2007, 12, I, 2938).
- In tema di lavoro giornalistico, e con riferimento all’iscrizione all’albo di praticanti, è da ritenersi tuttora operante il limite numerico minimo di giornalisti professionisti richiesto dall’art. 24 legge n. 69 del 1963 per l’esercizio del praticantato, dovendo escludersi che l’evoluzione tecnologica degli ultimi anni (uso di computers, informatica) possa consentire, in sede ermeneutica, l’eliminazione o riduzione di tale limite. (Cass. 17/2/2005 n. 3194, Pres. Senese Est. Di Iasi, in Orient. Giur. Lav. 2005, 43).
- Al fine dell’iscrizione nel registro dei praticanti giornalisti professionisti è sufficiente l’accertamento del concreto svolgimento, da parte dell’aspirante, di attività giornalistica, a nulla rilevando che la stessa non sia disimpegnata nell’ambito di rapporto di lavoro subordinato. (Trib. Roma 03/03/1998 in Foro it. 1998, I,3013).
Prestazione di fatto dell’attività giornalistica
- Le mansioni di redattore possono essere di fatto espletate anche da chi non possieda lo status di giornalista professionista la cui mancanza non può incidere sulla natura del rapporto e sul diritto del dipendente a percepire le competenze corrispondenti alle mansioni svolte, atteso che il rapporto in questione, ancorché il contratto sarebbe nullo per violazione della legge 3 febbraio 1963 n. 69 sull’esercizio della professione giornalistica, produce pur sempre, ai sensi dell’art. 2126 c.c. (trattandosi di nullità che non deriva da illiceità della causa o dell’oggetto) gli effetti del rapporto giornalistico per il tempo della sua esecuzione. (Trib. Bari 15/1/2019, Est. Vernia, con nota di G. Centamore, “Sempre sulla prestazione di fatto del giornalista”, 370)
- In tema di rapporto di lavoro giornalistico ed in ipotesi di persona non iscritta all’albo professionale, la nullità del contratto (per violazione di legge), in quanto non deriva da illiceità dell’oggetto o della causa, ex art. 2126 c.c. non produce effetti per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione. Ne consegue che la prestazione di fatto di lavoro obiettivamente giornalistico produce – al pari del rapporto di lavoro che sia stato costituito validamente – l’insorgenza non solo del diritto al trattamento economico e normativo, previsto in relazione alla qualifica corrispondente alle mansioni in concreto esercitate, ma anche il diritto al risarcimento dei danni (ex art. 2116, comma 2, c.c.), per la mancata contribuzione previdenziale, in dipendenza della costituzione automatica del rapporto contributivo che discende dalla prestazione di fatto – come dal rapporto validamente costituito – di lavoro subordinato, nella specie giornalistico. Ne consegue altresì che gli effetti delle prestazioni di fatto di lavoro giornalistico vanno posti a carico del datore di lavoro per il solo fatto che lo stesso ha utilizzato quelle prestazioni, a prescindere dalla imputabilità, a colpa del medesimo datore, dell’omessa iscrizione dei lavoratori all’albo. In tal caso, il danno da mancata contribuzione previdenziale (cosiddetto danno pensionistico) non può che essere commisurato al trattamento pensionistico, a carico dell’Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani “G. Amendola” (Inpgi), che sarebbe spettato in dipendenza della valida costituzione del rapporto di lavoro, parimenti giornalistico, e della regolare contribuzione previdenziale, che ne consegue, al medesimo istituto. (Cass. 03/01/2005 n. 28, Pres. Sciarelli Est. De Luca, in Riv. it. dir. lav. 2005, II, 830 (nota di: SARTORI).
- Il contratto giornalistico concluso con il redattore – intendendosi per tale il giornalista professionista stabilmente inserito nell’ambito di una organizzazione editoriale o radiotelevisiva, la cui attività è caratterizzata dall’autonomia della prestazione, non limitata alla mera trasmissione di notizie, ma estesa alla elaborazione, analisi e valutazione delle stesse – che non sia iscritto nell’albo dei giornalisti professionisti, è nullo non già per illecità della causa o dell’oggetto, ma per violazione di norme imperative, con la conseguenza che, a norma dell’art. 2126 c.c., detta nullità non produce effetti per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione, periodo in relazione al quale il redattore ha diritto, ex art. 36 cost., alla giusta retribuzione, la cui determinazione spetta al giudice del merito. (Cass. 10/03/2004 n. 4941, Pres. Prestipino Est. Filadoro, in DeG – Dir. e giust. 2004, 19, 104).
