Questa voce è stata curata da Marco Biasi
Scheda sintetica
La trasferta consiste in uno spostamento provvisorio del lavoratore dalla normale sede di lavoro ad altro luogo di lavoro.
La trasferta differisce dal trasferimento per la temporaneità dello spostamento, legato ad un’esigenza del datore di lavoro circoscritta nel tempo.
In assenza di una disciplina legale, della trasferta si occupano solamente i contratti collettivi, regolandone, in particolare, i risvolti di carattere economico.
Al lavoratore inviato in trasferta viene riconosciuto dai contratti collettivi il diritto all’indennità di trasferta, che può avere natura retributiva, risarcitoria o “mista”: nel primo caso le somme erogate a favore del lavoratore rientrano integralmente nella base di calcolo del TFR e della tredicesima.
Fonti normative
- Contratto collettivo di lavoro applicato (Nazionale o integrativo)
- DPR 917/86 (Aspetti contributivi relativi all’indennità di trasferta)
Cosa fare-tempi
Nel caso in cui vi siano sospetti in merito alla legittimità della trasferta è necessario impugnarla immediatamente tramite raccomandata a/r.
A chi rivolgersi
- Ufficio vertenze sindacale
- Studio legale specializzato in diritto del lavoro
Documenti necessari
- Copia del contratto di lavoro
- Copia del provvedimento di invio del lavoratore in trasferta
- Ultima busta paga
Scheda di approfondimento
Il luogo in cui il lavoratore è chiamato a svolgere la propria prestazione è normalmente determinato dalle disposizioni del contratto individuale di lavoro, che, implicitamente o attraverso una specifica indicazione, assegnano il lavoratore ad una certa unità produttiva, territorialmente definita.
Una delle espressioni del potere direttivo del datore di lavoro è, però, la sua facoltà, a certe condizioni, di variare il luogo di esecuzione della prestazione lavorativa, attraverso il trasferimento del lavoratore oppure attraverso l’invio del lavoratore in trasferta.
Per questo motivo si parla di una tendenziale “mobilità del lavoratore”, non solo rispetto alle mansioni – il datore di lavoro ha, infatti, il potere di adibire il lavoratore a mansioni diverse, con l’unico limite del divieto di assegnare al lavoratore mansioni di inferiore contenuto professionale –, ma anche in senso territoriale.
Lo spostamento territoriale del lavoratore può essere temporaneo, nel caso di trasferta, e tendenzialmente definitivo, nel caso di trasferimento.
Alla luce di quanto detto circa la differenza fondamentale tra la temporaneità della trasferta e la tendenziale stabilità del trasferimento, si può capire come le maggiori esigenze di tutela del lavoratore si pongano rispetto a quest’ultimo, che non di rado viene utilizzato dal datore di lavoro quale strumento alternativo al licenziamento per liberarsi di un lavoratore non più gradito: l’art. 2103 c.c. stabilisce, infatti, che il trasferimento possa essere disposto solo a fronte di “comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive”, in assenza delle quali il provvedimento deve considerarsi, dunque, illegittimo.
Diversamente, non è dato trovare una disciplina legislativa della trasferta, di cui normalmente si occupano, però, le disposizioni dei contratti collettivi, con particolare attenzione ai suoi profili economici, legati in particolare alla natura e alla quantificazione dell’ “indennità di trasferta”.
In assenza di una definizione legale, la giurisprudenza considera trasferta (o missione) lo spostamento del lavoratore in un luogo diverso da quello dove egli esegue normalmente la propria attività. In ogni caso, si tratta di uno spostamento provvisorio e temporaneo, la cui durata dipende dall’esaurimento dello scopo per il quale lo spostamento è stato disposto da parte del datore di lavoro.
Normalmente i contratti collettivi disciplinano esaurientemente la trasferta, talvolta prevedendone anche i limiti.
In ogni caso, la giurisprudenza attribuisce fondamentale importanza all’elemento della temporaneità, che caratterizza la trasferta. Di conseguenza, il provvedimento del datore di lavoro, pur qualificandosi formalmente come “trasferta”, deve essere considerato alla stregua di un trasferimento se non contiene l’indicazione di una precisa data di rientro, o se omette del tutto tale indicazione (v. Cass. 26/1/1989, n. 475).
In ogni caso, a differenza del trasferimento, il lavoratore inviato in trasferta ha l’assoluta certezza del rientro all’unità di partenza.
