Erga omnes

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Questa voce è stata curata da Francesca Ajello e aggiornata da Arianna Castelli

 

Scheda sintetica

L’espressione erga omnes, proveniente dal latino ma acquisita dal linguaggio giuridico italiano, significa letteralmente “nei confronti di tutti”, “contro tutti”.
Nell’ordinamento giuridico italiano generale, la locuzione viene utilizzata per indicare che un atto o un fatto giuridico possono essere fatti valere nei confronti di tutti: il titolare di un diritto avente efficacia erga omnes, in altri termini, può pretendere che il potere derivante da quel diritto provochi effetti nei confronti di tutti gli altri consociati, che, per contro, non possono interferire nel suo godimento.
Nel campo del diritto del lavoro, l’espressione erga omnes acquisisce, invece, una valenza speciale, stante la rilevanza che essa riveste in riferimento alla contrattazione collettiva e all’efficacia che questa spiega nei confronti di lavoratori e datori di lavoro.

 

Fonti normative

  • Costituzione artt. 36 e 39
  • Legge 14 luglio 1949, n. 471
  • Legge 14 settembre 2011, n. 148

 

 

Scheda di approfondimento: l’efficacia erga omnes dei contratti collettivi

Come noto, i contratti collettivi sono gli accordi stipulati fra un gruppo di lavoratori e un datore di lavoro o un gruppo di datori di lavoro e diretti ad individuare la disciplina applicabile ai rapporti individuali, in modo che questi vengano regolati in modo omogeneo e siano sempre permeati da un alveo di garanzie minime.
I soggetti coinvolti nella contrattazione collettiva devono essere quindi individuati in gruppi di lavoratori (che generalmente, ma non necessariamente, operano nella forma delle associazioni sindacali) e in gruppi di datori di lavoro (o, per il lato datoriale, anche nel singolo datore di lavoro): entrambe le parti operano in un regime di autonomia che ha natura privatistica, la quale esclude pertanto che il contratto collettivo possa costituire una fonte di diritto in senso oggettivo, dunque generale ed astratto (come invece avviene, ad esempio, per le leggi o gli atti aventi forza di legge).
Di conseguenza, un accordo di questa specie può dirsi vincolante quando le parti abbiano espresso il proprio consenso al fatto che esso dispieghi effetti nei propri confronti.

Detto consenso si ritiene perfezionato dal singolo soggetto in due modi:

  • mediante l’iscrizione all’associazione che stipula in contratto collettivo, poiché il singolo, associandosi, si obbliga volontariamente al rispetto della disciplina pattuita dall’associazione cui ha deciso di appartenere;
  • mediante l’esternazione della volontà di rinvio nell’ambito del rapporto individuale di lavoro, quando una o entrambe le parti non siano iscritte ad alcun gruppo: ciò può accadere sia in modo espresso che per fatti concludenti, indicativi della volontà di sottoporsi ad uno o ad un insieme di contratti collettivi.

Da quanto appena detto si evince che gli accordi stipulati dalle associazioni sindacali o datoriali non producono effetti nei confronti di tutti gli appartenenti alla categoria per la quale l’accordo è stipulato (dunque, non erga omnes), ma solo di coloro che abbiano a ciò dato il consenso.

Il problema è rilevante per entrambe le parti, seppur in circostanze differenti.
Quando il contratto collettivo in questione è acquisitivo (quando cioè comporta il miglioramento dei diritti dei lavoratori) o pone una tutela minima per i prestatori appartenenti ad una categoria, il consenso di questi ultimi è scontato e dunque presunto, mentre non è detto che il datore di lavoro presti il proprio consenso (con l’iscrizione all’associazione o con l’espressione della propria volontà) alla sua applicazione.
Per contro, quando il contratto collettivo è ablativo (ossia riduce il trattamento elargito in precedenza, come accade talvolta nel caso della contrattazione a livello aziendale), si verificherà la situazione contraria: i lavoratori saranno maggiormente indotti a manifestare il proprio dissenso.
In entrambi i casi, l’efficacia soggettiva limitata provoca problemi sia in punto di omogeneità e certezza del trattamento, sia in punto di garanzia di trattamenti minimi sia, ancora, in punto di organizzazione del lavoro.

