Inderogabilità

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Scheda sintetica

Nell’ambito del diritto del lavoro con il termine inderogabilità si indica usualmente la più rilevante tecnica regolativa utilizzata fin dagli albori della materia, che, al fine di tutelare il lavoratore e regolare al meglio le condizioni di scambio nella prestazione lavorativa, contempla un massiccio utilizzo di norme imperative eteronome. La legge, in sostanza, impone alle parti del rapporto di lavoro un determinato comportamento, con una conseguente limitazione dell’autonomia negoziale dei contraenti ed una parziale indisponibilità dei diritti.

Non esiste nel codice civile una specifica nozione di norma inderogabile, che anche la relazione al Re lasciava alla libera interpretazione della dottrina. È, quindi, stata l’elaborazione dottrinale a definire nel corso del tempo l’ambito applicativo di tale categoria concettuale. Pur restando la principale tecnica regolativa utilizzata nel diritto del lavoro, negli ultimi anni si discute di una sua possibile parziale erosione, a fronte della, seppur timida, apertura ad altre tecniche regolative, tra cui l’uso più rilevante della contrattazione collettiva, modalità regolative di soft law, un più ampio utilizzo dell’autonomia negoziale individuale, secondo quanto già accade nel diritto civile.
Il carattere dell’inderogabilità è usualmente associato alla nozione di norma imperativa, o inderogabile, che differisce dalla nozione di norma dispositiva, o derogabile, e cioè quella norma di legge che si applica ed è vincolante soltanto se non vi sia una diversa volontà delle parti contraenti o salvo patto contrario. Mentre il comando contenuto nella norma dispositiva trova applicazione nei soli casi in cui le parti contrattuali non abbiano esercitato il potere di autoregolamentazione dei propri interessi, la norma di legge imperativa, invece, non è derogabile, impone alle parti contraenti il proprio comando ed è vincolante nei loro confronti senza che le parti possano contrapporre una propria autonoma diversa volontà.

Nell’ambito del diritto del lavoro, più di quanto non accada nel diritto civile, è sovente riconosciuto il medesimo significato ai termini “inderogabile”, “imperativo” o “cogente”, tutti genericamente riferiti al precetto di una norma che non sia derogabile dalle parti.

 

Normativa di riferimento

  • Artt. 1339, 1343, 1419, 2094 c.c.

 

 

Scheda di approfondimento

Inderogabilità delle norme nel diritto del lavoro

Nel diritto del lavoro si è costantemente affermata, in diverse occasioni anche da parte della Corte costituzionale (cfr. sentenze 121/1993, 115/1994, 104/2006, 182/2008, 76/2015), l’indisponibilità del tipo lavoro subordinato di cui all’art. 2094 del codice civile, la cui disciplina regolativa ha un tendenziale carattere imperativo. Come ben sintetizzato da Massimo D’Antona “il tipo tassativo è inderogabile, perché la disciplina non è al servizio della volontà delle parti, ma ne costituisce la consapevole correzione ai fini protettivi o dirigistici che sono tipici del diritto del lavoro”.
In ragione del particolare ruolo che la Costituzione repubblicana attribuisce al lavoro, ed all’attento equilibrio tra lavoro e capitale in essa delineato, si comprende il motivo per cui il legislatore ha ritenuto nel tempo che la tutela del lavoratore, in particolare nell’ambito di un rapporto di lavoro subordinato, debba essere perseguita soprattutto attraverso l’utilizzo di norme di legge imperative non derogabili dalle parti. La modalità con cui la legge eteronoma impone ai consociati determinati comportamenti, senza possibilità di deroga, è sempre stato considerato lo strumento più funzionale alla protezione del lavoratore quale soggetto debole.

