Questa voce è stata curata da Federica Zironi
Scheda sintetica
La retribuzione costituisce il corrispettivo della prestazione fornita dal lavoratore che ha diritto ad un compenso proporzionato alla quantità e qualità del suo lavoro ed in ogni caso sufficiente a garantire a lui ed alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa (art. 36 Costituzione).
In via generale la retribuzione viene determinata liberamente dalle parti, nel rispetto però di un limite minimo, che la giurisprudenza ha individuato nei valori di paga base fissati dai contratti collettivi.
La retribuzione può essere corrisposta in denaro o in natura ed è determinata dalla normale erogazione mensile, dai compensi corrisposti con periodicità superiore al mese e a fine rapporto.
Fonti normative
- Costituzione, art. 36
- Codice civile, artt. 1218, 2094, 2099 e 2103
- Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro
- Accordi aziendali
Cosa Fare – tempi
Nel caso in cui vi sia necessità, effettuare un controllo sulla buste paga per verificare la correttezza della retribuzione.
A chi rivolgersi
- Studio legale specializzato in diritto del lavoro
- Ufficio vertenze sindacale
Documenti necessari
- Buste paga
- Lettera di assunzione
- Comunicazioni relative a passaggi di livello contrattuale
- Accordo collettivo applicato in azienda (se esistente)
Principi generali
La legge non fornisce una definizione esplicita di retribuzione.
La giurisprudenza afferma che essa consiste in tutto quanto il lavoratore riceve dal datore di lavoro in cambio della sua prestazione e a causa della sua soggezione personale nel rapporto (Cass. SU 13/2/1984, n. 1069).
Da questa nozione derivano i seguenti principi:
- corrispettività – il datore di lavoro retribuisce il lavoratore in cambio di una sua effettiva prestazione; tale principio viene derogato in alcuni casi tassativamente previsti di assenze dal lavoro come malattia, ferie, maternità, infortuni sul lavoro, festività, congedo matrimoniale e permessi;
- obbligatorietà – costituiscono retribuzione solo le somme che il datore di lavoro è tenuto a pagare in dipendenza del contratto di lavoro e non quelle erogate a titolo di liberalità;
- continuatività – rientrano nel concetto di retribuzione solo quegli elementi che vengono corrisposti con una certa frequenza e continuità;
- irriducibilità – in caso di passaggio ad altra mansione il lavoratore conserva il diritto di mantenere inalterata la sua retribuzione.
Questi principi non possono essere derogati né dalla contrattazione collettiva né dalle parti.
Scheda di approfondimento
Elementi della retribuzione
RETRIBUZIONE MENSILE
La retribuzione mensile è composta da elementi di base ed, eventualmente, da elementi accessori ed in natura.
Gli elementi di base sono:
- minimo contrattuale; rappresenta la retribuzione minima dovuta al lavoratore, la cui entità è fissata dai contratti collettivi di categoria in relazione a ciascuna qualifica contrattuale. I successivi aumenti sono legati al passaggio di qualifica oppure al rinnovo del CCNL.
- Indennità di contingenza; si tratta di un importo che fino al 31/12/1991 ha avuto la funzione di adeguare la retribuzione agli aumenti del costo della vita. Dal primo gennaio 1992 viene pagato l’importo dell’indennità di contingenza maturato sino a quella data e non è più soggetto ad adeguamenti.
- Elemento distinto della retribuzione (EDR); viene erogato dall’1/1/1993 a tutti i lavoratori del settore privato (con esclusione dei dirigenti), indipendentemente dal contratto applicato e dalla qualifica rivestita. Esso corrisponde ad € 10,33 mensili per 13 mensilità.
- Scatti di anzianità; costituiscono una voce della retribuzione determinata dalla contrattazione collettiva ed erogata al compimento di una determinata anzianità di servizio del lavoratore presso una medesima azienda. Gli importi variano in base alla qualifica e vengono periodicamente incrementati a scadenze diverse a seconda del contratto collettivo applicabile.
In aggiunta a quelli di base, la retribuzione può essere costituita da altri elementi, c.d. elementi accessori.
Tali elementi sono fissati dai contratti collettivi di categoria o aziendali, oppure da accordi individuali:
- superminimi; consistono in somme pattuite nel contratto individuale tra le parti, oppure nell’ambito della contrattazione aziendale. La giurisprudenza sostiene che il superminimo possa essere assorbito, ossia ridotto in occasione di eventuali aumenti di minimi tabellari, anche a seguito di passaggio di categoria, in misura corrispondente agli aumenti stessi. L’assorbimento è escluso solo qualora il contratto collettivo lo vieti o le parti ne prevedano espressamente la non assorbibilità.
- Indennità; sono previste generalmente dai contratti collettivi ed hanno la funzione di compensare lo svolgimento di lavori che comportano maggiori oneri e difficoltà al lavoratore (ad esempio, indennità di reperibilità, maneggio denaro, per attività svolte presso località disagevoli, ecc.).
Il datore di lavoro può erogare anche prestazioni in natura, oltre a quelle di tipo monetario.
I casi più frequenti sono:
- alloggio; le due principali categorie di lavoratori che utilizzano l’alloggio per motivi di servizio sono i portieri e i lavoratori domestici.
- mensa; il servizio mensa, che consiste nel mettere a disposizione dei dipendenti un servizio pasti durante l’intervallo di lavoro, può essere realizzato attraverso mense aziendali interne o esterne o buoni pasto; il servizio mensa non può essere considerato elemento retributivo in grado di avere effetti su altri istituti retributivi legali e contrattuali, salvo diversa previsione di accordi collettivi;
- fringe benefits; le principali ipotesi riguardano la concessione di autovettura, di abitazione, la stipulazione di polizze assicurative e in prestiti agevolati; normalmente nell’accordo individuale vengono precisati gli effetti che queste prestazioni hanno sugli altri istituti e in particolare sul TFR. Il controvalore dell’uso e della disponibilità, anche ai fini personali, dell’autovettura concessa contrattualmente al lavoratore, come beneficio in natura, ha natura retributiva (Cass. 11/2/1998 n. 1428); tale natura può essere esclusa solo quando sia previsto a carico del lavoratore un determinato costo per l’uso personale.
COMPENSI A PERIODICITÀ PLURIMENSILE
Si tratta dei compensi corrisposti con una periodicità superiore a quella del normale periodo di paga e possono avere natura obbligatoria o essere erogati a titolo di liberalità.
I compensi che rientrano in questa categoria sono:
- tredicesima mensilità o gratifica natalizia; l’erogazione è prevista dalla legge (DPR n. 1070/60) ed è attualmente regolata dai diversi contratti collettivi. La tredicesima mensilità viene corrisposta una volta all’anno, in occasione delle feste natalizie. Normalmente l’entità è pari ad una mensilità dell’ordinaria retribuzione. Nel caso di assunzione o cessazione del rapporto durante l’anno oppure di assenze non giustificate, la quota di tredicesima erogabile sarà proporzionale al periodo di servizio effettuato; in tali ipotesi maturano tanti dodicesimi di tredicesima quanti sono stati i mesi di lavoro effettuati; in generale, frazioni di mese lavorate superiori a due settimane, sono considerate mese intero.
- Quattordicesima; alcuni contratti collettivi prevedono l’erogazione di un’ulteriore mensilità che quasi sempre prende il nome di quattordicesima (detta anche premio annuale, premio ferie, gratifica feriale, ecc.). Entità e modalità di erogazione sono di regola analoghe a quelle previste per la tredicesima.
- Premi di produzione; talora è prevista l’istituzione a livello aziendale di particolari premi collegati all’andamento produttivo dell’azienda. I criteri di calcolo, i termini di pagamento e le modalità di contrattazione dei premi stessi variano da un’impresa all’altra.
- Premio di fedeltà; si tratta di erogazioni effettuate in occasione del raggiungimento di una certa anzianità aziendale di servizio, oppure in occasione di un determinato anniversario aziendale. Possono essere obbligatorie o liberali.
Forme della retribuzione
Le forme più usuali di retribuzione sono a tempo e a cottimo, quelle che prevedono un compenso in natura e quelle che prevedono una partecipazione agli utili, alle provvigioni e ai prodotti.
- Retribuzione a tempo; si tratta della forma più comune di retribuzione che consiste nel commisurare il compenso alla durata della prestazione lavorativa. Il termine di riferimento può essere l’ora, la giornata, la settimana, la quindicina, il mese o l’anno in caso delle mensilità aggiuntive.
- Cottimo; in questo caso il lavoratore viene retribuito in base alla quantità di lavoro prodotto e non sulla base del tempo. Il lavoro a cottimo si applica normalmente al personale operaio costituendo un’integrazione della normale retribuzione a tempo. Infatti solo nel caso del lavoro a domicilio esiste una forma di cottimo pieno. La legge pone divieto di ricorrere al lavoro retribuito a cottimo per gli apprendisti. La contrattazione collettiva determina le tariffe del cottimo che diventano definitive dopo un periodo di assestamento, che ha la funzione di permettere la verifica della validità delle stesse e dei relativi rendimenti in un certo arco di tempo.
- Provvigioni; la legge prevede espressamente la possibilità di retribuire il lavoratore in tutto o in parte con provvigioni. Generalmente il lavoratore pagato a provvigioni riceve una retribuzione fissa mensile, cui si aggiunge una quota costituita dalle provvigioni, la cui base di calcolo viene decisa dalle norme contrattuali aziendali o individuali, che stabiliscono una percentuale provvigionale.
- Partecipazione agli utili; in genere è determinata con riferimento agli utili netti dell’impresa, mentre se l’impresa in questione è soggetta alla pubblicazione del bilancio, viene calcolata sugli utili netti risultanti dal bilancio regolarmente approvato e pubblicato. In concreto, la partecipazione agli utili dipende strettamente dall’operato del datore di lavoro, cui il lavoratore può contribuire con la propria prestazione lavorativa.
Busta paga
Tutti i datori di lavoro sono tenuti a consegnare ai propri dipendenti, contemporaneamente alla retribuzione, una busta paga.
Con riguardo al suo contenuto, la busta paga deve riportare:
- nome, cognome e qualifica professionale del lavoratore;
- il periodo cui la retribuzione si riferisce;
- tutti gli elementi che compongono la retribuzione (compresi gli assegni per il nucleo familiare);
- le trattenute.
La legge non ha stabilito volutamente un particolare modello di busta paga per permettere ai datori di lavoro di utilizzare prospetti conformi ai propri sistemi amministrativo-contabili.
I crediti retributivi – prescrizione
Qualora il datore di lavoro ritardi od ometta, in tutto o in parte, il pagamento delle somme dovute, il dipendente può intraprendere un’azione giudiziaria per il recupero delle stesse.
PRESCRIZIONE BREVE
Sono soggetti alla prescrizione di 5 anni tutti i crediti di natura retributiva pagati con periodicità annuale o inferiore, compresi gli interessi relativi alle somme in questione.
Vi rientrano anche il TFR e le altre indennità spettanti per la cessazione del rapporto come, ad esempio, l’indennità sostitutiva del preavviso.
La prescrizione inizia a decorrere:
- in pendenza di rapporto di lavoro, dal momento in cui il diritto può essere fatto valere quando il rapporto è assistito dalla garanzia della stabilità reale;
- dalla data di cessazione del rapporto qualora non operi la garanzia della stabilità reale;
- dalla data di cessazione di ogni singolo rapporto se tra le parti si succedono più rapporti di lavoro.
PRESCRIZIONE PRESUNTIVA
Le somme retributive pagate con cadenza non superiore al mese (ad esempio la paga mensile o settimanale) si prescrivono in 1 anno.
Le somme corrisposte con cadenza superiore al mese si prescrivono in 3 anni.
Casistica di decisioni della Magistratura in tema di retribuzione
In genere
- Sussiste il delitto di estorsione nel caso in cui il datore di lavoro, pur avendola prevista nel contratto di assunzione, non corrisponde alcuna retribuzione per il lavoro svolto, prospettando il licenziamento del dipendente nel caso di presentazione della relativa richiesta (peraltro non formulata dai lavoratori proprio in virtù di siffatta minaccia). (Cass. 12/1/2021 n. 779, Pres. Diotallevi Rel. Pacilli, in Lav. nella giur. 2021, 419)
- Sono inammissibili le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal giudice rimettente in riferimento agli artt. 3, 36 e 117 Cost. e relative alla norma di cui all’art 13 L.R. Sicilia n. 13 dell’11 giugno 2014, nella parte in cui viene stabilito il tetto retributivo massimo di 100.000 euro annui lordi nei soli confronti dei dipendenti, anche con qualifica dirigenziale, degli enti sottoposti a controllo e a vigilanza della Regione, delle società a totale o maggioritaria partecipazione della Regione, nonché degli enti che a qualunque titolo ricevono trasferimenti o contributi a carico del bilancio della Regione; e ciò in ragione della temporaneità della misura, operativa solo per il triennio 2017-2019, nonché del necessario rispetto del limite alle retribuzioni a carico delle finanze pubbliche dettato a livello nazionale e dei principi di coordinamento, razionalizzazione e contenimento della spesa pubblica (massima non ufficiale). (Corte Cost. 4/12/2020 n. 264, Pres. Morelli Red. Sciarra, in Lav. nella giur. 2021, con nota di S. Santoro, La Consulta “salva” il legislatore siciliano: riflessi di metodo della sentenza della Corte anche extramoenia, 387)
- La sospensione dal lavoro e dalla retribuzione della ricorrente, fino al 3 giugno 2020, può trovare fondamento ex art. 202 C.C.N.L. Terziario, nel provvedimento di chiusura del Parco ***, (nel quale si svolge l’attività del chiosco datore di lavoro (N.d.R.), in quanto l’impossibilità della prestazione lavorativa è derivata da fatto non imputabile ad alcuna delle parti, ed è stata conseguente a causa di forza maggiore. Tale prospettazione giuridica non può invece essere estesa anche al periodo successivo al 3 giugno 2020, data in cui il Parco *** ha ripreso la propria attività, e la decisione di non riaprire il chiosco, è stata una decisione unilaterale della società convenuta, che ha trovato fondamento in valutazioni di tipo logistico ed economico, non riconducibili alla causa di forza maggiore, posto che, sotto il profilo logistico, il chiosco poteva essere riaperto con l’osservanza delle cautele previste dalla normativa emergenziale, così come hanno riaperto altri esercizi pubblici, negozi e Pubblici Uffici, con distanziamento, sanificazione e mascherine, mentre sotto il profilo più strettamente economicistico, l’eventuale prognosi di scarsa redditività del chiosco, non integra la causa di forza maggiore, sia in quanto mera previsione, sia perché alla mancanza di redditività poteva essere rimediato con l’utilizzo della Cassa Integrazione. (Trib. Bologna 25/9/2020, in Lav. nella giur. 2021, 210)
- La carta di libera circolazione nei treni del Gruppo FF.SS. non ha natura retributiva.
La carta di libera circolazione del personale ferroviario in servizio e in pensione è disciplinata dalla contrattazione collettiva del Gruppo FF.SS., dopo che, a seguito della privatizzazione delle ferrovie statali, erano state abolite le concessioni di viaggio gratuite o scontate. In una causa di pagamento di differenze retributive conseguenti alla riqualificazione del rapporto di lavoro come subordinato, il dipendente ferroviario pretendeva anche il pagamento del controvalore delle Carte, non fruite nel corso del rapporto. La Corte ha respinto la domanda, escludendo la natura retributiva di esse, in quanto svincolate dalla natura e dalle modalità della controprestazione lavorativa. (Cass. 1/9/2020 n. 18167, Pres. Berrino Rel. Garri, in Wikilabour, Newsletter n. 15/2020) - Il datore di lavoro non può unilateralmente ridurre o sospendere l’attività lavorativa e, specularmente, rifiutare di corrispondere la retribuzione, perché se lo fa incorre in un inadempimento contrattuale, previsto in generale dalla disciplina delle obbligazioni corrispettive, secondo cui il rifiuto di eseguire la prestazione può essere opposto da un contraente (nella specie il datore di lavoro) soltanto se l’altra parte (il lavoratore) omette di effettuare la prestazione da lui dovuta, ma non già quando questa sia impedita dalla volontà datoriale unilaterale, salva la prova a carico del medesimo della impossibilità sopravvenuta, a norma degli artt. 1218, 1256, 1463 e 1464 c.c., fondata sull’inutilizzabilità della prestazione lavorativa per fatti non addebitabili allo stesso datore di lavoro: la sospensione unilaterale del rapporto da parte del datore di lavoro è, allora, giustificata – ed esonera il medesimo datore dall’obbligazione retributiva – soltanto quando non sia imputabile a fatto dello stesso, non sia prevedibile ed evitabile e non sia riferibile a carenze di programmazione o di organizzazione aziendale ovvero a contingenti difficoltà di mercato. (Trib. Avezzano, 8/7/2020, Giud. Fiduccia, in Lav. nella giur. 2020, 1214)
- Sul valore probatorio delle buste paga.