- Presupposto indefettibile per la rivendicazione dello “status” professionale di giornalista è l’iscrizione al relativo albo, e ciò non solo per quanto previsto dal contratto collettivo di lavoro della categoria, ma anche per il disposto normativo (art. 29 e 45 d.P.R. 4 febbraio 1965 n. 115); peraltro, le mansioni giornalistiche (nella specie, di redattore) ben possono essere di fatto espletate anche da chi non possieda lo “status” di giornalista professionista, la cui mancanza non può incidere sulla natura del rapporto e sul diritto del dipendente a percepire le competenze corrispondenti alle mansioni svolte, atteso che il contratto in questione, ancorché nullo per violazione della l. 3 febbraio 1963 n. 69 sull’esercizio della professione giornalistica, produce pur sempre, ai sensi dell’art. 2126 c.c. (trattandosi di nullità non derivante da illiceità della causa o dell’oggetto), gli effetti del rapporto giornalistico per il tempo della sua esecuzione, conseguendone che dall’accertato espletamento di fatto delle mansioni giornalistiche conseguono sia il diritto al trattamento economico secondo l’entità del lavoro svolto e le previsioni di sviluppo della carriera, sia il diritto al corrispondente trattamento previdenziale. (Cass. 27/05/2000 n. 7020, Pres. Grieco, in Riv. it. dir. lav. 2001, II, 227 (nota di: Chieco)).
- È legittimo e pertanto sottratto all’applicazione dell’art. 2126 c.c. lo svolgimento in modo esclusivo e continuativo di mansioni redazionali da parte di un soggetto iscritto nell’elenco dei giornalisti pubblicisti, di cui all’art. 1, l. 3/2/63, n. 69 (Trib. Massa Carrara 4/5/00, pres. Campanini, in Riv. it. dir. lav. 2001, pag. 228, con nota di Chieco, Qualifiche contrattuali, e categorie legali nel lavoro giornalistico: i persistenti dilemmi della giurisprudenza).
Trattamento economico-normativo
- Va rimesso il ricorso al Primo Presidente perché valuti l’opportunità di assegnarlo alle Sezioni Unite al fine di decidere se il datore di lavoro pubblico di un addetto stampa con compiti professionali di informazione e comunicazione debba versare i contributi previdenziali all’I.N.P.S. o all’I.N.P.G.I. (Cass. 27/11/2020 n. 27173, ord., Pres. Torrice Rel. Tricorni, in Lav. nella giur. 2021, 201)
- In tema di demansionamento, in professioni intellettuali, come quella del giornalista, anche a parità di qualifica e di retribuzione, può verificarsi una violazione del disposto dell’art. 2103 c.c. con conseguente vulnus della ‘professionalità’ nel caso in cui viene concretizzato un vulnus della personalità del lavoratore a seguito di una cesura dello sviluppo delle professionalità acquisite sino a quel momento della propria carriera lavorativa con conseguente possibile, se provato, risarcimento della sua immagine (confermato il demansionamento di un giornalista che dopo essersi per anni interessato come giornalista di cronaca nera e giudiziaria e poi di cronaca politica, era stato poi assegnato a compiti di scarsa rilevanza e del tutto estranei alla cronaca politica). (Cass. 20/02/2015 n. 3474, Pres. Vidiri Est. Maisano, in Diritto & Giustizia 2015, 23 febbraio).
- In tema di dequalificazione professionale di un direttore di testata giornalistica, costituiscono idonei elementi presuntivi dell’esistenza di un danno patrimoniale risarcibile, la durata del demansionamento, l’entità dello stesso in relazione alle mansioni in precedenza svolte, la preclusione della crescita professionale, il comportamento aziendale volutamente elusivo di un ordine del giudice. (Cass. 10/11/2015 n. 22930, Pres. Roselli, in Giustizia Civile Massimario 2015).
- Ai fini della determinazione dell’equa retribuzione spettante al giornalista in esecuzione del contratto di lavoro subordinato, risulta illogica e incoerente la sentenza di merito che operi la riduzione a metà del compenso contrattuale, in considerazione del carattere ridotto della prestazione, a causa dell’espletamento di altre attività e del notevole grado di autonomia goduto dal lavoratore, atteso che la non quotidianità della prestazione e l’autonomia del suo svolgimento costituiscono carattere peculiare del rapporto di lavoro giornalistico, di cui si tiene conto in sede di contrattazione collettiva nel determinare la misura delle retribuzioni. (Cass. 09/04/2004 n. 6983, Pres. Mattone Est. D’Agostino, in Giust. civ. Mass. 2004, 4).
