Socio lavoratore di cooperativa

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Questa voce è stata curata da Gionata Cavallini

Scheda sintetica

Il socio lavoratore di cooperativa è un membro di una società cooperativa che presta anche un’attività lavorativa presso la società stessa. Il fenomeno della cooperazione mutualistica affonda le proprie radici negli albori del movimento operaio e dunque nel momento genetico del diritto del lavoro. Nella prospettiva tradizionale il socio lavoratore si differenzia dal lavoratore subordinato in quanto mentre il primo partecipa all’organizzazione della cooperativa, adempiendo così le obbligazioni scaturenti dal contratto di società, il secondo resta del tutto alieno dall’organizzazione produttiva dell’imprenditore, e presta la propria opera nel quadro di un contratto di mero scambio, il contratto di lavoro subordinato.

La natura mutualistica del rapporto che si instaura tra la cooperativa e il socio lavoratore implica che quest’ultimo svolga un ruolo attivo nella gestione della stessa, partecipando alla formazione degli organi sociali e alla distribuzione degli utili, secondo i regolamenti interni.

Prima dell’introduzione della disciplina contenuta nella legge 142 del 2001, si affermava che il rapporto tra il socio lavoratore e la cooperativa era soggetto alle disposizioni dettate dal codice civile per il socio d’opera (art. 2263 c.c.) e non alle disposizioni di maggior tutela previste dalle norme del diritto del lavoro.

Tuttavia, soprattutto a fronte dei fenomeni di abuso della forma cooperativa per occultare prestazioni di lavoro non caratterizzate da alcuna finalità mutualistica, a partire dagli anni ’80 si è andato affermando in dottrina e giurisprudenza un orientamento c.d. dualista, secondo cui nel socio lavoratore convivono due posizioni distinte, cui corrispondono due distinte relazioni giuridiche: quella di partecipante del contratto sociale, disciplinata dalla normativa commercialistica, e quella di lavoratore, che porta con sé l’applicazione delle norme del diritto del lavoro.

Tale ricostruzione è stata fatta propria dal legislatore, che con la riforma del 2001 ha espressamente previsto che il socio lavoratore stabilisce con la propria adesione alla cooperativa un ulteriore rapporto di lavoro, in forma subordinata, parasubordinata o autonoma, con cui contribuisce comunque al raggiungimento degli scopi sociali, con conseguente applicazione della disciplina del rapporto di lavoro in quanto compatibile (art. 1, c. 3, l. 142/2001).

La posizione giuridica del socio lavoratore è quindi disciplinata dall’intreccio tra le regole del diritto societario (e relativi statuti e regolamenti) e le regole del diritto del lavoro (e dei contratti collettivi). Ciò può comportare una serie di contrasti tra le due discipline, che hanno in effetti dato luogo a questioni tuttora controverse, quale quella della disciplina applicabile all’esclusione del socio lavoratore dalla cooperativa e quella del rito applicabile alle controversie insorte tra il socio lavoratore e la cooperativa.

Fonti normative

  • Legge 3 aprile 2001, n. 142
  • Codice civile, articoli da 2511 a 2545 duodecies
  • d.l. 31 dicembre 2007, n. 248, conv. in legge 28 febbraio 2008, n. 31, art. 7
  • Circolare Ministero del Lavoro 17 giugno 2002, n. 34
  • Circolare Ministero del Lavoro 18 giugno 2004, n. 10

 

Cosa fare – Tempi

Contro la delibera di esclusione dalla cooperativa il socio lavoratore può proporre opposizione al Tribunale nel termine di 60 giorni. Nel medesimo termine è altresì opportuno impugnare in via stragiudiziale il contestuale licenziamento, mediante raccomandata A/R.

L’impugnazione è inefficace se non è seguita entro il successivo termine di 180 giorni dal deposito in tribunale del ricorso oppure dalla comunicazione alla controparte della richiesta del tentativo obbligatorio di conciliazione.

A chi rivolgersi

  • Ufficio vertenze sindacale
  • Studio legale specializzato in diritto del lavoro

 

Scheda di approfondimento

Nozione di socio lavoratore di cooperativa

Il socio lavoratore di cooperativa è un membro di una società cooperativa che presta anche un’attività lavorativa presso la società stessa. In virtù della sua particolare posizione di partecipante alla compagine sociale, oltre che di lavoratore, il socio lavoratore, ai sensi dell’art 1, comma 2, l. 142/2001:

  1. concorre alla gestione dell’impresa partecipando alla formazione degli organi sociali e alla definizione della struttura di direzione e conduzione dell’impresa;
  2. partecipa all’elaborazione di programmi di sviluppo e alle decisioni concernenti le scelte strategiche, nonché alla realizzazione dei processi produttivi dell’azienda;
  3. contribuisce alla formazione del capitale sociale e partecipa al rischio d’impresa, ai risultati economici ed alle decisioni sulla loro destinazione;
  4. mette a disposizione le proprie capacità professionali anche in relazione al tipo e allo stato dell’attività svolta, nonché alla quantità delle prestazioni di lavoro disponibili per la cooperativa stessa.

Questa particolare posizione del socio lavoratore di cooperativa si riassume nella tradizionale formula del cooperatore come “imprenditore di se stesso”, in quanto egli esercita in comune con gli altri soci un’attività economica organizzata, partecipando al rischio d’impresa e alle decisioni strategiche della cooperativa, nonché a quelle sulla destinazione dei risultati economici della stessa.

Non a caso, la stessa individuazione, da parte della Corte costituzionale, dell’essenza della “dipendenza” del lavoratore subordinato (art. 2094 c.c.) nella sua condizione di “doppia alienità” – alienità dell’organizzazione produttiva e alienità del risultato della stessa– è stata enunciata proprio nell’ambito di procedimenti promossi da parte di soci lavoratori di cooperativa (in particolare, in quell’occasione, la Corte costituzionale aveva avuto modo di dichiarare infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 1, l. 29 maggio 1982 n. 297, nella parte in cui non prevedeva l’intervento del Fondo di garanzia per il pagamento del T.F.R. in ipotesi di liquidazione coatta amministrativa di società cooperativa, sulla base della considerazione che i soci lavoratori concorrono alla formazione della volontà sociale e partecipano allo scopo dell’impresa, assumendo dunque una quota del relativo rischio).

Resta ferma la possibilità di riqualificare il rapporto di lavoro come lavoro subordinato a tutti gli effetti, escludendo il rapporto associativo. Infatti, anche nell’ipotesi in cui il socio lavoratore fornisca una prestazione diretta a realizzare le finalità istituzionali della cooperativa, è necessario – ai fini della corretta qualificazione del rapporto – l’esame delle concrete modalità di svolgimento dello stesso.

In particolare, ove risultino al contempo sussistenti gli elementi tipici del lavoro subordinato (e in particolare l’eterodirezione, che si esplica nell’assoggettamento all’altrui potere direttivo, organizzativo e disciplinare) e il carattere solo formale del rapporto associativo, deve ritenersi la natura subordinata del rapporto di lavoro intercorrente tra la cooperativa e il socio, senza che assuma rilievo la semplice circostanza della partecipazione di tale socio a qualche assemblea o altre circostanze di analogo carattere formale.

Secondo l’orientamento maggioritario, tuttavia, spetta al lavoratore provare la natura meramente formale del rapporto associativo e la conseguente sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tutti gli effetti.

Innovando rispetto al quadro normativo precedente, la l. 142/2001 ha espressamente previsto che il socio lavoratore di cooperativa stabilisce con la propria adesione o successivamente all’instaurazione del rapporto associativo un ulteriore rapporto di lavoro, in forma subordinata o autonoma o in qualsiasi altra forma, ivi compresi i rapporti di collaborazione coordinata non occasionale, con cui contribuisce comunque al raggiungimento degli scopi sociali (art. 1, comma 3, l. 142/2001). Dall’instaurazione di tale ulteriore rapporto di lavoro derivano i relativi effetti di natura fiscale e previdenziale e tutti gli altri effetti giuridici previsti dalla legge, purché compatibili con la posizione del socio lavoratore.

