Questa voce è stata curata da Emilia Naldi
Scheda sintetica
Per immigrazione si intende il processo di trasferimento di una persona o di gruppi di persone dal paese di origine o residenza ad altro paese.
Tutti i continenti sono interessati dai processi migratori che costituiscono una caratteristica ormai strutturale dell’economia mondiale .
Nel contesto sovranazionale dell’Unione Europea i processi migratori riguardano sia spostamenti dei cittadini europei che circolano all’interno dell’Unione sia gli ingressi di persone provenienti da Stati terzi.
Nella versione del glossario del 2016, curato dal Network europeo sull’immigrazione del Consiglio dell’Unione (EMN) l’immigrazione viene definita in termini più restrittivi come “arrivo in uno Stato con l’intenzione di rimanere per un periodo superiore a un anno. Nel contesto dell’Unione Europea, azione con la quale una persona stabilisce la sua dimora abituale nel territorio di uno Stato membro per un periodo minimo di dodici mesi, o che si presume sia tale, dopo aver avuto in precedenza la propria dimora abituale in un altro Stato membro o in un paese terzo”.
Dalla nascita dell’Unione europea per “straniero” si intende la persona cittadina di uno Stato non appartenente all’Unione Europea (cittadino di Paese terzo) e che non gode del diritto alla libera circolazione.
Per cittadino comunitario si intende il cittadino di uno Stato dell’Unione.
La differenza di qualificazione è rilevante in quanto la circolazione di cittadini ( e di lavoratori) comunitari o stranieri soggiace ad una disciplina differenziata.
Particolare rilievo assume inoltre anche la legislazione sulla cittadinanza.
In Italia, in applicazione dell’art. 10 della Costituzione, per cui la condizione giuridica dello straniero è regolata con legge (riserva assoluta), è stato adottato il Decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero.
Il decreto, meglio conosciuto come Testo unico sull’immigrazione, è soggetto a continue modifiche normative sia per volontà e fini diversi dei Governi, che si sono succeduti dal 1998, sia per adeguamento al diritto dell’Unione Europea che ha, con il Trattato di Lisbona (2009), ampliato la propria competenza in materia.
Il Testo unico prevede in linea generale una doppia autorizzazione amministrativa per l’ingresso (visto) e per il soggiorno (permesso di soggiorno) e la programmazione per quote per l’ingresso di lavoratori stranieri.
In attuazione della Convenzione OIL n. 143 del 1975, il Testo Unico riconosce parità di trattamento e l’uguaglianza di diritti tra i lavoratori non comunitari legalmente residenti nel territorio e le loro famiglie.
La condizione dei cittadini stranieri tuttavia, per l’ingente stratificazione normativa, risulta una condizione fortemente stratificata per categorie cui corrisponde una condizione giuridica e quote di diritti differenziati (es. lavoratori, studenti, ricercatori, richiedenti protezione internazionale, distaccati, residenti di breve o di lungo periodo, ecc.).
Per quanto riguarda i cittadini comunitari e i loro familiari, qualunque sia la loro cittadinanza, il diritto alla libera circolazione è invece regolata dal Decreto legislativo 6 febbraio 2007, n. 30, Attuazione della Direttiva 2004/38/CE relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri”.