La Corte conferma la propria consolidata giurisprudenza, secondo la quale le copie delle buste paga rilasciate al lavoratore dal datore di lavoro fanno piena prova del credito in esse indicato. Il principio è stato ribadito in un giudizio in cui un lavoratore aveva chiesto l’insinuazione, nel passivo del fallimento del proprio datore, di alcuni crediti retributivi risultanti da buste paga ritualmente rilasciate. La Corte precisa che, poiché i dati delle buste paga devono trovare puntuale riscontro nel libro unico del lavoro, il valore probatorio delle buste può essere contestato in ragione della irregolarità di quest’ultimo e della non corrispondenza di esso rispetto alle buste paga. (Cass. 7/7/2020 n. 14012, Pres. Curzio Rel. Leone, in Wikilabour, Newsletter n. 14/2020) - Condizioni per la restituzione delle retribuzioni trattenute durante la sospensione cautelare facoltativa dal servizio del dipendente sottoposto a processo penale, quando questo si concluda con la prescrizione del reato.
Secondo i giudici dell’appello la restitutio in integrum di quanto trattenuto nel periodo di sospensione cautelare facoltativa sarebbe dovuta unicamente in caso di assoluzione con formula piena del dipendente sospeso. In caso di formula diversa, sarebbe onere del dipendente dimostrare al datore di lavoro la propria innocenza. La Cassazione ribadisce viceversa che per i pubblici dipendenti contrattualizzati vige la diversa regola per cui, nelle ipotesi considerate, il dipendente ha diritto alla restituzione se l’Amministrazione non gli infligga per i fatti alcuna sanzione disciplinare o ne infligga una che per qualità o entità non giustifichi interamente la trattenuta. (Cass. 18/5/2020 n. 9095, Pres. Torrice Rel. Marotta, in Wikilabour, Newsletter n. 10/2020) - Il trattamento retributivo determinato dalla contrattazione collettiva, pur essendo questa dotata di ogni crisma di rappresentatività (e pertanto rispettosa dell’art. 7 comma 4 d.l. n. 248/2007, ove applicabile), può in concreto risultare lesivo del principio di proporzionalità della retribuzione alla quantità e qualità del lavoro eseguito e/o del principio di sufficienza volto ad assicurare al lavoratore e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa. (Trib. Torino 9/8/2019, n. 1128, Est. Paliaga, in Riv. It. Dir. Lav. 2020, con nota di S. Bellomo, “Determinazione giudiziale della retribuzione e individuazione del contratto collettivo-parametro tra art. 36 Cost. e norma speciale applicabile ai lavoratori di cooperative”, 3)
- Anche ai collaboratori ed esperti linguistici delle Università che abbiano ottenuto la trasformazione, in via giudiziale, del contratto di lavoro come lettori di madrelingua in rapporto di lavoro a tempo indeterminato, si applica il trattamento economico stabilito dal d.l. n. 2/2004, come interpretato autenticamente dalla l. n. 240/2010; da ciò consegue l’esclusione della possibilità di “agganciare”, per il periodo successivo alla stipula del contratto di collaborazione, la retribuzione alle dinamiche contrattuali previste per i ricercatori confermati a tempo definito, stante la specificità della figura del collaboratore in rapporto alle funzioni proprie della docenza universitaria. (Trib. Bari 2/4/2019, Giud. Vernia, in Riv. it. dir. lav. 2019, con nota di A. Tampieri, “Sulla specificità, giuridica ed economica, dei collaboratori ed esperti linguistici in rapporto alla docenza universitaria”, 669)
- Va riconosciuto il diritto dei collaboratori ed esperti linguistici alla differenza stipendiale, in forma di assegno ad personam, tra l’ultima retribuzione percepita quale lettori di madrelingua e la retribuzione complessiva prevista dalla contrattazione collettiva di comparto e decentrata, come previsto dalla norma di interpretazione autentica contenuta nell’art. 26, co. 3, l. n. 240/2010. (Trib. Bari 2/4/2019, Giud. Vernia, in Riv. it. dir. lav. 2019, con nota di A. Tampieri, “Sulla specificità, giuridica ed economica, dei collaboratori ed esperti linguistici in rapporto alla docenza universitaria”, 669)
- La clausola 4 della Direttiva 99/70/Ce relativa all’Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato deve essere interpretata nel senso che non osta, in linea di principio, a una normativa nazionale che, ai fini dell’inquadramento di un lavoratore in una categoria retributiva al momento della sua assunzione in base ai titoli come dipendente pubblico di ruolo, tenga conto dei periodi di servizio prestati nell’ambito di contratti di lavoro a tempo determinato in misura integrale fino al quarto anno e poi, oltre tale limite, parzialmente, a concorrenza dei due terzi. (Corte di Giustizia 20/9/2018 C-466/17, Rel. Fernlund, in Riv. It. Dir. lav. 2019, con nota di E. Raimondi, “La valutazione dell’anzianità di servizio degli insegnanti precari: molto rumore per nulla?”, 92)
- La giusta retribuzione costituzionalmente garantita non necessariamente coincide con il trattamento minimo fissato dalla contrattazione collettiva, né rileva, nel relativo giudizio di adeguatezza, l’eventuale disparità di trattamento fra lavoratori della medesima posizione, in virtù della insussistenza nel nostro ordinamento di un diritto soggettivo alla parità di trattamento. (Cass. 4/7/2018 n. 17421, Pres. Doronzo Est. Esposito, in Riv. It. Dir. lav. 2019, con nota di E. de Marco, “Contratto collettivo e giusta retribuzione nella recente giurisprudenza di legittimità”, 133)
- In presenza di una disposizione contrattuale che obbliga il datore di lavoro a fissare gli obiettivi a cui parametrare il bonus aziendale incentivante, anche nell’ipotesi in cui lo stesso non adempia a suddetto obbligo, non spetta al lavoratore l’erogazione dell’importo elargito a titolo di bonus negli anni precedenti laddove, per espressa statuizione contrattuale, lo stesso sia stato ricollegato dalle parti a due condizioni: il generale andamento economico della società e le performance individuali del lavoratore. Il diritto al bonus viene meno anche solo per il mancato raggiungimento degli obiettivi societari, in quanto nessun emolumento collegato necessariamente anche all’andamento della società può essere riconosciuto al ricorrente indipendentemente dalla performance individuale. (Trib. Roma 17/1/2017, n. 361, Est. Damiani, in Riv. It. Dir. lav. 2017, con nota di S. Sonnati, “Il comportamento delle parti nell’esecuzione del contratto e il diritto al bonus in capo al lavoratore”, 602)
- Qualora il lavoratore agisca in giudizio per conseguire le retribuzioni allo stesso spettanti, ha l’onere di provare l’esistenza del rapporto di lavoro quale fatto costitutivo del diritto azionato, mentre incombe al datore di lavoro che eccepisce l’avvenuta corresponsione delle somme richieste l’onere di fornire la prova di siffatta corresponsione: e tale principio vale sia per la retribuzione mensile, sia per la tredicesima mensilità, sia per la corresponsione del trattamento di fine rapporto e sia per il pagamento delle ferie non retribuite. (Trib. Bari 17/10/2016, Giud. Procoli, in Lav. nella giur. 2017, 98)
- Non esiste una presunzione assoluta di corrispondenza della retribuzione ricevuta dal lavoratore rispetto a quella risultante dai prospetti di paga ed è sempre possibile l’accertamento della insussistenza del carattere di quietanza anche delle sottoscrizioni eventualmente apposte dal lavoratore sulle buste paga. (Trib. Milano 31/5/2016, Giud. Saioni, in Lav. nella giur. 2016, 1026)
- Ove il datore di lavoro sospenda illegittimamente il rapporto e collochi i dipendenti in Cassa integrazione guadagni, questi hanno diritto a ottenere la retribuzione piena e non già il minore importo delle integrazioni salariali; pertanto, la somma liquidata a titolo di risarcimento del danno in dipendenza della suddetta illegittimità costituisce retribuzione imponibile a fini contributi e tributari. (Cass. 27/11/2014 n. 25240, Pres. Stile Rel. D’Antonio, in Lav. nella giur. 2015, 199)
- Qualora il lavoratore agisca in giudizio per conseguire le retribuzioni allo stesso spettanti, ha l’onere di provare l’esistenza del rapporto di lavoro quale fatto costitutivo del diritto azionato, mentre incombe sul datore di lavoro che eccepisce l’avvenuta corresponsione delle somme richieste l’onere di fornire la prova di siffatta corresponsione; e tale principio vale sia per la retribuzione mensile, sia per la tredicesima mensilità (che costituisce una sorta di retribuzione differita), sia per corresponsione del trattamento di fine rapporto (che integra parimenti una componente del trattamento economico costituendo in buona sostanza una sorta di accantonamento da parte del datore di lavoro), sia per il pagamento delle ferie non retribuite (atteso che l’obbligo di corrispondere la retribuzione incombe anche nel periodo in cui il lavoratore usufruisce delle ferie, che costituiscono un diritto irrinunciabile costituzionalmente garantito ai sensi dell’art. 36, comma 3, Cost.). (Trib. Bari 3/10/2014, Giud. Procoli, in Lav. nella giur. 2015, 316)
- La natura retributiva (dell’auto aziendale n.d.r.) può essere esclusa nel caso in cui al lavoratore sia imposto un costo non simbolico come corrispettivo per l’uso dell’auto. (Trib. Bologna 5/6/2014, Giud. Benassi, in Lav. nella giur. 2014, 1032)
- L’art. 36 Cost. si limita a stabilire il principio di sufficienza e adeguatezza della retribuzione prescindendo da ogni comparazione intersoggettiva e l’art. 3 Cost. impone l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, ma non anche nei rapporti tra privati: conseguentemente la mera attribuzione di un trattamento retributivo superiore a parità di mansioni non potrebbe mai costituire fondamento del diritto di altri lavoratori al medesimo superiore compenso, ma solo al risarcimento del danno laddove risulti provata non solo la mera disparità di trattamento (fatto di per sé legittimo), ma anche l’illegittimità del comportamento datoriale, attraverso la prova dell’intento discriminatorio. (Trib. Milano 4/11/2013, Giud. Trifone, in Lav. nella giur. 2014, 90)
- Il principio della retribuzione proporzionata e sufficiente ex art. 36 Cost. è applicabile anche al pubblico impiego senza limitazioni temporali o di diverso tipo. (Corte app. L’Aquila 18/9/2012, Pres. Sannite Rel. Fabrizio, in Lav. nella giur. 2013, 97)
- Il superminimo, ossia l’eccedenza retributiva rispetto ai minimi tabellari, individualmente pattuito tra datore di lavoro e lavoratore, è soggetto al principio dell’assorbimento, nel senso che, in caso di riconoscimento del diritto del lavoratore a superiore qualifica, l’emolumento è assorbito dai miglioramenti retributivi previsti per la qualifica superiore, a meno che le parti abbiano convenuto diversamente o la contrattazione collettiva abbia altrimenti disposto, restando a carico del lavoratore l’onere di provare la sussistenza del titolo che autorizza l mantenimento del superminimo, escludendone l’assorbimento. (Cass. 29/8/2012 n. 14689, Pres. Miani Canevari Est. Filabozzi, in D&L 2012, 810)
- Le maggiorazioni retributive e le indennità erogate in corrispettivo di prestazioni di lavoro notturno, non occasionali, costituiscono parte integrante dell’ordinaria retribuzione globale di fatto giornaliera e, come tali, concorrono ai sensi della nozione omnicomprensiva di retribuzione, recepita dagli artt. 2120 e 2121 c.c., e in assenza di deroghe introdotte successivamente all’entrata in vigore della L. 28/5/82 n. 297 alla composizione della base di computo dell’indennità di anzianità e del trattamento di fine rapporto. (Cass. 21/5/2012 n. 7987, Pres. Roselli Est. Balestrieri, in D&L 2012, 813)
- Le somme spettanti a titolo di risarcimento danni per la violazione degli obblighi facenti carico al datore di lavoro hanno natura retributiva e sono quindi da computare nella retribuzione imponibile ai fini contributivi solo quando derivino da un inadempimento, il quale, pur non riguardando direttamente l’obbligazione contributiva, tuttavia immediatamente incida su di essa in quanto determini la mancata corresponsione di compensi dovuti al dipendente; viceversa, le attribuzioni patrimoniali che il lavoratore riceve a titolo di risarcimento del danno per la violazione degli altri obblighi del datore, sebbene siano anch’esse “dipendenti dal rapporto di lavoro”, non hanno natura retributiva, così come tale natura non aveva l’obbligazione primaria rimasta inadempiuta, e quindi non sono computabili nella retribuzione imponibile ai fini contributivi, ex art. 12 l. 30 aprile 1969 n. 153 ed ex art. 6 D.Lgs. 2 settembre 1997 n. 314. (Nella specie, in applicazione di tale principio, la S.C. ha incluso nel computo della retribuzione imponibile ai fini contributivi le somme spettanti al lavoratore a titolo di risarcimento danno da mancata corresponsione di maggiorazione per lavoro notturno). (Cass. 21/5/2012 n. 7987, Pres. Roselli Est. Balestrieri, in Orient. Giur. Lav. 2012, 432)
- In caso di indebito pagamento da parte del datore di lavoro, l’obbligo di restituzione del dipendente riguarda le sole somme da quest’ultimo “percepite”, ossia quanto e solo quanto effettivamente sia entrato nella sfera patrimoniale dello stesso, non potendo il datore di lavoro pretendere di ripetere somme al lordo delle ritenute fiscali (e previdenziali e assistenziali), allorché le stesse non siano mai entrate nella sfera patrimoniale del dipendente. (Cass. 2/2/2012 n. 1464, Pres. Miani Canevari, Est. Arienzo, in D&L 2012, con nota di Mirella Morandi, “Somme percepite in eccesso dal lavoratore: necessaria la restituzione ‘al netto’”, 519)
- È costituzionalmente illegittimo per violazione del principio di legittimo affidamento nella sicurezza dei rapporti giuridici e del generale canone di ragionevolezza l’art. 44, co. 2 della l.r. 13 giugno 2008, n. 15 Calabria, il quale dispone che l’art. 7, co. 6, della l.r. 2 marzo 2005, n. 8 deve essere inteso nel senso che la retribuzione lorda spettante alla data di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, utile ai fini della definizione dell’indennità supplementare prevista dalla medesima legge, è quella individuata per il personale in posizione non dirigenziale alla cessazione volontaria del servizio, all’art. 52, lett. c) del ccnl 1999, e successive modifiche, con esclusione nella determinazione della citata indennità del rateo di tredicesima mensilità. (Corte Cost. 21/10/2011 n. 271, Pres. Quaranta Rel. Criscuolo, in Riv. It. Dir. lav. 2012, con nota di M. D’Onghia, “L’esclusione della tredicesima dall’incentivo all’esodo: la parola alla Consulta”, 296)
- I miglioramenti salariali erogati ai dipendenti in conseguenza dell’entrata in vigore del nuovo contratto collettivo costituiscono per i lavoratori iscritti all’organizzazione sindacale non firmataria un trattamento di miglior favore, giuridicamente intangibile in forza dell’obbligo di non discriminazione sancito dall’art. 16 dello Statuto dei Lavoratori. (Trib. Torino 26/4/2011, Giud. Ciocchetti, in Lav. nella giur. 2011, con commento di Maria Dolores Ferrara, 719)
- Il principio della irriducibilità della retribuzione si estende anche alle indennità compensative di particolari e gravosi modi di svolgimento del lavoro prestato, nel senso che quella voce retributiva può essere soppressa ove vengano meno quei metodi di svolgimento della prestazione, ma deve essere conservata in caso contrario. (Trib. Napoli 18/2/2011, Giud. Galante, in Lav. nella giur. 2011, 528)