- In materia di lavoro giornalistico, la retribuzione spettante al collaboratore fisso (ex art. 2, comma 4, c.c.n.l.g.) non è una retribuzione fissa ed immutabile, bensì è una retribuzione di natura variabile in funzione della natura ed importanza delle materie trattate, dell’impegno di frequenza della collaborazione e del numero mensile delle collaborazioni. (Trib. Roma 29/09/2015 in Ilgiuslavorista.it 2015, 10 dicembre).
Diritti sindacali
- La disposizione di fonte collettiva di cui all’art. 50 del CCNL Giornalisti (“Regolamento di disciplina”), che costituisce la sede della materia disciplinare per il lavoro giornalistico, non prevede una qualche consultazione anche del comitato di redazione, le cui molteplici attribuzioni (in termini di pareri e proposte) sono, pertanto, da intendersi ristrette, per ciò che attiene ai licenziamenti, a quelli che non rivestano tale natura, come, del resto, è fatto palese dalla mancanza, nel testo dell’art. 34 CCNL, di ogni riferimento a misure disciplinari e, per altro verso, dalla presenza di un contestuale e unificante riferimento alla dimensione organizzativa della struttura redazionale e ai vari e diversi aspetti in grado di influire, direttamente o indirettamente, sulla funzionalità di essa e, in particolare, sulla qualità e il livello complessivo dell’occupazione. (Cass. 07/03/2017 n. 5693, Pres. Napoletano Est. Negri Della Torre, in Diritto & Giustizia 2017, 7 marzo).
- Il licenziamento del giornalista per giustificato motivo oggettivo dovuto a ragioni aziendali è inefficace ove, in violazione dell’art. 34, lett. d) del c.c.n.l. dei giornalisti del 11 aprile 2001, non sia stato preventivamente richiesto il parere del comitato di redazione, mediante trasmissione di specifica informativa circa i provvedimenti che si intendono adottare, trattandosi di adempimento previsto come obbligatorio e posto a garanzia dei diritti dei lavoratori oltre che dei sindacati. (Cass. 02/07/2015 n. 13575, Pres. Lamorgese Est. Berrino, in Giustizia Civile Massimario 2015).
- Non costituisce condotta antisindacale il licenziamento di giornalisti addetti all’ufficio stampa della regione Sicilia intervenuto in mancanza della procedura di informazione e consultazione preventiva del comitato di redazione ai sensi dell’art. 34 del contratto collettivo nazionale dei Giornalisti, in quanto il rapporto di lavoro dei giornalisti della regione Sicilia, secondo quanto derivabile dalla normativa regionale applicabile si fonda, oltre che sul requisito indefettibile dell’idoneità professionale, su un particolare elemento di fiduciarietà intercorrente tra il soggetto incaricato e gli Organi di vertice della Regione, in considerazione della particolare delicatezza dei compiti istituzionali devoluti a tale struttura: ne deriva che il relativo rapporto non ha natura di lavoro alle dipendenze della p.a., bensì di collaborazione professionale esterna come tale non assoggettata all’applicazione della previsione del Contratto collettivo nazionale. (Trib. Roma 09/01/2013 in Lavoro nelle Pubbliche Amministrazioni (Il) 2013, 2, 429 (nota di: PENSABENE LIONTI).
- L’art. 34 c.c.n.l. giornalisti prevede a tutela del giornalista dirigente sindacale, in caso di licenziamento, una procedura preventiva di richiesta del nulla osta all’Associazione regionale della stampa, attribuendo a tale procedimento la funzione integrativa della fattispecie costitutiva dell’efficacia dell’atto, in mancanza del quale il recesso è inefficace. Trattandosi di inefficacia prevista da norma di natura contrattuale e non legale, ne derivano le conseguenze di diritto comune, con la prosecuzione “de iure” del rapporto e la permanenza dell’obbligo retributivo a carico del datore di lavoro fino ad effettiva reintegrazione o ad altro valido ed efficace licenziamento del dipendente, mentre non si applica l’art. 18 l. n. 300 del 1970 (come novellato dall’art. 1 l. n. 108/1990). (Cass. 22/04/2008 n. 10337, Pres. Mattone Est. Ianniello, in Riv. it. dir. lav. 2009, 2, II, 337).