Con tale disposizione è stato colmato quel vuoto di tutela creatosi nell’ordinamento in ragione della circostanza che, quantomeno nelle cooperative di medie e grandi dimensioni, i soci lavoratori sono effettivamente assoggettati alle direttive e al coordinamento della società, osservano un determinato orario di lavoro, percepiscono una retribuzione su base mensile e altri emolumenti (come la tredicesima mensilità) previsti per i lavoratori subordinati, hanno l’obbligo di giustificare le assenze, sono sottoposti agli obblighi previdenziali e assicurativi previsti per i subordinati così come alla normativa in materia di licenziamenti collettivi, di indennità di mobilità e di part-time.

Alla luce di tali circostanze, la mancata qualificazione dei soci lavoratori di cooperativa come lavoratori subordinati pareva effettivamente davvero ingiustificata.

L’intreccio tra le norme del diritto societario e le norme del diritto del lavoro: i diritti individuali e collettivi dei soci lavoratori

La sussistenza di due diversi rapporti che legano il socio lavoratore e la cooperativa (vale a dire, il rapporto associativo e il rapporto di lavoro) rende possibile, e frequente, un conflitto tra le due normative.

Una prima indicazione circa la normativa lavoristica applicabile al socio lavoratore si rinviene nell’art. 2, l. 142/2001, in materia di diritti individuali e collettivi. In particolare, la disposizione prevede innanzitutto che ai soci lavoratori di cooperativa con rapporto di lavoro subordinato si applichi la legge 20 maggio 1970, n. 300 (lo Statuto dei lavoratori), con la rilevante esclusione dell’articolo 18 (che prevedeva, all’epoca dell’introduzione della l. 142/2001, la tutela della reintegrazione come rimedio generale contro il licenziamento illegittimo), che non trova applicazione ogni qualvolta venga a cessare, con il rapporto di lavoro, anche quello associativo (sul punto v. infra il paragrafo dedicato alla cessazione del rapporto).

L’esercizio dei diritti di cui al titolo III dello Statuto dei lavoratori (diritti sindacali) trova invece applicazione compatibilmente con la posizione di socio lavoratore, secondo quanto determinato da accordi collettivi tra associazioni nazionali del movimento cooperativo e organizzazioni sindacali dei lavoratori comparativamente più rappresentative.

Con riferimento ai soci lavoratori con rapporto di lavoro subordinato, sono stati pienamente superati i dubbi di compatibilità tra l’esercizio dei diritti sindacali previsti dallo Statuto dei lavoratori e la peculiare posizione di socio, sorti in ragione della apparente contraddittorietà tra la conflittualità propria dell’attività sindacale dei lavoratori subordinati e la condizione di partecipante all’organizzazione sociale che caratterizza il socio lavoratore.

La giurisprudenza ha infatti precisato che i diritti sindacali sono pienamente applicabili ai soci lavoratori subordinati, a prescindere dalla (eventuale) contrattazione collettiva, alla quale è consentito eventualmente di dettare specifici limiti giustificati dalla realtà societaria. La previsione di cui all’art. 2, l. 142/2001, pertanto, non può consentire all’autonomia collettiva di incidere sul riconoscimento dell’esistenza dei diritti sindacali, bensì solo sulle modalità di esercizio degli stessi.

Ancora dibattuta è invece la questione dell’ammissibilità del ricorso allo strumento processuale dell’azione per repressione della condotta antisindacale (art. 28 St. lav.), così come dell’esercizio del diritto di sciopero, sempre sulla base della circostanza che si tratterebbe di strumenti di tutela che i soci lavoratori finirebbero astrattamente per rivendicare nei confronti di sé stessi. A fronte della difficoltà di rispondere in modo univoco a tali delicate questioni, e nella varietà degli orientamenti giurisprudenziali, è essenziale l’attenta ponderazione delle circostanze del caso concreto.

Ai soci lavoratori non subordinati si applicano per espressa disposizione di legge gli articoli 1 (libertà di opinione), 8 (divieto di indagini sulle opinioni), 14 (diritto di associazione e di attività sindacale) e 15 (divieto di atti discriminatori) dello Statuto dei lavoratori, il che non esclude che possano trovare applicazione, in virtù del rinvio generale di cui all’art. 1, comma 3, l. 142/2001, anche altre disposizioni di legge, purché compatibili.

I soci lavoratori autonomi e parasubordinati, pertanto, godono di una serie di diritti e garanzie che normalmente sono preclusi ai lavoratori non subordinati. Sempre con riferimento a tali lavoratori possono inoltre essere individuate forme specifiche di esercizio dei diritti sindacali in sede di accordi collettivi tra le associazioni nazionali del movimento cooperativo e le organizzazioni sindacali dei lavoratori comparativamente più rappresentative.

Infine, a tutti i soci lavoratori, a prescindere dalla natura del rapporto di lavoro instaurato con la cooperativa, si applicano le vigenti disposizioni in materia di sicurezza e igiene del lavoro, di cui al d. lgs. 9 aprile 2008, n. 81.

Il trattamento economico del socio lavoratore

Ai sensi dell’art. 3, l. 142/2001, le società cooperative sono tenute a corrispondere al socio lavoratore un trattamento economico complessivo proporzionato alla quantità e qualità del lavoro prestato e comunque non inferiore ai minimi previsti, per prestazioni analoghe, dalla contrattazione collettiva nazionale del settore o della categoria affine (c.d. trattamento di base, art, 3, comma 1, l. 142/2001). Per i rapporti di lavoro diversi da quello subordinato, in assenza di contratti o accordi collettivi specifici, il trattamento economico non può risultare inferiore ai compensi medi in uso per prestazioni analoghe rese in forma di lavoro autonomo.

Trattamenti economici ulteriori possono inoltre essere deliberati dall’assemblea e possono essere erogati a titolo di maggiorazione retributiva, secondo le modalità stabilite negli accordi stipulati ai sensi dell’art. 2, l. 142/2001, oppure, in sede di approvazione del bilancio di esercizio, a titolo di ristorno, in misura non superiore al 30 per cento dei trattamenti retributivi complessivi di cui al comma 1 e alla lettera a) dell’art. 3, l. 142/2001.

La retribuzione del socio lavoratore ha dunque carattere composito, in quanto si divide nel trattamento base previsto dall’art. 3, comma 1, l. 142/2001, e nei trattamenti ulteriori previsti dal comma seguente. Ai sensi dell’art. 6, comma 2, l. 142/2001, il regolamento interno della cooperativa non può contenere disposizioni derogatorie in pejus rispetto al solo trattamento economico minimo di cui all’art. 3, comma 1, l. 142/2001, mentre lo stesso può incidere anche in senso peggiorativo sui trattamenti ulteriori previsti dal comma seguente.

Il Ministero del Lavoro, con circolari n. 34/2002 e n. 10/2004, ha precisato che la norma, che costituisce una specificazione del principio di retribuzione proporzionata e sufficiente di cui all’art. 36 Cost., prevede che la retribuzione del socio lavoratore subordinato debba essere pari ai minimi contrattuali previsti dalla contrattazione collettiva non solo per quanto concerne la retribuzione di livello ma per il trattamento complessivo, ivi comprese, dunque, anche le voci retributive ulteriori, come lo straordinario e le festività, gli scatti di anzianità, oltre che per quanto concerne gli istituti normativi previsti dalla legge per la generalità dei lavoratori, come il TFR.

Per fronteggiare i fenomeni di abuso del modello cooperativo e il fiorire di contratti collettivi di settore che prevedono trattamenti economici anche notevolmente inferiori rispetto a quelli previsti dai contratti collettivi applicati dalle cooperative aderenti alle principali associazioni del movimento cooperativo, il legislatore aveva previsto, con l’art. 7, comma 4, d.l. 31 dicembre 2007, n. 248 (conv. in legge 28 febbraio 2008, n. 31) che fino alla completa attuazione della normativa in materia di socio lavoratore di cooperativa, in presenza di una pluralità di contratti collettivi della medesima categoria, le cooperative che svolgono attività ricomprese nell’ambito di applicazione di quei contratti di categoria debbano applicare ai propri soci lavoratori trattamenti economici complessivi non inferiori a quelli dettati dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale nella categoria.

