Questa voce è stata curata da Lorenzo Giasanti
Scheda sintetica
La regolazione giuridica di coloro che prestano la propria attività lavorativa nel settore marittimo è da sempre stata connotata da particolari caratteri di specialità rispetto alla disciplina applicabile al lavoro comune.
Il complesso di norme che disciplinano il lavoro marittimo, che si possono rinvenire principalmente nel Codice della Navigazione (articoli 323-375 cod. nav.), hanno quale presupposto fondamentale il particolare ambiente di lavoro, la nave, e la modalità con cui si svolge la prestazione del lavoratore, spesso destinato a rimanere a bordo del natante per periodi anche piuttosto lunghi e sottoposto per tutto il periodo all’autorità del comandante. Accanto all’esigenza di proteggere la persona del lavoratore in un contesto molto particolare, emerge soprattutto la necessità di tutelare la sicurezza della navigazione, quale obiettivo preminente di interesse pubblico che l’ordinamento intende salvaguardare.
Particolare importanza assumono anche le fonti sovranazionali, sia di diritto internazionale, con particolare riguardo alla Convenzione OIL sul lavoro marittimo del 2006, sia di diritto dell’Unione europea, nel cui ambito sussistono diversi provvedimenti concernenti il lavoro marittimo.
La specialità del lavoro marittimo comincia a intravedersi dalla disciplina pubblicistica che regola l’iscrizione del lavoratore marittimo in specifici registri tenuti da uffici statali, si manifesta nella forma del contratto di arruolamento, che deve essere stipulato per atto pubblico a pena di nullità innanzi all’autorità marittima, e si consolida nei particolari doveri che il marittimo è tenuto a rispettare nel periodo dell’imbarco sotto il controllo del comandante.
Proprio al fine di preservare le specifiche esigenze correlate alla navigazione, marittima come aerea, il codice della navigazione è stato concepito quale insieme di norme tendenzialmente autonomo dal resto dell’ordinamento. A tale scopo l’art. 1 cod. nav. prevede che «in materia di navigazione, marittima, interna ed aerea, si applicano il presente codice, le leggi, i regolamenti, le norme corporative e gli usi ad essa relativi. Ove manchino disposizioni del diritto della navigazione e non ve ne siano di applicabili per analogia, si applica il diritto civile».
L’autonomia del diritto della navigazione, a lungo considerata carattere fondante e imprescindibile della materia, è stata negli ultimi anni messa in discussione, soprattutto in ragione delle diverse modalità con cui l’evoluzione della tecnologia ha permesso di ridurre la specificità del lavoro a bordo di una nave e le particolari esigenze correlate soprattutto alla navigazione marittima, e si preferisce parlare di specialità della disciplina, con la possibilità di fare riferimento alla disciplina comune in maniera molto più semplice rispetto al passato.
Tale approccio è emerso con particolare riferimento proprio alla regolazione del lavoro, in particolare con l’intervento della Corte costituzionale nel 1987 con cui è stata ritenuta applicabile anche al lavoro marittimo la disciplina sui licenziamenti.
Normativa di riferimento
- Codice della navigazione, in particolare Titolo IV, Libro II cod. nav. (artt. 323 ss.)
- Convenzioni internazionali, in particolare convenzione OIL 2006 sul lavoro marittimo
- Normativa dell’Unione europea
A chi rivolgersi
- Studio legale esperto in diritto del lavoro o in diritto della navigazione
- Sindacati dei lavoratori marittimi
- Capitaneria di Porto
Scheda di approfondimento
Le fonti
Il lavoro marittimo, avendo a che fare con soggetti di nazionalità differente in modo molto più intenso rispetto ad altri settori, è sempre stato caratterizzato da un’ampia presenza di regole di diritto internazionale.
In seno all’OIL (Organizzazione internazionale del lavoro) è possibile rinvenire diverse convenzioni che hanno come oggetto rilevanti questioni correlate al lavoro marittimo. Si pensi alla convenzione sull’età minima del lavoratore marittimo del 1920, a quella sul contratto di arruolamento dei marittimi del 1926, a quella sui salari e sulla durata del lavoro a bordo delle navi del 1958, o alla più recente convenzione sui documenti di identità dei lavoratori marittimi del 2003.