La Costituzione aveva suggerito un modo per superare il problema mediante la disposizione prevista dall’art. 39 ultimo comma, il quale statuisce che i sindacati registrati (e quindi dotati di personalità giuridica) possono stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce.
Tale disposizione non ha tuttavia mai ricevuto attuazione: non è mai stata cioè emanata una legge ordinaria che specificasse le modalità di costituzione di rappresentanze unitarie, poiché si temeva che la registrazione, necessaria all’acquisizione della personalità giuridica, avrebbe potuto comportare il rischio di una compressione della libertà sindacale a causa dell’ingerenza esterna determinata dai controlli sull’ordinamento interno di ciascun sindacato.
In attesa dell’attuazione del dettato costituzionale, nel 1959, è stata emanata la Legge n. 751/59, nota come legge Vigorelli: essa delegava il governo ad emanare decreti legislativi aventi lo scopo di individuare i minimi inderogabili di trattamento economico e normativo validi per tutti gli appartenenti ad una medesima categoria, uniformandosi a quanto già statuito dagli accordi collettivi.
Il rimedio, considerato valido inizialmente in quanto eccezionale, è stato poi arrestato dalla Corte Costituzionale che ha ritenuto costituzionalmente illegittima la sistematizzazione di questo espediente.
Di conseguenza, ad oggi, permane il problema legato all’applicabilità erga omnes degli accordi collettivi.

Peraltro, la dottrina, la giurisprudenza ed il legislatore hanno cercato modalità alternative per ovviare alle difficoltà create da tale situazione.
Ciò avviene per lo più attraverso:

  • l’emanazione di leggi specifiche, il cui contenuto riprenda il contenuto della contrattazione collettiva precedente;
  • la predisposizione di incentivi alla prestazione del consenso, attraverso la promessa di benefici in cambio della sottoposizione al contratto collettivo;
  • la predisposizione (quanto ai contratti aziendali) di atti unilaterali del datore di lavoro, emanato in conformità di un precedente accordo collettivo, ma libero da vincoli.

Sono invece state considerate incompatibili con la Costituzione altri metodi tendenti ad aggirare il problema, come per esempio: il rinvio in bianco alla contrattazione collettiva mediante il quale una legge, rinviando genericamente a quanto statuito nel contratto collettivo, si riempie di contenuto attraverso le disposizioni dell’accordo stesso o mediante l’emanazione di leggi che recepiscano completamente i contratti collettivi.
Entrambi gli strumenti infatti comporterebbe l’effetto di rendere vincolanti nei confronti di tutti (erga omnes) accordi stipulati dalle associazioni di soggetti nell’ambito della loro autonomia privata.

La giurisprudenza, tuttavia, ha applicato generalmente i minimi tabellari previsti nei contratti collettivi. Il percorso argomentativo seguito dai giudici si basa sul richiamo all’art. 36 della Costituzione e all’articolo 2099 del codice civile. Il primo garantisce al lavoratore il diritto a una retribuzione proporzionata alla qualità e quantità del proprio lavoro, nonché sufficiente ad assicurargli un’esistenza libera e dignitosa insieme alla sua famiglia. La disposizione del codice civile, invece, prevede che il giudice possa determinare la retribuzione del lavoratore in assenza di accordi collettivi o tra le parti. I giudici, dunque, nel valutare la corrispondenza delle pattuizioni delle parti al dettato costituzionale, hanno fatto riferimento alle previsioni dei contratti collettivi, ritenendo illegittimi i trattamenti retributivi inferiori a quelli ivi previsti. Coerentemente all’articolo 2099 del codice civile, inoltre, hanno considerato i minimi tabellari previsti nei contratti collettivi come parametro per l’effettiva determinazione dell’equo compenso dovuto al lavoratore, parificando la nullità degli accordi individuali alla loro assenza.
Tramite tale stratagemma, col tempo, si è giunti a un’applicazione generalizzata della parte retributiva dei contratti collettivi.
L’efficacia generalizzata dei CCNL nel settore dell’Industria (Accordo Interconfederale 28 giugno 2011; Accordo Interconfederale 31 magio 2013 e T.U. sulla Rappresentatività 20 gennaio 2014).