- Il fatto che il lavoratore subordinato abbia commesso un illecito a discapito del datore di lavoro, legittima quest’ultimo a proporre una azione di risarcimento e a ottenere poi la compensazione con i controcrediti del lavoratore, ma non gli attribuisce il diritto a ottenere dal giudice una riduzione delle retribuzioni dovute al prestatore, in sede di adeguamento, ex art. 36, comma 1, Cost. (Cass. 17/1/2011 n. 896, Pres. Roselli Est. Monaci, in Lav. nella giur. 2011, 317)
- La violazione della norma sull’età minima per l’ammissione al lavoro non fa venir meno il diritto alla retribuzione per l’attività lavorativa effettivamente prestata dal soggetto tutelato, in applicazione del generale principio di cui all’art. 2126, 2° comma, c.c. (Cass. 30/8/2010 n. 18856, Pres. Sciarelli Est. Bandini, in D&L 2010, con nota di Alessandro Premoli, “Lavoro dei minori: diritto alla retribuzione… anzi, alla parità retributiva”, 1125)
- L’art. 37, comma 3°, Cost., che sancisce il diritto del lavoratore minorenne alla parità di retribuzione a parità di lavoro, rispetto agli altri lavoratori, e che opera con riferimento all’intero trattamento retributivo, implica che la maggiore inesperienza dei più giovani e l’opportunità di favorire l’occupazione possano giustificare una più bassa retribuzione, rispetto ai lavoratori maggiorenni, solo se a loro vengano affidate diverse e meno impegnative mansioni. (Cass. 30/8/2010 n. 18856, Pres. Sciarelli Est. Bandini, in D&L 2010, con nota di Alessandro Premoli, “Lavoro dei minori: diritto alla retribuzione… anzi, alla parità retributiva”, 1125)
- Anche in epoca precedente al D.Lgs. 19/9/94 n. 626 e al vigente D.Lgs. 9/4/08 n. 81, deve ritenersi che, in forza già dell’art. 379, DPR 27/4/55 n. 547, siano a carico del datore di lavoro le spese relative al lavaggio degli ordinari indumenti di lavoro forniti dallo stesso al dipendente – che ha l’obbligo di indossarli – allorquando detti indumenti costituiscano una barriera protettiva rispetto al rischio per il lavoratore di entrare in contatto con sostanze pericolose, con conseguente insorgenza e diffusione di infezioni, in quanto i dispositivi di protezione individuali devono essere idonei non solo al momento della consegna ma anche per l’intero periodo di esecuzione della prestazione lavorativa (Cass. 23/6/2010 n. 15202, Pres. Roselli Est. Amoroso, in D&L 2010, 853)
- Nel caso in cui il datore di lavoro si trovi nell’impossibilità di ricevere la prestazione lavorativa per causa a lui non imputabile (nella specie, per l’adesione a uno sciopero da parte della stragrande maggioranza del personale dipendente e la conseguente inutilizzabilità del personale residuo non scioperante), il diritto alla retribuzione non viene meno per quei lavoratori il cui rapporto di lavoro sia già sospeso per malattia, atteso che la speciale disciplina dettata per ragioni di carattere sociale dall’art. 2110 c.c. investe in via esclusiva il rapporto tra datore di lavoro e singolo lavoratore e su di essa non possono pertanto incidere le ragioni che, nel medesimo periodo di sospensione del rapporto, rendano impossibile la prestazione da parte degli altri dipendenti, senza che, peraltro, possa in tal modo configurarsi una violazione del principio di parità di trattamento, posto che detto principio non può essere validamente invocato al fine di eliminare un regime differenziale voluto a tutela di particolari condizioni già ritenuto meritevoli di un trattamento privilegiato. (Cass. 31/5/2010 n. 13256, Pres. Vidiri Est. Stile, in D&L 2010, con nota di Lia Meroni, “Chiusura dell’azienda per causa di forza maggiore e retribuzione delle assenze per malattia: un’ipotesi di disparità di trattamento a tutela del dipendente”, 835)
- Il compenso dovuto all’amministratore di una società di capitali, quale organo legato da rapporto interno alla società, è determinato dall’assemblea dei soci, sussistendo la facoltà dell’amministratore di insorgere avverso una liquidazione effettuata dall’assemblea della società in maniera inadeguata e di chiedere al giudice la quantificazione delle proprie spettanze, salva l’ipotesi in cui, trattandosi di diritti disponibili, la delibera assembleare sia stata dall’amministratore accettata e posta in esecuzione senza riserve. (Cass. 24/5/2010 n. 12592, Pres. Roselli, Est. Balletti, in D&L 2010, 854)
- Costituisce “credito di lavoro”, nella sua più ampia accezione, con conseguente applicabilità dell’art. 429 c.p.c. in tema di rivalutazione monetaria e interesse, non solo quello retributivo, ma ogni credito che sia in diretta relazione causale con il rapporto di lavoro e, quindi, anche il credito per il risarcimento dei danni cagionati al lavoratore dall’inadempimento della società datrice di lavoro, fra i quali deve essere ricompreso anche quello derivante dalla violazione degli obblighi di cui all’art. 2103 c.c. (Cass. 14/4/2010 n. 8893, Pres. Vidiri Est. Bandini, in Orient. giur. lav. 2010, 359)
- Il patto di conglobamento nella retribuzione ordinaria dei compensi ulteriormente dovuti al prestatore di lavoro per legge o per contratto può essere ammesso solo se dal patto stesso risultino gli specifici titoli cui è riferibile il compenso complessivo, poiché solo in tal caso si rende superabile la presunzione che il compenso convenuto è dovuto quale corrispettivo della sola prestazione ordinaria e si rende possibile il controllo giudiziale circa l’effettivo riconoscimento al lavoratore dei diritti inderogabilmente spettanti per legge o per contratto. (Nella specie, la Suprema Corte ha confermato la decisione del giudice di merito che aveva escluso la sussistenza di un patto di conglobamento del compenso per il lavoro straordinario nella retribuzione ordinaria, con conseguente impossibilità di considerare automaticamente il c.d. superminimo quale compenso per le ore di lavoro straordinario). (Cass. 7/4/2010 n. 8255, Pres. Sciarelli Est. Meliadò, in D&L 2010, con nota di Alessandra Premoli, “Il ‘patto di conglobamento’: requisiti di validità e onere della prova”, 540)
- È legittima la previsione di un bonus connesso al raggiungimento di obiettivi “qualitativi”, quali lo spirito di gruppo, la collaborazione con i colleghi e la capacità organizzativa. (Nella specie, il Tribunale ha ritenuto legittima la decisione aziendale di non erogare il bonus sulla scorta del solo giudizio di un responsabile aziendale, pur in assenza di precise indicazioni circa i criteri per valutare il raggiungimento degli obiettivi). (Trib. Milano 26/1/2010, Est. Porcelli, in D&L 2010, con nota di Alessandro Premoli, “Erogazione del bonus e margini di discrezionalità del datore di lavoro”, 827)
- La mera diversità di criterio di calcolo della retribuzione utilizzato dall’agenzia di somministrazione (retribuzione a ora) rispetto a quello previsto dal contratto collettivo applicabile ai dipendenti dell’impresa utilizzatrice (mensilizzazione indipendente dall’effettivo numero di ore lavorate) non costituisce un trattamento deteriore per il lavoratore. (Trib. Pesaro 7/7/2009, est. Peganmelli, in D&L 2009, con nota di Lia Meroni, “Discriminazione retributiva del lavoratore somministrato”, 1026)
- Si pone in contrasto con la norma imperativa di cui all’art. 3, comma 5°, DL 30/10/84 n. 726, convertito con modificazioni nella L. 19/12/84 n. 863, secondo cui il periodo di formazione e lavoro è computato nell’anzianità di servizio in caso di trasformazione del rapporto di lavoro in rapporto a tempo indeterminato, la disposizione del contratto collettivo (nella specie Accordo interconfederale 31/1/95) che, nel regolamentare gli aumenti retributivi periodici, esclude l’utile computo del periodo di formazione e lavoro, riferendosi la norma imperativa non soltanto agli effetti ricollegati direttamente dalla legge al decorso del tempo, ma anche a quelle derivanti dalla contrattazione collettiva, atteso che la distinzione tra istituti di origine legale e trattamenti di fonte convenzionale non trova fondamento nel tassativo tenore del testo normativo, peraltro conforme al divieto di fonte comunitaria di discriminazione per fatti di età nonché di discriminazione fra lavoratori assunti a tempo determinato e lavoratori assunti a tempo indeterminato. (Trib. Bolzano 26/3/2010, Est. Puccetti, in D&L 2010, 562)
- La clausola contrattuale che prevede l’erogazione di un bonus basato su obiettivi da concordarsi di anno in anno, non consentendo di stabilire l’an del diritto all’erogazione del bonus medesimo, comporta, qualora gli obiettivi non siano stati fissati per tempo dalle parti, l’impossibilità del lavoratore di invocare i principi di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c. e di chiedere la determinazione giudiziaria del bonus ex art. 2099 c.c., così come di far ricorso all’art. 432 c.p.c., che ha per oggetto il valore economico e non la determinazione in ordine all’esistenza della prestazione, rimanendo solamente possibile una domanda risarcitoria per inadempimento contrattuale. (Nella specie, la Corte ha confermato la sentenza del giudice di merito che aveva negato l’erogazione del bonus al dirigente nonché il risarcimento del danno per mancata determinazione degli obiettivi, atteso che la domanda risarcitoria non era stata formulata in primo grado ed era pertanto inammissibile nel giudizio di appello). (Cass. 16/6/2009 n. 13953, Pres. Roselli Est. Nobile, in D&L 2009, con nota di Alessandro Premoli, “Bonus connessi al raggiungimento di obiettivi e poteri integrativi del giudice”, 1009)
- In presenza di un uso aziendale relativo a benefici per i “dipendenti meritevoli, il giudizio di meritevolezza non può essere mai assolutamente discrezionale e insindacabile, in quanto esistono dei parametri oggettivi, desumibili dal principio di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto (artt. 1175 e 1375 c.c.), oltre che da norme interne e dalla contrattazione collettiva, con la conseguenza che l’apprezzamento di meritevolezza del datore di lavoro è sempre suscettibile di censura e di controllo in sede giudiziale. (Nel caso di specie, la Corte ha cassato la sentenza di merito, che aveva ritenuto insindacabile il diniego di Alitalia alla concessione di biglietti aerei agevolati a un proprio dipendente, in presenza di un uso aziendale già accertato giudizialmente). (Cass. 14/5/2009 n. 11213, Pres. Battimiello Est. Nobile, in D&L 2009, 739)
- Nel caso di attribuzione al lavoratore di un’auto aziendale a uso promiscuo, la valorizzazione economica dell’uso privato ai fini dell’incidenza sugli istituti va effettuata considerando l’effettivo vantaggio economico ricevuto dal lavoratore, in termini di risparmio di spesa, mentre non sono utilizzabili i criteri legali previsti a fini fiscali e contributivi. (Trib. Roma 17/12/2008, est. Mimmo, in D&L 2009, con nota di Filippo Capurro, “Profili retributivi relativi all’uso aziendale”, 746)
- Il benefit consistente nella concessione dell’auto aziendale a uso promiscuo può essere revocato unilateralmente da parte del datore di lavoro in presenza di una clausola contrattuale in tal senso, che ben può essere inquadrata come legittima clausola risolutiva meramente potestativa. (Trib. Roma 17/12/2008, est. Mimmo, in D&L 2009, con nota di Filippo Capurro, “Profili retributivi relativi all’uso aziendale”, 746)
- Nel caso di utilizzo da parte del lavoratore dell’auto provata per esigenze lavorative, il relativo rimborso da parte del datore di lavoro può essere forfettizzato anche senza ancorarsi ai valori chilometrici previsti dalle tabelle Aci. (Trib. Milano 2/4/2009, Est. Vitali, in D&L 2009, con nota di Filippo Capurro, “Profili retributivi relativi all’uso aziendale”, 746)
- La giusta retribuzione ex art. 36 Cost. deve essere adeguata anche in proporzione all’anzianità di servizio acquisita, in considerazione del miglioramento qualitativo nel tempo della prestazione. (Cass. 7/7/2008 n. 18584, Pres. De Luca Est. Bandini, in Orient. della giur. del lav. 2008, 549)
- L’art. 49 c.c.n.l. per il settore bancario del 19 dicembre 1994, nel rinviare alla contrattazione integrativa aziendale “l’attribuzione” di un premio correlato ai risultati di programmi concordati tra le parti aventi come obiettivo incrementi di produttività del lavoro, di qualità e altri elementi di competitività nonché ai risultati legati all’andamento economico dell’impresa, non costituisce in capo al lavoratore un diritto soggettivo perfetto suscettibile di mera quantificazione. Pertanto la successiva clausola del contratto collettivo aziendale che lo escluda, pur retroattivamente, è valida ed efficace, anche nei confronti del lavoratore iscritto a un’organizzazione dissenziente. (Cass. 25/6/2008 n. 17310, Pres. Mercurio Est. De Renzis, in Riv. it. dir. lav. 2009, con nota di Antonella Occhino, “Premi di risultato e fonte costitutiva del diritto”, 49)
- Ove il rapporto di lavoro sia regolato da un contratto collettivo di diritto comune proprio di un settore non corrispondente a quello dell’attività svolta dall’imprenditore, il giudice, per valutare la sufficienza della retribuzione del lavoratore ai sensi dell’art. 36 Cost., può utilizzare la disciplina collettiva del diverso settore come parametro di raffronto e quale criterio orientativo, limitatamente alla retribuzione base, senza riguardo per gli altri istituti contrattuali ed esclusa ogni autonoma applicazione. (Cass. 4/6/2008 n. 14791, Pres. Mattone Est. Roselli, in Lav. nella giur. 2009, 1167)
- Ove la retribuzione prevista nel contratto di lavoro, individuale o collettivo, risulti inferiore alla soglia minima prevista dall’art. 36 Cost., la clausola contrattuale è nulla e, in applicazione del principio di conservazione, espresso nell’art. 1419, 2° comma, c.c., il giudice adegua la retribuzione secondo i criteri dell’art. 36 Cost., con valutazione discrezionale che, specialmente nell’ipotesi in cui la retribuzione ritenuta inadeguata sia contenuta in un contratto collettivo, deve essere effettuata con la massima prudenza e adeguatamente motivata, giacchè difficilmente il giudice è in grado di apprezzare le esigenze economiche e politiche sottese all’assetto degli interessi concordato dalle parti sociali. (Cass. 1/2/2006 n. 2245, Pres. Senese Est. D’Agostino, in D&L 2006, con n. Silvia Bianchi, “La discrezionalità del giudice nella determinazione dell’equa retribuzione ai sensi dell’art. 36 Cost.”, 557)
- Il fatto che alcuni sindacati riescano ad ottenere condizioni retributive più favorevoli non postula automaticamente che il ccnl con trattenuta inferiore firmato da sigle sindacali diverse da quelle tradizionali violi l’art. 36 Cost.; accordare privilegio al ccnl stipulato da sindacati (probabilmente con maggior seguito di iscritti), in mancanza di specifiche allegazioni di violazione dei parametri dell’art. 36 Cost., finirebbe per violare il principio costituzionale della libertà sindacale di cui all’art. 39 Cost. (Corte app. Genova 1/6/2005 n. 387, Pres. Russo Rel. Ravera, in Lav. nella giur. 2005, con commento di Alessia Muratorio, 1061)
- La particolare garanzia apprestata dall’art. 36 Cost., a tutela del lavoratore subordinato, non si riferisce ai singoli elementi retributivi, bensì al trattamento economico globale, comprensivo della retribuzione per lavoro straordinario, come riconosciuto da C. Cost. n. 470 del 2002. Pertanto i criteri della proporzionalità e della sufficienza posti dalla citata norma costituzionale a tutela del lavoratore non trovano applicazione in caso di erogazione di un compenso per lavoro straordinario inferiore a quello erogato per l’orario normale. (Cass. 24/3/2004, n. 5934, Pres. Ianniruberto Est. Vidimi, in Giust. Civ. 2005, 458)