La più importante convenzione in materia stipulata in sede OIL è però quella sul lavoro marittimo del 2006, entrata in vigore nell’agosto del 2013 e ratificata da 86 Stati che rappresentano più del 90% del tonnellaggio delle navi presenti nel commercio marittimo mondiale, che ha provveduto a riunire in un’unica convenzione principi già precedentemente consolidati in altri provvedimenti. Si tratta di un importante obiettivo raggiunto in sede internazionale con cui si è cercato di individuare alcuni specifici standard minimi di trattamento lavorativo sul piano globale applicabili ai marittimi in materia di età minima lavorativa, accordi collettivi, periodi di riposo, trattamento retributivo, diritto al rimpatrio, salute e sicurezza del natante, vitto e alloggio.
Altrettanto rilevante, sul piano tecnico, è la convenzione internazionale sugli standard di addestramento, certificazione e tenuta della guardia per i marittimi, adottata nel 1978, ed emendata nel 1995 e nel 2010 (convenzione STCW), nell’ambito dell’Organizzazione Marittima Internazionale, che ha posto specifici criteri per la formazione e i requisiti tecnici minimi per i lavoratori marittimi con particolare riferimento alla preparazione in materia di salute e sicurezza durante la navigazione.
Anche nell’ambito dell’Unione europea si possono rinvenire numerose direttive che fanno riferimento al lavoro marittimo. Si pensi alle direttive n. 2009/16/Ce, relativa al controllo da parte dello Stato di approdo; n. 2008/106/Ce, concernente i requisiti minimi di formazione per la gente di mare; n. 1999/63/Ce, relativa all’Accordo sull’organizzazione dell’orario di lavoro della gente di mare; n. 1999/95/Ce, concernente l’applicazione delle disposizioni relative all’orario di lavoro della gente di mare a bordo delle navi che fanno scalo nei porti della Comunità. Inoltre, si pensi alla Direttiva n. 2009/13/Ce recante attuazione dell’Accordo in merito alla trasposizione della Convenzione Oil sul lavoro marittimo del 2006, che, avendo subordinato la propria entrata in vigore a quella della stessa Convenzione Oil, risulta in vigore a far data dal 20 agosto 2013, con un ulteriore anno concesso agli Stati membri per gli opportuni interventi.
Per quanto concerne il diritto interno la prima fonte regolativa del rapporto del lavoratore marittimo è il codice della navigazione, nel cui titolo IV, libro II, artt. 323 e seguenti, è rinvenibile la disciplina applicabile al contratto di arruolamento, che può essere stipulato per un dato viaggio, a tempo determinato ovvero a tempo indeterminato. La disciplina contenuta nel codice della navigazione contiene alcune specifiche disposizioni pensate proprio per la particolare posizione del lavoratore marittimo, sottoposto ad un potere, quello del comandante della nave, normalmente più costrittivo rispetto a quello a cui si trova soggetto un normale lavoratore subordinato.
Gran parte del dibattito dottrinale e giurisprudenziale sviluppatosi in materia si riferisce proprio alla possibilità di applicare al lavoratore marittimo norme più tutelanti che trovano applicazione per i lavoratori “normali”, ricercando il modo di aggirare il limite posto dall’art. 1 del codice della navigazione, per lungo tempo considerato vero e proprio baluardo a difesa della completa autonomia della materia del diritto della navigazione e del lavoro marittimo. Nell’interpretazione della dottrina e della giurisprudenza si è col tempo pervenuti ad un approccio meno rigido dell’art. 1 cod. nav., arrivando a parlare non più di autonomia del diritto della navigazione ma di specialità della disciplina correlata per lo più al principio pubblicistico della sicurezza della navigazione. A tali conclusioni hanno contribuito diverse decisioni della Corte costituzionale, tra cui è opportuno rammentarne due.