Fonti normative
Decreto Legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (e s.m.i.), Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero e successive modificazioni e integrazioni introdotte in particolare da:
- Decreto legislativo 19 ottobre 1998, n. 380, Disposizioni correttive al testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, a norma dell’articolo 47, comma 2, della legge 6 marzo 1998, n 40;
- Decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 113, Disposizioni correttive al testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, a norma dell’articolo 47, comma 2, della legge 6 marzo 1998, n. 40;
- Legge 30 luglio 2002, n. 189, Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo;
- Legge 12 Novembre 2004, n. 271, Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 14 Settembre 2004, n. 241, recante disposizioni urgenti in materia di immigrazione;
- Decreto legislativo 8 Gennaio 2007, n. 3, Attuazione della direttiva 2003/109/CE relativa allo status di cittadini di Paesi terzi soggiornanti di lungo periodo;
- Decreto legislativo 8 Gennaio 2007, n. 5, Attuazione della direttiva 2003/86/CE relativa al diritto di ricongiungimento familiare;
- Decreto legislativo 6 Febbraio 2007, n. 30, Attuazione della direttiva 2004/38/CE relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri;
- Decreto legislativo 10 Agosto 2007, n. 154, Attuazione della direttiva 2004/114/CE, relativa alle condizioni di ammissione dei cittadini di Paesi terzi per motivi di studio, scambio di alunni, tirocinio non retribuito o volontariato;
- Decreto legislativo 9 Gennaio 2008, n. 17, Attuazione della direttiva 2005/71/CE relativa ad una procedura specificamente concepita per l’ammissione di cittadini di Paesi terzi a fini di ricerca scientifica;
- Legge 24 Luglio 2008, n. 125, Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 23 Maggio 2008, n. 92, recante misure urgenti in materia di sicurezza pubblica;
- Legge 6 Agosto 2008, n. 133, Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 25 Giugno 2008, n. 112, recante misure urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria;
- Decreto legislativo 3 Ottobre 2008, n. 160, Modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 8 gennaio 2007, n. 5, recante attuazione della direttiva 2003/86/CE relativa al diritto di ricongiungimento familiare;
- Legge 15 Luglio 2009, n. 94, Disposizioni in materia di sicurezza pubblica;
- Legge 2 Agosto 2011, n. 129, Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 23 Giugno 2011, n. 89, recante disposizioni urgenti per il completamento dell’attuazione della direttiva 2004/38/CE sulla libera circolazione dei cittadini comunitari e per il recepimento della direttiva 2008/115/CE sul rimpatrio dei cittadini di Paesi terzi irregolari;
- Decreto legislativo 28 giugno 2012, n. 108, Attuazione della direttiva 2009/50/CE sulle condizioni di ingresso e soggiorno di cittadini di Paesi terzi che intendano svolgere lavori altamente qualificati;
- Decreto legislativo 16 luglio 2012, n. 109, Attuazione della direttiva 2009/52/CE che introduce norme minime relative a sanzioni e a provvedimenti nei confronti di datori di lavoro che impiegano cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno è irregolare;
- Decreto Legislativo 13 febbraio 2014, n. 12, Attuazione della direttiva 2011/51/UE, che modifica la direttiva 2003/109/CE del Consiglio per estenderne l’ambito di applicazione ai beneficiari di protezione internazionale;
- Decreto Legislativo 21 febbraio 2014, n. 18, Attuazione della direttiva 2011/95/UE recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta;
- Decreto Legislativo 4 marzo 2014, n. 24, Attuazione della direttiva 2011/36/UE, relativa alla prevenzione e alla repressione della tratta di esseri umani e alla protezione delle vittime, che sostituisce la decisione quadro 2002/629/GAI;
- Decreto Legislativo 4 marzo 2014, n. 40 Attuazione della direttiva 2011/98/UE relativa a una procedura unica di domanda per il rilascio di un permesso unico che consente ai cittadini di Paesi terzi di soggiornare e lavorare nel territorio di uno Stato membro e a un insieme comune di diritti per i lavoratori di Paesi terzi che soggiornano regolarmente in uno Stato membro;
- Decreto Legislativo 29 ottobre 2016, n. 203, Attuazione della direttiva 2014/36/UE sulle condizioni di ingresso e di soggiorno dei cittadini di Paesi terzi per motivi di impiego in qualità di lavoratori stagionali.