- È legittima la statuizione del giudice di merito che determini la retribuzione ex art. 36 Cost. in misura inferiore ai minimi contrattuali nazionali, col solo richiamo a condizioni ambientali e territoriali, perché il precetto costituzionale è rivolto ad impedire ogni forma di sfruttamento del dipendente, anche quando trovi radice nella situazione socio-economica del mercato del lavoro. Tuttavia non è contraria a quel precetto costituzionale la determinazione differenziata della retribuzione in relazione alle diverde capacità economiche dei datori di lavoro: la medesima attività, valutabile in una certa misura dalla grande impresa, può esserla in misura minore dal datore di lavoro dotato di mezzi modesti e perciò assoggettato a sacrifici patrimoniali non oltre certi limiti, oltrepassati i quali sarebbe a rischio la sua stessa sopravvivenza economica. (Cass. 15/11/2001, n. 14211, Pres. Ianniruberto, Est. Roselli, in Argomenti dir. lav. 2003, 379)
- Ai fini della determinazione della giusta retribuzione a norma dell’art. 36 Cost. nei confronti di lavoratore dipendente da datore di lavoro non iscritto ad organizzazione sindacale firmataria di c.c.n.l., residente in zona depressa, con potere di acquisto della moneta accertato come superiore alla media nazionale, il giudice del merito può discostarsi dai minimi salariali stabiliti dal contratto collettivo, non direttamente applicabile al rapporto, ma assunto come valore parametrico, ad una triplice condizione: che utilizzi dati statistici ufficiali, o generalmente riconosciuti, sul potere di acquisto della moneta e non la propria scienza privata; che consideri l’effetto già di per sé riduttivo della retribuzione contrattuale insito nel principio del minimo costituzionale; che l’eventuale riduzione operata non leda il calcolo legale della contingenza stabilita dalla legge 26 febbraio 1986, n. 38. (Cass. 26/7/2001, n. 10260, Pres. Sciarelli, Est. De Matteis, in Argomenti dir. lav. 2003, 381)
- L’art. 36 Cost. deve trovare applicazione anche nei confronti dei lavoratori extracomunitari. Pertanto gli stranieri assunti con qualifica di infermiere e contratto di diritto privato nell’ambito del Servizio sanitario nazionale, ai sensi dell’art. 9 L. 28/2/90 n. 39 hanno diritto – nonostante la diversa disposizione di cui al DM 5/3/91 n.174 – al pagamento dell’indennità integrativa speciale, atteso che la decurtazione della stessa determina una riduzione della retribuzione di entità tale da ledere i principi costituzionali di proporzionalità e sufficienza della retribuzione (Pret. Monza 4/9/96, est. Gardoni, in D&L 1997, 606, nota Romeo)
- Il controllo giudiziale ex art. 36 Cost. sulla proporzionalità e sufficienza della retribuzione, anche se stabilita dai contratti collettivi, non può spingersi fino a porre a raffronto i compiti di alcune figure professionali con quelli di altre, al fine di graduarne le retribuzioni, trattandosi di attività riservata all’autonomia individuale e collettiva (Pret. Pisa 31/1/95, est. Schiavone, in D&L 1995, 921, con nota di IANNIELLO)
- In virtù del principio espresso dal secondo comma dell’art. 2099 c.c., non solo in mancanza di contratti collettivi che determinano la retribuzione e i relativi compensi aggiuntivi del lavoratore, ma anche in mancanza di accordo tra le parti sulla interpretazione o sull’attualità di una clausola collettiva per la determinazione della retribuzione o del compenso in relazione a un determinato inquadramento del lavoratore a causa della sua indeterminatezza o della sua genericità, non è escluso il potere del giudice di merito di determinare autoritativamente la misura di tale compenso con apprezzamento di fatto non sindacabile in sede di legittimità se sorretto da motivazione adeguata e immune da vizi logici. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che, in relazione ad una delibera della Commissione amministratrice dell’Azienda centrale del latte di Roma concernente il riconoscimento ai quadri di una indennità nella misura del venticinque per cento e in presenza di un successivo Ccnl, peraltro con decorrenza da data anteriore a quella della delibera, che graduava la medesima indennità dal quindici al quaranta per cento, aveva ritenuto sussistente la volontà dell’Azienda di dare immediata attuazione alla corresponsione dell’indennità sin dalla data di decorrenza del contratto collettivo, ed aveva determinato l’indennità stessa nella misura del trenta per cento, avuto riguardo ai compiti aggiuntivi attribuiti al lavoratore). (Cass. 22/6/2004 n. 11624, Pres. Ciciretti Rel. Capitanio, in Dir. e prat. lav. 2004, 2973)
- Proposta domanda di pagamento di differenze retributive, la contestazione del convenuto dell’esistenza del diritto azionato rende irrilevante la non contestazione dei conteggi relativi al quantum, qualora la contestazione sull’an abbia investito tutti i fatti costitutivi della domanda. (Cass. 23/1/2002, n. 761, Pres. Marvulli, Est. Evangelista, in Argomenti dir. lav. 2003, 603)
- Va accolto il richiesto provvedimento cautelare di condanna della società datrice al pagamento di arretrati retributivi, sussistendo, oltre al fumus boni iuris, anche l’ulteriore requisito del periculum in mora, attesa la natura alimentare del credito retributivo, la cui mancata corresponsione compromette, per tutto il tempo del giudizio, il diritto del lavoratore a un’esistenza libera e dignitosa (Trib. Roma 17/10/97, pres. Zecca, est. Bonaventura, in D&L 1998, 442)
- La previsione in sede di contratto individuale di un bonus da corrispondersi al raggiungimento di obiettivi che saranno fissati a cura del datore di lavoro fa sorgere in capo al lavoratore un diritto soggettivo perfetto per la cui realizzazione occorre il concorrente adempimento di due obbligazioni, quella del datore di lavoro consistente nella fissazione e comunicazione degli obiettivi e quello del lavoratore relativa al raggiungimento degli obiettivi stess; l’inadempimento della prima obbligazione dà titolo a un risarcimento del danno che può essere liquidato in via equitativa considerando la media dei bonus percepiti negli anni precedenti. (Trib. Milano 20/5/2008, Est. Martello, in D&L 2008, 1015)
- La direttiva 96/71/CE (relativa al distacco dei lavoratori nell’ambito di una prestazione di servizi) interpretata alla luce dell’art. 49 del Trattato, osta a un provvedimento legislativo di uno Stato membro che imponga agli enti pubblici di attribuire gli appalti di lavori edili esclusivamente alle imprese che, all’atto della presentazione delle offerte, si impegnino a corrispondere ai propri dipendent – impiegati per l’esecuzione dei lavori oggetti di appalto – una retribuzione non inferiore a quella minima prevista dal contratto collettivo vigente nel luogo di esecuzione dei lavori. (Corte di Giustizia CE 3/4/2008 n. C-346/06, Pres. Makarczyk Rel. Timmermans, in D&L 2008, 878)
- La direttiva europea 75/363/CEE del 16 giugno 1975 (sul coordinamento delle disposizioni legislative regolamentari e amministrative per le attività di medico), come modificata dalla direttiva 82/76, nell’imporre di retribuire i medici per i periodi di formazione relativi alle specializzazioni contiene un obbligo incondizionato e sufficientemente preciso, ma al tempo stesso non contengono alcuna definizione comunitaria della remunerazione con la conseguenza che tali direttive non erano applicabili nell’ordinamento prima del loro recepimento avvenuto con la l. n. 428 del 1990 e con il d.lgs. n. 257 del 1991. Tuttavia, poichè lo Stato non ha realizzato i corsi di specializzazione conformemente alla direttiva comunitaria entro il 1° gennaio 1983, i medici specializzandi non ne hanno potuto usufruire, ed è loro derivato un danno consistente nella perdita di una possibilità della qualeessi avrebbero presumibilmente approfittato; in sostanza è loro derivato un danno da perdita di chances. (Cass. 11/3/2008 n. 6427, Pres. De Luca Rel. Curcuruto, in Lav. nelle P.A. 2008, 400)
- L’aggiudicazione dell’appalto di un’opera pubblica da parte di un consorzio e l’assegnazione dell’esecuzione dei lavori a una singola impresa consorziata costituiscono un fenomeno di sub-derivazione del contratto di appalto, qualificabile nella sostanza come subappalto, a nulla rilevando in proposito la disposizione di cui all’art. 141, 4° comm, prima parte, DPR 21/12/99 n. 554 che riguarda esclusivamente le modalità di conferimento dell’appalto originario. Ne consegue che il consorzio, quale soggetto sub-committente dei lavori e in quanto persona giuridica distinta dai singoli soci consorziati, assume la responsabilità solidale per le retribuzioni dovute ai lavoratori dall’impresa artigiana assegnataria dell’opera, in applicazione dell’art. 1676 c.c., che deve ritenersi riferito anche all’ipotesi di subappalto. (Cass. 7/3/2008 n. 6208, Pres. Ciciretti Est. Bandini, in D&L 2008, 623)
- L’art. 66 comma 6 del CCNL Comparto Scuola del 1995 disciplina l’inquadramento del personale docente e ATA nelle posizioni stipendiali decorrenti dal 1.1.1996 in base all’anzianità maturata al 31.12.1995: tale norma esclude l’esistenza di un principio general, favorevole al singolo lavoratore, di prevalenza dell’anzianità effettiva rispetto all’anzianità convenzionale atteso che, quante volte la legge ha previsto un riconoscimento di servizio preruolo o di servizio di ruolo in qualifica inferiore, lo ha sempre fatto mediante l’inserimento del lavoratore nel “reticolo retributivo” corrispondente alla qualifica superiore e non già mediante il riconoscimento, puro e semplice, dell’anzianità maturata in qualifica inferiore ai fini della progressione stipendiale nella nuova qualifica, salvaguardando la misura della retribuzione acquisita mediante l’assegno “ad personam” assorbibile. Ne consegue che, mentre per il personale docente è stato espressamente previsto il riconoscimento graduale e parziale del servizio pre-ruolo, per il personale ATA la ridefinizione dei profili professionali è stata demandata alla sede contrattuale ove soltanto può trovare rimedio la eventuale ingiustificata disparità. (Cass. 5/12/2007 n. 25306, Pres. Sciarelli Rel. Di Nubila, in Lav. nelle P.A. 2008, 412)
- L’emolumento variabile da corrispondersi a fronte della fissazione e del raggiungimento di obiettivi ha natura retributiva e non indennitaria, e pertanto è sottoposto al principio di irriducibilità, in quanto è connesso al patrimonio professionale dal lavoratore utilizzato per raggiungere i risultati e non a una specifica modalità di svolgimento della prestazione. (Corte app. Milano 21/11/2007, Est. Troni, in D&L 2008, con nota di Filippo Capurro, “Natura retributiva del bonus e finzione di avveramento della condizione”, 248)
- Atteso che ai sensi dell’art. 1359 c.c. la condizione si considera avverata qualora sia mancata per causa imputabile alla parte che aveva interesse contrario all’avveramento della stessa, e che ai sensi dell’art. 1358 c.c. sussiste il dovere di lealtà e correttezza delle parti nell’intero arco di pendenza della condizione, nell’ipotesi in cui il raggiungimento degli obiettivi, condizione per il riconoscimento della retribuzione variabile, sia divenuto impossibile a causa del comportamento omissivo del datore di lavoro, sussiste il diritto del lavoratore a percepire la retribuzione variabile. (Corte app. Milano 21/11/2007, Est. Troni, in D&L 2008, con nota di Filippo Capurro, “Natura retributiva del bonus e finzione di avveramento della condizione”, 248)
- Nel caso in cui il rapporto nasca come formalmente autonomo e venga poi dichiarato subordinato a seguito dell’accertamento giudiziale, per valutare la congruità e la proporzionalit, in tutte le sue componenti, della retribuzione in relazione alla prestazione lavorativa, va tenuto conto di tutto quanto il lavoratore subordinato, formalmente autonomo, ha convenuto e percepito, atteso che l’iniziale formale configurazione autonoma del rapporto stabilita dalle parti può ragionevolmente far ritenere che i compensi, come in tutti i rapporti autonomi, siano stati concepiti con carattere di omnicomprensività, non sussistendo in tal caso nessuna presunzione sul carattere retributivo base del compenso pattuito e salvezza di altre voci (tredicesima, Tfr, etc.) proprie del lavoro subordinato. (Cass. 19/11/2007 n. 23911, Pres. ed est. Celentano, in D&L 2008, con nota di Marcella Mensi, 610)
- Un accordo tra datore di lavoro e dipendente, nel senso dell’accettazione da parte di quest’ultimo di percepire una paga inferiore ai minimi retributivi o non parametrata alle effettive ore lavorate, non esclude di per sé la sussistenza dei presupposti dell’estorsione mediante minaccia, in quanto, anche uno strumento teoricamente legittimo può essere usato per scopi diversi da quelli per cui è apprestato e può integrare, al di là della mera apparenza, una minaccia ingiusta, perchè ingiusto è il fine a cui tende, e idonea a condizionare il soggetto passivo, interessato ad assicurarsi comunque una possibilità di lavoro, altrimenti esclusa per le generali condizioni ambientali o per le specifiche caratteristiche di un particolare settore di impiego della manodopera. (Cass. pen. sez. II 5/10/2007 n. 36642, Pres. Rizzo Rel. Ambrosio, in Lav. nella giur. 2008, con commento di Anna Piovesana, 137, e in D&L 2008, con nota di Aldo Garlatti, “Violenza e minaccia nel diritto penale e nel rapporto di lavoro”, 365)
- Con riferimento al trattamento retributivo variabile correlato al raggiungimento di obiettivi, atteso che ai sensi dell’art. 1359 c.c. la condizione si considera avverata qualora sia mancata per causa imputabile alla parte che aveva interesse contrario all’avveramento della stessa, nell’ipotesi in cui il raggiungimento degli obiettivi sia divenuto impossibile a causa del comportamento omissivo del datore di lavoro (consistente nella mancata consegna in tempo utile del piano bonus) sussiste il diritto del lavoratore a percepire la retribuzione variabile”. (trib. Milano 16/5/2007, Est. Bianchini, in D&L 2007, con nota di Filippo Capurro, “Retribuzione variabile, obiettivi aziendali e finzione di avveramento della condizione”, 860)
- In caso di emolumento compensativo di particolari e gravose modalità di svolgimento della prestazione, trova comunque applicazione il principio di irriducibilità della retribuzione, con la conseguenza che detto emolumento può venir meno solo a fronte della cessazione di quelle particolari modalità di lavoro, non essendo invece rilevante il venir meno degli effetti contratto collettivo aziendale che lo prevedeva. (Cass. 1/3/2007 n. 4821, Pres. Sciarelli Est. Di Cerbo, in D&L 2007, con nota di Marcella Mensi, “Il principio dell’irriducibilità della retribuzione”, 471)
- La nozione di “retribuzione globale di fatto” quale parametro di computo sia del risarcimento del danno conseguente alla declaratoria di illegittimità del licenziamento nell’ambito della c.d. tutela reale sia per la determinazione dell’indennità sostitutiva della reintegrazione ex art. 18, 5° comma, SL, deve essere riferita non solo alla retribuzione base, ma anche a ogni compenso di carattere continuativo che si ricolleghi alle particolari modalità della prestazione in atto al momento del licenziamento (fattispecie relativa a premio di produttività e di indennità di funzione). (Cass. 9/2/2007 n. 2898, Pres. Mattone Est. Di Nubila, in D&L 2007, con nota di Ferdinando Perone, “Indennità sostitutiva della reintegrazione: la retribuzione di riferimento e il momento di cessazione del rapporto”, 203)
- Il principio della irriducibilità della retribuzione opera anche allorchè il lavoratore, in forza di sovrainquadramento, percepisca una retribuzione superiore a quella prevista dal Ccnl rispetto alle mansioni in concreto svolte e rimaste invariate anche a seguito dell’assegnazione del corretto inquadramento. (Cass. 23/1/2007 n. 1421, Pres. Mattone Est. De Renzis, in D&L 2007, 471)