Le parti sociali, al fine di ovviare gli inconvenienti connessi all’efficacia soggettiva limitata dei contratti collettivi, hanno sottoscritto una seria di Accordi Interconfederali volti a regolamentare la contrattazione collettiva, in modo tale che i successivi contratti, stipulati conformemente a tali regole, avessero un’efficacia generalizzata per tutti i lavoratori iscritti ai sindacati aderenti alle Confederazioni firmatarie di detti Accordi Interconfederali, indipendentemente dall’adesione della singola Federazione allo specifico accordo.
Ovviamente, trattandosi di disposizioni di natura negoziale, hanno un’efficacia limitata alle sole parti stipulanti, pertanto non è possibile parlare di “erga omnes” in senso proprio. Tali previsioni sono finalizzate a scongiurare il rischio di contratti separati (ossia contratti stipulati solo da alcune delle organizzazioni sindacali rappresentativa con conseguente efficacia limitata agli iscritti delle stesse).
In particolare, l’Accordo interconfederale del 28 giugno 2011, dopo aver confermato la centralità del CCNL, prevedeva che potessero accedere alla contrattazione nazionale solo i sindacati la cui rappresentatività superasse il 5% del totale dei lavoratori della categoria cui si applica il contratto collettivo in questione. Tale soglia veniva calcolata come media tra il dato elettorale (riferito ai consensi ottenuti nelle elezioni periodiche delle RSU) e il dato associativo (riferito al numero delle deleghe relative ai contributi sindacali conferiti dai lavoratori).

I successivi Accordi del 2013 e del 2014 tornano sul tema della rappresentatività, fornendo una serie di precisazioni.
In primo luogo, si prevede che i sindacati devono favorire la presentazione di piattaforme unitarie, ove ciò non sia possibile, il datore di lavoro è tenuto a privilegiare l’avvio delle negoziazioni sulla base delle piattaforme presentate da quelle organizzazioni sindacali che nel settore hanno complessivamente una rappresentatività pari al 50% più uno.
Inoltre, viene stabilito che i CCNL, stipulati dalle organizzazioni sindacali che nel settore vantano complessivamente un livello di rappresentatività superiore al 50%, sono efficaci per la generalità dei lavoratori e vincolano tutte le organizzazioni sindacali aderenti alle Confederazioni firmatarie del Protocollo stesso. Tuttavia, è necessario che questi contratti vengano prima sottoposti a una consultazione certificata dei lavoratori, con approvazione a maggioranza.
Le parti sociali hanno dunque fortemente valorizzato il principio della maggioranza (fin dall’avvio della trattativa), così da giustificare il fatto che il contratto collettivo sottoscritto dai sindacati rappresentanti la maggioranza dei lavoratori e, successivamente, approvato dalla maggioranza semplice dei dipendenti sia vincolante ed efficacie per tutti.
In tal modo è stato introdotto, tramite degli accordi negoziali, un meccanismo che garantisca una sorta di efficacia erga omnes dei CCNL.

 

Efficacia erga omnes dei contratti collettivi aziendali

L’applicazione generalizzata dei contrati collettivi aziendali a tutti i dipendenti di una determinata impresa mira a garantire l’applicazione di detti contratti ai lavoratori dissenzienti (anche se aderenti ai sindacati stipulanti).
La giurisprudenza, al fine di legittimare questa prassi, ha fatto ricorso a diverse argomentazioni:

  • rappresentatività della generalità dei lavoratori del soggetto stipulante;
  • indivisibilità degli interessi regolati;
  • contenuto migliorativo dei nuovi accordi aziendali rispetto ai precedenti.