Decreto del Presidente della Repubblica, 1 Agosto 1999, n. 394, Regolamento recante norme di attuazione del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, a norma dell’articolo 1, comma 6, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni introdotte da:
- Legge 11 Agosto 2003, n. 228, Misure contro la tratta di persone;
- Decreto del Presidente della Repubblica 18 Ottobre 2004, n. 334, Regolamento recante modifiche ed integrazioni al D.P.R. 31 agosto 1999, n. 394, in materia di immigrazione
- Legge 24 Luglio 2008, n. 125, Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 23 Maggio 2008, n. 92, recante misure urgenti in materia di sicurezza pubblica
- Decreto Legislativo 4 marzo 2014, n. 40 Attuazione della direttiva 2011/98/UE relativa a una procedura unica di domanda per il rilascio di un permesso unico che consente ai cittadini di Paesi terzi di soggiornare e lavorare nel territorio di uno Stato membro e a un insieme comune di diritti per i lavoratori di Paesi terzi che soggiornano
- Decreto Legislativo 29 ottobre 2016, n. 203, Attuazione della direttiva 2014/36/UE sulle condizioni di ingresso e di soggiorno dei cittadini di Paesi terzi per motivi di impiego in qualità di lavoratori stagionali.
Immigrazione regolare/irregolare
Per immigrazione regolare si intende lo spostamento delle persone verso un nuovo luogo di transito o di soggiorno nel rispetto delle disposizioni in materia vigenti nello Stato interessato al transito o al soggiorno
Per immigrazione irregolare e/o illegale si intende invece lo spostamento di persone verso un nuovo luogo di soggiorno o di transito senza che vengano rispettate le disposizioni vigenti nello Stato di ingresso o soggiorno .
Le cause che determinano l’irregolarità sono diverse: dall’inefficiente programmazione dei flussi di ingresso che non rispondono alle esigenze effettive del mercato del lavoro, alla mancanza di una possibilità di ingresso per ricerca lavoro, alla inconvertibilità, se non in casi eccezionali a tutela di un diritto fondamentale, di soggiorni di breve durata in permessi a lunga durata.
L’immigrazione irregolare riguarda quindi anche la condizione di chi, pur avendo fatto ingresso nel pieno rispetto delle disposizioni previste, ha perso le condizioni per proseguire il proprio soggiorno e permane sul territorio.
Il respingimento, come provvedimento di contrasto all’ingresso irregolare nel territorio dello Stato e l’espulsione, come provvedimento di allontanamento anche coattivo dallo Stato, sono, con la detenzione amministrativa e la previsione del reato di ingresso e soggiorno irregolari, le principali misure di contrasto della condizione illegale della persona straniera.
La condizione di irregolarità non si traduce, tuttavia, sempre e necessariamente in una condizione che determina il respingimento o l’espulsione così allorché ricorre l’obbligo di tutela di un diritto fondamentale come nel caso di richiesta di protezione internazionale.
Il contrasto dell’immigrazione irregolare e clandestina continua a rimanere il tema prevalente nel dibattito pubblico sull’immigrazione ed ha connotato le due riforme più significative del 2002 con la legge 189 (c.d. Bossi- Fini) e il 2009 con la legge 94 ( uno dei cinque provvedimenti del c.d. Pacchetto sicurezza).
Va tuttavia distinto il contrasto delle singole condizioni di irregolarità dal contrasto in sede penale, e in una dimensione spesso necessariamente di coordinamento sovranazionale, dei traffici criminali legato alla migrazione illegale e clandestina, di cui spesso i migranti sono vittime anche a costo della vita.
Sono penalmente perseguiti: il favoreggiamento dell’immigrazione illegale sia per l’ingresso, che per il transito (art. 12. Co. 1 e3 del TUI), che per la permanenza nel territorio dello Stato ( art. 12. Co. 5 TUI) oltre alla cessione e fornitura di alloggio al fine di trarne ingiusto profitto allo straniero privo del titolo di soggiorno ( art. 12 co. 5-bis).
Sono altresì punti la riduzione in schiavitù (art. 600 c.p.) e la tratta degli esseri umani (art. 601 c.p., D.lgs. n. 24 del 4 marzo 2014 di attuazione della direttiva 36/2011 UE ).
Per quanto non riguardi necessariamente i soli lavoratori stranieri ha comunque specifico rilievo il reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro di cui all’art. 603-bis c.p. soprattutto in relazione all’approfittamento dello stato di bisogno.