- Allorquando nell’ambito del pubblico impiego la contrattazione collettiva nazionale demandi alla contrattazione territoriale il compito di determinare gli effetti economici derivanti dalla partecipazione del collaboratore, nel caso autonomo, al raggiungimento di risultati e obiettivi e a livello decentrato non vi si provveda, la remunerazione aggiuntiva connessa al conseguimento dei predetti obiettivi è comunque dovuta, non potendo l’amministrazione che si è avvalsa della prestazione lavorativa, sottrarsi a detta corresponsione traendo vantaggio dalla propria inerzia. (Trib. Milano 9/10/2006, Est. Frattin, in D&L 2007, con commento di Roberta Maddalena Paris, “Inadempimento datoriale nell’individuazione del criterio di quantificazione di voce variabile della retribuzione e relative conseguenze”, 178)
- L’istituto della compensazione presuppone l’autonomia dei rapporti cui si riferiscono i contrapposti crediti delle parti, che non sussiste allorchè i rispettivi crediti e debiti abbiano origine da un unico rapporto, come laddove si contrappongano un credito del lavoratore per t.f.r. e un credito risarcitorio del danno di lavoro derivante da delitto commesso dall’ex dipendente. Tale interpretazione non confligge con gli artt. 3 e 36 Cost., date le peculiarità del credito del datore di lavoro, che derivando da delitto, ben possono giustificare il particolare trattamento di esso. (Corte Cost. 4/7/2006 n. 259, Pres. Marini Rel. Vaccarella, in ADL 2007, 433, con nota di Andrea Rondo, “Costituzionalmente legittima la c.d. compensazione impropria”)
- La retribuzione di fatto corrisposta, per il periodo per cui questa ha ecceduto il trattamento minimo contrattuale, deve ritenersi erogata come trattamento di miglior favore volto a compensare la particolare natura e qualità dela prestazione di cuoco svolta e, come tale, la stessa resta imputabile a sola retribuzione ordinaria. Consegue la legittimità del calcolo delle differenze retributive elaborate su tale base. (App. Roma 20/3/2006, Pres. Pacioni Est. Blasutto, in Lav. nella giur. 2007, 206)
- La determinazione della qualità della prestazione lavorativa e del relativo valore è operata dalla contrattazione collettiva non in relazione a qualità oggettive e costanti della prestazione stessa, ma in relazione al suo valore di mercato e per tal motivo è assistita da una presunzione di adeguatezza e proporzionalità; conseguentemente il giudice può discostarsi in melius dai parametri contrattuali solamente a seguito della concreta prova da parte del lavoratore dell’inadeguatezza del trattamento retributivo rispetto al parametro di sufficienza ex art. 36 Cost., rimanendo comunque del tutto irrilevanti eventuali differenze di trattamento fra lavoratori che svolgono identiche mansioni (fattispecie relativa all’art. 7 Ccnl personale addetto ai pubblici servizi di trasporto in concessione dell’11/4/95 che, per i quindici mesi successivi alla conversione del Cfl in contratto ordinario, attribuisce ai dipendenti una retribuzione inferiore a quella dei dipendenti assunti con contratto ordinario, a condizione che l’azienda abbia convertito a tempo indeterminato almeno l’80% dei Cfl complessivamente scaduti nel corso del precedente anno solare). (Cass. 16/5/2006 n. 11437, Pres. Mattone Est. Lamorgese, in D&L 2006, con nota di Angelo Beretta, “Guadagnare meno, lavorare tutti: un caso di retribuziona variabile in funzione del numero di assunzioni”, 839)
- Il pagamento da parte del datore di lavoro, iscritto alla Cassa edile, delle somme aventi natra retributiva (riposi annui, ferie, festività e gratifica natalizia) direttamente ai lavoratori, non costituisce automatica revoca del datore di lavoro della delega alla Cassa edile di pagare quanto dovuto ai lavoratori, in quanto ai sensi dell’art. 1270 c.c., la delega non è revocabile allorquando il delegato (Cassa edile) abbia già assunto l’obbligazione di pagare nei confronti del delegatario (lavoratore), circostanza questa che avviene per il solo fatto di iscrizione del delegante (Impresa edile). (Trib. Firenze 22/12/2006, Est. Muntoni, in D&L 2007, con nota di Angelo Beretta, 171)
- Il pagamento da parte del datore di lavoro, iscritto alla Cassa edile, delle somme aventi natra retributiva (riposi annui, ferie, festività e gratifica natalizia) direttamente ai lavoratori, non costituisce automatica revoca del datore di lavoro della delega alla Cassa edile di pagare quanto dovuto ai lavoratori; ciò in primo luogo perchè ai sensi dell’art. 1270 c.c., la delega non è revocabile allorquando il delegato (Cassa edile) abbia già assunto l’obbligazione di pagare nei confronti del delegatario (lavoratore), circostanza questa che avviene per il solo fatto dell’iscrizione del delegante (Impresa edile); in secondo luogo perchè l’automatica revoca non può considerarsi ammissibile, in quanto produrrebbe effetti non solo sui ratei già corrisposti dal datore di lavoro, ma anche su quelli futuri ancora da pagare, lasciando di fatto il lavoratore privo delle tutele di garanzia di effettività di pagamento, riconosciute dalla contrattazione collettiva istitutiva delle Casse Edili. (Trib. Perugia 2/2/2006, Est. Gambaracci, in D&L 2007, con nota di Angelo Beretta, 170)
- Nel vigente ordinamento, in materia di retribuzione dovuta al prestatore di lavoro ai fini dei cc. dd. Istituti indiretti (mensilità aggiuntive, ferie, malattia e infortunio), non esiste un principio inderogabile di onnicomprensività e, pertanto, nella quantificazione della retribuzione spettante durante le ferie il compenso per lavoro straordinario di turno può essere computato esclusivamente qualora ciò sia previsto da specifiche norme mediante il riferimento alla “retribuzione globale di fatto”, ovvero dalla disciplina collettiva, da interpretare nel rispetto dei canoni di cui agli artt. 1362 ss., cc. (Cass. 6/10/2005 n. 19422, Pres. Mattone Est. Lupi, in Orient. Giur. Lav. 2005, 854)
- Con riguardo ai dipendenti delle Ferrovie dello Stato retribuiti con il sistema del cottimo misto, il diritto soggettivo alla equiparazione retributiva tra corrispettivo delle prestazioni eccedenti una determinata franchigia e corrispettivo per il lavoro straordinario è subordinato allo svolgimento delle prestazioni oltre l’orario normale di lavoro, di cui deve essere data la prova, stante l’ontologica differenza tra lavoro a cottimo e straordinario, che è alla base della normativa codicistica (art. 2099 e 2108 c.c.); differenza ribadita nella normativa speciale sulle competenze accessorie del personale in argomento (art. 33 l. n. 34 del 1970, art. 3 d.P.R. n. 1188 del 1977 e, in precedenza, art. 37 l. n. 685 del 1957), che attribuisce anche al direttore generale la possibilità di autorizzare il sistema di lavoro a cottimo e di fissare norme particolari per l’esecuzione di detto lavoro (art. 35 l. n. 34 del 1970, art. 5 d.P.R. n. 1188 del 1977 e, in precedenza, art. 37 l. n. 685 del 1957). Né il diritto suddetto, all’adeguamento sulla base delle variazioni in aumento del lavoro straordinario introdotte con norme di legge, può fondarsi: sulla mera prestazione fissata dalle circolari autorizzative, che non fanno venire meno l’estensione di tale parametrazione a periodi successivi, essendo rimasto soggetto il rapporto di lavoro in questione alla disciplina pubblicistica sino al giugno 1988, mentre tale uso presuppone un ambito di autonomia privata; su un uso normativo (art. 8 prel.), che opera solo nei casi in cui è la stessa legge a rinviare a esso; sull’art. 36 Cost., valevole per il complesso della retribuzione e non per le singole componenti; sulla formazione di tariffe a cottimo non modificabili se non con il rispetto degli art. 2100 e 2101 c.c., stante la non permeabilità della disciplina pubblicistica sino al giungo 1988, e la mancanza delle condizioni per l’applicabilità dei suddetti articoli per il periodo successivo; ferma restando la mancanza di rilievo decisorio delle norme pattizie successive (art. 6 del contratto collettivo nazionale di lavoro del 1987 e art. 45 del contratto collettivo nazionale di lavoro del 1990). (Cass. 7/3/2005 n. 4813, Pres. Carbone Est. Vidiri, in Giust. Civ. 2005, 435)
- L’accordo accluso al contratto individuale secondo cui il lavoratore viene retribuito in base al numero di viaggi effettuati ed alla destinazione (con suddivisione del territorio nazionale in cinque zone cui corrisponde un compenso maggiore per le zone più lontane) in luogo del tempo impiegato per l’effettuazione dei viaggi (quindi in luogo dello straordinario e delle altre voci stabilite dal CCNL per i dipendenti da imprese di spedizione e autotrasporto merci del 12 aprile 1995 come l’indennità di trasferta stabilita dall’art. 19 e quella di disagio stabilita dall’art. 20) è illegittimo poiché viola l’art. 10, Regolamento CEE n. 3820/85 del Consiglio relativo all’armonizzazioni di alcune disposizioni in materia sociale nel settore dei trasporti su strada, il quale stabilisce un chiaro divieto di retribuire i conducenti salariati – neppure mediante la concessione di premi o di maggiorazioni di salario – in base alle distanze percorse e/o al volume delle merci trasportate. (Trib. Bolzano 9/8/2004, Est. Michaeler, in Lav. nella giur. 2005, con commento di Daniele Simonato, 245)
- Il comma 2 dell’art. 2120 c.c. vigente, nel definire la nozione di retribuzione, ai fini del calcolo del trattamento di fine rapporto, non richiede, a differenza del vecchio testo della norma codicistica, la ripetitività regolare e continua e la frequenza delle prestazioni e dei relativi compensi, disponendo che questi ultimi vanno esclusi dal suddetto calcolo solo in quanto sporadici ed occasionali, per tali dovendosi intendere solo quelli collegati a ragioni aziendali del tutto imprevedibili e fortuite, e dovendosi all’opposto computare ai fini della determinazione del trattamento di fine rapporto gli emolumenti riferiti ad eventi collegati al rapporto lavorativo o connessi alla particolare organizzazione del lavoro. (Nella specie, la S. C. ha confermato la sentenza impugnata, che aveva ritenuto la computabilità, ai fini del suddetto calcolo, delle somme corrisposte a titolo di festività non fruite in quanto cadenti di domenica). (Cass. 19/6/2004 n. 11448, Pres. Mattone Rel. Cataldi, in Dir. e prat. lav. 2004, 2937)
- Per la formazione degli usi aziendali, riconducibili alla categoria degli usi negoziali, è necessaria unicamente la sussistenza di una prassi generalizzata (che si realizza attraverso la mera reiterazione di comportamenti posti in essere spontaneamente e non già in esecuzione di un obbligo) che comporti per i dipendenti l’attribuzione generalizzata di un trattamento più favorevole rispetto a quello previsto dalla legge o dalla contrattazione collettiva. La configurabilità in concreto dell’uso aziendale va accertato da parte del giudice di merito, la cui valutazione non è sindacabile in sede di legittimità se non per vizio di motivazione, con la conseguenza che la corresponsione in tre occasioni di incentivi all’esodo per ridurre il personale non vale a costituire un uso aziendale, giacchè determinata di volta in volta da momenti patologici della vita dell’impresa, caratterizzata da specifici accadimenti di fatto e coevi interventi normativi. (Cass. 3/6/2004 n. 10591, Pres. Mileo Rel. Picone, in Dir. e prat. lav. 2004, 2786)
- Ove il datore di lavoro corrisponda ai suoi dipendenti un determinato emolumento, il giudice del merito, al fine di accertare l’obbligatorietà dell’erogazione, deve valutare se quest’ultima -ancorchè originariamente corrisposta con carattere di spontanea liberalità, senza essere imposta da alcuna fonte legale né pattizia, sia stata corrisposta continuativamente ad una generalità di dipendenti. (Nella specie la S.C ha confermato la decisione di merito che aveva revocato il decreto pretorile con il quale era stato ingiunto ad un istituto di credito di corrispondere in favore di un dipendente una somma a titolo di emolumento integrativo, in chiusura di bilancio, sul rilievo che l’emolumento richiesto, benchè corrisposto in precedenza, nello stesso periodo, costituiva attribuzione “una tantum”, del tutto discrezionale, assegnata all’istituto in funzione degli esiti positivi di bilancio, in considerazione dell’apporto dato a tale risultato da ogni dipendente in relazione alle proprie specifiche responsabilità e ruoli). (Cass. 15/12/2003 n. 19123, Pres. Sciarelli rel. Cucuruto, in Dir. e prat. lav. 2004, 1128)
- Le schede di valutazione utilizzate al fine del riconoscimento della retribuzione di risultato devono essere compilate in ossequio ai requisiti formali e sostanziali previsti dalla contrattazione collettiva. In caso di violazione della procedura prevista, spetta al lavoratore la liquidazione della retribuzione di risultato (nel caso di specie la scheda di valutazione era priva dei requisiti minimi di congruità e di motivazione ed era stata compilata da personale non appartenente al nucleo di valutazione). (Trib. Milano 5/12/2003, Est. Martello, in D&L 2004, con nota di Valentina Civitelli, “Sindacabilità della scheda di valutazione e retribuzione di risultato”, 95)
- Qualora la contrattazione collettiva qualifichi un emolumento come rimborso spese, il Giudice non deve limitarsi a prendere atto di tale qualificazione, che pure costituisce un elemento importante di giudizio, ma deve indagare in concreto la natura dell’erogazione; Ove questa non sia volta a compensare la particolarità della mansione, ma corrisponda ad un esborso effettivo del lavoratore, deve attenersi alla qualificazione contrattuale, anche qualora il relativo importo venga determinato in misura forfettaria e non con riferimento specifico alle spese sostenute (nella specie il Giudice, con riferimento al Ccnl dipendenti Enel ed alla richiesta di computo di alcune voci retributive nell’indennità di trasferta ed all’equo indennizzo chilometrico, mentre ha riconosciuto natura retributiva all’indennità di cantiere ed all’indennità di guida). (Trib. Milano 12/7/2003, Est. Porcelli, in D&L 2003, 981)
- In caso di indebito pagamento da parte del datore di lavoro, l’obbligo di restituzione del dipendente riguarda le sole somme al netto della ritenuta fiscale, ben potendo il datore di lavoro provvedere direttamente alla richiesta di restituzione dell’importo versato all’amministrazione finanziaria a titolo di ritenuta. (Cass. 26/2/2002 n. 2844, Pres. Prestipino Est. De Luca, in D&L 2002, 409)
- È dichiarata manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 545 c.p.c., nella parte in cui predetermina la pignorabilità dello stipendio o salario nella misura di un quinto, sollevata, in relazione all’art. 32, comma 1, Cost., dal Tribunale di Ancona, sezione distaccata di Fabriano, con l’ordinanza di cui in epigrafe (Corte Cost. ordinanza 22/5/02, n. 225, pres. Ruperto,est. Chiappa, in Lavoro giur. 2002, pag. 627)
- La circostanza che vi sia stato un accordo contrattuale fra datore di lavoro e lavoratore (avente ad oggetto la pattuizione di una retribuzione non parametrata alle effettive ore lavorate) non esclude, di per sé, la sussistenza degli estremi del reato di estorsione, in quanto uno strumento giuridico, teoricamente legittimo (quale un accordo contrattuale) può essere usato per scopi diversi da quelli per cui è stato apprestato e può integrare, al di là dell’apparenza esteriore, una minaccia ingiusta, se ingiusto è il fine a cui esso tende (Cass. Sez. Pen. 11/2/02, n. 5426, pres. Valente, est. Fiandanese, in Lavoro giur. 2002, pag. 652, con nota di Piovesana, Un accordo peggiorativo della retribuzione può integrare gli estremi del reato di estorsione?)