Proprio per quest’ultimo aspetto, parte della giurisprudenza ritiene che, nel caso della trasferta, il lavoratore mantenga “un permanente legame con l’originario luogo di lavoro, restando irrilevanti, a tal fine, la protrazione dello spostamento per un lungo periodo di tempo e la eventuale coincidenza del luogo di trasferta con quello di un successivo trasferimento” (Cass. 21/3/2006, n. 6240, in Lav. nella giur., 2006, 912).
Secondo quest’ultimo orientamento, dunque, l’elemento essenziale della trasferta è il permanere del legame con il luogo di lavoro originario, rimanendo l’elemento temporale escluso da ogni valutazione: in un caso, la Cassazione (Cass. 19/11/2001, n. 14470), chiamata a pronunciarsi sul caso di un lavoratore inizialmente inviato in trasferta presso una diversa sede e successivamente ivi trasferito, ha escluso il diritto di quest’ultimo all’indennità di trasferta, dal momento che, già con il provvedimento iniziale di invio in trasferta, egli “aveva perso il legame funzionale con il suo normale luogo di lavoro”, aggiungendo che “non è il limite temporale a caratterizzare la trasferta”.
Essendo, come visto, la trasferta caratterizzata, ad avviso della giurisprudenza prevalente, da uno spostamento solo temporaneo, il potere del datore di lavoro di inviare il lavoratore in trasferta “prescinde dall’espressa disponibilità da parte del lavoratore, e dal fatto che, nel luogo di assegnazione, il lavoratore svolga mansioni identiche a quelle espletate presso l’abituale sede di lavoro” (Cass. 27/11/2002, n. 16812, in Lav. nella giur., 2003, 382), ben potendo, evidentemente, essere assegnato a mansioni diverse, con il solo limite dell’equivalenza delle mansioni dal punto di vista professionale, di cui si è già fatto cenno.
A tal proposito, va sottolineato che la giurisprudenza considera il rifiuto della trasferta come un atto di insubordinazione del lavoratore, cui può conseguire il licenziamento: si segnala, sul punto, quanto affermato da una pronuncia della Pretura di Milano (Pret. Milano 30 marzo 1999–Est. Atanasio, inedita; analogamente in Trib. Milano 26 marzo 1994–Pres. Mannaccio, inedita), che ha ritenuto “legittimo il licenziamento del lavoratore che rifiuti la disposizione aziendale di recarsi in trasferta per un periodo di 4 mesi; tali legittimità, peraltro, esige – non potendo essere applicabile alla trasferta la norma di cui all’art. 2103 c.c. – una verifica della fondatezza delle esigenze che sono alla base di una decisione aziendale che ha immediati effetti anche sulla vita di relazione del lavoratore”.
E’, dunque, sconsigliabile che un lavoratore, in assenza di una sentenza del giudice che ne accerti la illegittimità, rifiuti di dare esecuzione al provvedimento di trasferta.
L’indennità di trasferta
I contratti collettivi normalmente prevedono il diritto del lavoratore inviato in trasferta all’indennità di trasferta.
La disciplina collettiva attribuisce a tale emolumento in alcuni casi natura retributiva, in altri risarcitoria (o di rimborso spese), o, infine, natura “mista”.
Non essendoci, come detto, una disciplina legislativa generale sulla trasferta o sulla relativa indennità, si rende necessario caso per caso vagliare ciò che le disposizioni dei singoli contratti collettivi prevedono a riguardo, prestando particolare attenzione ai principi elaborati dalla giurisprudenza.
La differenza tra la natura retributiva o risarcitoria dell’indennità di trasferta non è di poco conto, dal momento che la legge – art. 51, c. 5 e 6 del D.P.R. n. 917/86 – prevede un diverso trattamento fiscale e contributivo da applicare alle somme corrisposte ai lavoratori inviati in trasferta, a seconda che si tratti di compensi o rimborsi spese.
Infatti, nel caso in cui l’indennità in questione abbia natura retributiva, le somme erogate a favore del lavoratore andranno “incluse nella base di calcolo dell’indennità di anzianità ex artt. 2120 e 2121 c.c.” (Cass. 30/10/2002, n. 15360, in Lav. nella giur., 2003, 273): a tal proposito, la giurisprudenza ha stabilito che “l’indennità di trasferta, quando costituisce una stabile componente della retribuzione, è un elemento retributivo computabile nella retribuzione annua ai fini del TFR” (Cass. 24 febbraio 1993, n. 2255).
Inoltre, “qualora si tratti di “diaria” corrisposta in maniera fissa a fini retributivi, gli importi erogati saranno computati nel calcolo della 13ª mensilità per il 50% del loro ammontare” (Trib. Milano, 18 febbraio 1989, inedita).
