Questa voce è stata curata da Arianna Castelli
Scheda sintetica
Nel nostro ordinamento, non esiste una nozione legislativa di lavoro autonomo; infatti, benché il codice civile intitoli “Del lavoro autonomo” il Titolo III del Libro V, in tale sede in realtà viene disciplinato solo il contratto d’opera (Capo I) e le professioni intellettuali (Capo II), mentre discipline specifiche sono previste in relazione a ipotesi di lavoro autonomo diverse dal contrato d’opera nello stesso codice civile (appalto, deposito ecc.) o dall’autonomia privata.
Per distinguere il lavoro autonomo da quello subordinato, di regola si fa ricorso a un indice principale, ovvero la soggezione del lavoratore al potere direttivo del committente. Tuttavia, laddove nel caso concreto tale situazione di soggezione non emerga chiaramente, è possibile ricorrere a indici cosiddetti suppletivi, quali l’inserimento nell’impresa del committente, la continuità della prestazione, la l’assenza di rischio di impresa, il rispetto dell’orario di lavoro, la percezione di una retribuzione fissa e a scadenze prestabilite (si veda in proposito la voce Indici della subordinazione).
Sul punto è intervenuta anche la Corte Costituzionale affermando che, in realtà, l’elemento qualificante la cd. subordinazione in senso stretto, non riscontrabile in altre tipologie di rapporto per quanto similari, sia il fatto che la prestazione lavorativa si svolge all’interno di un’organizzazione produttiva di un altro soggetto che è anche l’unico legittimato ad appropriarsi del prodotto di tale attività lavorativa.
La qualificazione dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa ha storicamente presentato maggiori difficoltà, in quanto, pur essendo formalmente riconducibili nell’area del lavoro autonomo, presentavano elementi di affinità con il lavoro subordinato.
La legge n. 81/2017 ha chiarito che la collaborazione sia coordinata quando, nel rispetto delle modalità di coordinamento stabilite di comune accordo tra le parti, il collaboratore organizza autonomamente l’attività lavorativa. Ciò coerentemente con quanto stabilito dall’art. 2 D.Lgs. 81/2015, secondo cui la disciplina del rapporto di lavoro subordinato deve essere applicata anche ai rapporti di collaborazione che siano caratterizzati da una prestazione lavorativa esclusivamente personale e continuativa, sempre che le modalità di esecuzione della prestazione siano organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro.
In ogni caso, tratto comune a tutte queste ipotesi è l’assenza di una disciplina previdenziale complessiva e unitaria, che assicuri ai lavoratori autonomi complessivamente considerati una qualche forma di assistenza in casi di difficoltà o di assenza dal lavoro.
Occorre precisare infatti come le forme di tutela riconosciute mutino a seconda delle diverse tipologie di lavoro autonomo: accanto ai liberi professionisti -iscritti alle apposite casse di previdenza- e agli artigiani, commercianti e lavoratori autonomi agricoli -iscritti alla Gestione speciale-, vi sono infatti tutti coloro che sono iscritti alla Gestione separata Inps. E’ proprio quest’ultimo gruppo che sembrerebbe rappresentare la categoria di lavoro autonomo “più debole” poiché in esso devono essere ricompresi i lavoratori autonomi occasionali, nonché i collaboratori e i venditori a domicilio con reddito superiore a 5.000 euro.
Tuttavia, originariamente, non era stata disposta alcuna particolare tutela in favore di quest’ultima tipologia di lavoratori autonomi, salvo talune scarne disposizioni in materia di maternità e congedi parentali. L’evolversi del mercato del lavoro, anche in seguito alla crisi economica degli ultimi anni, ha però fatto sì che l’assenza di garanzie sul piano previdenziale (oltre che su quello del rapporto di lavoro) pregiudicasse in modo non tollerabile la posizione di questa categoria di lavoratori.
Per ovviare a questo problema, il legislatore è intervenuto con la legge 22 maggio 2017, n. 81, definita il “Jobs Act degli autonomi” . Tale provvedimento riconosce agli iscritti alla Gestione separata un ventaglio di diritti – in realtà piuttosto limitati – riguardanti soprattutto le prestazioni previdenziali e sociali, senza tuttavia predisporre un sistema assistenziale e previdenziale completo e capace di rispondere alle sempre più pressanti istanze di protezione di tale categoria.
In ogni caso, oltre a ciò, il provvedimento contiene anche disposizioni di carattere generale concernenti le misure di politica attiva.
Fonti normative
- Decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151.