- In primo luogo la sentenza del 13 dicembre 1962 n. 124 con cui la Corte ha riconosciuto il diritto di sciopero per il personale navigante, in precedenza fermamente vietato dal codice della navigazione anche attraverso la sanzione penale del reato di ammutinamento. Il caso si era posto a fronte di una astensione collettiva dei marinai italiani di tutto il mondo avvenuta nel giugno del 1959 per chiedere il rinnovo di un contratto collettivo invariato da oltre trent’anni, e delle numerose cause che ne sono conseguite vertenti sull’applicabilità del reato di ammutinamento previsto dall’articolo 1105 del codice della navigazione. Il giudice costituzionale, pur non ritenendo costituzionalmente illegittimo l’art. 1105 cod. nav., riconosce la doverosa applicabilità del diritto di sciopero anche ai naviganti, ferma la necessità di garantire, adottando tutte le cautele possibili durante lo svolgimento dello sciopero, la sicurezza della navigazione.
- In secondo luogo è necessario rammentare la sentenza del 3 aprile 1987 n. 96, prima delle pronunce con cui la Corte costituzionale ha esteso le norme sul licenziamento anche al personale marittimo navigante.
Gli interventi della dottrina e della giurisprudenza, anche costituzionale, hanno portato alla possibile applicabilità al lavoro marittimo di regole previste per il lavoro comune, pur con una certa prudenza, valutando le ragioni sottese ad ogni specifica previsione normativa e tenendo sempre presente che l’art. 1 del codice della navigazione rimane norma in vigore, continuamente applicabile ed espressione di una peculiare specialità normativa.
Il collocamento della gente di mare
La specialità del rapporto di lavoro nautico si esprime ancor prima del momento dell’imbarco, visto che il Codice della navigazione, quale presupposto per la stipulazione del contratto di arruolamento, contempla la necessaria iscrizione della gente di mare – che secondo quanto previsto dall’art. 115 cod.nav. si divide in 1) personale di stato maggiore e di bassa forza addetto ai servizi di coperta, di macchina e in genere ai servizi tecnici di bordo; 2) personale addetto ai servizi complementari di bordo; 3) personale addetto al traffico locale e alla pesca costiera – in appositi registri, definiti “matricole” (art. 118 cod.nav.), tenute da uffici statali, che hanno il compito di verificare la sussistenza dei requisiti necessari per l’iscrizione.
I requisiti richiesti per l’iscrizione nelle matricole della gente di mare sono richiamati dallo stesso codice della navigazione, art. 119 cod.nav. e art. 239 reg.cod.nav., sulla base di quanto prescritto a livello internazionale. È necessaria la cittadinanza italiana, o di altro paese dell’Unione europea, età non inferiore a 16 anni, certificato di nuoto e voga.
Ottenuta l’immatricolazione nelle matricole della gente di mare, il personale marittimo riceve il libretto di navigazione, che è il documento di lavoro che abilita il personale marittimo alla navigazione e contiene, oltre ai dati anagrafici, eventuali titoli di studio, corsi propedeutici effettuati, navigazione svolta su unità mercantili battenti bandiera nazionale del marittimo o di un altro Stato, navigazione di volta in volta effettuata con le date e le località di imbarco e sbarco. Tale libretto viene rilasciato dalle Capitanerie di porto di iscrizione e consegnato, all’atto del primo imbarco, al comandante della nave. Il libretto di navigazione vale anche come libretto di lavoro per il servizio prestato dagli iscritti nelle matricole della gente di mare a bordo delle navi ed è considerato come passaporto per le esigenze connesse con l’esercizio della professione marittima.
La disciplina del collocamento dei lavoratori marittimi appartenenti alla gente di mare è stata recentemente oggetto di modifica, con l’esplicito intento di renderla più coerente con la disciplina generale, ed è ora regolata dal d.p.r. n. 231/2006, modificato dal d.lgs n. 151/2015.
Accanto agli uffici di collocamento della gente di mare, storicamente collocati presso le principali capitanerie di porto ma funzionalmente dipendenti dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, possono svolgere attività di collocamento della gente di mare, con autorizzazione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, anche le agenzie per il lavoro di cui all’articolo 4 del d.lgs n. 276/2003 e gli enti bilaterali del lavoro marittimo.