La disposizione, tesa a privilegiare l’applicazione dei contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative in luogo di quelli stipulati da organizzazioni dotate di minore rappresentatività e prevedenti trattamenti inferiori (in particolare, quelli stipulati dall’UNCI – Unione Nazionale Cooperative Italiane), ha dato luogo ad un vivace dibattito in dottrina e giurisprudenza. La selezione ad opera del legislatore del contratto collettivo applicabile (ovvero, più correttamente, dei trattamenti economici minimi comunque applicabili a prescindere dall’affiliazione sindacale della cooperativa), è stata infatti da taluni censurata come un tentativo di attribuire efficacia generalizzata (erga omnes) al contratto collettivo di diritto comune, in violazione dell’art. 39 Cost. È stato tuttavia obiettato che la disposizione, nel riferirsi ai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative, non intende munire quest’ultimi di efficacia erga omnes ma semplicemente fissare un parametro esterno e indiretto di commisurazione del trattamento economico complessivo proporzionato, ai sensi dell’art. 36 Cost, alla quantità e alla qualità del lavoro prestato dal socio lavoratore.

La Corte costituzionale, con sentenza del 26 marzo 2015, n. 51, ha dichiarato la piena legittimità della disposizione in quanto essa non assegna ai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative efficacia erga omnes -in contrasto con quanto statuito dall’art. 39 Cost.- mediante un recepimento normativo degli stessi, bensì richiama i trattamenti economici complessivi minimi previsti dai predetti contratti quale parametro esterno di commisurazione, utilizzabile da parte del giudice al fine di valutare la proporzionalità e la sufficienza del trattamento economico da corrispondere al socio lavoratore ai sensi dell’art. 36 Cost. Ad avviso della Corte, nell’effettuare un rinvio alla fonte collettiva (che, meglio di altre, recepisce l’andamento delle dinamiche retributive nei settori in cui operano le società cooperative), l’articolo censurato si propone di contrastare forme di competizione salariale al ribasso, in linea con l’indirizzo giurisprudenziale che, da tempo, ritiene conforme ai requisiti della proporzionalità e della sufficienza (art. 36 Cost.) la retribuzione concordata nei contratti collettivi di lavoro firmati da associazioni comparativamente più rappresentative.

La cessazione del rapporto di lavoro del socio lavoratore

La tematica della cessazione del rapporto di lavoro del socio lavoratore di cooperativa è da sempre caratterizzata da rilevanti incertezze, con particolare riferimento alla questione dell’automaticità dell’estinzione del rapporto di lavoro a seguito dell’esclusione del socio deliberata dalla cooperativa e a quella del rito applicabile alla controversia insorta sul punto tra socio lavoratore e cooperativa.

Ai sensi dell’art. 5, comma 2, l. 142/2001, il rapporto di lavoro si estingue con il recesso o l’esclusione del socio deliberati nel rispetto delle previsioni statutarie e in conformità con gli articoli 2526 e 2527 del codice civile (il riferimento alle norme del codice civile, a seguito delle modifiche della numerazione delle disposizioni del codice operata con il d. lgs. 6/2003, devono leggersi oggi come rinvii agli artt. 2532 e 2533).

Viene quindi stabilita l’automatica cessazione del rapporto di lavoro con il venir meno del rapporto associativo nei casi previsti dallo statuto e dalle disposizioni del codice civile in materia, a conferma della centralità attribuita dal legislatore al rapporto associativo. In particolare, ai sensi dell’art. 2533 c.c., l’esclusione può essere deliberata dagli amministratori della cooperativa (ovvero dall’assemblea, se così previsto dall’atto costitutivo dall’assemblea) nei seguenti casi:

  • nel caso previsto dall’art. 2351 c.c. (mancato pagamento delle quote, previa intimazione degli amministratori);
  • nei casi previsti dall’atto costitutivo;
  • per gravi inadempienze delle obbligazioni che derivano dalla legge, dal contratto sociale, dal regolamento o dal rapporto mutualistico;
  • per mancanza o perdita dei requisiti previsti per la partecipazione alla società;
  • nei casi previsti dall’articolo 2286 c.c. (interdizione, inabilitazione del socio o condanna ad una pena che importa l’interdizione, anche temporanea, dai pubblici uffici, inidoneità a svolgere l’opera conferita);
  • nei casi previsti dell’articolo 2288, primo comma, c.c. (fallimento e liquidazione).

Si tratta, dunque, di un ventaglio di ipotesi ben più ampio di quelle che potrebbero legittimare il licenziamento per giusta causa ai sensi dell’art. 2119 c.c. o per giustificato motivo soggettivo ai sensi dell’art. 3, l. 604/1966.

Le disposizioni in tema di esclusione del socio e di automatica estinzione del rapporto di lavoro devono essere lette insieme alla previsione dell’art. 2, comma 1, l. 142/2001, a mente del quale ai soci lavoratori di cooperativa con rapporto di lavoro subordinato si applica lo Statuto dei lavoratori, con esclusione dell’articolo 18 (in materia di tutela contro il licenziamento illegittimo) ogni volta che venga a cessare, col rapporto di lavoro, anche quello associativo.

Si tratta di una soluzione, che pur trovando il suo fondamento nel collegamento esistente tra rapporto associativo e rapporto di lavoro, ha tuttavia sollevato diverse perplessità e dato luogo a un contrasto di orientamenti in giurisprudenza.

Un primo orientamento ritiene che l’esclusione del socio comporti automaticamente il venir meno del rapporto di lavoro subordinato, sussistendo un rapporto di consequenzialità fra esclusione e estinzione del rapporto di lavoro, con la conseguenza che non è neppure necessario un distinto atto di licenziamento. Secondo tale orientamento, rimosso il provvedimento di esclusione di cui venga accertata l’illegittimità, il socio avrà diritto alla ricostituzione del rapporto di lavoro e del concorrente rapporto di lavoro, indipendentemente dall’applicazione dell’art. 18 St. lav. Se invece l’atto di esclusione è legittimo, parimenti legittima sarà la cessazione del rapporto di lavoro, dovendosi quindi escludere l’applicazione delle diverse discipline di tutela contro il licenziamento illegittimo.

Secondo un diverso orientamento, al contrario, sono applicabili le garanzie procedurali e la disciplina sostanziale del licenziamento anche in caso di esclusione e contestuale licenziamento del socio lavoratore. Attraverso la considerazione che l’esclusione è di norma motivata da ragioni attinenti il rapporto di lavoro, si afferma la prevalenza della disciplina lavoristica su quella societaria, al punto da ritenere applicabile anche l’art. 18 St. lav., nonostante l’esplicita esclusione prevista dall’art. 2, l. 142/2001.

Non sono poi mancate decisioni che hanno raggiunto conclusioni alternative. Si è così affermata la possibilità di applicare l’art. 18 St. lav. una volta dichiarata l’invalidità della delibera di esclusione. Si è poi affermato – in un’ottica di tutela del lavoratore – che la delibera di esclusione del socio lavoratore, al pari di un licenziamento, è soggetta all’onere della comunicazione, in mancanza della quale è inesistente, e deve inoltre presentare un contenuto minimo necessario costituito dalla indicazione delle ragioni dell’esclusione. Una parte della giurisprudenza di merito ha poi ritenuto che poiché l’obiettivo perseguito dell’art. 2 della l. 142, norma scritta quando l’art. 18 St. lav. prevedeva esclusivamente la tutela reale, era quello di evitare la ricostituzione autoritativa del rapporto di lavoro, dopo le modifiche apportate dalla l. 92/2012 sono applicabili al socio lavoratore le disposizioni del vigente art. 18 che prevedono una tutela meramente obbligatoria.