Una norma specifica del Testo unico (art. 22, co. 12) punisce il datore di Lavoro che occupi alle proprie dipendenze lavoratori stranieri primi del permesso di soggiorno o con permesso scaduto di cui non sia stato chiesto il rinnovo nei termini, o che sia stato revocato o annullato.
L’accesso al mercato del lavoro dei lavoratori extracomunitari: La programmazione delle quote di ingresso per lavoro subordinato a tempo indeterminato o determinato non stagionale.
L’accesso al mercato del lavoro dei lavoratori extracomunitari è stato inizialmente disciplinato dalla Legge n. 39 del 1990 (cd. “Legge Martelli”) che all’art. 2, co. 3, istituiva il criterio della programmazione dei flussi di ingresso in Italia per ragioni di lavoro degli stranieri extracomunitari.
Il D.Lgs. n. 469 del 1997 ha ripreso tale principio all’art. 1, co.3, lett. a, attribuendo allo stato la competenza sul controllo dei flussi.
Attualmente la tematica è disciplinata dal T. U. n. 286 del 1998, nel quale era confluita la legge n. 40 del 1998 (cd. “Legge Turco-Napolitano”)
Dal combinato disposto degli artt. 3, co. 4 e 21, co.1, del T. U. si desume il principio della programmazione degli accessi, che consiste nella definizione dei flussi di ingresso degli stranieri nel territorio italiano, sulla base dei criteri stabiliti nel documento programmatico sulla politica dell’immigrazione, predisposto dal Presidente del Consiglio, che ha validità triennale e che definisce annualmente le quote massime di stranieri ammissibili nel territorio dello stato per lo svolgimento di attività lavorativa di carattere subordinato, anche di carattere stagionale o autonomo.
L’art. 21, co. 5, del T. U., prevede poi la possibilità di stipulare accordi bilaterali con stati non appartenenti all’Unione europea, finalizzati alla regolazione dei flussi di ingresso attraverso l’assegnazione in via preferenziale di quote riservate.
Tali accordi prevedono che, ai fini dell’ingresso in Italia per lo svolgimento di un’attività lavorativa, i lavoratori stranieri si iscrivano in apposite liste specificando le loro qualifiche o mansioni.
Nel periodo previsto dal Decreto flussi l’art. 22, co. 2, del T. U., precisa che i datori di lavoro, che vogliano impiegare con un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato o determinato in Italia cittadini stranieri residenti all’estero, possano presentare allo Sportello unico per l’immigrazione la richiesta di nulla osta al lavoro.
Tale richiesta può essere o nominativa, riguardare quindi un determinato lavoratore residente all’estero o numerica di uno o più lavoratori iscritti nelle liste, istituite in base ad accordi bilaterali, presso l’autorità consolare nel Paese di origine, degli stranieri che aspirano a lavorare in Italia.
La richiesta deve contenere, oltre ai dati del datore di lavoro e del lavoratore, in caso di richiesta nominativa, il trattamento retributivo e assicurativo previsto dai Contratti collettivi di lavoro applicabili e l’impegno a comunicare tempestivamente allo Sportello Unico per l’Immigrazione ogni variazione del rapporto di lavoro.
La richiesta deve essere accompagnata dalla proposta del contratto di soggiorno.
L’art. 22, al co. 5, (come modificato dal D.Lgs. 4072014) stabilisce un termine massimo di 60 giorni dalla presentazione della richiesta entro il quale, nel rispetto delle quote massime prefissate di lavoratori stranieri, lo sportello unico rilascia il nulla osta, dopo aver verificato preventivamente che le condizioni di lavoro offerte allo straniero siano conformi a quelle previste dal contratto collettivo applicabile allo specifico rapporto di lavoro.
Le condizioni di cui all’art. 22 devono risultare dalla proposta di contratto di soggiorno per lavoro subordinato, che accompagna la richiesta di nulla osta e comprende l’impegno al pagamento da parte del datore di lavoro delle spese di ritorno dello straniero nel Paese di provenienza così come la documentazione relativa alle modalità di sistemazione alloggiativa.