La legge del 2006 si preoccupa innanzitutto di introdurre, anche nel settore marittimo, il principio dell’assunzione diretta con obbligo di comunicazione contestuale al servizio di collocamento marittimo, abolendo al contempo il regime di collocamento obbligatorio e fornendo i principi per l’individuazione degli operatori privati abilitati a fornire servizi di intermediazione nel settore marittimo. Tale legge si propone, poi, di istituire l’anagrafe nazionale della gente di mare, nella quale sono registrati i lavoratori marittimi in possesso dei requisiti prescritti dalla legge per prestare servizio di navigazione. Lo specifico riferimento alla Borsa nazionale del lavoro marittimo è stato rimosso dal d.lgs n. 151/2015 con l’evidente intento di inserire anche queste informazioni nell’ambito delle comunicazioni telematiche i cui standard sono disciplinati dal D.M. 30.10.2007, concernente la Borsa Continua Nazionale del Lavoro, e secondo quanto previsto dal D.M. 24.1.2008 che istituisce il modulo Unimare per le comunicazioni obbligatorie dei datori di lavoro della gente di mare. Tali adempimenti dal novembre 2016 sono da effettuarsi tramite il portale Anpal.
Nell’ambito del lavoro nautico è previsto che determinate attività a bordo della nave possano essere svolte soltanto da chi possieda un idoneo titolo professionale che abiliti il marittimo a quella specifica attività. Si tratta di requisiti correlati a normative internazionali, con particolare riferimento alla convenzione STWC 95, ed alle direttive dell’Unione europea relative ai requisiti minimi di formazione per la gente di mare. L’attuale fonte normativa interna è rappresentata, oltre che da alcune norme del codice della navigazione, dal d.lgs n. 71/2015, che definisce i requisiti minimi di formazione della gente di mare e le modalità di addestramento, certificazione ed abilitazione per le specifiche funzioni svolte a bordo della nave ed elencate nel provvedimento. Le autorità competenti a tali fini sono gli uffici della Capitaneria di porto competenti per l’iscrizione nelle matricole della gente di mare.
L’equipaggio
Secondo quanto previsto dall’art. 316 cod. nav. l’equipaggio della nave marittima è costituito dal comandante, dagli ufficiali e da tutte le altre persone arruolate per il servizio della nave; fa inoltre parte dell’equipaggio il pilota durante il periodo in cui presta servizio a bordo. Si tratta, in sostanza, dell’insieme delle persone imbarcate con l’obbligo di prestare le proprie energie lavorative per il servizio della nave. L’inserimento formale del marittimo nell’equipaggio avviene tramite l’annotazione di imbarco apposta sul ruolo di equipaggio.
La questione, però, è un poco più complessa, e il dibattito sulla definizione di equipaggio e di chi ne faccia concretamente parte è risalente nel tempo. Una delle questioni più rilevanti, parzialmente risolta con un intervento del legislatore negli anni ’80, riguardava in particolare il personale presente soltanto sulle navi trasporto passeggeri e che non hanno mansioni correlate alle manovre della nave, ma si occupano di offrire particolari servizi di conforto ai passeggeri, si pensi ai camerieri, barman, orchestrali. Secondo l’art. 17 l. n. 856/1986 il Ministro dei trasporti e della navigazione, in deroga agli articoli 316 e seguenti del codice della navigazione, può autorizzare l’armatore ad appaltare ad imprese nazionali o straniere che abbiano un raccomandatario o un rappresentante in Italia, servizi complementari di camera, servizi di cucina o servizi generali a bordo delle navi adibite a crociera nonché ogni altra attività commerciale, complementare, accessoria o comunque relativa all’attività crocieristica. Tali servizi sono svolti dall’appaltatore con gestione ed organizzazione propria ed il relativo personale non fa parte dell’equipaggio pur essendo soggetto alla gerarchia di bordo prevista dall’articolo 321 del codice della navigazione.
Si tratta di personale che svolge attività lavorativa sulla nave e, pur soggetto alla gerarchia di bordo ed all’autorità del comandante, non fa parte dell’equipaggio e non è vincolato da un contratto di arruolamento, ma da un contratto di lavoro di diritto comune.
Il contratto di arruolamento
Il contratto di arruolamento viene stipulato fra lavoratore marittimo ed armatore, deve effettuarsi, a pena di nullità, per atto pubblico ricevuto dall’autorità marittima dello Stato (art. 328 cod.nav.), contenere necessariamente gli elementi specificati all’art. 332 cod.nav. ed essere annotato sul ruolo di equipaggio della nave su cui il marittimo espleterà il proprio servizio.