Le perduranti incertezze concernenti il rapporto tra esclusione del socio e licenziamento hanno recentemente portato la Sezione Lavoro della Corte di Cassazione a rimettere alle Sezioni Unite della Suprema Corte le seguenti rilevanti questioni:

  1. se la mancata impugnazione della delibera di esclusione del socio lavoratore (entro 60 giorni dalla comunicazione ai sensi dell’art. 2533 c.c.), in presenza della sola impugnazione del licenziamento, pure intimato dalla cooperativa, determini in ogni caso l’estinzione ex lege del rapporto di lavoro, e quindi l’inutilità stessa dell’impugnazione esperita nei confronti del licenziamento.
  2. quale sia il valore da assegnare alla previsione dell’art. 2, l. 142/2001, secondo cui in presenza di provvedimento di cessazione del rapporto associativo non si applica l’art. 18 St. lav.
  3. quale sia oggi la tutela applicabile al socio lavoratore di cooperativa in presenza di esclusione (preceduta o accompagnata, o meno dal licenziamento) dichiarata illegittima. d) se allo scopo rilevi oppure no la natura sostanziale (lavoristica o meno) delle ragioni che conducono all’estinzione della complessa posizione in discorso.
  4. quali poteri ha il giudice nella qualificazione di una domanda di impugnazione del licenziamento in relazione alla quale (senza mettere in discussione ovviamente l’esistenza del vincolo associativo) si alleghi ovvero non risulti contestato, anche in base ai documenti prodotti nella causa, che il lavoratore, appunto in quanto socio lavoratore, sia stato altresì escluso dalla cooperativa per i medesimi motivi posti alla base dell’impugnato licenziamento ed afferenti al piano del rapporto di lavoro.

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, pronunciandosi sul punto, hanno finalmente chiarito come, nel caso di impugnazione da parte del socio del recesso della cooperativa, il fatto che non sia stata impugnata anche la contestuale delibera di esclusione – fondata sulle medesime ragioni – non inibisce l’operare della tutela risarcitoria, ma esclude invece la tutela restitutoria.

Infatti, ciascuno dei due diversi atti estintivi tutela un bene della vita differente: la delibera di esclusione lo stato di socio, e il licenziamento il rapporto di lavoro.

Per questo motivo, anche gli effetti derivanti da ciascun atto (e dalla rispettiva impugnazione) sono diversi. L’esclusione dalla cooperativa ex art. 5, co.2, l. 142/01, estingue il rapporto di lavoro e, dunque, la mancata impugnazione della relativa delibera ne impedisce la ricostruzione.

Tuttavia, il mancato operare della tutela restitutoria non esclude di per sé che il licenziamento irrogato sia illegittimo, ragione per cui, nel caso in cui venga impugnato solo quest’ultimo e stante la sua efficacia, viene a determinarsi un danno cui si collega necessariamente una tutela risarcitoria.

Pertanto, laddove si richiedesse l’impugnazione della delibera di esclusione anche da parte di coloro che intendono ottenere esclusivamente il risarcimento del danno, vi sarebbe un’illegittima confusione dei presupposti delle due tipologie di tutela.

Resta invece fermo che quando il licenziamento sia intimato dalla cooperativa in assenza di una delibera di esclusione, non possono che trovare applicazione tutte le garanzie sostanziali e procedurali applicabili alla generalità dei lavoratori subordinati.

Il rito applicabile alle controversie tra socio lavoratore e cooperativa

Analoghe incertezze si registrano in relazione al rito applicabile alle controversie insorte tra socio lavoratore e cooperative.

La disposizione della l. 142/2001 (art. 5, comma 2) stabilisce che le controversie tra socio e cooperativa relative alla prestazione mutualistica sono di competenza del tribunale ordinario, al quale il socio escluso dovrà proporre opposizione nel termine di 60 giorni dalla comunicazione della delibera di esclusione (art. 2533, comma 3, c.c.).

La giurisprudenza maggioritaria ha letto il riferimento contenuto nella disposizione alla “prestazione mutualistica” come un riferimento ad ogni prestazione che trovi la propria fonte nel rapporto associativo e non nel rapporto di lavoro, sicché sarebbero devolute alla competenza del giudice ordinario esclusivamente le controversie relative al rapporto associativo.

Nell’ipotesi in cui si discuta della legittimità dell’esclusione del socio con contestuale estinzione del rapporto di lavoro, la giurisprudenza si è divisa tra un orientamento maggioritario che ha affermato che, trattandosi di cause connesse (quella relativa alla delibera di esclusione e quella relativa al conseguente licenziamento), trova applicazione il rito (speciale) del lavoro in luogo del rito ordinario, in virtù della previsione generale di cui all’art. 40, comma 3, c.p.c., e un orientamento contrario che valorizzava invece la centralità attribuita dal legislatore al rapporto associativo, anche sotto il profilo processuale, per affermare la competenza del tribunale civile.

Se la Corte costituzionale ha in più occasioni dichiarato manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 2, l. 142/2001, nella parte in cui devolve le controversie tra socio lavoratore e cooperativa alla competenza del giudice ordinario, sembrerebbe oggi del tutto maggioritario l’orientamento che riconosce la competenza del giudice del lavoro e l’applicazione del relativo rito quando si verifichi l’estinzione del rapporto di lavoro. Con diverse ordinanze emesse in sede di regolamento di competenza, infatti, la Cassazione ha univocamente affermato che nell’ipotesi di connessione tra cause aventi ad oggetto il rapporto mutualistico e quello lavorativo, opera l’art. 40 c.p.c., comma 3, che fa salva l’applicazione del rito speciale quando una di esse rientri tra quelle di cui agli artt. 409 e 442 c.p.c. Tale regola è dettata in funzione di dare preminenza ad interessi di rilevanza costituzionale e ciò spiega la prevalenza del rito speciale del lavoro su quello ordinario, nel caso in cui la connessione riguardi una controversia rientrante tra quelle previste dall’art. 409 c.p.c..

 

Casistica di decisioni della Magistratura in tema di soci lavoratori di cooperativa