- Legge 22 maggio 2017, n. 81.
A chi rivolgersi
- Ufficio vertenze sindacale
- Studio legale specializzato in diritto del lavoro
Profili previdenziali – Il cd. Jobs Act degli autonomi
Indennità di maternità
Già prima dell’entrata in vigore della L. n. 81/2017 le lavoratrici autonome iscritte alla Gestione separata (art. 64 D.Lgs. n. 151/2001) avevano diritto a un’indennità di maternità per il periodo corrispondente ai due mesi precedenti la data del parto e ai tre mesi successivi a tale termine (cinque mesi complessivi in caso di adozione o di affidamento). L’indennità era fissata in misura corrispondente all’80% del reddito prodotto dalla collaborazione nei dodici mesi precedenti l’astensione per maternità, diviso per 365 giorni. Tuttavia, affinché la lavoratrice potesse effettivamente fruire di tale prestazione era necessario, oltre all’accredito di almeno tre mesi di contribuzione nei dodici mesi precedenti i due mesi antecedenti il parto, che la potenziale beneficiaria presentasse un’attestazione di astensione effettiva dal lavoro resa insieme al committente con dichiarazione sostitutiva dell’atto notorio.
In seguito all’entrata in vigore del cd. “Jobs Act degli autonomi”, invece, è stato disposto che le lavoratrici autonome in questione possono fruire dell’indennità anche nel caso in cui continuino a svolgere la propria attività lavorativa durante il periodo di cui sopra.
Restano invece invariate le disposizioni che, indipendentemente dall’estensione, riconoscono l’indennità di maternità per i due mesi antecedenti alla data del parto e i tre mesi successivi alla stessa in favore delle lavoratrici autonome, coltivatrici dirette, mezzadre, artigiane e esercenti attività commerciale (artt. 66 e ss D.Lgs. 151/2001) e per le libere professioniste (artt. 70 e ss D.Lgs. n. 151/2001). Nel primo caso, la misura dell’indennità è pari all’80% della retribuzione giornaliera stabilita annualmente dalle apposite leggi; nel secondo caso, invece, l’importo corrisponde all’80% di cinque dodicesimi del solo reddito professionale percepito e denunciato ai fini fiscali come reddito da lavoro autonomo dalla libera professionista nel secondo anno precedente a quello dell’evento.
Congedo parentale
A partire dalla data di entrata in vigore della L. n. 81/2017, ai lavoratori e alle lavoratrici iscritti alla Gestione separata Inps sarà riconosciuto un trattamento economico per congedo parentale. Tale previsione non costituisce un’assoluta novità nel nostro ordinamento poiché già l’art. 69 del D.Lgs. n. 151/2001 prevedeva che le lavoratrici madri autonome (nonché i genitori adottivi o affidatari) godessero del congedo parentale di tre mesi -con annesso trattamento economico e previdenziale- nel limite del primo anno di vita del bambino.
L’art. 8 della L. n. 81/2017 ha esteso il limite di durata di tale congedo a sei mesi calcolati nell’arco dei primi tre anni di vita del bambino. Oltre a ciò, è stato disposto che i trattamenti economici per congedo parentale fruiti complessivamente da entrambi i genitori -anche se erogati da altra gestione o cassa di previdenza- non possono in ogni caso superare il tetto di sei mesi.
La misura è prevista anche a favore del padre lavoratore autonomo.
Il trattamento può essere corrisposto solo se risultano versate almeno tre mensilità di contribuzione nei dodici mesi precedenti l’inizio del periodo indennizzabile; tuttavia, non è previsto alcun limite contributivo nel caso di fruizione del congedo parentale durante il primo anno di vita del bambino: in questo caso il trattamento spetta a chi ha diritto all’indennità di maternità o di paternità.
In ogni caso, la misura dell’indennità corrisponde sostanzialmente al 30% del reddito: in particolare, nel primo caso, il parametro di riferimento sarà il reddito da lavoro relativo alla contribuzione versata, nel secondo, l’indennità di paternità o di maternità.
Per quanto riguarda gli artigiani e i commercianti, l’astensione facoltativa dal lavoro -non riconosciuta a favore dei padri lavoratori autonomi- è ammessa per tre mesi entro il primo anno di vita del bambino e l’ammontare del trattamento retributivo è pari al 30% della retribuzione. Il diritto a tale prestazione è subordinato al pagamento dei contributi riferibili al mese precedente all’inizio del congedo.