Qualora le disposizioni del contratto collettivo non fossero sufficientemente precise riguardo la natura dell’indennità di trasferta, si rende necessario l’intervento del giudice, che, a titolo meramente esemplificativo, nel caso dell’indennità di trasferta prevista a favore degli ufficiali giudiziari per gli atti compiuti fuori dall’edificio ove l’ufficio ha sede, ha stabilito che tale indennità “ha natura retributiva e non di mero rimborso spese, e, pertanto, è soggetta a Irpef” (Cass. 12 marzo 2004, n. 5078, in Giust. civ., 2005, 471).
La giurisprudenza dominante ritiene che la valutazione in merito alla natura dell’indennità in questione “deve essere compiuta caso per caso, verificando in concreto la volontà delle parti” (Cass. 16 maggio 1984, n. 3012). Si segnala, sul punto, quanto affermato dal Tribunale di Genova (Trib. Genova 16 ottobre 2001, in D&L, 2002, 172), secondo cui “allorquando con il termine trasferta si intenda indicare il corrispettivo della maggiore onerosità delle prestazioni rese fuori sede, il relativo emolumento ha natura esclusivamente retributiva”, potendo ciò essere dedotto anche attraverso la presenza di “indizi, quali la determinazione a forfait o il pagamento a cadenza fissa pur in presenza di trasferte variabili ecc…; qualora, diversamente, vi siano elementi che indichino una natura parzialmente retributiva, la distinzione delle quote retributiva e risarcitoria deve essere effettuata in via equitativa, assumendo come riferimento la quota del 50%”.
Diversamente, qualora il datore di lavoro intenda solo indennizzare il lavoratore delle spese sostenute, l’indennità avrà semplice natura di rimborso spese e null’altro sarà dovuto al lavoratore se non il ristoro di quanto speso.
A tal proposito si osserva come, anche in quest’ultimo caso, “al lavoratore che sia inviato in missione in località diversa da quella in cui si trova l’abituale sede di lavoro spetta l’indennità di trasferta anche nel caso in cui detta località coincida con la sua residenza anagrafica, peraltro molto distante dal luogo di abitazione abituale effettiva” (Cass. 8 aprile 2000, n. 4482, in Riv. it. dir. lav., 2001, 59).
Un efficace esempio di come alcuni contratti collettivi abbiano attribuito all’indennità di trasferta natura di rimborso spese lo si riscontra nelle disposizioni del CCNL Metalmeccanici, fatto oggetto di rinnovo nel gennaio 2008.
Il principio fondamentale, comune alle disposizioni di tutti i contratti collettivi in materia, è che il lavoratore inviato in trasferta non debba in alcun modo subire un pregiudizio economico derivante dal solo fatto di essere inviato in trasferta; stabilisce, però, il CCNL Metalmeccanici, che il lavoratore in trasferta non ha alcun diritto a vedersi riconosciuto un compenso aggiuntivo, ma ha diritto solo al rimborso integrale delle spese sostenute.
In base alle disposizioni del CCNL Metalmeccanici, l’indennità di trasferta, calcolata forfetariamente in un importo giornaliero di euro 37,50, può essere sostituita da un rimborso integrale delle spese effettivamente sostenute (rimborso a piè di lista). A ciò va, poi, aggiunta la corresponsione, a certe condizioni, di un’indennità per i pasti e per il pernottamento presso il luogo di destinazione.
Peraltro, si segnala che, in ossequio al principio sopra enunciato, il CCNL Metalmeccanici prevede che “le spese per i mezzi di trasporto saranno anticipate dall’azienda unitamente al vitto”, e che “ai lavoratori saranno corrisposti adeguati anticipi sulle prevedibili spese di viaggio e pernottamento”.
Regime di imponibilità fiscale dell’indennità di trasferta
Per quanto riguarda gli aspetti fiscali dell’indennità di trasferta, si segnala che l’art. 51, comma 5 DPR 917/1986 stabilisce un regime diverso a seconda del luogo in cui la trasferta viene effettuata e della natura dell’indennità corrisposta al lavoratore.
Come visto, infatti, l’attività svolta in trasferta può essere compensata mediante un rimborso analitico delle spese sostenute dal lavoratore, un rimborso forfettario, o con un’indennità forfettaria alla quale si aggiunge un rimborso analitico.
- Nel caso di rimborso analitico, qualora la trasferta avvenga nel comune della sede di lavoro i rimborsi sono imponibili salvo che si riferiscano a spese di trasporto comprovate da documenti di viaggio (es. tram, taxi ecc..); nel caso la trasferta avvenga fuori dal territorio comunale, i rimborsi sono esenti se documentati e riferiti a spese di vitto, alloggio, viaggio o di trasporto, mentre le ulteriori spese, anche se non documentate, sono esenti fino all’importo giornaliero di € 25,82, purché analiticamente attestate dal dipendente.