Esclusione del socio lavoratore e cessazione del rapporto

  1. In tema di tutela del socio lavoratore di cooperativa, in caso d’impugnazione, da parte del socio, del recesso della cooperativa, la tutela risarcitoria non è inibita dall’omessa impugnazione della contestuale delibera di esclusione fondata sulle medesime ragioni, afferenti al rapporto di lavoro, mentre resta esclusa la tutela restitutoria (Cass. Sez. Un. 20 novembre 2017, n. 27436).
  2. A fronte dei contrasti esistenti in materia nella giurisprudenza della Corte di Cassazione e dell’importanza della questione – la quale attiene alla ricostruzione dei meccanismi estintivi del rapporto e delle tutele applicabili per i moltissimi lavoratori che operano in cooperative come soci – si rende opportuno rimettere al Primo Presidente di Cassazione per l’eventuale assegnazione alle sezioni unite della Corte le seguenti questioni: a) se la mancata impugnazione della delibera di esclusione del socio lavoratore (entro 60 giorni dalla comunicazione ai sensi dell’art. 2533 c.c.), in presenza della sola impugnazione del licenziamento, pure intimato dalla cooperativa, determini in ogni caso l’estinzione ex lege del rapporto di lavoro – e quindi l’inutilità stessa dell’impugnazione esperita nei confronti del licenziamento – ex art. 5, comma 2, l. 142/2001. b) quale sia il valore da assegnare alla previsione dell’art. 2, l. 142/2001, secondo cui in presenza di provvedimento di cessazione del rapporto associativo non si applica l’art. 18 St. lav. c) quale sia oggi la tutela applicabile al socio lavoratore di cooperativa in presenza di esclusione (preceduta o accompagnata, o meno dal licenziamento) dichiarata illegittima. d) se allo scopo rilevi oppure no la natura sostanziale (lavoristica o meno) delle ragioni che conducono all’estinzione della complessa posizione in discorso. e) quali poteri officiosi ha il giudice nella qualificazione di una domanda di impugnazione del licenziamento in relazione alla quale (senza mettere in discussione ovviamente l’esistenza del vincolo associativo) si alleghi ovvero non risulti contestato, anche in base ai documenti prodotti nella causa, che il lavoratore, appunto in quanto socio lavoratore, sia stato altresì escluso dalla cooperativa per i medesimi motivi posti alla base dell’impugnato licenziamento ed afferenti al piano del rapporto di lavoro. (Cassazione civile, sez. lav., ord. 24/05/2017, n. 13030)
  3. In tema di delibera di esclusione del socio da una società cooperativa di produzione e lavoro, qualora non ne sia adempiuto l’onere di comunicazione, in un contenuto minimo necessario a specificarne le ragioni – imposto, a pena d’inefficacia, sia dalla disciplina generale di cui all’art. 2533 c.c., ai fini della decorrenza del termine per l’impugnazione, sia, per la gravità degli effetti che ne discendono, dalla disciplina speciale di cui alla l. n. 142 del 2001 ,che la rende idonea ad estinguere contemporaneamente il rapporto associativo e quello lavorativo – ed insuscettibile di essere sostituito da altre forme di conoscenza comunque acquisita, quale la produzione della delibera in giudizio, deve trovare applicazione la tutela reintegratoria di cui all’art. 18 st. lav. (Cassazione civile, sez. lav., 05/12/2016, n. 24795, in Giustizia Civile Massimario 2017)
  4. In tema di società cooperativa di produzione e lavoro, se la delibera di esclusione del socio è fondata esclusivamente sull’intervenuto licenziamento disciplinare, come nel caso in disamina, alla dichiarazione della illegittimità del licenziamento consegue la pari illegittimità della delibera di esclusione del socio e trova applicazione l’art. 18 St. lav. Deve ritenersi, infatti, che la L. n. 142 del 2001, art. 2 preveda che ai soci lavoratori di cooperativa con rapporto di lavoro subordinato trovi applicazione lo Statuto dei lavoratori (L. 20 maggio 1970, n. 300), compresa la disposizione sulla reintegrazione nel posto di lavoro del lavoratore illegittimamente licenziato, salvo che venga a cessare, col rapporto di lavoro, anche quello associativo. Sicchè, qualora il rapporto di lavoro non si sia risolto in ragione della cessazione del rapporto associativo (per una delle cause di estromissione dalla società previste dallo statuto per ragioni attinenti al rapporto societario, come, ad esempio, la mancata partecipazione ad un certo numero di assemblee o l’omesso versamento della quota sociale), ma al contrario quest’ultimo sia cessato a causa dell’intimato licenziamento del socio lavoratore, non ricorre la fattispecie oggetto dell’eccezione di cui all’indicato art. 2 e trova applicazione la disciplina ordinaria di cui all’art. 18 Statuto (Cassazione civile, sez. lav., 05/10/2016, n. 19918)
  5. Qualora i rapporti di lavoro e mutualistico del socio lavoratore di cooperativa vengano risolti per ragioni che attengono essenzialmente al contratto di lavoro (nella specie il superamento del periodo di comporto), l’impugnativa del licenziamento accompagnata dalla domanda di accertamento dell’inesistenza o invalidità del rapporto associativo configurano un’ipotesi di connessione di cause, una con riflessi sul rapporto societario, l’altra su quello lavorativo, che determina la competenza del giudice del lavoro in forza dell’art. 40, comma 3, c.p.c.. (Cassazione civile, sez. VI, 29/07/2016, n. 15798, in Giustizia Civile Massimario 2016)
  6. La delibera di esclusione del socio da una società cooperativa è sufficiente a determinare l’automatica estinzione del rapporto di lavoro, senza che sia necessario uno specifico atto di licenziamento, trovando la posizione del socio lavoratore adeguata tutela nel disposto dell’art. 2533 c.c., che gli riconosce la facoltà di proporre opposizione al tribunale contro la delibera degli amministratori o, se previsto dall’atto costitutivo, dell’assemblea. (Cassazione civile, sez. lav., 13/05/2016, n. 9916, in Diritto delle Relazioni Industriali 2016, 3, 819, con nota di Imberti, Canti e controcanti nella giurisprudenza della Cassazione in materia di esclusione e licenziamento del socio lavoratore di cooperativa)
  7. La delibera di esclusione del socio lavoratore di cooperativa ex artt. 2533 c.c. e 5, l. n. 142 del 2001, è soggetta all’onere della comunicazione al socio lavoratore, come un licenziamento. Essa ha un contenuto minimo necessario costituito dalla indicazione delle ragioni dell’esclusione e produce effetti al momento della comunicazione, in mancanza della quale è tamquam non esset. Non costituisce comunicazione della delibera di esclusione la restituzione della quota sociale, né la sua produzione nel corso del giudizio avverso il licenziamento. (Cassazione civile, sez. lav., 01/04/2016, n. 6373, in Diritto delle Relazioni Industriali 2016, 3, 819, con nota di Imberti, Canti e controcanti nella giurisprudenza della Cassazione in materia di esclusione e licenziamento del socio lavoratore di cooperativa)
  8. Ove il socio di cooperativa di produzione e lavoro abbia avuto formale comunicazione della delibera di esclusione, oltre che del licenziamento, il termine di decadenza per l’impugnazione di cui all’art. 2533 c.c. opera anche in relazione alla denuncia dei vizi che attengano non alla sussistenza dei presupposti sostanziali dell’esclusione, bensì alla formazione della volontà dell’organo societario legittimato ad adottare il provvedimento. Qualora il vizio sia relativo alla forma della delibera, fermo restando che lo stesso deve essere fatto valere con il rimedio di cui all’art. 2533 c.c. e non con le normali azioni di nullità e annullabilità delle delibere, operano i principi generali in tema di validità delle delibere societarie, per i quali la mancanza del verbale determina la nullità, e non l’inesistenza, della delibera, mentre la incompletezza del verbale è priva di effetti se consente comunque di ricostruire la volontà dell’organo collegiale e, solo qualora ciò non si verifichi, comporta l’annullabilità della delibera. (Cassazione civile, sez. lav., 26/02/2016, n. 3836, in Diritto delle Relazioni Industriali 2016, 3, 819, con nota di Imberti, Canti e controcanti nella giurisprudenza della Cassazione in materia di esclusione e licenziamento del socio lavoratore di cooperativa)
  9. La delibera di esclusione del socio da una società cooperativa è sufficiente a determinare l’automatica estinzione del rapporto di lavoro, senza che sia necessario uno specifico atto di licenziamento, trovando la posizione del socio lavoratore adeguata tutela nel disposto dell’art. 2533 c.c., che gli riconosce la facoltà di proporre opposizione al tribunale contro la delibera degli amministratori o, se previsto dall’atto costitutivo, dall’assemblea. (Tribunale Roma, Sez. spec. Impresa, 28/09/2015, n. 19208, in Ilsocietario.it 2015, 21 dicembre)
  10. In tema di società cooperativa di produzione e lavoro, l’art. 2 della legge 2 aprile 2001, n. 142, esclude l’applicazione dell’art. 18 dello statuto dei lavoratori nell’ipotesi ove, con il rapporto di lavoro, venga a cessare anche quello associativo, sicché l’accertata illegittimità della delibera di esclusione del socio, con conseguente ripristino del rapporto associativo, determina l’applicabilità della tutela reale. (Cassazione civile, sez. lav., 04/06/2015, n. 11548, in Giustizia Civile Massimario 2015)
  11. La delibera di esclusione del socio da una società cooperativa è sufficiente a determinare l’automatica estinzione del rapporto di lavoro, senza che sia necessario uno specifico atto di licenziamento, trovando la posizione del socio lavoratore adeguata tutela nel disposto dell’art. 2533 c.c., che gli riconosce la facoltà di proporre opposizione al tribunale contro la delibera degli amministratori o, se previsto dall’atto costitutivo, dall’assemblea. (Cassazione civile, sez. lav., 12/02/2015, n. 2802, Rivista Italiana di Diritto del Lavoro 2015, 4, II, 1122, con nota di Gamba, Questioni processuali controverse sulla tutela del socio di cooperativa estromesso)
  12. In tema di società cooperativa di produzione e lavoro, nel caso di accertata illegittimità del provvedimento espulsivo del socio – cui consegue automaticamente la cessazione del rapporto di lavoro – che si fondi esclusivamente su ragioni disciplinari trova applicazione, in forza del rinvio operato dall’art. 2 della legge 3 aprile 2001, n. 142, l’art. 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, con ripristino sia del rapporto associativo che di quello lavorativo. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto applicabile la tutela reale anche nel caso in cui sia stata l’esclusione dalla società a determinare il licenziamento, e non viceversa, attribuendo efficacia dirimente alle ragioni disciplinari poste a fondamento dell’estromissione ed escludendo l’applicazione dell’art. 18 legge n. 300 del 1970 per le ragioni attinenti esclusivamente il rapporto societario). (Cassazione civile, sez. lav., 23/01/2015, n. 1259, in Giustizia Civile Massimario 2015)
  13. Poiché la ratio dell’art. 2 della l. 142/2001, norma scritta quando l’art. 18 St. lav. prevedeva esclusivamente la tutela reale, era quella di evitare la ricostituzione autoritativa del rapporto di lavoro, dopo le modifiche apportate dalla l. 92/2012 sono applicabili al socio lavoratore le disposizioni del vigente art. 18 che prevedono una tutela meramente obbligatoria. (Trib. Bologna 22/3/2013, est. Sorgi)
  14. Qualora si accerti la nullità per violazione dell’art. 15 SL del licenziamento con contestuale esclusione dalla cooperativa di un socio lavoratore, in sede di giudizio ex art. 28 Stat. lav. può essere richiesta la sua riammissione in servizio secondo i principi della mora credendi, a ciò non ostando il disposto dell’art. 2 l. 142/2001. (Trib. Milano 19/7/2007, decr., Est. Scudieri, in D&L 2007, con nota di Vescovini, Sul licenziamento discriminatorio: considerazioni in materia di cooperative di lavoro ed elementi indiziari della natura antisindacale, 1031)