- In tema di violazione dell’obbligo preventivo di informazione di cui all’art. 34 del c.c.n.l. per i giornalisti, deve essere offerto qualche indizio del fatto che il comitato di redazione si ritenga effettivamente interessato alla formulazione dei pareri preventivi e si dimostri leso nelle proprie prerogative a seguito di tali omissioni. (Cass. 6/6/2005 n. 11741, Pres. Mileo Est. Toffoli, in Riv. it. dir. lav. 2006, con nota di Francesco Alvaro, “Sull’ammissibilità delle pronunce dichiarative della condotta antisindacale e sull’onere probatorio incombente sul sindacato ricorrente”, 44)
- È inefficace il trasferimento del giornalista disposto senza l’osservanza della procedura prevista dall’art. 34 c.n.l.g. del 16 novembre 1995, che prescrive l’obbligo per l’editore di comunicare preventivamente al comitato di redazione l’intenzione di adottare tale provvedimento e di raccogliere il relativo parere dell’organismo sindacale. (Trib. Roma 26/01/2000 in DL Riv. critica dir. lav. 2000, 400).
Cessazione del rapporto
- È giustificato il licenziamento del giornalista per avere inventato ad arte una notizia pubblicata su quotidiano e le relative e-mail che la contenevano in quanto comportamento che viola uno dei doveri fondamentali cui il giornalista è tenuto nell’esercizio della sua professione, e connotato da gravità idonea a ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore, non consentendo una prognosi favorevole circa il corretto adempimento delle future prestazioni e tanto più a fronte di un’attività che, anche per la sua oggettiva rilevanza sociale, richiede la pratica di uno scrupolo professionale costante. (Cass. 07/03/2017 n. 5693, Pres. Napoletano Est. Negri Della Torre, in Diritto dell’Informazione e dell’Informatica (Il) 2017, 1, 55).
- L’art. 4, comma 2, della legge 11 maggio 1990, n. 108, che esclude la tutela reale per i licenziamenti illegittimi nei confronti dei prestatori di lavoro ultrasessantenni in possesso dei requisiti pensionistici, fa riferimento ai presupposti per l’accesso alla pensione di vecchiaia, solo al verificarsi dei quali il prestatore di lavoro ha l’onere di impedire la cessazione del regime di stabilità, entro un certo termine di decadenza, esercitando l’opzione per la prosecuzione del rapporto di lavoro. Ne consegue la nullità dell’art. 33 del c.c.n.l. per il settore giornalistico, nella parte in cui consente all’azienda di recedere liberamente dal rapporto, nei confronti di lavoratore che abbia raggiunto i 60 anni di età e sia titolare di un’anzianità contributiva previdenziale di 33 anni, non potendosi limitare il diritto del giornalista di avvalersi della pensione di vecchiaia e del consequenziale diritto, di fonte legale, alla continuazione del rapporto lavorativo sino al compimento del 65° anno di età. (Cass. 20/03/2014 n. 6537, Pres. Stile Est. D’Antonio, in Giustizia Civile Massimario 2014).
- In tema di lavoro giornalistico, al direttore di testata va riconosciuta la qualifica di dirigente ove la sua attività sia caratterizzata dall’autonomia e discrezionalità delle decisioni e dall’assenza di dipendenza gerarchica, nonché da un’ampiezza delle funzioni, tali da influire sulla conduzione dell’azienda, mentre resta irrilevante, a tali fini, la circostanza che, in forza di accordi intervenuti in sede di assunzione, l’editore si sia riservato il controllo dell’indirizzo politico e della linea editoriale della testata, trattandosi di attribuzioni ricomprese nel potere datoriale di emanare direttive programmatiche di indirizzo ed orientamento aziendale, a cui il dirigente deve necessariamente attenersi nell’espletamento delle mansioni di direzione. Ne consegue che, in caso di licenziamento, non si applica la tutela reale ma è sufficiente la giustificatezza del recesso, fondata su una qualsiasi ragione, purché apprezzabile in diritto, idonea a turbare il legame di fiducia con il datore, nel cui ambito rientra l’ampiezza dei poteri attribuiti al dirigente. (Cass. 18/03/2014 n. 6230, Pres. Miani Canevari Est. Canevari, in Giustizia Civile Massimario 2014).
- L’art. 6 del ccnl giornalistico attribuisce in via esclusiva al direttore della testata il potere dì proposta in materia di licenziamento dei giornalisti; onde deve escludersi che l’editore, o, per questo, il direttore generale o il direttore amministrativo, possano sostituirsi al primo nell’esercizio del potere propositivo. (Cass. 09/03/2006 n. 5125, Pres. Mattone Est. Monaci, in Riv. it. dir. lav. 2007, 1, II, 117 (nota di: CARO; DONATI).