- Nel caso di indennità forfettaria, i rimborsi per le trasferte all’interno del comune della sede di lavoro sono interamente imponibili, mentre le trasferte fuori dal territorio comunale sono esenti fino a € 46,48 giornalieri, al netto delle spese di viaggio e di trasporto.
- Nel caso di indennità “mista”, infine, qualora la trasferta avvenga all’interno del territorio comunale i rimborsi sono interamente imponibili, ad eccezione dei rimborsi delle spese di viaggio comprovate da documenti rilasciati dal vettore (tram, taxi ecc…); qualora, invece, la trasferta avvenga al di fuori del territorio comunale, l’indennità rimane esente fino a € 46,48 giornalieri, salva la non imponibilità di tutte le spese documentate riferibili a spese di vitto, alloggio, viaggio o trasporto.
La trasferta all’estero
Nel caso di invio del lavoratore in trasferta all’estero, viene spesso concordato tra datore di lavoro e dipendente un particolare compenso, diretto a remunerare il particolare disagio personale e familiare che il viaggio comporta: infatti, il lavoratore all’estero deve sostenere una serie di oneri derivanti dal fatto di vivere in un Paese straniero con maggiori costi di vita, dalle difficoltà di alloggio e alimentazione, oltre che dalla necessità di mantenere un tenore di vita dignitoso.
La giurisprudenza dominante ritiene che normalmente l’indennità estero abbia natura mista, risarcitoria e retributiva: pertanto, “in mancanza di accordi occorre accertare l’entità dell’una e dell’altra componente, ricorrendo a criteri quali l’accordo tra le parti, l’esistenza di un rimborso spese, oppure la durata della prestazione. La parte retributiva è computabile nella retribuzione annua.” (Cass. 27 marzo 1996, n. 2756; v. anche Cass. 19 gennaio 1995, n. 540).
Si segnala, tuttavia, che la giurisprudenza più recente ha sostenuto che l’indennità estero ha integrale natura retributiva, anche qualora al suo interno sia ravvisabile una componente risarcitoria, e, pertanto, va computata nel calcolo del TFR (Cass. 19 febbraio 2004, n. 3278), specie nel caso in cui il dipendente ne abbia goduto in modo normale nel corso e a causa del rapporto di lavoro (Cass. 25 novembre 2005, n. 24875).
Dal punto di vista contributivo, i rimborsi analitici per la trasferta all’estero, se documentati e riferiti a spese di vitto, alloggio o trasporto, sono esenti, mentre le ulteriori spese non documentabili sono esenti fino ad un importo giornaliero di € 25,82.
In caso di rimborso forfettario, l’indennità percepita dal lavoratore inviato all’estero è esente fino a € 77,47 giornalieri al netto delle spese di viaggio e di trasporto.
Nel caso di indennità “mista”, infine, l’indennità è esente fino a € 77,47 giornalieri, salva la non imponibilità di tutte le spese documentate riferibili a spese di vitto, alloggio, viaggio o trasporto.
Lavoratori in trasferta e i trasfertisti
Dai lavoratori inviati in trasferta a seguito di una singola e contingente decisione del datore di lavoro vanno tenuti distinti i cosiddetti trasfertisti, ovvero quei lavoratori la cui prestazione è, per sua natura, itinerante, e per i quali si può dire che non vi sia neppure un normale luogo di lavoro, intendendosi come tale un luogo in cui di norma si svolge la prestazione.
La distinzione è fondamentale, dal momento che per questi ultimi la contrattazione collettiva prevede di solito la corresponsione di uno speciale emolumento, che ha la funzione di “rappresentare il corrispondente aspetto strutturale della retribuzione, in quanto diretto a compensare il particolare disagio e la gravosità connessi alla prestazione”, e che, pertanto, “ha natura retributiva” (Cass. 22/5/2005, n. 8468, in Orient. Giur. Lav., 2005, 311).
Come detto, la trasferta presuppone che “lo spostamento del lavoratore sia determinato da fatti occasionali e contingenti, implicanti singole decisioni del datore di lavoro” (Cass. 22/5/2005, cit.), ed ha come requisiti l’esistenza di un immanente legame funzionale tra il dipendente e il luogo di lavoro normale, la temporaneità dello spostamento ad altra sede e l’unilateralità dell’atto con cui viene disposta dal datore di lavoro.