Trattamento economico dovuto al socio lavoratore

  1. Il socio lavoratore che richieda l’applicazione al suo rapporto di lavoro di un c.c.n.l. diverso da quello scelto dalla Cooperativa deve allegare gli elementi a sostegno della selezione operata, oltre che per quanto concerne l’attività del datore di lavoro, per quanto riguarda la rappresentatività delle organizzazioni sindacali firmatarie il diverso CCNL di cui chiede l’applicazione. In assenza di tali deduzioni risulta impossibile per il giudicante verificare la correttezza dell’operazione di individuazione dei minimi retributivi ex artt. 3 L. 142/01 e 7 D.L. 248/07 compiuta dalla ricorrente ed il Tribunale non è chiamato ad utilizzare i propri poteri istruttori per colmare le carenze di allegazione delle parti. (Tribunale Asti, 12/01/2016, in Nuovo notiziario giuridico 2016, 1, 163, con nota di Pini)
  2. Ai fini della determinazione del trattamento retributivo da corrispondere al socio lavoratore subordinato di cooperativa occorre fare riferimento al ccnl sottoscritto dalle organizzazioni sindacali e dalle associazioni datoriali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale nella categoria. L’estensione dei trattamenti retributivi previsti da un ccnl differente rispetto a quello sottoscritto dall’organizzazione datoriale cui la cooperativa datrice di lavoro aderisce non si pone in contrasto con la libertà sindacale garantita dall’art. 39 comma 1 Cost., operando esclusivamente quale parametro esterno di commisurazione della retribuzione ai sensi dell’art. 36 cost. (Tribunale Parma, 12/11/2015, n. 367, in Rivista Italiana di Diritto del Lavoro 2016, 2, II, 433, con nota di Bonanomi, Concorrenza tra CCNL, maggiore rappresentatività e comparata e trattamento economico del socio lavoratore di cooperativa)
  3. L’art. 7, comma 4 d.l. n. 248/2007, congiuntamente all’art. 3 l. n. 142/2001, lungi dall’assegnare ai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative efficacia “erga omnes”, in contrasto con quanto statuito dall’art. 39 cost., mediante un recepimento normativo degli stessi, richiama i predetti contratti e, più precisamente, i trattamenti economici complessivi minimi ivi previsti, quale parametro esterno di commisurazione, da parte del giudice, nel definire la proporzionalità e la sufficienza del trattamento economico da corrispondere al socio lavoratore, ai sensi dell’art. 36 cost. Tale parametro è richiamato – e dunque deve essere osservato – indipendentemente dal carattere provvisorio del medesimo art. 7 cit., che fa riferimento “alla completa attuazione della normativa in materia di socio lavoratore di società cooperative”. (Corte Costituzionale, 26/03/2015, n. 51, in Diritto & Giustizia 2015, 2 aprile)
  4. Non è fondata la questione di legittimità costituzionale, sollevata in riferimento all’art. 39 cost., dell’art. 7, comma 4, d.l. n. 248 del 2007, conv., con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, l. 28 febbraio 2008, n. 31, il quale dispone che “Fino alla completa attuazione della normativa in materia di socio lavoratore di società cooperative, in presenza di una pluralità di contratti collettivi della medesima categoria, le società cooperative che svolgono attività ricomprese nell’ambito di applicazione di quei contratti di categoria applicano ai propri soci lavoratori, ai sensi dell’art. 3, comma 1, della legge 3 aprile 2001, n. 142, i trattamenti economici complessivi non inferiori a quelli dettati dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale nella categoria”. La norma, infatti, lungi dall’assegnare ai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative efficacia erga omnes, mediante un recepimento normativo degli stessi, richiama i predetti contratti e, più precisamente, i trattamenti economici complessivi minimi ivi previsti, quale parametro esterno di commisurazione, da parte del giudice, nel definire la proporzionalità e la sufficienza del trattamento economico da corrispondere al socio lavoratore, ai sensi dell’art. 36 Cost. Invero, nell’effettuare un rinvio alla fonte collettiva che, meglio di altre, recepisce l’andamento delle dinamiche retributive nei settori in cui operano le società cooperative, l’articolo censurato si propone di contrastare forme di competizione salariale al ribasso, in linea con l’indirizzo giurisprudenziale che, da tempo, ritiene conforme ai requisiti della proporzionalità e della sufficienza (art. 36 cost.) la retribuzione concordata nei contratti collettivi di lavoro firmati da associazioni comparativamente più rappresentative. (Corte Costituzionale, 26/03/2015, n. 51, in Diritto delle Relazioni Industriali 2015, 3, 823, con nota di Schiuma, Il trattamento economico del socio subordinato di cooperativa: la Corte costituzionale e il bilanciamento fra libertà sindacale e il principio di giusta ed equa retribuzione)
  5. I soci lavoratori delle cooperative rientrano in pieno nell’applicazione dell’art. 36 cost. vista la pluralità dei contratti collettivi oggi in vigore, il giudice non può acriticamente accettare ogni indicazione contenuta in tali contratti come rispettosa dei canoni dell’art. 36 cost., ma deve procedere ad un raffronto tra gli stessi per valutare se vi sia una lesione dell’intangibile diritto del lavoratore a percepire una retribuzione proporzionata al lavoro svolto, come è espressamente previsto dal citato art. 36 cost. ma anche, con riferimento al caso di specie, dall’art. 3 l. n. 142/2001, e dall’art. 7, comma 4 d.l. n. 248/2007, conv. dalla l. n. 31/2008. Tale norma ha valore ricognitivo, poiché attribuisce un preciso significato proprio all’art. 3 l. n. 142/2001, individuando un criterio per la scelta dei contratti collettivi che forniscono più garanzie di ottenere una retribuzione proporzionata. (Tribunale Torino, 14/10/2010, in Riv. it. dir. lav. 2011, 2, II, 409, Pluralità di contratti collettivi ed applicazione del più conveniente: pregiudizio alla retribuzione od all’attività sindacale?)
  6. L’art. 3, l. 142/2001, stabilisce che il socio lavoratore ha diritto ad un trattamento economico non inferiore ai minimi previsti per prestazioni analoghe dalla contrattazione collettiva nazionale del settore o della categoria affine; il contratto collettivo per i dipendenti e soci aderenti all’UNCI esercenti attività nel settore socio-sanitario, assistenziale educativo e di inserimento lavorativo è certamente un contratto nazionale di settore e pertanto la sua applicazione non comporta violazione dei minimi contrattuali ed è aderente al dettato dell’art. 3 cit.; in base al combinato disposto degli art. 3 e 6 L. 142/01 deve quindi ritenersi la legittimità della scelta operata dalla cooperativa che ha esercitato la sua libertà negoziale individuando il contratto collettivo da applicare ai propri dipendenti e soci tra i vari contratti collettivi di settore, non essendovi alcun obbligo di applicare quello contenente la disciplina più favorevole (Trib. Torino 24 ottobre 2008)