Il nulla osta viene quindi inviato in via telematica all’autorità consolare- diplomatica dello stato di origine o di residenza dello straniero che, previ accertamenti, rilascia il visto di ingresso con indicazione del codice fiscale.
Il lavoratore straniero entro 8 giorni dall’ingresso in Italia dovrà richiedere presso lo Sportello unico per l’immigrazione che ha rilasciato il nulla osta, il rilascio del permesso di soggiorno, firmare il contratto di soggiorno e sottoscrivere l’accordo di integrazione di cui all’art. 5-bis del Testo unico.
I documenti di cui il lavoratore deve essere in possesso quindi sono: visto di ingresso; nulla osta al lavoro; ricevuta della richiesta di permesso di soggiorno, contratto di soggiorno; contratto di lavoro.
Per il lavoratore la perdita del posto di lavoro non costituisce motivo di revoca del permesso di soggiorno (art. 22, co. 11).
Il lavoratore straniero, che abbia perso il posto di lavoro, anche per dimissioni, può iscriversi presso il Centro per l’Impiego per il periodo di residua validità del permesso di soggiorno, e comunque per un periodo non inferiore all’anno. (art.4, comma 30, l. 92/2012).
La tutela antidiscriminatoria dei lavoratori extracomunitari
Per i cittadini stranieri con regolare permesso di soggiorno nel territorio italiano vige il principio della parità di trattamento, a parità di condizioni di lavoro con i lavoratori italiani, desumibile innanzitutto dalla convenzione OIL n. 143 del 1975, ripresa poi dall’art. 1 della legge n. 943 del 1986, a sua volta confluita nell’art. 2, co. 3, del T. U. n. 286 del 1998 che stabilisce “la parità di trattamento e la piena uguaglianza di diritti rispetto ai lavoratori italiani”.
Lo scopo precipuo di tale normativa è tutelare il lavoratore straniero ma anche il lavoratore italiano da possibili, quanto non infrequenti, distorsioni del mercato del lavoro, ottenute impiegando lavoratori stranieri a condizioni decisamente più vantaggiose per i datori di lavoro, ma certamente non rispettose degli standard normativi e salariali vigenti.
L’art. 43 del T. U. prevede la tutela antidiscriminatoria e fornisce una definizione molto ampia di discriminazione intendendo con essa qualsiasi “distinzione, esclusione, restrizione o preferenza” basata sulla razza, il colore, l’ascendenza, l’origine nazionale o etnica, le convinzioni e le pratiche religiose e che abbia lo scopo o l’effetto di distruggere o di compromettere il riconoscimento, il godimento o l’esercizio, in condizioni di parità, dei diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico economico, sociale e culturale e in ogni altro settore della vita pubblica.
L’art. 43, co. 2 elenca una serie di casi che costituiscono in ogni caso discriminazione. Tra questi, con richiamo all’articolo 15 dello Statuto dei lavoratori, vengono in rilievo qualsiasi atto o comportamento del datore di lavoro e dei suoi preposti che producano effetti pregiudizievoli, sia che si tratti di discriminazione diretta che indiretta.
Quanto alle definizioni, infatti, il Testo Unico dell’Immigrazione recepisce la distinzione tra discriminazione diretta ed indiretta tipica del diritto antidiscriminatorio. In particolare descrive la discriminazione come un “qualsiasi atto o comportamento che produca un effetto pregiudizievole discriminando, anche indirettamente, i lavoratori in ragione della loro appartenenza ad una razza, ad un gruppo etnico o linguistico, ad una confessione religiosa, ad una cittadinanza” (cfr. art. 43, co.2, lett. e) e la discriminazione indiretta come “ogni trattamento pregiudizievole conseguente all’adozione di criteri che svantaggino in modo proporzionalmente maggiore i lavoratori appartenenti ad una determinata razza, ad un determinato gruppo etnico o linguistico, ad una determinata confessione religiosa o ad una cittadinanza e riguardino requisiti non essenziali allo svolgimento dell’attività lavorativa” (cfr. art. 43, co. 2).