Diverso è il caso in cui il contratto collettivo aziendale sia stato sottoscritto solo da alcune organizzazioni aziendali, diverse da quelle cui aderiscono alcuni dipendenti.
In questo caso, la giurisprudenza ha sostenuto l’applicabilità dei contratti aziendali anche ai dipendenti dell’impresa non iscritti che non si siano opposti all’applicazione dell’accordo sulla base di diverse motivazioni:

  • una presunta inscindibilità delle clausole dei contratti collettivi che non permette di applicare solo le clausole migliorative;
  • rispetto del principio di parità di trattamento dei lavoratori;

Inoltre, il legislatore già in passato, pur non attribuendo direttamente un’efficacia erga omnes a questi accordi, è ricorso ad alcuni espedienti volti a favorirne l’applicazione generale.
In alcuni casi, la sottoscrizione di un contratto aziendale è stata considerata parte di un più complesso procedimento, così che l’efficacia generalizzata dallo stesso discende non dalla stipula in sé, bensì dalla combinazione di quest’ultima con altri elementi. Il contratto collettivo aziendale esplica un’efficacia generalizzata perché permette la procedimentalizzazione dei poteri dell’imprenditore. Ad esempio, la Corte Costituzionale ha chiarito come il contratto che prevede i criteri di scelta dei lavoratori da licenziare collettivamente abbia una funzione gestionale, poiché permette di gestire la situazione di crisi, limitando l’esercizio del potere dell’imprenditore. L’efficacia generalizzata di un contratto di questo tipo, dunque, non può definirsi un’efficacia erga omnes in senso proprio, poiché discende sempre dall’esercizio del potere datoriale che la contrattazione aziendale si limita a condizionare.

Altra ipotesi in cui il legislatore ha riconosciuto un’efficacia generalizzata ai contratti collettivi aziendali è quella degli accordi sindacali sull’individuazione delle prestazioni indispensabili in caso di sciopero nei servizi pubblici essenziali. Anche in questo caso, tuttavia, la Corte Costituzionale ha chiarito come tale efficacia non sia un attributo proprio di detti accordi, bensì derivi dal fatto che essi costituiscono un momento di un procedimento più complesso, tanto più che, affinché essi esplichino effettivamente i loro effetti nei confronti di tutti i lavoratori, è imprescindibile la loro trasposizione nel regolamento di servizio.
Inoltre, analogamente a quanto accaduto con riferimento ai CCNL, la parti sociali hanno previsto una regolamentazione negoziale della contrattazione aziendale al fine di conferire un’efficacia generalizzata a tutti gli accordi sottoscritti conformemente a dette procedure.

L’Accordo Interconfederale 28 giugno 2011 prevede che i contratti collettivi aziendali approvati dalla maggioranza dei componenti delle RSU sono efficaci per tutto il personale in forza e vincolano tutte le associazioni firmatarie operanti all’interno dell’azienda. La medesima efficacia generalizzata è riconosciuta anche ai contratti collettivi aziendali sottoscritti da quelle RSA che sono espressione della maggioranza dei lavoratori. Detti accordi, inoltre, devono poi essere approvati dai dipendenti stessi tramite una consultazione certificata. Il T.U. sulla rappresentanza 10 gennaio 2014 ha confermato le predette regole, affermando che contratti collettivi aziendali esplicano i propri effetti nei confronti di tutti i lavoratori dell’impresa e vincolano tutte le associazioni sindacali aderenti alle Confederazioni firmatarie dell’Accordo interconfederale del 28 giugno 2011, del Protocollo d’intesa del 31 maggio 2013 e del T.U. (o che comunque tali accordi abbiano formalmente accettato), solo nel caso in cui siano stati approvati dalle rappresentanze costituite nell’azienda.
Dunque, nel caso in cui nell’impresa siano state costituite RSU, i contratti aziendali esplicano tale efficacia solo se approvati dalla maggioranza dei componenti delle RSU elette secondo le regole contenute nel T.U. stesso.
Qualora siano invece si sia optato per il modello delle RSA, i contratti collettivi aziendali possono avere un’efficacia generalizzata per tutto il personale in forza solo se vengono approvati dalle RSA costituite nell’ambito delle associazioni sindacali che, singolarmente o insieme ad altre, risultano essere destinatarie della maggioranza delle deleghe relative ai contributi sindacali nell’anno precedente alla stipulazione del contratto di cui si discute. Inoltre, il contratto deve essere sottoposto al voto da parte dei lavoratori dell’impresa.