Anche nel caso dei trasfertisti vi è la necessaria presenza di un ordine del datore di lavoro che indichi di volta in volta il luogo in cui il lavoratore dovrà svolgere la propria prestazione, ma ciò non avviene, diversamente dall’ipotesi della trasferta occasionale, in forza di un esercizio unilaterale di potere da parte datoriale, ma in virtù della semplice specificazione di un obbligo, quello di lavorare in modo “itinerante”, assunto dal lavoratore per contratto.
I “trasferisti” godono di uno speciale regime contributivo: ai sensi dell’art. 51, comma 6 DPR 917/1986, infatti, le indennità e le maggiorazioni di retribuzione spettanti al lavoratore dipendente tenuto per contratto a svolgere la propria attività in luoghi sempre variabili e diversi da quello della sede aziendale partecipano alla formazione del reddito imponibile nella misura del 50% del loro ammontare.
Nell’ambito del lavoro nel settore dello Spettacolo, vengono considerati “trasfertisti i lavoratori che per contratto non hanno una sede di lavoro predeterminata e cui sia attribuita una maggiorazione retributiva o un’indennità forfettaria” (Circ. ENPALS 16 novembre 1995, n. 6).
Il già citato CCNL Metalmeccanici che, come visto, non riconosce alcuna maggiorazione retributiva al lavoratore inviato in trasferta, stabilisce che “i lavoratori che vengono esplicitamente ed esclusivamente assunti per prestare la loro opera nell’effettuazione di lavori…che richiedono il successivo e continuo spostamento” hanno diritto ad una “maggiorazione del 30% del minimo di paga base contrattuale, oltre al rimborso delle spese di trasporto”, il tutto in alternativa all’indennità di trasferta, che ha, appunto, natura di rimborso spese.
Trattamento economico per il periodo di viaggio
Nel caso in cui il viaggio verso il luogo della trasferta avvenga al di fuori del normale orario di lavoro, si pone il problema di capire se al lavoratore spetti o meno la corresponsione di un compenso sostitutivo o, comunque, di una qualche forma di indennità.
La giurisprudenza ha preso espressa posizione sul punto, affermando che, laddove venga corrisposta al lavoratore un’indennità di trasferta di natura sostanzialmente retributiva, “il tempo giornalmente impiegato dal lavoratore per raggiungere la sede di lavoro resta estraneo all’attività lavorativa vera e propria, non si somma al normale orario di lavoro e non può essere qualificato come lavoro straordinario, tanto più nel caso in cui l’indennità di trasferta compensi il disagio dello spostamento” (Corte d’Appello Trento 5/11/2003, in D&L, 2004, 125).
Qualora, diversamente, l’indennità di trasferta svolga la funzione di rimborso delle spese sostenute dal lavoratore, è logico che il tempo di viaggio, qualora questo avvenga al di fuori del normale orario di lavoro, vada in qualche modo assimilato al tempo che il lavoratore impiega lavorando a servizio del proprio datore di lavoro.
Infatti, che si tratti di tempo di viaggio o di tempo di lavoro, il lavoratore comunque impiega il proprio tempo nell’interesse del datore di lavoro, essendogli, in questo modo, precluso lo svolgimento di tutte quelle attività (come stare con la propria famiglia, passare del tempo con i figli eccetera) che il lavoratore ha diritto di compiere liberamente in tutta quella parte della giornata in cui non è tenuto a svolgere la propria prestazione lavorativa per contratto.
Tuttavia, dal momento che non si tratta di lavoro effettivo, spesso i contratti collettivi stabiliscono, per il periodo di viaggio, il diritto ad un compenso di minore entità rispetto a quello previsto per il normale orario di lavoro (ad esempio nel CCNL Metalmeccanici l’85% della normale retribuzione oraria).