L’art. 44 del decreto prevede poi un’azione civile nel caso in cui la persona straniera, il lavoratore straniero a prescindere dalla sua condizione giuridica posto che la norma non riguarda solo i cittadini stranieri regolarmente soggiornanti, sia oggetto di discriminazione: il lavoratore può presentare ricorso anche personalmente al giudice che, se lo accoglie, emette un’ordinanza in cui intima la cessazione del comportamento pregiudizievole ed impone l’obbligo, per la parte soccombente in giudizio, di adottare i provvedimenti idonei, secondo le circostanze, a rimuovere gli effetti della discriminazione.
Il convenuto può essere chiamato a risarcire anche il danno non patrimoniale.
Il ricorrente è ammesso a provare in giudizio i relativi fatti che adduce con l’utilizzo della c.d. prova statistica.
Nell’ipotesi di discriminazioni collettive l’azione può essere esercitata dalle rappresentanze locali delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative a livello nazionale, a seguito della quale il datore di lavoro soccombente in giudizio può essere obbligato dal giudice ad approntare un piano di rimozione delle discriminazioni poste in essere.
Al fine di realizzare l’applicazione effettiva della tutela antidiscriminatoria per i lavoratori stranieri le regioni, nell’ambito delle loro competenze, devono attivare, con la collaborazione delle associazioni di immigrati e del volontariato sociale, centri di informazione, osservazione, assistenza legale per gli stranieri oggetto di discriminazioni (cfr. art. 44, co. 12, del Decreto 286).
Sia l’art. 43 che l’art. 44 sono applicabili anche dell’art. 44 agli atti “xenofobi, razzisti o discriminatori posti in essere nei confronti non solo degli stranieri ma anche dei cittadini italiani, di apolidi e di cittadini di altri Stati membri dell’Unione europea presenti in Italia (art. 43, co. 3).
Si segnala inoltre che i cittadini stranieri godono della tutela prevista dall’apparato normativo del Diritto antidiscriminatorio successivo all’adozione del testo unico tra cui il Decreto Legislativo 215/2003 di recepimento della Direttiva 2000/43 per la parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica e del Decreto Legislativo 216/2003 di attuazione della Direttiva 2000/78/CE per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro.
L’espulsione amministrativa dello straniero irregolare e la relativa disciplina sanzionatoria
A seconda dei motivi per i quali vengono emessi i provvedimenti di espulsione possono essere di diverso tipo ed emanati da autorità diverse:
- espulsione per motivi di ordine pubblico e sicurezza dello Stato o in azioni di contrasto delle attività terroristiche. In tal caso è disposto con Decreto dal Ministero dell’Interno o dal Tribunale dei minori per i minorenni
- espulsione a titolo di misura di sicurezza. Viene disposta dal Giudice con sentenza in caso di pericolosità sociale;
- espulsione a titolo di sanzione sostitutiva della pena detentiva. Viene disposta dl Giudice con sentenza per condanne = o < ai due anni
- espulsione alternativa alla detenzione disposta dalla Magistratura di sorveglianza in fase di espiazione pena.
- espulsione per soggiorno illegale disposta dal prefetto
Quest’ultimo è il provvedimento più frequente e viene adottato dal prefetto, caso per caso.
L’art. 13 del Testo unico prevede che venga disposta quando lo straniero:
- è entrato nel territorio dello Stato sottraendosi ai controlli di frontiera e non è stato respinto ai sensi dell’articolo 10;
- si è trattenuto nel territorio dello Stato in assenza della comunicazione del committente prevista per i lavoratori stranieri dipendenti da appaltatore residente o con sede in uno Stato membro dell’Unione europea
- senza avere richiesto il permesso di soggiorno nel termine prescritto;
- quando il permesso di soggiorno è stato revocato o annullato o rifiutato;
- quando il permesso di soggiorno è scaduto da più di sessanta giorni e non ne è stato chiesto il rinnovo
- se lo straniero si è trattenuto sul territorio dello Stato in violazione delle norme previste per soggiorni di breve durata per visite, affari, turismo e studio (art. 1 l. 68/2007);
- quando lo straniero appartiene a taluna delle categorie indicate negli articoli 1, 4 e 16, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 (Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonche’ nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136.).
