Corte di giustizia UE, sentenza 26 giugno 2018, in causa n. C-451/16, MB

26 Giugno 2018

E’ discriminatoria una norma nazionale che, in caso di cambiamento di sesso, subordina l’accesso alla pensione di vecchiaia, coi requisiti del sesso acquisito dalla persona interessata, all’annullamento del suo matrimonio precedente.

Tipo di Atto: Giurisprudenza Corte di Giustizia dell’Unione Europea

Un signore inglese, da tempo spostato, cambiò sesso, rimanendo per ragioni religiose, come donna, legata in matrimonio alla moglie. Secondo il diritto inglese all’epoca applicabile, in caso di mutamento di sesso certificato, questo era qualificato definitivo, e quindi a tutti gli effetti, solo se la persona interessata non era sposata, mentre per le persone sposate la qualifica era provvisoria e la persona era autorizzata a chiedere l’annullamento del matrimonio, acquisendo così lo status definitivo, anche ai fini previdenziali. I quali, all’epoca e transitoriamente, prevedevano che per la donna la pensione di vecchiaia potesse maturare a 60 anni e per l’uomo a 65. Nel caso in esame, l’ente previdenziale inglese aveva negato il diritto alla pensione, al compimento di 60 anni, del signore inglese divenuto donna, in quanto ancora coniugata e quindi non in possesso del relativo status definitivo. Da ciò la controversia, pervenuta quindi alla Corte di giustizia, che ha affermato il principio indicato alla stregua del diritto comunitario.
Sezione: previdenza