 

I contratti di prossimità (art. 8 D.L. 138/2011 conv. L. 148/2011)

Successivamente alla sottoscrizione dell’Accordo Interconfederale 2011, è stata disciplinata una particolare categoria di contratti collettivi di secondo livello che, oltre a poter derogare anche in peius alla legge e ai CCNL, sono efficaci ed applicabili a tutti i lavoratori interessati in forza di un’espressa previsione legislativa.
Si tratta dei cd. contratti di prossimità, ossia contratti aziendali o territoriali che, se sottoscritti dai soggetti indicati dal legislatore, esplicano la propria efficacia nei confronti di tutti i dipendenti dell’impresa o dell’ambito territoriale preso in considerazione (regionale, provinciale, comunale o distrettuale).
Tale tipologia di accordi possono essere stipulati solo ed esclusivamente da:

  • associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale;
  • nel caso di contratti aziendali, le loro rappresentanze aziendali presenti in azienda.

In ogni caso, ai fini dell’applicazione generalizzata di un contratto aziendale è necessario che il soggetto stipulante rappresenti la maggioranza dei lavoratori dell’impresa. Laddove nell’azienda siano state costituite RSU, tale requisito viene automaticamente soddisfatto vista la procedura di elezione basata sul suffragio universale. Nell’ipotesi in cui nell’azienda vi siano delle RSA, la verifica dell’effettiva rappresentatività di questi organismi deve essere effettuata in concreto. Qualora il contratto di prossimità di cui si discute sia un contratto territoriale, il grado di rappresentatività del sottoscrittore va verificato avendo riguardo all’ambito territoriale di riferimento.
Il legislatore, tuttavia, ai tempi non si è preoccupato di dettare una specifica regolamentazione per la misurazione della rappresentatività, probabilmente perché conscio dell’esistenza della disciplina prevista dalle parti sociali nell’Accordo Interconfederale del 28 giugno 2011. Il testo normativo, infatti, contiene solo un generico richiamo a detto accordo e “agli accordi interconfederali vigenti”. Successivamente alla stipula dell’Accordo Interconfederale 31 maggio 2013 e del T.U. sulla rappresentanza 10 gennaio 2014, dunque, quelle regole devono essere integrate con le nuove disposizioni ivi previste. Al fine della misurazione della rappresentatività dei soggetti stipulanti, in linea di massima, si deve quindi fare riferimento alla media tra il dato associativo relativo alle deleghe per i contributi sindacali e il dato elettivo riferito alle elezioni periodiche delle elezioni delle RSU (nel caso in cui vi siano RSU).

I contratti di prossimità previsti dall’art. 8 L. 148/2011 possono essere sottoscritti solo ed esclusivamente per perseguire una serie di finalità predeterminate per legge:

  • qualità dei contratti di lavoro;
  • emersione del lavoro irregolare;
  • incremento di competitività e di salario;
  • gestione delle crisi aziendali ed occupazionali;
  • investimenti ed avvio di nuove attività;
    Inoltre, tali contratti hanno efficacia generale ma possono disciplinare solo una serie di materie tassativamente indicate:
  • agli impianti audiovisivi e alla introduzione di nuove tecnologie;
  • alle mansioni del lavoratore, alla classificazione e inquadramento del personale;
  • ai contratti a termine, ai contratti a orario ridotto, modulato o flessibile, al regime della solidarietà negli appalti e ai casi di ricorso alla somministrazione di lavoro;
  • alla disciplina dell’orario di lavoro;
  • alle modalità di assunzione e disciplina del rapporto di lavoro, comprese le collaborazioni coordinate e continuative a progetto e le partite IVA, alla trasformazione e conversione dei contratti di lavoro e alle conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro, fatta eccezione per il licenziamento discriminatorio , il licenziamento della lavoratrice in concomitanza del matrimonio, il licenziamento della lavoratrice dall’inizio del periodo di gravidanza fino al termine dei periodi di interdizione al lavoro, nonché fino ad un anno di età del bambino, il licenziamento causato dalla domanda o dalla fruizione del congedo parentale e per la malattia del bambino da parte della lavoratrice o del lavoratore ed il licenziamento in caso di adozione o affidamento.