Corte Costituzionale, sentenza 8 marzo 2024, n. 38
No ai ratei di indennità di mobilità se l’ex dipendente svolge lavoro autonomo o imprenditoriale.
Il Tribunale di Ravenna era stato chiamato a pronunciarsi sull’opposizione proposta da un ex lavoratore iscritto nelle liste di mobilità, avverso il decreto con il quale gli era stato ingiunto di restituire all’INPS gli importi percepiti mensilmente a titolo di indennità di mobilità, in un periodo nel quale egli aveva svolto attività di lavoro autonomo come coadiutore di impresa familiare. Constatata l’esistenza di un orientamento interpretativo ormai consolidato dell’art. 7, comma 5 della l. n.223 del 1991. (abrogato dalla legge n. 92 del 2012) nel senso della incompatibilità dello svolgimento di attività autonoma con la percezione dell’indennità di mobilità, salvo il caso in cui il beneficiario ne richieda la corresponsione anticipata, il Tribunale ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 7, co. 5, l. 223/91, in riferimento all’art. 3, primo comma Cost. La Corte, nel rigettare la questione, rileva che: (i) l’erogazione in forma rateale e la corresponsione anticipata in un’unica soluzione dell’indennità di mobilità svolgono funzioni tra loro diverse: la prima costituisce un vero e proprio trattamento di disoccupazione, mentre la seconda costituisce un incentivo all’autoimprenditorialità, principalmente al fine di ridurre la pressione sul mercato del lavoro; (ii) in questa prospettiva, la soluzione adottata dal diritto vivente – che circoscrive la compatibilità dell’indennità di mobilità con lo svolgimento di attività autonoma alla sola ipotesi in cui la relativa corresponsione sia chiesta in forma anticipata – appare coerente con l’obiettivo che il legislatore ha inteso perseguire con lo strumento dell’anticipazione una tantum, ossia la riduzione del numero degli iscritti alla lista di mobilità e degli oneri economici gravanti sull’intero sistema degli ammortizzatori sociali.