Si tratta di un contratto particolare di lavoro subordinato, che contiene diversi elementi di specialità. Il marittimo, infatti, risulta sottoposto ad un rigido rapporto di gerarchia, che fa capo non già al datore di lavoro con il quale si è stipulato l’ingaggio, e cioè l’armatore, bensì al comandante della nave, a sua volta un dipendente dell’armatore, a cui spettano specifici poteri disciplinari, che possono persino comportare l’inflizione di sanzioni restrittive della libertà personale (art. 1252, nn. 1 e 2, cod. nav.), o l’inibizione temporanea o permanente dell’esercizio della professione di marittimo (art. 1252, nn. 4 e 5).
Diverse sono le particolarità che connotano la prestazione lavorativa del personale marittimo, in virtù della necessità di espletare le proprie mansioni su di un battello in navigazione.
Innanzitutto vige una disciplina particolarmente vincolante in materia di mansioni, la cui differenza con la disciplina comune risulta accentuata dopo le modifiche del 2015, posto che secondo l’art. 334 cod.nav. i componenti dell’equipaggio non sono tenuti a prestare un servizio diverso da quello per il quale sono stati arruolati, anche se il comandante, nell’interesse della navigazione, può adibire temporaneamente il marittimo ad un servizio diverso, purché non inadeguato al grado ed al titolo professionale.
Disposizioni particolari sono previste in materia di orario di lavoro, spesso organizzato secondo turni che coprono le 24 ore, ma disciplinato da norme internazionali e dell’Unione europea che garantiscano in ogni caso la sicurezza della navigazione. Sul piano interno l’orario di lavoro è disciplinato dal d.lgs n. 108/2005, in attuazione della direttiva 1999/63/CE relativa all’accordo sull’organizzazione dell’orario di lavoro della gente di mare.
Il marittimo arruolato è, altresì, vincolato ad una serie di prestazioni straordinarie correlati ad obblighi di assistenza e salvataggio sotto l’autorità del comandante in caso di pericolo per la nave.
La contrattazione collettiva, al fine di assicurare ai lavoratori marittimi, le cui prestazioni lavorative sono spezzettate da periodi a bordo delle navi e periodi a terra in attesa di un nuovo imbarco, un certo livello di stabilità lavorativa, ha creato il c.d. regime di continuità del rapporto di lavoro, che prevede il riconoscimento di un rapporto di lavoro diviso in tre fasi: 1) una fase di imbarco attivo a bordo della nave; 2) una fase di inattività predeterminata di riposo a terra, in cui il marittimo usufruisce delle ferie e dei riposi compensativi maturati e non goduti; 3) una fase di inattività in cui il marittimo rimane a terra ma è a disposizione dell’armatore e riceve un compenso inferiore a quello ricevuto durante il periodo di imbarco.
Il codice della navigazione prevedeva specifiche disposizioni in materia di cessazione del rapporto di lavoro, con la possibilità da parte dell’armatore o dell’arruolato di recedere unilateralmente dal contratto di arruolamento, dando un preavviso stabilito dalla contrattazione collettiva o dagli usi, ovvero la previsione di alcuni casi di risoluzione automatica del contratto specificati nell’art. 343 del codice della navigazione.
Una così netta diversità di trattamento in materia di licenziamento rispetto alla disciplina del lavoro comune ha portato a riflessioni profonde sulla materia, con la scelta, operata attraverso un lungo percorso interpretativo che ha visto la Corte costituzionale quale attore principale, di ritenere applicabile anche al lavoro marittimo la disciplina del licenziamento prevista per il lavoro comune.