Casistica di decisioni della Magistratura in tema di trasferta
In genere
- Ai fini della configurazione della trasferta del lavoratore (da cui consegue il suo diritto a percepire la relativa indennità) che si distingue dal trasferimento (il quale comporta l’assegnazione definitiva del lavoratore ad altra sede diversa dalla precedente), è necessaria la sussistenza del permanente legame del prestatore con l’originario luogo di lavoro, mentre restano irrilevanti, a tal fine, la protrazione dello spostamento per un lungo periodo e la coincidenza del luogo della trasferta con quello di un successivo trasferimento, anche se disposto senza soluzione di continuità al termine della trasferta medesima. L’accertamento degli inerenti presupposti è riservato al giudice del merito ed è incensurabile in sede di legittimità se adeguatamente motivato. (Cass. 21/3/2006 n. 6240, in Dir. e prat. lav. 2008, 1427)
- Posto che la legge – art. 51, c. 5 e 6 del D.P.R. n. 917/86 – prevede un diverso trattamento fiscale e contributivo da applicare alle somme agli stessi corrisposte come indennità o maggiorazioni di retribuzione, occorre distinguere i lavoratori inviati in trasferta dai c.d. trasfertisti. La trasferta è configurabile laddove ricorrano i seguenti requisiti: (1) l’esistenza di un immanente legame funzionale tra il dipendente e il luogo di lavoro “normale” (2) la temporaneità dello spostamento ad altra sede, ferma restando l’irrilevanza di una definizione preventiva del limite temporale (3) l’unilateralità dell’atto con cui il datore di lavoro dispone la trasferta; dunque, la trasferta, ancorchè frequente, resta una vicenda eventuale nello svolgimento del rapporto. Per i c.d. trasfertisti, viceversa, i quali, per contratto, sono obbligati a svolgere un lavoro itinerante – in luoghi sempre variabili e diversi – neppure esiste un “normale” luogo di lavoro – cioè un luogo dove “di norma” (id est, secondo contratto) si svolge la prestazione – mentre l’ordine di servizio del datore di lavoro che indica il cantiere in cui il lavoratore deve recarsi non costituisce esercizio di un potere unilaterale del datore, bensì specificazione del contenuto di un obbligo che il lavoratore ha già assunto con il contratto. (Trib. Milano 10/7/2006, Dott. Di Ruocco, in Lav. nella giur. 2007, 532)
- Il lavoratore dislocato ad altra sede dell’Ente Poste, senza termine prefissato nel provvedimento, né deducibile dalla natura dell’incarico, deve considerarsi a tutti gli effetti trasferito e non “distaccato” (Pret. Nuoro 27/9/96, est. Passerini, in D&L 1998, 130)
Questioni retributive
- Il trattamento economico aggiuntivo corrisposto al lavoratore inviato in missione (o trasferito) all’estero può, in base alle particolari pattuizioni che lo prevedono e alla stregua delle circostanze del caso concreto, avere sia natura riparatoria, assolvendo la funzione risarcitoria delle maggiori spese connesse alla prestazione lavorativa all’estero, sia natura retributiva, assolvendo la funzione compensativa del disagio e/o della professionalità propria di detta prestazione lavorativa, sia, infine, natura composita o mista, assolvendo sia una funzione risarcitoria che una funzione retributiva (nel caso di specie, la Corte ha riconosciuto natura indennitaria – escludendone, quindi, l’incidenza nel calcolo dell’indennità di anzianità e del Tfr – alle sole spese rimborsate al lavoratore per il canone di locazione dell’immobile nel nuovo luogo di residenza sul presupposto, presunto, che il lavoratore data la temporaneità della missione all’estero, avesse continuato a sostenere spese per il mantenimento anche della casa familiare in Italia). (App. Milano 1/8/2006, Pres. D.ssa Ruiz, Rel. D.ssa Togni, in Lav. nella giur. 2007, 527)
- L’istituto della trasferta presuppone che lo spostamento del lavoratore sia determinato da fatti occasionali e contingenti, implicanti di volta in volta singole decisioni del datore di lavoro; la prolungata permanenza in varie sedi di cantiere e i ripetuti spostamenti dall’una all’altra sede, quale modalità immanente al lavoro, costituiscono invece un aspetto strutturale della prestazione connesso alla causa tipica del contratto, cosicché il compenso di questa specifica prestazione con somma fissa non costituisce mero rimborso spese, bensì rappresenta il corrispondente aspetto strutturale della retribuzione, in quanto diretto a compensare il particolare disagio e la gravosità connessi alla prestazione. Pertanto, lo speciale emolumento previsto dalla contrattazione collettiva per compensare la peculiare connotazione di tale prestazione lavorativa ha natura retributiva. (Cass. 22/5/2005 n. 8468, Pres. Sciarelli Est. Cuoco, in Orient. Giur. Lav. 311)