Profili processuali

  1. Qualora il rapporto di lavoro del socio lavoratore di cooperativa venga risolto per due cause concorrenti che traggono origine da una stessa condotta, incidente sia sugli obblighi statutari che sui doveri di correttezza, buona fede e lealtà del lavoratore, il concorso dell’impugnativa della delibera di esclusione e del provvedimento di licenziamento configura un’ipotesi di connessione di cause, una con riflessi sul rapporto mutualistico, l’altra su quello lavorativo, che determina la competenza del giudice del lavoro in forza dell’art. 40, comma 3, c.p.c. (Cassazione civile, sez. VI, 06/10/2015, n. 19975, in Giustizia Civile Massimario 2015)
  2. Qualora il rapporto di lavoro del socio lavoratore di cooperativa viene risolto, per motivi riguardanti la violazione degli obblighi statutari e per l’asserita necessità di esternalizzare parte dell’attività di impresa, l’impugnativa della delibera e del concorrente atto di licenziamento configura un’ipotesi di connessione di cause, aventi ad oggetto il rapporto mutualistico e quello lavorativo, sicché, in tale caso, in forza dell’art. 40, terzo comma, cod. proc. civ., è competente il giudice del lavoro. (Cassazione civile, sez. VI, 21/11/2014, n. 24917, in Giurisprudenza Commerciale 2015, 6, II, 1245, con nota di Rota, Socio-lavoratore di cooperativa: quale giudice è competente nelle ipotesi contemplate ex art. 3, comma 3, d.lgs. 168/2003?)
  3. In tema di lavoro del socio di cooperativa, nel regime successivo all’entrata in vigore della l. 14 febbraio 2003 n. 30, la controversia sul licenziamento intimato in dipendenza o contestualmente all’esclusione del socio non spetta alla competenza del tribunale in funzione di giudice del lavoro, ma compete al tribunale ordinario (nella specie, con il rito societario di cui al d.lg. 17 gennaio 2003 n. 5, “ratione temporis” applicabile), avendo la legge richiamata valorizzato la dipendenza del rapporto di lavoro da quello societario, l’accertamento della cui legittima cessazione è pregiudiziale a quello della legittimità del licenziamento. (Cassazione civile, sez. VI, 06/12/2010, n. 24692, in Riv. it. dir. lav. 2011, 4, II, 1206, con nota di Vincieri, Sulla dibattuta questione dell’applicabilità del rito ordinario alle controversie tra soci lavoratori e cooperative)
  4. Nel caso in cui siano disposti contestualmente esclusione dalla compagine sociale e licenziamento e il socio lavoratore abbia tempestivamente impugnato entrambi i provvedimenti avanti il Giudice del lavoro, quest’ultimo è competente a decidere anche sull’esclusione ai sensi dell’art. 40, 3° comma, c.p.c., e qualora decida l’annullamento di entrambi, può altresì disporre la reintegrazione del dipendente facendo applicazione dell’art. 18 SL. (Trib. Voghera 5/7/2010, est. Dossi, in D&L 2010, con nota di Marco Maffuccini, “Ancora sulla tutela del socio/lavoratore di cooperativa”, 907)
  5. La competenza del g.o. nelle controversie fra socio lavoratore e cooperativa è rigorosamente limitata alle questioni attinenti alle prestazioni mutualistiche ossia alle prestazioni che la società assicura ai suoi soci con termini più vantaggiosi rispetto ai terzi. Conseguentemente sussiste la competenza del giudice del lavoro, e non del tribunale ordinario, qualora si controverta sulla cessazione del rapporto associativo e del rapporto lavorativo. (Cassazione civile, sez. lav., 18/01/2005, n. 850, in Riv. it. dir. lav. 2005, II, 706, con nota di Pallini, Il riparto di competenza processuale nelle controversie tra socio-lavoratore e società cooperativa)