- Il potere di proposta del direttore riguarda non soltanto i licenziamenti tecnico-professionali, ma, più in generale, qualunque licenziamento, per qualsiasi causa prevista dall’ordinamento giornalistico, e dunque anche il licenziamento disciplinare. (Cass. 9/3/2006 n. 5125, Pres. Mattone Est. Monaci, in Riv. it. dir. lav. 2007, con nota di Michele Caro, “Il potere del direttore di testata di proporre il licenziamento del giornalista, nel sottile discrimine tra tutela dell’autonomia professionale e privilegio corporativo”, 117).
- Il potere disciplinare non può essere esercitato nei confronti di un giornalista che, in pendenza del procedimento, abbia fatto venir meno, per effetto di dimissioni, la sua iscrizione nell’albo professionale. (Cass.30/06/2011, Pres. Predon Est. D’Alessandro, in Foro it. 2011, 9, I, 2272).
- Le ipotesi di dimissioni per giusta causa previste dall’art. 32 c.c.n.l. giornalistico 16 novembre 1995 configurano una situazione d’inadempimento da parte del datore di lavoro del tutto originale, modellata sulla peculiarità dell’attività giornalistica e più ampia di quella ex art 2119 c.c., che si realizza tutte le volte in cui il comportamento del datore di lavoro leda la specifica dignità professionale del giornalista (nel caso di specie, è stata riconosciuta la giusta causa delle dimissioni rassegnate dal giornalista che era stato dequalificato e fisicamente separato dalla redazione d’originaria appartenenza). (Trob. Milano 26/06/2002 in DL Riv. critica dir. lav. 2002, 639 (nota di: BERNINI).
- Costituisce giusta causa di dimissioni, ai sensi dell’art. 32 c.n.l.g. il verificarsi, per fatti imputabili all’editore, di una situazione lavorativa che, pur in assenza di specifici episodi vessatori, risulti incompatibile con la dignità professionale del giornalista. (Trib. Milano 20/12/1999 in DL Riv. critica dir. lav. 2000, 476 (nota di: BORALI).
- l fatto che un giornale da “indipendente” divenga “politico” in quanto diretta emanazione di una forza politica, per il venir meno del pluralismo e l’assunzione di un indirizzo unitario, concreta l’ipotesi di dimissioni per giusta causa ex art. 32 c.c.n.l. dei giornalisti, con il conseguente diritto dei giornalisti dimissionari di vedersi corrispondere la c.d. indennità fissa sostitutiva del preavviso. L’obiettivo sostanziale mutamento di indirizzo politico di un giornale opera automaticamente, quale causa giustificatrice del recesso, anche se non ha determinato una concreta compressione della libertà o della dignità del giornalista, concretatasi in rifiuti di pubblicazione, censura, tagli. Affinché tale sostanziale mutamento possa costituire un fatto giustificativo del recesso del giornalista ex art. 32, è necessario che tra eventi denunciati e dimissioni sussista un nesso causale psicologico, nel senso che tali eventi devono avere in concreto e storicamente influito sulla volontà di recesso. Al fine di verificare la genuinità delle motivazioni delle dimissioni bisogna fare riferimento sia alla veridicità dei fatti addotti a fondamento del recesso sia all’immediatezza della reazione, che costituisce una condizione di credibilità del nesso causale. (Pret. Milano 06/11/1995 in Riv. it. dir. lav. 1996, II, 36 (nota di: CARO).
Le segnalazioni della Newsletter di Wikilabour in tema di lavoro giornalistico
- Qualificazione del rapporto di lavoro giornalistico: la continuità della prestazione e il coordinamento e controllo dell’ufficio stampa rappresentano indici di subordinazione.
In tema di qualificazione del rapporto di lavoro giornalistico la subordinazione, intesa quale inserimento del lavoratore nell’organizzazione aziendale e dal suo assoggettamento ai poteri direttivi, organizzativi e disciplinari del datore di lavoro, risulta attenuata in forza del carattere intellettuale della prestazione. Nel caso di specie sono stati ritenuti rilevanti, ai fini dell’accertamento della natura subordinata del rapporto di lavoro, la continuità della prestazione, il costante coordinamento con l’ufficio stampa e il controllo delle modalità di svolgimento della prestazione da parte del capo ufficio stampa. (Trib. Roma 18/5/2020, Giud. Lionetti, in Wikilabour, Newsletter n. 11/2020)