- L’indennità di trasferta prevista a favore degli ufficiali giudiziari dall’art. 133 d.P.R. 15 dicembre n. 1229, per gli atti compiuti fuori dell’edificio ove l’ufficio non ha sede, ha natura retributiva e non di mero rimborso spese e, pertanto, anteriormente alle modifiche (prive di efficacia retroattiva) introdotte dall’art. 3 d.lgs. n. 314 del 1997 sono soggette a Irpef nei sensi e nei limiti di cui all’art. 48 d.P.R. n. 917 del 1986. (Cass. 12/3/2004 n. 5078, Pres. Cristarella Orestano, Est. Ebner, in Giust. civ. 2005, 471)
- La tassa del dieci per cento dovuta dagli ufficiali giudiziari sull’indennità di trasferta, ai sensi dell’art. 154, comma 1, d.P.R. n. 1229 del 1959 (come sostituito dall’art. 10 l. 15 gennaio 1991 n. 14) integra una vera e propria tassa su singoli atti compiuti dall’ufficiale giudiziario, e non già un’imposta diretta, a titolo di acconto ai fini dell’Irpef, senza che rilevi, in senso contrario, la qualificazione di acconto data a detta tassa dall’art. 35 l. 21 novembre 2000 n. 342. (Cass. 12/3/2004 n. 5078, Pres. Cristarella Orestano, Est. Ebner, in Giust. civ. 2005, 471)
- In caso di trasferta del lavoratore, il tempo giornalmente impiegato da quest’ultimo per raggiungere la sede di lavoro resta estraneo all’attività lavorativa vera e propria, non si somma al normale orario di lavoro e non può pertanto essere qualificato come lavoro straordinario, tanto più laddove venga corrisposta l’indennità di trasferta, volta proprio a compensare il disagio dello spostamento. (Corte d’appello Trento 5/11/2003, Pres. Zanon Est. Caracciolo, in D&L 2004, 125)
- L’istituto della trasferta presuppone che lo spostamento del lavoratore sia determinato da fatti occasionali e contingenti, implicanti di volta in volta singole decisioni del datore di lavoro; la prolungata permanenza in varie sedi di cantiere ed i ripetuti spostamenti dall’una all’altra sede, quale modalità immanente al lavoro, costituiscono invece un aspetto strutturale della prestazione connesso alla causa tipica del contratto, cosicché il compenso di questa specifica prestazione con somma fissa non costituisce mero rimborso spese, bensì rappresenta il corrispondente aspetto strutturale della retribuzione, in quanto diretto a compensare il particolare disagio e la gravosità connessi alla prestazione. Pertanto, lo speciale emolumento previsto dalla contrattazione collettiva per compensare la peculiare connotazione di tale prestazione lavorativa ha natura retributiva, e quindi va incluso nella base di calcolo dell’indennità di anzianità ex artt. 2120 e 2121 c.c. (nel regime anteriore alla L. 29 maggio 1982, n. 297), sia pure nella misura assoggettata a contribuzione ai sensi dell’art. 9 ter, D.L. 29 marzo 1991, n. 103, convertito con modifiche nella L. 1 giugno 1991, n. 166, applicabile retroattivamente ex art. 4 quater, D.L. 15 gennaio 1993, n. 6, convertito nella L. 17 marzo 1993, n. 63. (Nella specie-concernente compensi percepiti nei tre anni anteriori alla L. n. 297/1982 ed anteriore al D.Lgs. 2 settembre 1997, n. 314-la S.C. ha cassato la sentenza che aveva escluso l’indennità di trasferta e l’indennità di cantiere-prevista dal contratto collettivo per i dipendenti Enel, in particolare per i cosiddetti “cantieristi”-dalla base di calcolo dell’indennità di anzianità). (Cass. 30/10/2002, n. 15360, Pres. Senese, Rel. Cuoco, in Lav. nella giur. 2003, 273)
- Allorquando con il termine trasferta il datore di lavoro intenda indicare il corrispettivo della maggiore onerosità delle prestazioni rese fuori sede, il relativo emolumento ha natura esclusivamente retributiva; per contro quando il datore di lavoro intenda indennizzare il lavoratore delle spese sostenute, occorrerà dunque indagare se sussistano elementi (quali la determinazione a forfait, il pagamento a cadenza fissa mensile pur in presenza di trasferte variabili ecc.) che ne indichino una natura parzialmente retributiva: in tal caso la distinzione delle due quote deve essere effettuata in via equitativa, assumendo come riferimento la quota del 50% di cui all’art. 12 L. 30/4/69 n. 153. (Trib. Genova 16/10/2001, Est. Basilico, in D&L 2002, 172)
- Al lavoratore che sia inviato in missione in località diversa da quella in cui si trova l’abituale sede di lavoro spetta l’indennità di trasferta anche nel caso in cui detta località coincida con la sua residenza anagrafica, peraltro molto distante dal luogo di abitazione abituale effettiva (Cass. 8/4/00, n. 4482, pres. Santojanni, est. Sciarelli, in Riv. It. dir. lav. 2001, pag. 59, con nota di Bartalotta)