Dopo una prima criticata sentenza interlocutoria del 1976 (C. cost., 26 maggio 1976, n. 129), con cui veniva legittimata la modalità di licenziamento senza causale giustificativa prevista nel codice della navigazione rimandando ai contratti collettivi il compito di stabilire regole in materia, la Corte intervenne con le note sentenze n. 96 del 1987 e n. 41 del 1991 per estendere al lavoro nautico le norme in materia di licenziamento di cui alla l. n. 604/1966 e all’art. 18 l. n. 300/1970. In seguito a tali pronunce, dunque, divenne necessaria la previsione di un giustificato motivo o di una giusta causa di licenziamento; mentre, in presenza di un licenziamento illegittimo, doveva essere applicato l’ordinario regime sanzionatorio. Con successiva sentenza n. 364 del 1991 la Corte costituzionale completava l’opera estendendo al personale navigante delle “imprese di navigazione” anche i primi tre commi dell’art. 7 St.lav, relativi alle modalità di irrogazione delle sanzioni disciplinari -tra cui anche il licenziamento disciplinare- nei confronti dei lavoratori comuni. La giurisprudenza ha poi provveduto a precisare l’ambito applicativo delle decisioni del giudice delle leggi, sostanzialmente ampliando la portata applicativa dell’estensione derivante dalle decisioni della Consulta, e ritenendo così applicabili al lavoro marittimo sia il licenziamento discriminatorio che le modifiche di disciplina introdotte con l. n. 108/1990, o anche le norme in materia di licenziamento collettivo di cui alla l. n. 223 del 1991.
Contratto di arruolamento a termine o a viaggio
La possibilità di apporre un termine al contratto di arruolamento nell’ambito del diritto della navigazione è risalente nel tempo ed il codice della navigazione ha provveduto fin dalla sua emanazione a disciplinare in modo approfondito l’istituto, con la previsione di specifici limiti che manifestano un chiaro favore nei confronti del lavoro a tempo indeterminato.
Nell’ambito della navigazione marittima l’art. 325 cod. nav. distingue tra contratto di arruolamento stipulato a tempo determinato e contratto di arruolamento stipulato “per un dato viaggio o per più viaggi”, cioè con un termine previsto solo in relazione alla data in cui il viaggio termina.
È il successivo art. 326 che pone dei limiti all’utilizzo di tali tipologie di contratto di arruolamento, prevedendo che tanto il contratto di arruolamento a tempo determinato quanto il contratto a viaggio non possano essere stipulati per una durata superiore ad un anno, in caso contrario si considerano a tempo indeterminato. La durata massima di un anno è prevista anche nel caso in cui i contratti a termine siano più di uno, quando l’arruolato presta ininterrottamente servizio alle dipendenze dello stesso armatore per un tempo superiore ad un anno. Ai fini del codice della navigazione la prestazione è considerata ininterrotta quando fra la cessazione di un contratto e la stipulazione del contratto successivo intercorre un periodo non superiore ai sessanta giorni.
È poi l’art. 332 che specifica come il contratto di arruolamento debba contenere il viaggio o i viaggi da compiere e il giorno in cui l’arruolato assume servizio, nel caso di contratto a viaggio, oppure la decorrenza e la durata del contratto, se l’arruolamento è a tempo determinato, e che, all’ultimo comma, prevede che se dal contratto o dall’annotazione sul ruolo di equipaggio l’arruolamento non risulta stipulato a viaggio o a tempo determinato, questo sarà regolato dalle norme concernenti il contratto a tempo indeterminato.
Recentemente la Corte di Giustizia (C. Giust. 3 luglio 2014, Fiamingo, C-362/2013) ha optato per l’applicazione anche al contratto di arruolamento a termine della direttiva 99/70/CE del 28 giugno 1999, ritenendo che in linea generale l’art. 326 cod. nav. costituisce una misura adeguata ad assicurare l’effettività della clausola 5 dell’accordo quadro attuato dalla direttiva, relativa alla prevenzione degli abusi legati alla successione dei contratti a termine. Tuttavia, la medesima pronuncia ha precisato come sia in ogni caso compito del giudice nazionale accertare in concreto l’effettività della tutela anti-abusiva offerta dalla disposizione nazionale. Tale presa di posizione del giudice europeo ha consentito alla Suprema Corte italiana, che aveva sollevato la questione, di poter affermare che il giudice italiano avrà la possibilità di valutare se, nonostante il formale rispetto della norma, non ricorra un caso di frode alla legge ex art. 1344 cod. civ., ipotesi da valutare caso per caso attraverso l’apprezzamento da parte del giudice del merito del numero dei contratti di arruolamento a tempo determinato o a viaggio, dell’arco temporale complessivo in cui si sono succeduti i contratti e di ogni altra rilevante circostanza fattuale.
