Corte di Cassazione, sentenza 25 gennaio 2023, n. 2241
La falsità della prova testimoniale comporta la revocazione della sentenza civile solo se successivamente accertata in un giudizio al quale hanno partecipato le parti.
Un lavoratore aveva ottenuto la revocazione ex art. 395 c.p.c. della sentenza d’appello che aveva dichiarato la legittimità del licenziamento per giusta causa intimatogli dalla società datrice di lavoro, basandosi su una prova testimoniale che un successivo procedimento penale, al quale il datore di lavoro non aveva preso parte, aveva accertato essere falsa. In sede di ricorso per cassazione della società, che accoglie, la Corte rileva come (i) il principio della necessaria partecipazione di tutte le parti al procedimento penale che dà luogo al giudicato sulla falsità della prova è stato affermato dalla giurisprudenza in termini generali, e non, come sostenuto dai giudici di merito, con esclusivo riferimento all’ipotesi in cui la falsità riguardi prove documentali; (ii) lo stesso art. 395, n. 2, c.p.c. parla genericamente di “prove dichiarate false”, senza alcuna distinzione tra falsi documentali e falsi dichiarativi; (iii) sarebbe inoltre controintuitivo, se non addirittura antinomico, da un lato, esigere che la falsità della prova da far valere con la revocazione debba essere coperta da un giudicato formale (come costantemente ribadito dalla giurisprudenza di legittimità), e, dall’altro lato, consentire che quel giudicato possa ritenersi integrato sul piano soggettivo senza che una o più parti del giudizio civile in cui è stata resa la sentenza che si vorrebbe revocare abbiano partecipato all’altro giudizio.