Trasferta e trasferimento
- Per configurarsi una trasferta, il tempo di durata dello spostamento deve essere, ancorché non determinato, determinabile. Il lasso temporale, sebbene lungo, non comporta la trasformazione della fattispecie in trasferimento. (Trib. La Spezia 20/2/2012, Giud. Panico, in Lav. nella giur. 2012, 514)
- Ai fini del configurarsi della trasferta del lavoratore che si distingue dal trasferimento è necessaria la sussistenza del permanente legame del prestatore con l’originario luogo di lavoro, mentre restano irrilevanti, a tal fine, la protrazione dello spostamento per un lungo periodo di tempo e la coincidenza del luogo della trasferta con quello di un successivo trasferimento, anche se disposto senza soluzione di continuità al termine della trasferta medesima. (Trib. Milano 7/5/2009, d.ssa Pattumelli, in Lav. nella giur. 2009, 847)
- La trasferta del lavoratore subordinato, dalla quale consegue il diritto a percepire la relativa indennità, che si caratterizza per un mutamento temporaneo del luogo di esecuzione della prestazione lavorativa, nell’interesse e su disposizione unilaterale del datore di lavoro, non è esclusa né dall’eventuale disponibilità manifestata dal lavoratore né dalla sua durata per un tempo apprezzabilmente lungo e neppure dalla coincidenza del luogo della trasferta con quello del successivo trasferimento, senza soluzione di continuità. (Cass. 20/7/2007 n. 16136, Pres. Mattone Est. Balletti, in D&L 2007, con nota di Marcella Mensi, “Profili debitori e retributivi del mutamento del luogo di svolgimento della prestazione lavorativa”, 1161)
- Ai fini della configurazione della trasferta del lavoratore (da cui consegue il suo diritto a percepire la relativa indennità) che si distingue dal trasferimento (il quale comporta l’assegnazione definitiva del lavoratore ad altra sede diversa dalla precedente), è necessaria la sussistenza del permanente legame del prestatore con l’originario luogo di lavoro, mentre restano irrilevanti, a tal fine, la protrazione dello spostamento per un lungo periodo di tempo e la coincidenza del luogo della trasferta con quello di un successivo trasferimento, anche se disposto senza soluzione di continuità al termine della trasferta medesima. L’accertamento degli inerenti presupposti è riservato al giudice del merito ed è incensurabile in sede di legittimità se adeguatamente motivato. (Nella specie, la S.C ., sulla scorta dell’enunciato principio, ha confermato la sentenza impugnata che aveva rigettato la domanda di un dipendente di una società autoferrotranviaria intesa a ottenere il riconoscimento dell’indennità di trasferta conseguente all’ammissione di un corso di riqualificazione presso un luogo di lavoro diverso dalla sede ordinaria di servizio, in cui aveva poi lavorato continuativamente per alcuni anno ed era stato, quindi, successivamente trasferito, rilevando l’adeguatezza della sua motivazione con la quale erano stati considerati difettanti gli elementi essenziali per la configurazione della trasferta, con particolare riguardo alla conservazione dell’originaria sede di servizio e alla certezza del futuro rientro, nel mentre la mancata adozione di un formale atto di trasferimento e di assegnazione alle nuove mansioni non era stato ritenuto sufficiente a integrare una trasferta). (Cass. 21/3/2006 n. 6240, Pres. Senese Rel. Cuoco, in Lav. Nella giur. 2006, 912)
- La trasferta si distingue dal trasferimento in quanto è caratterizzata dalla temporaneità dell’assegnazione del lavoratore ad una sede diversa da quella abituale, nell’interesse e su disposizione unilaterale del datore di lavoro, essendo irrilevante che egli abbia manifestato la propria disponibilità e che svolga mansioni identiche a quelle espletate presso l’abituale sede di lavoro. Pertanto, al fine della sussistenza del diritto all’indennità di trasferta è irrilevante la coincidenza del luogo della trasferta con quello del successivo trasferimento, anche se disposto senza soluzione di continuità al termine di trasferta (Fattispecie concernente un dipendente della Rete Ferroviaria italiana s.p.a.). (Cass. 027/11/2002, n. 16812, Pres. Senese, Rel. Filadoro, in Lav. nella giur. 2003, 382)
- Il trasferimento si distingue dalla trasferta per il carattere definitivo; la trasferta infatti, consiste in uno spostamento provvisorio e temporaneo dalla normale sede di lavoro, per sopravvenute esigenze di carattere contingente, con la certezza del rientro all’unità di partenza (Trib. Milano 30/7/97, pres. Ruiz, est. de Angelis, in D&L 1998, 129).