Casistica di decisioni della Magistratura sul lavoro marittimo
- In tema di rapporto di lavoro nautico, il regime di continuità, che garantisce la protrazione a tempo indeterminato del contratto di arruolamento e la permanenza del rapporto anche nei periodi di inoperosità tra ciascuno sbarco e l’imbarco successivo, non è generalizzato, essendo riscontrabile esclusivamente nelle ipotesi previste dalla contrattazione collettiva, sicché, in assenza di essa, l’attività del lavoratore marittimo, seppure alle dipendenze dello stesso imprenditore, è costituita solamente da una sequenza non continua di imbarchi con distinti contratti di arruolamento, secondo il regime generale previsto dall’art. 325 cod.nav. (Cass. 02/12/2016, n. 24672).
- Ai fini della competenza territoriale in ordine alle controversie relative al rapporto di lavoro nautico, il luogo di imbarco del lavoratore marittimo deve ritenersi fisiologicamente coincidente con il luogo di conclusione del contratto, previsto dall’art. 603 cod. nav. tra i criteri facoltativi, come è desumibile dal disposto dell’art. 328 cod. nav., il quale stabilisce un evidente collegamento, anche temporale, tra la stipula del contratto e la sua annotazione nel ruolo d’equipaggio, che costituisce uno dei documenti di bordo; ne deriva che il giudice adito sulla base della mera allegazione del luogo di imbarco deve ritenersi competente alla stregua del criterio del luogo di conclusione del rapporto, salvo il positivo accertamento della diversità dei due luoghi. (Cass. 09/09/2016, n. 17909)
- In caso di licenziamento orale del lavoratore marittimo navigante in regime di stabilità reale si applica l’art. 18 st.lav. (nel testo vigente “ratione temporis”), sicché al medesimo spetta il risarcimento del danno nella misura minima irriducibile di cinque mensilità ancorché la reintegra o l’esercizio dell’opzione l’indennità sostitutiva, pari a quindici mensilità, siano intervenute a meno di cinque mesi dal recesso invalido. (Cass. 21/10/2015, n. 21425)
- In tema di arruolamento marittimo a tempo determinato per prestazioni da svolgere in qualità di marinai sulle navi traghetto, l’art. 326 cod. nav., nel prevedere la conversione in contratto di lavoro a tempo indeterminato in caso di successione ininterrotta di una pluralità di contratti a termine per una durata superiore all’anno, costituisce – in via generale e astratta – misura adeguata ad assicurare l’effettività della clausola 5 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, allegato alla direttiva 1999/70/CE del 28 giugno 1999, applicabile – come affermato dalla Corte di Giustizia UE (sentenza 3 luglio 2014, in C-362/13) – anche ai lavoratori marittimi. Nondimeno il giudice, in applicazione dell’art. 1344 cod. civ., è tenuto ad accertare, caso per caso, se l’esercizio della facoltà di assumere a tempo determinato integri una frode alla legge, dovendosi a tal fine considerare il numero dei contratti di lavoro a tempo determinato, l’arco temporale complessivo in cui si sono succeduti e ogni altra circostanza fattuale in atti. (Cassazione civile, sez. lav., 08/01/2015, n. 59)
- In tema di lavoro marittimo, i diritti del lavoratore derivanti dal contratto di arruolamento in regime di continuità sono soggetti alla prescrizione biennale prevista dall’art. 373 cod. nav., che inizia a decorrere dalla cessazione del rapporto, la quale non coincide con lo sbarco e si verifica nel momento e nel luogo in cui il marittimo riceve la comunicazione della cancellazione dal turno (equivalente alla comunicazione del licenziamento nella disciplina comune) o dalla non reiscrizione in esso. (Cass. 01/08/2014, n. 17534)
- Il rapporto di lavoro marittimo si basa, come tutti gli altri rapporti di lavoro, sul normale scambio tra prestazione e retribuzione, ma si distingue dagli altri a causa di un elemento aggiuntivo relativo alla sicurezza della nave e della navigazione. Tale elemento aggiuntivo ha costituito la ragione della differenziazione del lavoro nautico rispetto alla generale nozione di cui all’art. 2094 c.c., in termini di specialità della fattispecie e ha giustificato la previsione di un “corpus” normativo autonomo. (Cass. 20/06/2013, n. 15561)