- Una prestazione non può essere identica a quella legittimamente richiesta dal datore, e quindi può costituire inadempimento, anche se varia solamente il contesto spazio-temporale in cui è resa dal lavoratore, quando la diversa dislocazione impedisce il raggiungimento del risultato cui lo svolgimento della mansione è preordinato secondo la legittima pretesa dell’imprenditore. A nulla conta quindi se i medesimi compiti siano stati espletati altrove, se ciò non è valso ad assicurare il conseguimento dello stesso (ed intero) risultato cui è preordinata la mansione, né può rilevare che tale condotta sia stata adottata in concomitanza con uno sciopero qualora sia accertata l’illegittimità dell’astensione collettiva. Di conseguenza, in applicazione dell’art. 1460 c.c., è legittima la decurtazione retributiva dovuta alla minore proficuità della prestazione che ha prodotto un’utilità inferiore per il datore di lavoro. (Trib. Ravenna 18/1/01, pres. e est. Riverso, in Argomenti dir. lav. 2001, pag. 1113)
- Posto che non esiste un diritto soggettivo del lavoratore generale ed inderogabile alla parità di trattamento economico e di inquadramento che trovi fondamento nelle fonti legislative anche di diritto comunitario, deve considerarsi legittimo un accordo collettivo che diversifichi la posizione di alcuni lavoratori in relazione a determinate circostanze personali (nella fattispecie, fissando superminimi di entità diversa per i lavoratori assunti rispettivamente prima e dopo una certa data), essendo preclusa al giudice del merito la valutazione della razionalità del regolamento di interessi posto in essere dalle parti sociali, a meno che non sia denunciata la violazione di specifiche norme di diritti positivo (Trib. Milano 5/7/00, pres. Gargiulo, est. Cerreti, in Orient. Giur. Lav. 2000, pag. 342)
- Quanto il lavoratore subordinato abbia percepito in più, rispetto al minimo salariale previsto dalla contrattazione collettiva in relazione alla qualifica riconosciutagli, è computabile in detrazione delle maggiori spettanze che vengano successivamente allo stesso attribuite in accoglimento della domanda di rivendicazione di una qualifica superiore (cosiddetto assorbimento), ove l’interessato non deduca e dimostri uno specifico patto individuale che abbia conferito a detto ulteriore compenso la natura di assegno di merito ad personam (Corte Appello Milano 18/10/00, pres. Mannacio, est. De Angelis, in Orient. Giur. Lav. 2000, pag. 921)
- L’accertamento e la liquidazione dei crediti pecuniari del lavoratore per differenze retributive debbono essere effettuati al lordo delle ritenute contributive e fiscali, tenuto conto, quanto alle prime, che la trattenuta, da parte del datore di lavoro, della parte di contributi a carico del lavoratore è prevista, dall’art. 19, l. 4/4/52, n. 218, in relazione alla sola retribuzione corrisposta alla scadenza, ai sensi dell’art. 23, 1° comma, medesima legge; e che il datore di lavoro, che non abbia provveduto al pagamento dei contributi entro il termine stabilito, è da considerare – salva la prova di fatti a lui non imputabili – debitore esclusivo dei contributi stessi (anche per la quota a carico del lavoratore); ed atteso, quanto alle ritenute fiscali, che il meccanismo di queste inerisce ad un momento successivo a quello dell’accertamento e della liquidazione delle spettanze retributive e si pone in relazione al distinto rapporto d’imposta, sul quale il giudice chiamato all’accertamento ed alla liquidazione predetti non ha il potere d’interferire (Cass. 11/7/00, n. 9198, pres. Grieco, in Orient. giur. lav. 2000, pag. 734)
- Il datore di lavoro che pretenda di ripetere una somma erogata al lavoratore in misura superiore rispetto alle retribuzioni minime previste dal contratto collettivo deve dimostrare che la corresponsione della maggiore retribuzione è frutto di un errore essenziale e riconoscibile dal dipendente stesso ex artt. 1429 e 1431 c.c. (Cass. 17/4/00, n. 4942, pres. Sciarelli, est. Coletti, in Riv. It. dir. lav. 2001, pag. 45, con nota di Ogriseg, Datore di lavoro e ripetizione di indebito: inesistenza di valida causa solvendi o annullamento della solutio per errore?)
- Qualora il datore di lavoro sia inadempiente verso il lavoratore per quote di retribuzione, l’inadempimento sorge al momento del mancato pagamento delle medesime, perché l’intervento del giudice che sancisce tale obbligo ha valore di accertamento e di condanna. Perciò il ritardo nel pagamento dei contributi previdenziali trae origine dall’inosservanza da parte del datore di lavoro dei principi di buona fede e correttezza nello svolgimento del rapporto contrattuale, restando, quindi, escluso che questi, pagati i contributi, abbia diritto di rivalersi nei confronti del lavoratore per la quota a carico di quest’ultimo (Cass. 8/8/00, n. 10437, pres. Santojanni, est. D’Angelo, in Riv. it. dir. lav. 2001, pag. 584, con nota di Notaro, Pagamento di retribuzioni per effetto di sentenza e contribuzione previdenziale)
- Poiché i crediti di lavoro non sono compensabili, per il combinato disposto degli artt. 1246 n. 3 c.c. e 545 c.p.c., è illegittimo il comportamento di una Banca, che, dovendo liquidare le spettanze di fine rapporto a proprio dipendente, da esse trattenga l’intero importo di un finanziamento precedentemente concesso al lavoratore, versando poi il residuo sul conto corrente scoperto del lavoratore stesso, con entrambe tali operazioni compensando i propri crediti finanziari con i crediti di lavoro del dipendente (Trib. Roma 20 luglio 1999 (ord.), pres. ed est. Bronzini, in D&L 2000, 203)
- La normativa italiana sul sistema delle tariffe a forcella non confligge con i superiori principi di rango costituzionale o di derivazione comunitaria, e si applica, ai sensi dell’art. 2126 c.c., all’autotrasportatore di merci per conto terzi che svolge attività in rapporto di “parasubordinazione” (Pret. Pistoia 22/2/99, est. Amato, in D&L 1999, 633, n. Pancini, L’applicabilità ex art. 2126 c.c. al lavoratore parasubordinato del sistema di tariffe <>)
- L’accertamento e la liquidazione dei crediti del lavoratore per arretrati retributivi debbono essere effettuati al lordo delle ritenute contributive e fiscali, che costituiscono un debito del lavoratore insorgente in momento successivo a quello dell’accertamento e della liquidazione di tali crediti (Trib. Roma 17/10/97, pres. Zecca, est. Bonaventura, in D&L 1998, 442)
- Gli infermieri extracomunitari assunti ai sensi dell’art. 9 L. 28/2/90 n. 39 non hanno diritto agli aumenti contrattuali spettanti ai colleghi di nazionalità italiana, dovendosi considerare sul punto legittima l’esclusione contenuta nel DM 5/3/91 n. 174 la quale non è di entità tale da incidere sulla proporzionalità e sufficienza della retribuzione (Pret. Monza 4/9/96, est. Gardoni, in D&L 1997, 606, nota Romeo)
- Il lavoratore che agisce esecutivamente in base a sentenza, a seguito del mancato spontaneo adempimento datoriale, ha diritto a conseguire la disponibilità dell’intero credito azionato, salva la sua successiva obbligazione verso il fisco, gravando sul datore di lavoro l’obbligo di effettuare le ritenute fiscali soltanto in ipotesi di adempimento spontaneo (Pret. Roma 28/1/97, est. Di Marco, in D&L 1997, 817)
- Laddove la disponibilità dell’auto sia oggetto di una concessione contrattuale da parte del datore di lavoro quale beneficio in natura, la stessa costituisce oggetto di una specifica obbligazione che, anche se collegata a una controprestazione, assume natura retributiva (nella specie il dirigente, a fronte della disponibilità, anche per uso personale, dell’autovettura aziendale, subiva una trattenuta mensile di L. 60.000) (Pret. Monza 19/2/96, est. Padalino, in D&L 1997, 170)
- L’incremento del premio di produzione, previsto da contratto collettivo aziendale sino a un predeterminato termine finale, non viene meno per effetto dell’avvenuta scadenza del termine anzidetto, posto che, anche per i contratti collettivi postcorporativi, la scadenza del termine di efficacia contrattualmente previsto non determina l’automatica cessazione delle previsioni di natura retributiva, giacché, incidendo queste su beni di rilevanza costituzionale, quale la conservazione di un’esistenza libera e dignitosa e del livello partecipativo alla vita del Paese, la loro efficaci permane, sino a quando non intervengono fattori incompatibili (Cass. 22/4/95 n. 4563, pres. De Rosa, est. Guglielmucci, in D&L 1995, 1012)
- Per l’individuazione del luogo di adempimento dell’obbligazione retributiva, le regole dettate dall’art. 1182 c.c. hanno un mero valore supplettivo, operando solo in assenza dell’accordo delle parti – che può formarsi anche tacitamente – o, in mancanza, degli usi, ovvero in ragione della natura della prestazione (nel caso di specie, accertato che la retribuzione era sempre stata pagata, di fatto, mediante accredito sul conto corrente bancario del lavoratore, il Pretore ha attribuito prevalenza alla convenzione tacitamente sorta tra le parti rispetto alle regole sancite dall’art. 1182 c.c.) (Pret. Monza 25/7/95, est. Padalino, in D&L 1995, 1095, nota CHIUSOLO, Il luogo del pagamento della retribuzione)
- L’assegnazione di alloggi delle Ferrovie dello Stato, eseguita in favore di dipendenti F.S., aventi sede di lavoro nel distretto, e in possesso di predeterminati requisiti reddituali e familiari, non integra ordinario rapporto di locazione, bensì beneficio connesso alla prestazione lavorativa di natura retributiva, sì da doversi ritenere illegittima l’unilaterale pretesa dell’Ente proprietario di assoggettare tali rapporti alla disciplina dell’equo canone, trattenendone l’importo sulla busta paga (Pret. Milano 14/3/95, est. Peragallo, in D&L 1995, 658)
Retribuzione della reperibilità domenicale
- La reperibilità domenicale non dà diritto a un ulteriore riposo compensativo, ma solamente al corrispettivo per il disagio subito che non deve esser eguale a quello percepito in caso di svolgimento dell’attività lavorativa, essendo sufficiente la corresponsione di un’indennità pari al doppio dell’indennità di reperibilità per i giorni feriali (Cass. 2/4/98 n. 3419, pres. Mattone, est. Miani Canevari, in D&L 1998, 742)
- La reperibilità domenicale non dà diritto a un ulteriore riposo compensativo, ma solamente al corrispettivo per il disagio subito, che deve essere pari non a quello percepito in caso di svolgimento della prestazione lavorativa, ma al minore disagio che il lavoratore ha subito (nel caso di specie, è stato ritenuto sufficiente il corrispettivo previsto dall’art. 31 CCNL 1992 per i lavoratori della Sip, peri al 30% della retribuzione) (Cass. 13/5/95 n. 5245, pres. Bucarelli, est. Simoneschi, in D&L 1996, 180, nota S. MUGGIA, Reperibilità domenicale e compensi)
Indennità di maneggio denaro
- L’indennità di maneggio denaro, prevista dalla contrattazione collettiva, spetta nel solo caso in cui le mansioni normalmente svolte dal lavoratore comportino un continuo maneggio di denaro ed espongano il medesimo dipendente al rischio di errori contabili o finanziari nell’incasso (Trib. Milano 5/10/96, pres. Gargiulo, est. Ruiz, in D&L 1997, 137, nota BALLI, Maneggio denaro e reperibilità: una interessante pronuncia)
- Al lavoratore che, in qualità di responsabile della cassa del reparto, svolga regolare e continuativa (anche se non assorbente) attività di maneggio di denaro, effettuando pagamenti e redigendo rendiconti necessari alla reintegrazione del fondo cassa, compete l’indennità di maneggio denaro prevista dall’art. 10 D.S. parte III CCNL 18/1/87 per i lavoratori metalmeccanici, dovendosi la responsabilità per eventuali ammanchi ritenere esistente in virtù del generale disposto dell’art. 1218 c.c., in mancanza di prova contraria a fornirsi dalla società datrice di lavoro (Pret. Milano, sez. Rho, 7/11/95, est. Maupoil, in D&L 1996, 481)
- Non compete l’indennità di maneggio denaro prevista dall’art. 19 CCNL 1/10/91 dipendenti aziende municipalizzate al fattorino che, nello svolgimento delle proprie mansioni, riceve, trasporta e restituisce somme di denaro per conto dell’azienda, difettando nella fattispecie il necessario requisito del normale svolgimento di una vera e propria attività contabile, implicante obbligo di rendiconto e responsabilità finanziaria inerente alla gestione (Pret. Prato 4/7/95, est. Rizzo, in D&L 1995, 1016)
Retribuzione delle festività coincidenti con la domenica
- Ai sensi dell’art. 5, 3° comma, L. 27/5/49 n. 260 al dipendente spetta, in ipotesi di coincidenza della festività infrasettimanale con la domenica ed anche se il lavoratore non abbia prestato attività in tale giornata, un’ulteriore retribuzione giornaliera, da determinarsi in misura pari ad un ventesimo della retribuzione di fatto mensile comprensiva di ogni elemento accessorio. (Corte d’Appello Milano 14/2/2002, Pres. Ruiz Est. De Angelis, in D&L 2002, 410)
- Ai sensi dell’art. 5, L. 27/5/49 n. 260, in ipotesi di festività coincidente con una domenica non lavorata, compete ai lavoratori retribuiti in misura fissa mensile un’ulteriore quota di retribuzione, corrispondente all’aliquota giornaliera (Pret. Milano 11/2/98, est. Peragallo, in D&L 1998, 737)
- Ai sensi dell’art. 5 L. 27/5/49 n. 260, come modificato dall’art.1, L. 31/3/54 n. 90, in ipotesi di festività coincidente con una domenica non lavorata, spetta a tutti i lavoratori, vuoi retribuiti a ore, vuoi retribuiti in misura fissa, sia la normale retribuzione giornaliera, sia un’ulteriore quota di retribuzione, corrispondente all’aliquota giornaliera (Pret. Milano 3/10/97, est. Atanasio, in D&L 1998, 444)
Retribuzione del lavoro in giorno festivo
- In materia di pubblico impiego, ai dipendenti del comparto delle regioni e delle autonomie locali che svolgono la prestazione lavorativa con il sistema dei turni, funzionale all’esigenza di continuità del servizio, si applica ove la prestazione cada in giornata festiva infrasettimanale, come in quella domenicale, l’art. 22, comma 5, del contratto collettivo 14 settembre 2000 sulle autonomie locali, che compensa il disagio con la maggiorazione del 30 per cento della retribuzione, mentre il disposto dell’art. 24, che ha a oggetto l’attività prestata dai lavoratori dipendenti, in giorni festivi infrasettimanali, oltre l’orario contrattuale di lavoro, trova applicazione soltanto quando i predetti lavoratori siano chiamati a svolgere la propria attività, in via eccezionale od occasionale, nelle giornate di riposo settimanale che competono loro in base ai turni, ovvero in giornate festive infrasettimanali al di là dell’orario di lavoro. (Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che, in relazione alle prestazioni lavorative svolte secondo turni nell’ambito del normale orario di lavoro da dipendenti della polizia municipale, aveva escluso la cumulabilità tra la maggiorazione dovuta per il lavoro a turno dei giorni festivi, ai sensi del citato art. 22, con il compenso di cui al successivo art. 24). (Cass. 9/4/2010 n. 8458, Pres. Sciarelli Rel. Picone, in Lav. nella giur. 2011, con commento di Raffaele Squeglia, 485)
- In ipotesi di prestazione di attività lavorativa in giornata destinata al riposo settimanale, senza recupero del riposo, ove la contrattazione collettiva preveda, per il mancato riposo, un particolare trattamento indennitario, è consentita la verifica giurisdizionale sulla sufficienza del trattamento contrattualmente previsto per indennizzare il lavoratore del danno subito dalla perdita del riposo, dovendosi procedere, in caso di ritenuta insufficienza, a un’equa integrazione giudiziale del trattamento indennitario contrattuale (Trib. Milano 6/6/98, pres. Mannacio, est. Accardo, in D&L 1998, 1019)
- Non è fondata la pretesa dei lavoratori turnisti di ottenere la maggiorazione della retribuzione per il lavoro prestato durante la domenica qualora dall’esame della disciplina prevista dal contratto collettivo risulti in favore di essi un trattamento complessivo differenziato e più favorevole rispetto a quello spettante agli altri lavoratori (Pret. Brescia 4/12/96, est. Cassia, in D&L 1997, 632, nota Muller)
Retribuzione del lavoro svolto oltre il sesto giorno consecutivo
- La prestazione effettuata nel settimo giorno consecutivo di lavoro, con riposo compensativo ricadente nel giorno successivo, esige, per la sua particolare onerosità, uno specifico compenso che, trovando causa nello stesso rapporto di lavoro, ha natura di retribuzione e non risarcitoria o di indennizzo, ed è differenziato da quello – pure spettante – del lavoro prestato nel giorno di domenica; alla sua determinazione – in mancanza di una espressa previsione del contratto collettivo – provvede il giudice sulla base di una motivata valutazione che tenga conto dell’onerosità della prestazione lavorativa e applicando come parametro anche eventuali forme di di retribuzione normativamente previste per istituti affini, quale il compenso del lavoro domenicale. (Cassa con rinvio, Trib. Roma, 16 giugno 2003). (Cass. 4/2/2008 n. 2610, Pres. Senese Est. Cuoco, in Dir. e prat. lav. 2008, 2113)
- In tema di imposte dirette, l’indennità sostitutiva del riposo settimanale non goduto costituisce reddito imponibile da lavoro dipendente, trattandosi di compenso percepito in dipendenza del rapporto di lavoro e commisurato ad una certa capacità di lavoro svolto, anche se non in via regolare e continuativa ed in violazione di un diritto indisponibile, poiché costituisce sicuro indice di capacità contributiva anche la retribuzione corrisposta per il lavoro prestato in violazione di norme – anche imperative a garanzia costituzionale di diritti indisponibili – poste a tutela del prestatore di lavoro, e la legge tributaria non contempla tale ipotesi come causa di esclusione della somma erogata dall’oggetto dell’imposizione. (Cass. 18/8/2004 n. 16101, Pres. Saccucci Rel. Meloncelli, in Lav. e prev. oggi 2004, 2038)
- L’effettuazione del lavoro oltre il sesto giorno non comporta il riconoscimento in sé di un danno risarcibile derivante dall’usura psico-fisica in quanto tale danno, non sorretto da presunzione “iuris et de iure”, deve essere provato dal lavoratore che lo alleghi, non essendovi in materia deroghe alla disciplina generale della risarcibilità del danno e della prova (Corte Appello Milano 16/3/01, pres. Ruiz, est. De Angelis, in Orient. giur. lav. 2001, pag. 73, con nota di Del Conte, Mancata fruizione del riposo settimanale e responsabilità del datore di lavoro)
- In relazione al lavoro prestato oltre il sesto giorno consecutivo, va tenuto distinto il danno da “usura psico-fisica”, conseguente alla mancata fruizione del riposo dopo sei giorni di lavoro, dall’ulteriore danno alla salute o danno biologico, che si concretizza, invece, in una “infermità” del lavoratore determinata dall’attività lavorativa usurante, svolta in conseguenza di una continua attività lavorativa non seguita da riposi settimanali.