Tale tecnica regolativa ha precise conseguenze nei confronti delle parti contrattuali. Secondo quanto previsto dall’art. 1418, comma 1, quando il contratto è contrario a norma imperativa il contratto è nullo, salvo che la legge preveda altrimenti. Nell’ambito del diritto del lavoro anche una eventuale nullità del contratto, che implicherebbe per le regole civilistiche il ripristino della situazione antecedente alla stipulazione del contratto, comporterebbe in ogni caso l’applicazione dell’art. 2126 del codice civile, che riconosce gli effetti giuridici del contratto per il periodo in cui esso ha avuto esecuzione, salvo nel caso di nullità derivante da illiceità dell’oggetto o della causa del contratto, e comunque se il lavoro è stato prestato con violazione di norme poste a tutela del lavoratore sussiste sempre il diritto alla retribuzione per il lavoratore stesso.
In realtà nella gran parte dei casi concernenti il contratto di lavoro è prevalente l’utilizzo dell’art. 1419, comma 2, secondo cui la nullità di singole clausole non importa la nullità del contratto quando le clausole nulle sono sostituite di diritto da norme imperative, con la conseguente inefficacia delle disposizioni volute dalle parti ma contrastanti con il precetto legale e la loro automatica sostituzione con la regolamentazione contenuta nella norma di legge.

Una delle questioni più complesse da affrontare è quella dei criteri e dei metodi utilizzati per individuare le norme imperative. Se in alcuni casi è la stessa norma a chiarire la propria inderogabilità, come l’art. 2103 del codice civile in materia di mansioni il cui ultimo comma evidenzia come ogni patto contrario sia nullo, in molti altri casi il carattere imperativo di una norma è desunto in via interpretativa, utilizzando indici sintomatici, valutando la finalità della norma o gli specifici interessi protetti.
È ampiamente diffusa l’opinione secondo cui nello specifico ambito del diritto del lavoro si possa parlare di una sostanziale presunzione di inderogabilità delle norme, con la conseguenza che in mancanza di una esplicita deroga espressa la norma debba intendersi inderogabile.

 

Norme inderogabili e contrattazione collettiva

Nel diritto del lavoro l’inderogabilità è sempre stata associata non soltanto alla legge, ma anche al contratto collettivo. Si tratta di una caratteristica essenziale del contratto collettivo, strettamente correlata alla natura stessa del contratto collettivo, che, come affermava Carnelutti, possiede “la forma del contratto ma l’anima della legge”, la cui giustificazione giuridica è sempre stata questione molto discussa.
È comunque indubbio che anche il contratto collettivo di diritto comune, nel momento in cui sia soggettivamente applicabile alle parti che abbiano sottoscritto un contratto di lavoro individuale, sia inderogabile ed abbia come effetto quello di sostituirsi all’eventuale difforme pattuizione del contratto individuale, salvo l’eventuale deroga in melius ivi contenuta. È noto come la giustificazione sul piano giuridico dell’inderogabilità del contratto collettivo sia avvenuta ad opera della giurisprudenza con il riconoscimento della vigente applicabilità dell’art. 2077 c.c., comma 2, inizialmente pensato con riferimento al contratto collettivo corporativo, che prevede direttamente la sostituzione di diritto delle clausole difformi dei contratti individuali ad opera di quelle dei contratti collettivi, salvo che contengano speciali disposizioni a favore dei lavoratori. Tale riconoscimento si è poi successivamente fondato, secondo la prevalente dottrina, sulla novella apportata nel 1973 all’art. 2113 c.c. che include tra le pattuizioni soggette alla particolare disciplina in materia di rinunce e transazioni non soltanto i diritti derivanti da disposizioni inderogabili della legge, ma anche quelli derivanti da disposizioni inderogabili della contrattazione collettiva.

 

Norme inderogabili e diritti indisponibili

Una delle questioni più classiche è correlata al rapporto tra inderogabilità della norma ed indisponibilità del diritto che la norma attribuisce all’individuo. Sono, cioè, indisponibili i diritti derivanti da norme inderogabili? Può colui che si vede attribuire un diritto da una norma inderogabile disporne?
Nonostante qualche risalente opinione contraria secondo cui si deve necessariamente parlare di indisponibilità dei diritti derivanti da norma inderogabile, la tesi maggioritaria in dottrina come in giurisprudenza ritiene che dall’inderogabilità della norma non derivi ineluttabilmente l’indisponibilità del diritto attribuito, che potrà quindi essere validamente disposto dal titolare nei limiti posti dall’ordinamento e secondo quanto previsto in materia di rinunce e transazioni dall’art. 2113, che prevede un’invalidità soltanto relativa, e soggetta a decadenza di sei mesi, degli eventuali atti dispositivi del lavoratore rispetto a disposizioni inderogabili disposte dalla legge o dalla contrattazione collettiva.