Malattia e infortunio
Sempre a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge, nel caso di malattia o infortunio che impedisca l’attività lavorativa per oltre 60 giorni, è prevista la sospensione del versamento dei contributi previdenziali, e ciò per l’intera durata della malattia o dell’infortunio e fino a un massimo di due anni, decorsi i quali il lavoratore è tenuto a versare i contributi maturati durante il periodo di sospensione. La restituzione può avvenire in un numero di rate mensili pari a tre volte i mesi in cui il versamento era stato sospeso.
Indennità di disoccupazione (DIS-COL)
Storicamente, una delle maggiori lacune presenti nel nostro ordinamento è stata l’assenza di una misura volta a tutelare i collaboratori coordinati e continuativi in concomitanza con il verificarsi dell’evento disoccupazione, generando così un’ingiustificata disparità di trattamento con i lavoratori subordinati. Per tale motivo, già il legislatore del 2015 aveva previsto un’apposita prestazione destinata a sostenere il reddito dei collaboratori in caso di perdita del posto di lavoro; ciò nonostante, la misura era occasionale, essendo destinata ad essere rifinanziata di anno in anno.
Tale criticabile impostazione è stata opportunamente superata dalla L. n. 81/2017 che ha reso strutturale tale misura a partire dal 1 luglio 2017.
Oltre a tale innovazione, il decreto ha ampliato la platea dei soggetti beneficiari, ricomprendendovi -accanto ai collaboratori coordinati e continuativi – anche gli assegnisti e i dottorandi di ricerca con borsa di studio.
Originariamente, il D.Lgs. n. 22/2015 aveva stabilito che per poter fruire della prestazione i collaboratori, oltre al possesso dello stato di disoccupazione, facessero valere almeno tre mesi di contribuzione nel periodo che andava dal primo gennaio dell’anno solare precedente all’evento di disoccupazione fino a tale momento, oltre a un mese di contribuzione oppure di lavoro parasubordinato nell’anno solare in cui si verificava l’evento, purché avesse dato luogo a un reddito almeno pari alla metà dell’importo che dava diritto all’accredito di un mese di contribuzione.
Tale disciplina continuerà ad applicarsi esclusivamente nel periodo transitorio poiché a partire dal 1 luglio 2017 i percettori della DIS-COLL devono dimostrare solo di possedere lo stato di disoccupazione e far valere almeno tre mesi di contribuzione nel periodo che va dal 1 gennaio dell’anno civile precedente all’evento disoccupazione fino a tale momento. Tuttavia a tale riduzione dei requisiti d’accesso alla prestazione fa da contraltare un aumento dell’aliquota contributiva, innalzata allo 0,51% per far fronte agli oneri derivanti dall’attuazione delle nuove disposizioni.
Ad esclusione di queste innovazioni, continua invece ad applicarsi la disciplina del 2015 per quanto concerne la misura dell’indennità, le modalità di erogazione della stessa e la contribuzione figurativa.
In particolare, l’importo viene erogato mensilmente e la sua misura è rapportata all’ammontare del reddito imponibile. Inoltre, diversamente da quanto avviene in occasione dell’erogazione della Naspi, non è prevista contribuzione figurativa e nel caso in cui il collaboratore intraprenda un’attività in forza di un contratto di lavoro subordinato il trattamento può essere sospeso per soli cinque giorni.
Da tali ultimi rilievi, pertanto, emerge chiaramente come nonostante le ultime modifiche permanga una disparità di trattamento non giustificabile tra precettori della Dis-Col e precettori della Naspi.
Politiche attive
I centri per l’impiego e gli organismi autorizzati alle attività di intermediazione in materia di lavoro devono predisporre, in ogni sede aperta al pubblico, uno sportello appositamente dedicato al lavoro autonomo. A tal fine, i medesimi soggetti possono stipulare convenzioni non onerose con gli ordini professionali e con le associazioni comparativamente più rappresentative sul piano nazionale dei lavoratori autonomi iscritti e non iscritti ad albi professionali.
Questo sportello è tenuto a svolgere i seguenti compiti:
- raccogliere le domande e le offerte di lavoro autonomo;
- fornire ai professionisti e alle imprese che ne facciano richiesta informazioni circa le domande e le offerte di lavoro autonomo di cui al punto precedente;
- fornire informazioni relative alle procedure per l’avvio delle attività autonome e per le eventuali trasformazioni;
- fornire informazioni in merito all’accesso ad appalti pubblici;
- fornire informazioni relative alle opportunità di credito e alle agevolazioni pubbliche nazionali e locali.