- Nella prima ipotesi, il danno sull'”an” deve ritenersi presunto e il risarcimento può essere determinato spontaneamente, in via transattiva, dal datore di lavoro con il consenso del lavoratore, mediante ricorso a maggiorazioni o compensi previsti dal contratto collettivo o individuale per altre voci retributive; nella seconda ipotesi, invece, il danno alla salute o biologico, concretizzandosi in una infermità del lavoratore, non può essere ritenuto presuntivamente sussistente ma deve essere dimostrato sia nella sua sussistenza e sia nel suo nesso eziologico, a prescindere dalla presunzione di colpa insita nella responsabilità nascente dall’illecito contrattuale (nella specie, la sentenza di merito, confermata dalla S.C., interpretando la domanda dei lavoratori – che avevano ammesso di avere ricevuto il risarcimento del danno da usura mediante maggiorazioni retributive previste per istituti contrattuali affini – come richiesta dell’ulteriore danno alla salute, l’aveva rigettata per mancanza di prove in ordine alla sussistenza di tale danno aggiuntivo) (Cass. 4/3/00 n. 2455, pres. Trezza, in Orient. Giur. Lav. 2000, pag. 413)
- La mancata fruizione del riposo dopo sei giorni consecutivi di lavoro può determinare a carico del lavoratore, oltre a un danno da usura psicofisica, che deve ritenersi sempre sussistente per presunzione iuris et de iure, un ulteriore danno alla salute (c.d. danno biologico) il quale, a differenza del primo, dev’essere provato dal prestatore di lavoro sia nella sua sussistenza, sia nel suo nesso eziologico con l’attività lavorativa (Cass. 4/3/00, n. 2455, pres. Trezza, est. Capitanio, in Riv. It. dir. lav. 2001, pag. 48, con nota di Palla, Delle conseguenze derivanti dal lavoro prestato nel giorno di riposo settimanale)
- In caso di lavoro per più di sei giorni consecutivi, il danno da usura psico-fisica subito dal lavoratore non può essere circoscritto al mancato godimento del riposo nel 7° giorno, ma aumenta progressivamente in tutti i giorni successivi fino al godimento del riposo. Conseguentemente, il risarcimento dovuto al dipendente dovrà comprendere – oltre a un importo risarcitorio per il lavoro prestato nel 7° giorno – ulteriori importi risarcitori in progressione crescente, fino al godimento del riposo (nella specie il Pretore ha ritenuto congruo un risarcimento pari al 41% per l’8° giorno, con un incremento dell’1% per ogni giorno successivo) (Pret. Milano 11/12/96, est. Atanasio, in D&L 1997, 610)
- In ipotesi di turnazione che preveda la prestazione di attività lavorativa per sette giorni consecutivi, con riposo nell’ottavo giorno, e fruizione di due riposi consecutivi ogni sette settimane, va ritenuta illegittima la prestazione di attività lavorativa per il settimo giorno consecutivo, con diritto del lavoratore al risarcimento del danno, equitativamente determinabile in importo pari alla retribuzione di una giornata lavorativa, per ogni settimo giorno consecutivamente lavorato (Pret. Milano 22/5/96, est. Muntoni, in D&L 1997, 147)
Retribuzione di altre indennità
- Computabili nella retribuzione feriale dei macchinisti ferroviari le indennità di condotta e di riserva.
Tribunale e Corte d’appello avevano riconosciuto il diritto di alcuni macchinisti ferroviari a vedersi computare nella retribuzione feriale i compensi spettanti a titolo di incentivo per indennità di condotta e indennità di riserva, previsti dalla contrattazione aziendale. I giudici di merito, muovendo dall’accoglimento di una nozione europea di retribuzione, inclusiva di qualsiasi importo pecuniario collegato all’esecuzione delle mansioni e correlato allo statuto professionale del lavoratore, avevano, in particolare, rilevato come l’attività di condotta e il servizio di riserva costituiscano attività tipiche della mansioni di macchinista, le cui relative voci retributive dovevano pertanto considerarsi compensative anche dello statuto professionale dei lavoratori ricorrenti; avevano altresì accertato che le due indennità incidevano in misura rilevante (25/30%) sul trattamento economico mensile dei macchinisti e che, conseguentemente, il loro mancato computo nella retribuzione feriale poteva costituire un deterrente all’esercizio del diritto alle ferie. La Cassazione, nel rigettare il ricorso della società, osserva che: (i) la nozione di retribuzione da applicare durante il periodo di godimento delle ferie deve allinearsi ai principi fissati dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, che in più occasioni ha precisato che l’espressione “ferie annuali retribuite”, contenuta nell’art. 7 della direttiva n. 88 del 2003, va intesa nel senso che, per la durata delle ferie annuali, al lavoratore deve essere garantita una retribuzione sostanzialmente equiparabile a quella ordinaria, ciò in quanto una diminuzione della retribuzione potrebbe essere idonea a dissuadere il lavoratore dall’esercitare il diritto alle ferie; (ii) a tali principi, che risultano vincolanti per il giudice nazionale, si sono attenuti i giudici di merito, i quali, infatti, hanno proceduto correttamente a una verifica ex ante della potenzialità dissuasiva dell’eliminazione di voci economiche della retribuzione durante le ferie al godimento delle stesse, senza trascurare di considerare la pertinenza di tali compensi rispetto alle mansioni tipiche della qualifica rivestita. (Cass. 26/6/2023 n. 18160, Pres. Raimondi Rel. Garri, in Wikilabour, Newsletter n. 13/2023) - Le clausole del CCNL Enti locali riguardanti l’indennità di rischio, l’indennità per attività lavorativa svolta in condizioni particolarmente disagiate e l’indennità di responsabilità sono clausole generali, la cui definizione è rimessa alla contrattazione collettiva decentrata integrativa, che delimita e concretizza in piena autonomia, per i rapporti di lavoro rientranti nel proprio ambito, la portata delle clausole generali nazionali. (Trib. Termini Imerese 11/2/2013, Giud. Rezzonico, in Riv. It. Dir. lav. 2014, con nota di Matteo Corti, “Sulla contrattazione decentrata nel pubblico impiego: dagli aumenti indiscriminati a pioggia alla premiazione della performance”, 105)
- Ai sensi del d.l. 31 luglio 1987, n. 317, convertito nella l. 3 ottobre 1987, n. 398, l’indennità di trasferta, che va a compensare il disagio che comporta lo svolgimento all’estero della prestazione lavorativa, non consente all’interprete di derogare alla prescrizione di legge che ne impone l’erogazione e, neppure, alla volontà delle parti. Spetta al Giudice del merito considerare se l’indennità in questione abbia natura di superminimo o meno, valutando il corrispondente trattamento contributivo. La corresponsione di una “pocket money” è assoggettata a contribuzione e legittimamente detratta, erogata anticipatamente in moneta straniera. (Cass. 28/3/2011 n. 7041, Pres. Roselli Rel. La Terza, in Lav. nella giur. 2011, 628)
- Le retroattività dei miglioramenti economici non può aver eliminato il diritto alla percezione dell’indennità di vacanza contrattuale, che era già sorto, lo si ripete, al verificarsi delle condizioni sopra delineate e che aveva natura e fondamento giuridici ben diversi dal riconoscimento degli aumenti retributivi, effettuato con la sottoscrizione del nuovo contratto collettivo. (Trib. Napoli 21/3/2010, Gius. Majorano, in Lav. nella giur. 2010, 738)
- In materia di trattamento economico aggiuntivo attribuito al lavoratore che presti la propria opera all’ester, alle somme erogate a titolo di rimborso spese va riconosciuta natura retributiva qualora si tratti di spese effettuate dal lavoratore per adempiere, sia pur indirettamente, agli obblighi della prestazione lavorativa, non assumendo rilievo il carattere forfettario o meno del rimborso ma esclusivamente il collegamento sinallagmatico della spesa sostenuta dal lavoratore con la prestazione lavorativa all’estero, risolvendosi la corresponsione dell’importo in un adeguamento della retribuzione per le maggiori spese in considerazione delle condizioni ambientali in cui il lavoratore presta la sua attività. (Nella specie, relativa alla domanda di liquidazione del Tfr a favore di un dipendente che, in posizione di distacco aveva svolto le sue mansioni a Panama, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva riconosciuto natura retributiva alle spese relative all’alloggio, al rimborso dei viaggi aerei, alle spese di iscrizione e frequenza nelle scuole dei figli trasferiti all’estero in quanto attribuzioni patrimoniali dirette alla salvaguardia della retribuzione). (Cass. 18/3/2009 n. 6563, Pres. Lamorgese Rel. Zappia, in Lav. nella giur. 2009, 834, e in D&L 2009, 776)
- L’art. 44, comma 6, lett.c), ccnl comparto sanità personale non dirigente, parte normativa 1994/1997 e parte economica 1994/199, prevede la corresponsione al personale infermieristico e di una specifica indennità per ogni giornata di effettivo servizio prestato nei “servizi di malattie infettive”. L’espressione indica un lavoro prestato in una struttura preposta alla cura delle malattie infettive (o di malattie affini o equipollenti), in quanto “servizio” è un termine generale idoneo a ricomprendere articolazioni del servizio sanitario identificabili come parti della organizzazione sanitaria destinate alla curan di un certo tipo di malattie. Pertanto, il senso letterale dell’espressione utilizzata dalle parti stipulanti non consente di riconoscere l’indennità prevista per gli infermieri che operano nei servizi di malattie infettive anche a infermiere che operano in altri segmenti dell’organizzazione sanitaria non finalizzate alla cura delle malattie infettive “ogniqualvolta si verifichi di fatto una situazione di rischio assimilabile a quella propria del reparto malattie infettive”. Il senso letterale delle parole viene confermato dalla lettura complessiva dell’atto e dal comportamento successivo delle parti, escludendo ogni possibile dubbio interpretativo. (Cass. 9/4/2008 n. 9248, Pres. Ianniruberto Rel. Curzio, in Lav. nelle P.A. 2008, 401)
- Il ricovero gratuito dell’invalido grave rileva ai fini dell’esclusione dal diritto all’indennità di accompagnamento in quanto sia configurabile in termini di alternativa alla situazione di assistenza da parte dei familiari dell’invalido grave nella loro abitazione. (Trib. Grosseto 17/4/2007, Dott. Ottati, in Lav. nella giur. 2008, 95)
- La c.d. indennità estero – che consiste in un importo che viene corrisposto al lavoratore per il periodo in cui è chiamato a svolgere attività lavorativa in sede estera, in considerazione dei maggiori disagi e costi che lo spostamento comporta – ha natura retributiva e va computata nella base di calcolo del Tfr, per la parte in cui non compensa specifiche spese che, in assenza del trasferimento, sarebbero state evitate dal lavoratore. (Corte App. Milano 22/2/2007, Pres. Castellini Est. Curcio, in D&L 2007, 856)
- L’indennità di mobilità di cui all’art. 7, 1° comma, L. 23/7/91 n. 223, deve essere determinata in base alla retribuzione dovuta per l’orario contrattuale ordinario, calcolando nel relativo importo complessivo non solo paga base, indennità di contingenza e ratei di mensilità aggiuntive, ma tutti gli elementi – incluse eventuali maggiorazioni retributive – che devono essere considerati come componenti della normale retribuzione oraria stabilita come parametro di riferimento, in relazione a quanto spettante a tale titolo per il periodo immediatamente precedente la risoluzione del rapporto di lavoro (nella fattispecie, la Cassazione ha accolto il ricorso di un lavoratore il quale assumeva che nella base di calcolo della retribuzione di riferimento ai fini di calcolo dell’indennità di mobilità dovessero essere incluse le maggiorazioni per il lavoro a turno, i ratei di ferie, i Rol e le festività soppresse). (Cass. 20/2/2007 n. 3917, Pres. Ravagnani Est. Miani Canevari, in D&L 2007, con nota di Alessandro Corrado, “Quali sono le voci retributive per determinare l’indennità di mobilità: chiarimenti della Suprema Corte”, 539)
- L’indennità di buonuscita spettante ai dipendenti dell’Ente Poste – che, ai sensi dell’art. 53, 6° comma, L. 27/12/1997 n. 449, viene corrisposta all’atto di cessazione del rapporto con riferimento alla sola anzianità maturata al 28/2/98 – deve essere computata sulla retribuzione spettante alla data di cessazione del rapporto (tenendo conto dei soli elementi retributivi previsti dall’art. 38 DPR 29/12/73 n. 1032) e non su quella in essere al 28/2/98, giacché il congelamento della retribuzione di riferimento a tale data farebbe venire meno la proporzionalità tra detta indennità e la quantità e qualità del lavoro0 prestato. (Trib. Ragusa 13/2/2007, Est. Giampiccolo, in D&L 2007, 490)
- Non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 53, comma 6°, L. 27/12/97 n. 449 per violazione degli artt. 3 e 36 Cost. nella parte in cui non prevede per i dipendenti delle Poste Italiane un adeguato meccanismo di indicizzazione dell’indennità di buonuscita maturata alla data del 2/2/98, nella quale il rapporto di lavoro è stato privatizzato. Infatti, nel caso di un trattamento globale costituito da più componenti (indennità di buonuscita determinata secondo la disposizione censurata e trattamento di fine rapporto disciplinato dall’art. 2120 c.c.) il rispetto dell’art. 36 Cost. deve essere valutato non con riguardo a ciascuna di queste, bensì alla totalità dell’emolumento. (Cost. 9/11/2006 n. 366, Pres. Bile Rel. Amirante, in D&L 2007, con nota di Carmen Schettini, “Calcolo oggi e pago domani: lo strano destino del trattamento di fine rapporto dei dipendenti postali”, 71)
- L’indennità di amministrazione non è computabile nel calcolo della tredicesima mensilità, in quanto il contratto collettivo del comparto ministeri, che fa proprio il contenuto dell’art. 7 del DLCPS 263/46, istitutivo della tredicesima mensilità per i dipendenti pubblici, prevede che detta indennità sia versata per dodici mesi e che la medesima sia imputabile esclusivamente ai fini della determinazione del Tfr, dell’indennità di buonuscita e dell’indennità di licenziamento. (Trib. Firenze 16/11/2005, Est. Taiti, in D&L 2006, con n. Francesco Alvaro, “Sul computo dell’indennità di amministrazione nella tredicesima mensilità”, 564)
- Ai fini del calcolo del premio supplementare di cui all’art. 153 del T.U. n. 1124 del 1965 in favore dei lavoratori esposti al rischio ambientale della silicosi e dell’asbestosi, l’espressione “salari specifici” recata dal citato art. 153 va interpretata in senso soggettivo e non oggettivo: sicchè il premio grava sulle retribuzioni non di tutti i dipendenti, ma solo di quelle dei lavoratori esposti al rischio silicotigeno e, una volta individuati i lavoratori protetti, esso va calcolato sull’intera retribuzione, comprensiva anche dei periodi non lavorati, quali ferie, congedi e malattie. (Cass. 29/3/2005 n. 6602, Pres. Mileo Rel. De Matteis, in Dir. e prat. lav. 2005, 1944)