L’espulsione è eseguita dal questore con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica in specifiche ipotesi previste dal TU di Pubblica Sicurezza nonché, si rammenta, quando sussiste il rischio di fuga; quando la domanda di permesso di soggiorno è stata respinta in quanto manifestamente infondata o fraudolenta; qualora, senza un giustificato motivo, lo straniero non abbia osservato il termine concesso per la partenza volontaria; nelle ipotesi in cui sia stata disposta l’espulsione dello straniero come sanzione penale o come conseguenza di una sanzione penale.
Il decreto di espulsione deve essere emesso dal prefetto con adeguata motivazione ed al contempo indicare la durata, variabile da 5 a 10 anni del divieto di reingresso.
Il decreto di espulsione emesso dal prefetto è immediatamente esecutivo ma soggetto a possibile revisione mediante ricorso al giudice di pace.
L’art. 13 comma 5 bis prevede, poi, che nelle ipotesi sopradescritte di possibile espulsione del soggetto irregolare il questore comunichi immediatamente e, comunque, entro quarantotto ore dalla sua adozione, al giudice di pace territorialmente competente il provvedimento con il quale è disposto l’accompagnamento alla frontiera.
L’esecuzione del provvedimento del questore recante l’ allontanamento dello straniero dal territorio nazionale è sospesa fino alla decisione sulla convalida. L’udienza per la convalida si svolge in camera di consiglio con la partecipazione necessaria di un difensore tempestivamente avvertito. Anche l’interessato è ovviamente informato tempestivamente e condotto nel luogo in cui il giudice tiene l’udienza.
Il cittadino irregolare è ammesso all’assistenza legale da parte di un difensore di fiducia munito di procura speciale nonché al gratuito patrocinio a spese dello Stato.
Ove ne ricorrano i requisiti il giudice provvede alla convalida, con decreto motivato, entro le quarantotto ore successive. Nelle more della definizione del procedimento di convalida, lo straniero espulso è trattenuto in uno dei centri di permanenza per i rimpatri.
Quando la convalida è concessa, il provvedimento di accompagnamento alla frontiera diventa esecutivo. Se la convalida non è concessa ovvero non è osservato il termine per la decisione, il provvedimento del questore perde ogni effetto. Avverso il decreto di convalida è comunque proponibile ricorso per cassazione ma tale ricorso non sospende l’esecuzione dell’allontanamento dal territorio nazionale.
Il successivo art. 14 disciplina poi un profilo esecutivo specifico del provvedimento di espulsione. Quando, infatti, non è possibile eseguire con immediatezza l’espulsione mediante accompagnamento alla frontiera o il respingimento, il questore dispone che lo straniero sia trattenuto per il tempo strettamente necessario presso il centro di permanenza per i rimpatri più vicino.
Anche tale provvedimento è comunicato entro 48 ore dalla notifica al giudice di pace competente per territorio. Il giudice, se ne ricorrono i presupposti, dispone con decreto la convalida nelle successive 48 ore. Le misure, su istanza dell’interessato, sentito il questore, possono essere modificate o revocate dal giudice di pace. Lo straniero è trattenuto nel centro con modalità tali da assicurare la necessaria assistenza ed il pieno rispetto della sua dignità.
Anche in tale caso il procedimento di convalida instaurato innanzi al Giudice di Pace prevede la tempestiva informazione dell’interessato e la possibilità per quest’ultimo di essere assistito da un legale di fiducia o di accedere al gratuito patrocinio a spese dello Stato.
Qualora ricorrano i requisiti per la sua adozione il giudice provvede alla convalida dell’espulsione, con decreto motivato, entro le quarantotto ore successive. Il provvedimento cessa, invece, di avere ogni effetto qualora non sia osservato il termine per la decisione. La convalida comporta la permanenza nel centro per un periodo di trenta giorni. Qualora l’accertamento dell’identità e della nazionalità ovvero l’acquisizione di documenti per il viaggio presenti gravi difficoltà, il giudice, su richiesta del questore, può prorogare il termine di ulteriori trenta giorni Trascorso tale termine, il questore può chiedere al giudice di pace una o più proroghe qualora siano emersi elementi concreti che consentano di ritenere probabile l’identificazione ovvero sia necessario al fine di organizzare le operazioni di rimpatrio.