Giurisprudenza miscellanea

  1. Ai sensi dell’art. 97 CCNL Turismo (Federalberghi), i lavoratori adibiti ad un appalto dei servizi hanno diritto alla riassunzione presso la società cooperativa subentrante e al mantenimento delle condizioni economiche, delle ore settimanali, dell’anzianità maturata e dei livelli precedentemente accordati, in qualità di soci-lavoratori. Tale trattamento non è applicabile ai lavoratori che non siano soci e assunti successivamente alla data del cambio appalto. (Trib. Firenze 8/1/2020 n. 6, Giud. Est. Carlucci, in Lav. nella giur. 2021, con nota di G. Piglialarmi, Libertà sindacale e pluralismo contrattuale nel settore cooperativo: un’occasione per riflettere sulla parità di trattamento tra soci-lavoratori e dipendenti, 183)
  2. In tema di società cooperative, ai sensi dell’art. 7, comma 4, del d.l. n. 248 del 2007, convertito con modificazioni dalla l. n. 31 del 2008, in caso di concorso tra contratti collettivi nazionali applicabili in un medesimo ambito, al socio lavoratore subordinato spetta un trattamento economico complessivo non inferiore a quello previsto dai contratti collettivi nazionali sottoscritti dalle associazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative nella categoria, quale parametro esterno e indiretto di commisurazione ai criteri di proporzionalità e sufficienza della retribuzione, previsti dall’art. 36 Cost. (Trib. Milano 29/10/2019, n. 2457, Est. Pazienza, in Riv. It. Dir. Lav. 2020, con nota di S. Bellomo, “Determinazione giudiziale della retribuzione e individuazione del contratto collettivo-parametro tra art. 36 Cost. e norma speciale applicabile ai lavoratori di cooperative”, 3)
  3. Il riconoscimento in favore dei soci di cooperative di una tutela previdenziale assimilabile a quella propria dei lavoratori subordinati, con il corrispondente obbligo delle società, presuppone che venga accertato dal giudice di merito che il lavoro svolto dai soci sia prestato in maniera continuativa e non saltuaria e non si atteggi come prestazione di lavoro autonomo, non comportando l’assoggettamento a contribuzione della società l’automatica configurabilità di un rapporto di lavoro subordinato tra questa e il socio. (Nella specie, le prestazioni erano da qualificare come di lavoro autonomo in quanto oggetto di contratti co. Co. Co., ai quali, ai sensi della L. n. 335 del 1995, art. 2, comma 26, applicabile “ratione temporis”, trovava applicazione uno speciale regime di previdenza obbligatoria, riconducibile a quello del lavoro autonomo). (Cass. 4/8/2016 n. 16356, 1128)
  4. In materia di rapporto di lavoro dei soci di cooperativa, pur in assenza di specifiche disposizioni statutarie, il diritto del socio lavoratore al t.f.r. può essere desunto da elementi idonei a comprovare la volontà della cooperativa di riconoscerlo per “facta concludentia”.(Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza di appello che aveva omesso di valutare il comportamento della società cooperativa consistito negli accantonamenti, in favore del socio, risultanti dai prospetti-paga e dai modelli CUD). (Cassazione civile, sez. lav., 16/01/2017, n. 862, in Giustizia Civile Massimario 2017)
  5. Il concorso di attività di lavoro autonomo (come amministratore di società), di per sé soggetta alla contribuzione nella gestione separata sui compensi a tale titolo percepiti, e quella di socio lavoratore della società stessa comporta l’obbligo della duplice iscrizione. (Cassazione civile, sez. lav., 26/08/2016, n. 17365, in Diritto & Giustizia 2016, 29 agosto, con nota di Marino, Concorso tra attività commerciale e lavoro autonomo: l’INPS non fa sconti)
  6. La rinuncia del socio lavoratore ad un diritto futuro ed eventuale (nel caso di specie il diritto alla liquidazione del t.f.r.) accordata al momento della sottoscrizione del contratto di assunzione con la cooperativa deve considerarsi radicalmente nulla ai sensi degli artt. 1418 comma 2 c.c. e 1325 c.c., per mancanza dell’oggetto, non essendo ancora in tale momento il diritto entrato nel patrimonio del lavoratore, equiparato al lavoratore subordinato ex art. 24 l. n. 196 del 1997. (Tribunale Chieti, sez. lav., 26/01/2016, n. 28, in Ilgiuslavorista.it 2016, 20 luglio)
  7. Ai sensi del combinato disposto degli artt. 4 e 6 della legge n. 142 del 2001, nel caso in cui la società cooperativa deliberi uno stato di crisi che comporti la riduzione della retribuzione dei soci lavoratori, la contribuzione previdenziale deve essere calibrata sulla base dei minori importi concretamente erogati, in deroga alla disciplina del minimale contributivo di cui all’art. 1 della legge n. 389 del 1989, applicabile in generale anche alle cooperative. (Corte app. Genova 1/8/2013, Pres. De Angelis Rel De Luca, in Lav. nella giur. 2014, con commento di Pietro Capurso, 47)
  8. In tema di cooperative di produzione e lavoro, anche nel regime previgente alla l. 3 aprile 2001 n. 142, spetta al giudice di merito verificare se, accanto al rapporto associativo, sussista un distinto rapporto di lavoro, autonomo o subordinato, dovendo questo escludersi ove i soci si limitino ad espletare prestazioni ed a svolgere attività secondo le prescrizioni del contratto sociale. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva escluso la configurabilità di un rapporto di lavoro subordinato tra la cooperativa ed il socio, valorizzando la domanda di adesione del socio alla cooperativa, la sua partecipazione al capitale sociale ed all’attività sociale, nonché la rispondenza dell’attività lavorativa all’oggetto sociale). (Cassazione civile, sez. lav., 08/04/2010, n. 8346, in Giust. civ. Mass. 2010, 4, 515)
  9. In materia di società cooperative di lavoro, l’art. 1 l. 3 aprile 2001 n. 142, entrato in vigore in data 8 maggio 2001, nel prevedere espressamente la possibilità per il socio lavoratore di instaurare, a fianco del rapporto associativo, un ulteriore e diverso rapporto di lavoro, in forma autonoma o subordinata, con cui contribuire al raggiungimento degli scopi sociali, ha fatto venire meno la ritenuta incompatibilità tra la qualità (reale e non simulata) di socio di una cooperativa di produzione lavoro e quella di lavoratore subordinato ovvero autonomo con vincolo di parasubordinazione. Ove, peraltro, il socio deduca l’instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato, incombe sul medesimo l’onere di provare l’esistenza della sottoposizione al potere direttivo, gerarchico e disciplinare del datore di lavoro, non potendosi considerare sufficiente, a tale scopo, la mera indicazione dei fatti contenuta nella parte espositiva del ricorso introduttivo, occorrendo, invece, la specifica richiesta di esperimento probatorio sulle singole circostanze, con formulazione dei capitoli di prova ed indicazione dei testi da escutere. (Cassazione civile, sez. lav., 04/05/2009, n. 10240, in Giust. civ. Mass. 2009, 5, 715)
  10. Le organizzazioni sindacali che proteggono gli interessi collettivi di soci di cooperative di lavoro possono attivare lo strumento di tutela previsto dall’art. 28 SL per la denuncia di condotte antisindacali tenute dalla cooperativa, qualora la controversia abbia a oggetto questioni attinenti al rapporto subordinato fra soci e cooperativa medesima e non anche qualora abbia a oggetto questioni attinenti al rapporto associativo. (Trib. Roma 3/3/2008, decr., Est. Mimmo, in D&L 2008, 515)
  11. L’art. 2, comma 1, l. 142/2001, laddove ha introdotto il limite negativo di compatibilità dell’esercizio dei diritti di cui al titolo III SL con lo status di socio lavoratore e ha rimesso agli accordi collettivi la regolamentazione di tale esercizio, può incidere solo sul quomodo del diritto, ma non sull’an; in ogni caso, in assenza di regolamentazione collettiva spetta al giudice, in sede di integrazione dei contenuti del contratto ex art. 1374 c.c., valutare l’esistenza di detti limiti (nella specie il giudice ha dichiarato antisindacale il comportamento della cooperativa datrice di lavoro che, pur non ostacolando la fruizione dei permessi sindacali da parte della RSA, si rifiutava comunque di retribuirli). (Trib. Milano 5 agosto 2005, in Riv. crit. Dir. lav., 2005, 4, 738, con nota redazionale)
  12. L’attività prestata dal socio lavoratore in favore della società cooperativa ha natura di lavoro subordinato quando sia provato che il rapporto associativo sia stato posto in essere al fine di mascherare un rapporto di lavoro dotato del carattere della subordinazione. (Trib. Grosseto 27/1/2004 Est. Ottati, in Lav. nella giur. 2004, 708)

Le segnalazioni della Newsletter di Wikilabour in tema di soci lavoratori di cooperativa

  1. Regolamento di competenza in tema di opposizione a delibera di esclusione da cooperativa del sociolavoratore e contestuale impugnazione del licenziamento.
    Il Tribunale sezione imprese, investito da un socio-lavoratore del giudizio di opposizione a delibera di esclusione da socio di cooperativa, dichiara la propria incompetenza per materia a giudicare in merito a tale domanda e a quella parallela di impugnazione del licenziamento subito dal socio, per la quale si era dichiarato a sua volta incompetente il Giudice del Lavoro. Il Tribunale afferma che nei casi caratterizzati da netta prevalenza del rapporto di lavoro, rispetto a quello associativo, debba operare la vis attractiva del Giudice del Lavoro, determinando la competenza di quest’ultimo anche sulla opposizione a esclusione da socio. Per tale motivo viene proposto regolamento di competenza avanti alla Corte di Cassazione. (Trib. Bologna 25/5/2020, ord., Pres. Florini Rel. Salina, in Wikilabour, Newsletter n. 12/2020)
  2. Il Regolamento di cooperativa non può prevedere deroghe al trattamento economico minimo previsto dal CCNL di settore. Il consorzio è obbligato solidalmente ex art. 29 d.lgs. 276/2003 per i crediti dei lavoratori delle cooperative consorziate.
    Nel caso di specie, il Regolamento di cooperativa si poneva in contrasto con alcune disposizioni del CCNL trasporto, spedizione e logistica. Il Giudice ha ritenuto nulle le disposizioni in materia di criteri di calcolo della maggiorazione per lavoro straordinario, ferie e festività, trattamento economico di malattia. La sentenza ribadisce inoltre la responsabilità solidale del consorzio: l’affidamento alle imprese consorziate dell’esecuzione di un appalto aggiudicato al consorzio può certamente qualificarsi in termini di sub committenza, dunque nuovamente come appalto rilevante ai sensi dell’art. 29 d.lgs. 276/2003. (Trib. Milano 12/12/2019, Giud. Porcelli, in Wikilabour, Newsletter n. 7/2020)