Corte di Cassazione, ordinanza 31 marzo 2023, n. 9143
In caso di annullamento della cessione d’azienda, l’obbligo contributivo resta, nel periodo intermedio, a carico del cedente.
La Corte d’appello aveva escluso l’obbligo di una società di pagare all’INPS i contributi per 10 lavoratori che erano stati “reintegrati” all’esito dell’annullamento della cessione di un ramo d’azienda, perché, durante la cessione, non sussisterebbero per la cedente obblighi retributivi e contributivi. La sentenza è annullata dai giudici di legittimità, che formulano il principio succitato, osservando che (i) in base agli artt. 1218 e 1256 c.c., quando la “sospensione unilaterale” del rapporto è addebitabile a fatto del datore di lavoro, quest’ultimo è sempre tenuto alle obbligazioni retributive dal momento dell’offerta della prestazione lavorativa nei suoi confronti (ii) la permanenza dell’obbligazione retributiva in capo al cedente implica contestualmente la configurabilità dell’obbligazione contributiva previdenziale, che alla prima si correla geneticamente; (iii) la sussistenza del debito contributivo in capo alla società cedente non è esclusa neppure qualora il cessionario provveda a versare i contributi previdenziali in relazione alle retribuzioni pagate ai lavoratori nel periodo di efficacia della cessione d’azienda, in quanto, una volta invalidata la cessione, il pagamento dell’obbligazione contributiva non proviene più dal datore di lavoro formalmente titolare del rapporto ma da un terzo a ciò non autorizzato (nei regimi previdenziali obbligatori, infatti, l’obbligo di versare i contributi ha natura inderogabile ed è quindi indisponibile, in virtù di quanto stabilito dall’art. 2115, co. 3, c.c., che dispone la nullità di qualsiasi patto diretto a eludere l’obbligazione contributiva).