- L’indennità di accompagnamento, va riconosciuta alla stregua di quanto previsto dall’art. 1 della legge 11 febbraio 1980, n. 18, anche in favore di coloro i quali, pur essendo materialmente capaci di compiere gli atti elementari della vita quotidiana (quali nutrirsi, vestirsi, provvedere alla pulizia personale, assume con corretta posologia le medicine prescritte) necessitano della presenza costante di un accompagnatore in quanto, in ragione di gravi disturbi della sfera intellettiva, cognitiva o volitiva dovute a forme avanzate di gravi stati patologici, o a gravi carenze intellettive, non sono in grado di determinarsi autonomamente al compimento di tali atti nei tempi dovuti e con modi appropriati per salvaguardare la propria salute e la propria dignità personale senza porre in pericolo sé o gli altri. (Cass. 21/1/2005 n. 1268, Pres. Ianniruberto Rel. Vidiri, in Dir. e prat. lav. 2005, 1522 e in Lav. nella giur. 2005, 584)
- In tema di imposte sui redditi, la indennità di fine rapporto corrisposta al dipendente per il servizio continuativo svolto all’estero va assoggettata ad Irpef, dovendosi escludere che l’esenzione da imposizione dei redditi derivanti da lavoro dipendente prestato all’estero in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto, prevista dal terzo comma dell’art. 3 del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986 n. 917, operi anche rispetto ai redditi soggetti a tassazione separata. (Cass. 19/8/2004 n. 16233, Pres. Cristarella Orestano Rel. De Blasi, in Lav. e prev. oggi 2004, 2037)
- Il criterio di adeguamento automatico posto dall’art. 1, comma 5, d.l. 16 maggio 1994 n. 299, conv., con mod., in l. 19 luglio 1994 n. 451, che ha modificato l’art. 1 l. 13 agosto 1980 n. 427, riguarda unicamente il trattamento straordinario di integrazione salariale e solo indirettamente, quanto alla rivalutabilità dei massimali del relativo trattamento, incide anche sull’indennità di mobilità; parimenti tale adeguamento automatico – nel regime precedente all’art. 8 comma 8 d.lgs. n. 468 del 1997 – non trova neppure applicazione al sussidio per i lavori socialmente utili, senza che insorgano dubbi non manifestamente infondati di legittimità costituzionale della citata normativa in riferimento agli art. 36 e 38, comma 2, Cost. (Cass. 22/6/2004, n. 11632, Pres. Mercurio Est. Amoroso, in Giust. Civ. 2005, 397)
- Con riguardo al trattamento economico aggiuntivo attribuito da pattuizioni individuali al lavoratore che, alle dipendenze di datore di lavoro italiano, presti la sua opera all’estero, l’accertamento in ordine alla natura retributiva o meno dell’erogazione (in relazione alla sua funzione di corrispettivo della collaborazione dell’impresa, o di reintegrazione di perdite patrimoniali subite dal lavoratore a cagione delle particolarità modalità esecutive della prestazione) è riservato al giudice di merito; al medesimo spetta verificare la natura eventualmente composita dell’attribuzione, determinando l’incidenza percentuale della componente retributiva anche mediante ricorso a valutazione equitativa ai sensi dell’art. 432 c.p.c., nell’ambito della quale può essere utilizzata la disposizione dell’art. 12, L. n. 153/1969, che ai fini contributivi presume il carattere retributivo dell’indennità di trasferta nella misura del 50%. (Cass. 10/3/2004 n. 4945, Pres. Sciarelli Rel. Maiorano, in Lav. nella giur. 2005, 76)
- Le mance corrisposte ai lavoratori con carattere di continuità e abitualità possono acquistare natura retributiva solo ove uno specifico accordo negoziale individuale o collettivo determini, con effetti di natura costitutiva, le condizioni perché tali emolumenti debbano essere considerati, in parte o in tutto, integrativi della retribuzione; a tale stregua deve riconoscersi natura retributiva a quanto spettante al lavoratore per il c.d. punto mance, costituito da quota parte delle mance versate dalla clientela e ripartite tra i lavoratori dalla c.d. “commissione punto mance” in misura variabile in relazione al tipo di attività espletata. (Cass. 1/7/2002, n. 9538, Pres. Prestipino, Est. Guglielmucci, in Riv. it. dir. lav. 2003, 501, con nota di Andrea Pardini, Interpretazione della clausola collettiva ambigua secondo il criterio di armonizzazione)
- L’attività di portierato presso un ente teatrale, effettuata, ancorchè con carattere di sistematicità, nel corso della notte, configura lo svolgimento di lavoro notturno, con conseguente diritto del portiere a percepire le maggiorazioni retributive previste dal contratto collettivo (Consiglio di Stato 5/6/2001, n. 3000, Pres. Ruoppolo, Est. Chieppa, in Foro it. 2003, parte terza, 99)
- La retribuzione contributiva, a cui per i dipendenti degli enti locali si commisura, a norma dell’art. 4, l. 8/3/68, n. 152, l’indennità premio di servizio è costituita solo dagli emolumenti testualmente menzionati dall’art. 11, comma 5°, legge cit., la cui elencazione ha carattere tassativo e la cui dizione “stipendio o salario” richiede un’interpretazione restrittiva, alla luce della specifica menzione, come componenti di tale voce, degli aumenti periodici, della tredicesima mensilità e del valore degli assegni in natura (Corte Appello Milano 22/3/01, pres. Mannaccio, est. Ruiz, in Orient. giur. lav. 2001, pag. 180)
- Il trattamento economico aggiuntivo (cosiddetta indennità estero) corrisposto al lavoratore che alle dipendenze di datore di lavoro italiano presti la sua opera all’estero può, in base alle pattuizioni che la prevedono e alle particolarità del caso concreto, avere sia natura riparatoria – assolvendo la funzione risarcitoria delle maggiori spese connesse alla prestazione lavorativa all’estero – sia di natura retributiva – assolvendo la funzione compensativa del disagio e/o della professionalità propria di detta prestazione lavorativa – sia, infine, natura mista – assolvendo una funzione tanto risarcitoria che retributiva; il relativo accertamento è riservato al giudice di merito ed è incensurabile in sede di legittimità se congruamente motivato (nella specie la S.C. ha confermato la decisione di merito che aveva affermato la natura risarcitoria dell’indennità determinata, in base al contratto,
- in relazione ad una serie di spese continuative legate alla presenza all’estero: maggiori spese per canone di locazione, retta di frequenza scolastica dei figli, servizio domestico, pressione fiscale, etc.) (Cass. 3/11/00, n. 14388, pres. Ianniruberto, in Orient. Giur. Lav. 2000, pag. 1007)
- Ai sensi dell’art. 2100 c.c. e dell’art. 11, disciplina speciale, parte prima, c.c.n.l. del settore metalmeccanico privato, hanno diritto all’indennità di cottimo i lavoratori addetti a linea produttiva c. d. a catena, con tempistica fissata dalla direzione in relazione al numero di pezzi previsti e scandita dal suono di una campana, i quali, ove non riescano a completare l’operazione loro affidata, devono segnalarlo al compagno di lavoro dell’operazione successiva facendo affidamento su di lui perché porti a compimento la prima operazione, venendo rimpiazzati dai c. d. soccorritori o da superiori solo per le pause fisiologiche o a fine lavoro, in caso di inconvenienti dovuti a cause tecniche (Trib. Milano 16/9/00, pres. e est. Ruiz, in Foro it. 2001, pag. 362)
- L’affidamento ad un portalettere, in aggiunta alle ordinarie mansioni, dell’attività di consegna di stampe di peso superiore a 500 gr., non dà diritto al lavoratore ad alcun compenso aggiuntivo. La circolare dell’Ente poste Italiane s.p.a. n. 2 del 7/4/94, con la quale si determina un tempo di lavoro di 10 minuti per la consegna di stampe di peso superiore a 500 gr., non può essere interpretata nel senso di attribuire al portalettere che effettui tale consegna una retribuzione aggiuntiva commisurata a tale parametro (Corte Appello Bari 26/6/00, pres. e est. Berloco, in Lavoro giur. 2000, pag.1033, con nota di Farina, Consegna di corrispondenza di peso superiore ai 500 gr.: lavoro straordinario o esercizio del potere direttivo?)
Ai fini della determinazione della retribuzione spettante ai dipendenti delle aziende tramviarie per le festività infrasettimanali, l’inclusione delle indennità di presenza e di turno previste dagli accordi collettivi va accertata sulla base della sussistenza o no del carattere continuativo e obbligatorio delle relative corresponsioni, secondo il disposto dell’art. 5, l. n. 260/49, come modificato dall’art. 1, l. n. 90/54, e non già sulla base delle indicazioni fornite dagli accordi o dai contratti collettivi, giacché, se è vero che non esiste nell’ordinamento il principio generale di omicomprensività della retribuzione, onde l’esclusione di un determinato elemento accessorio di un compenso retributivo può essere rimessa alla contrattazione collettiva, è pur vero che tanto può avvenire solo in assenza di una legge che disponga diversamente. Quando invece, come nell’ipotesi in esame, la legge abbia previsto che non possono essere esclusi da un determinato compenso gli elementi retributivi accessori che abbiano il carattere della continuità, il giudice di merito dovrà accertare in concreto la sussistenza o no del suddetto carattere, prescindendo da eventuali diverse indicazioni fornite dagli accordi collettivi (Cass. 8/4/00, n. 4477, pres. Lanni, in Riv. it. dir. lav. 2001, pag. 270, con nota di Lamberti, Sull’inclusione delle competenze accessorie nel compenso per le festività infrasettimanali dei dipendenti delle aziende tramviarie) - L’indennità di vacanza contrattuale, introdotta dal protocolllo del 1993, ha efficacia normativa e quindi immediatamente precettiva, così come risulta dalle stesse disposizioni dell’accordo, di guisa che esso è ritenuto vincolante anche nei confronti e a favore di terzi. Ne consegue che le clausole dell’accordo, relative alla vacanza contrattuale, introducendo un istituto a carattere retributivo in favore dei lavoratori, sono idonee a far sorgere un vero e proprio diritto soggettivo, direttamente azionabile in via ordinaria, in relazione al periodo rispetto al quale è riconosciuto. Il presupposto fondamentale dell’indennità di vacanza contrattuale non è il dato formale della successione di due contratti omogenei e dello stesso tipo, ma il dato di natura sostanziale che fra la disciplina precedente e quella successiva intercorra un periodo di vacanza, tale da alterare gli equilibri retributivi in termini di adeguatezza del salario rispetto al costo della vita, secondo la funzione propria della indennità in parola (Trib. Parma 3/3/00, est. Ferraù, in Lavoro giur. 2000, pag. 862, con nota di Angiello)
- In ipotesi di orario di lavoro fisso, dalle 6.30 alle 12.30, per sei giorni settimanali, la mezz’ora di indennità di lavoro notturno quotidianamente erogata deve essere inclusa nella retribuzione corrisposta per le giornate di ferie, in quanto facente parte della “normale” retribuzione di cui all’art. 7 della Convenzione OIL 130/70; mentre non va invece computata nel calcolo della tredicesima mensilità, atteso il tenore dell’art. 60 Ccnl di settore, che elenca analiticamente le voci che concorrono a formarla, senza includervi l’indennità per lavoro notturno (Trib. Milano 23 dicembre 1999, est. Mascarello, in D&L 2000, 442)
- In tema di rapporto di lavoro degli autoferrotranvieri, in base alla disciplina di cui all’art. 22 all. A r.d. 8/1/31, n. 148 non può ritenersi consentita alcuna maggiorazione del compenso da corrispondere al dipendente durante il periodo feriale rispetto al restante periodo lavorativo, né tale maggiorazione può ritenersi prevista dal c.c.n.l. 12/3/80, il quale fa riferimento, ai fini del compenso feriale, alla normale retribuzione così come definita nello stesso contratto. Ne consegue che ai fini del computo della retribuzione feriale non può tenersi conto dei ratei di tredicesima e quattordicesima mensilità, trattandosi di voci esulanti dalla suddetta normale retribuzione, e la cui inclusione nel compenso feriale comporterebbe maggiorazione di quest’ultimo rispetto a quello dei periodi lavorativi) (Cass. 9/12/99 n. 13780, pres. Sciarelli, in Orient. Giur. Lav. 2000, pag. 441)
- Il compenso previsto dal patto di non concorrenza può essere corrisposto mensilmente nel corso del rapporto di lavoro, anziché dopo la cessazione dello stesso, purché nell’ambito del regolamento economico del patto sia diversificata la parte relativa al compenso per il lavoro da quella relativa al compenso per il patto; tuttavia, l’esiguità del compenso, valutata in relazione alla misura della retribuzione percepita dal lavoratore, all’estensione territoriale e oggettiva del divieto di svolgere attività lavorativa e alla professionalità del lavoratore, determina la nullità del patto (nella specie , il Tribunale ha ritenuto incongruo il compenso di L. 100.000 mensili a fronte di una retribuzione di L. 2.800.000 mensili, per un obbligo di non concorrenza esteso a tutto il territorio nazionale, a ogni tipo di prestazione, anche autonoma, e riferito a tutte le attività svolte presso il datore di lavoro) (Trib. Milano 16/6/99, pres. est. Mannaccio, in Riv. it. dir. lav. 2000, pag. 728, con nota di Pilati, Sulla nullità del patto di non concorrenza per esiguità del compenso corrisposto nel corso del rapporto di lavoro)
- Le delibere dell’Assemblea dei partecipanti al capitale dell’IMI, assunte successivamente alla disciplina del blocco della contingenza del febbraio ’77, che qualificano la “ex erogazione assembleare” come “trattamento retributivo oramai contrattualmente acquisito dal Personale” e ne fissano la corresponsione in misura percentualmente parametrata all’importo lordo della mensilità ordinaria di marzo (con la sola esclusione degli assegni familiari), appaiono significative di una volontà aziendale di riconoscere nel calcolo dell’emolumento – anche successivamente all’emanazione del DL 12/77 – l’importo della scala mobile ricompreso nella mensilità assunta come parametro. A seguito della sentenza 124/91 della Corte Costituzionale, parzialmente retroattiva al 28/2/86, gli artt. 2 e 4 del DL 12/77 debbono leggersi nel senso che sia la norma che esclude il computo della scala mobile dalle mensilità eccedenti quelle del settore industria, sia quella che dispone la nullità delle norme regolamentari e delle clausole contrattuali derogative, operino limitatamente al periodo 1/2/77 – 28/2/86. Ne consegue che, in presenza di una persistente volontà di computo della contingenza nella “ex erogazione assembleare” manifestata nelle precitate delibere, i dipendenti IMI hanno diritto all’inclusione, nel computo dell’emolumento aziendale in questione, anche degli incrementi di contingenza, maturati successivamente al 28/2/86 (Trib. Roma 17/3/97, pres. Zecca, est. Pagetta, in D&L 1997, 818, n. Ruini)
- L’art. 29 CCNL Aziende Municipalizzate 1/10/91, che dispone la non estensibilità dell’EDR ai lavoratori assunti dopo l’1/1/92 e l’art. 2 lett. a dell’Accordo aziendale Amsa 14/1/92, che limita l’erogazione dell’EDR ai soli lavoratori assunti fino al 31/12/91, riconoscendo ingiustificatamente trattamenti retributivi differenziati a lavoratori che svolgono pari mansioni, sono nulli per violazione dei doveri di correttezza e buona fede che incombono sulle parti contrattuali, con conseguente obbligo del datore di lavoro di corrispondere ai lavoratori assunti dopo il 31/12/91, in via risarcitoria, importi pari alle somme fruite a titolo di EDR da tutti gli altri lavoratori (Pret. Milano 9/1/96, est. Atanasio, in D&L 1996, 725)