- Con la visita medica d’imbarco, l’accertamento della idoneità fisica della gente di mare risponde alla funzione preventiva di constatare l’inesistenza di malattie contagiose o di malattie acute in atto; tuttavia essa è utilizzabile anche per verificare l’idoneità medica dell’arruolato a svolgere il servizio cui è destinato, qualora dal servizio medesimo possa derivargli nocumento in termini di aggravamento delle proprie condizioni di salute, benché inizialmente compatibili con l’imbarco.(Corte appello Genova, 20/03/2005)
- Nel rapporto di lavoro subordinato del personale marittimo navigante, la sopravvenuta inidoneità fisica alla navigazione non impedisce la ricostituzione del rapporto, bensì solo la utilizzabilità del marittimo in mansioni incompatibili con l’accertata inidoneità, in quanto la sopravvenuta inidoneità fisica e la conseguente impossibilità della prestazione lavorativa, quale giustificato motivo di recesso, non possono essere ravvisate nella sola ineseguibilità dell’attività attualmente svolta dal prestatore e restano escluse dalla possibilità di svolgere un’altra attività riconducibile alle mansioni assegnate o ad altre equivalenti ovvero, qualora ciò non sia possibile, a mansioni inferiori, sempre che questa attività sia utilizzabile all’interno dell’impresa. (Cass. 18/04/2011, n. 8832)
- La comandata rappresenta un particolare rapporto di lavoro nautico, che si instaura tra l’armatore e i marittimi “adibiti temporaneamente ai servizi speciali durante il disarmo e la sosta della nave in porto” (d.m. 12 marzo 1953), caratterizzato dalla transitoria destinazione del lavoratore marittimo, tra un imbarco e l’altro, a servizi quali l’approntamento delle dotazioni e provviste della nave ovvero alla sua riparazione e manutenzione. Pertanto il contratto di comandata costituisce una specie del contratto di arruolamento, in cui risulta accentuato, a differenza del rapporto di diritto comune, il legame tra il lavoratore e la particolare realtà organizzativa costituita dalla nave. (Cass. 08/09/2006, n. 19280)
- In tema di contratto di arruolamento marittimo, la mancata precisazione del viaggio o del termine finale priva il contratto a viaggio o il contratto a termine di un elemento essenziale ai fini della effettiva configurazione degli stessi come tali e, quindi, non può essere messa sullo stesso piano di qualsiasi altra omissione nel contratto degli elementi specificati nell’art. 332, comma 1, c.nav. (omissione non necessariamente incidente sulla validità del contratto), così come l’ipotesi non può essere equiparata a quella del contratto a termine di diritto comune nullo per difetto di forma o di uno dei presupposti sostanziali, ma pur sempre caratterizzato dalla apposizione di un termine al rapporto. Per altro verso, l’art. 332, comma 2, c.nav. ha inteso assicurare la conservazione del contratto a tempo indeterminato in riferimento anche a vizi meramente formali del contratto a termine o a viaggio, mentre non ha inteso affermare che la astratta denominazione del contratto come contratto a termine o a viaggio sia sufficiente all’effettiva qualificazione dello stesso in tal senso, anche in mancanza della effettiva specificazione del termine o del viaggio. (Cass. 11/04/2005, n. 7368)
- Nel lavoro marittimo, qualora sia configurabile un rapporto di lavoro a tempo indeterminato (per volontà delle parti, ovvero per l’operare dei limiti alla stipulazione di contratti di arruolamento a viaggio o a termine posti dall’art. 326 c.nav.), trovano applicazione, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 96 del 1987, le norme limitative dei licenziamenti di cui alla l. 15 luglio 1966 n. 604 e la tutela reale di cui all’art. 18 l. 20 maggio 1970 n. 300, senza che sia necessaria a tal fine l’applicabilità allo specifico rapporto del regime di “continuità del rapporto di lavoro” introdotto da taluni contratti collettivi. (Cass. 13/01/2005, n. 492)