In ogni caso il periodo massimo di trattenimento dello straniero all’interno del centro di permanenza per i rimpatri non può essere superiore a novanta giorni.
Il permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo
Il permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo è stato introdotto nell’ordinamento con recepimento della Direttiva 2003/109/CE del Consiglio, del 25 novembre 2003, relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo.
La Direttiva aveva lo scopo di avvicinare lo status giuridico dei cittadini di Paesi terzi allo status giuridico del cittadini comunitari, garantendo ai cittadini stranieri soggiornanti regolarmente e di lungo periodo in uno Stato membro una serie di diritti uniformi.
Il permesso UE autorizza gli stranieri a permanere a tempo indeterminato sul territorio nazionale.
I requisiti per il rilascio sono:
- titolarità di un permesso per motivi diversi da studio o formazione professionale, protezione temporanea, motivi umanitari, quelli relativi a soggiorni di breve durata, a soggiorni per motivi diplomatici o per missioni speciali o in rappresentanza di organizzazioni internazionali; per richiesta di protezione internazionale, per volontariato
- soggiorno regolarmente in Italia da almeno 5 anni
reddito non inferiore all’importo dell’assegno sociale o, in caso di richiesta per i familiari, all’importo previsto per il ricongiungimento - il permesso può essere chiesto per sé e per i familiari ricongiungibili ( ex art. 29 TUI) e in tal caso bisogna dimostrare anche la disponibilità di un alloggio idoneo che rientri nei parametri minimi previsti dalle leggi regionali per l’edilizia popolare o la cui idoneità igienico-sanitaria sia certificata dalla ASL
- superamento di un test di lingua italiana salvo che per i figli minori con età inferiore ai 14 anni, per persone affette da gravi limitazioni alla capacità di apprendimento linguistico per età, patologie o handicap certificata, per straniero cui è stato riconosciuto il diritto alla protezione internazionale.
Il titolare di permesso UE slp gode di parità di trattamento con il Cittadino italiano per accesso alle prestazioni di assistenza sociale e di previdenza sociale, erogazioni in materia sanitaria, scolastica, sociale, accesso a beni e servizi a disposizione del pubblico, incluso l’accesso alla procedura per l’assegnazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica salvo che sia espressamente disposto il contrario
II possesso del permesso di soggiorno consente di svolgere attività lecite che non siano espressamente attribuite a cittadini italiani.
Il titolare del permesso di soggiorno può essere espulso solo per gravi motivi di ordine pubblico o di sicurezza nazionale o perché ritenuto socialmente pericoloso.
La Carta Blu UE
Dall’ agosto 2012– recependo la dir. 2009/50 – il legislatore italiano ha introdotto, all’art. 27 del D.lgs. 286/1998, uno specifico permesso di soggiorno, denominato “Carta Blu UE”, riservato a lavoratori extracomunitari altamente qualificati.
Le qualifiche professionali devono essere certificate dai Paesi di origine e l’attività lavorativa svolta in Italia deve essere, nei primi due anni di soggiorno, conforme alle qualifiche per le quali si è ottenuto il permesso.
Questo tipo di permesso consente l’ingresso e il soggiorno al di fuori delle quote annualmente stabilite dal decreto flussi.
La Carta BLU ha durata biennale nel caso di contratto di lavoro a tempo indeterminato, oppure ha una durata pari a quella del rapporto di lavoro. I titolari di Carta Blu possono richiedere il ricongiungimento familiare, conformemente al D.lgs. 286/1998, a prescindere dalla durata del permesso di soggiorno.
Entro un mese dall’ingresso nel territorio la domanda di nulla osta al lavoro per i lavoratori stranieri altamente qualificati deve essere presentata dal datore di lavoro allo Sportello Unico per l’Immigrazione presso la Prefettura.