Sui rapporti tra procedimento penale e procedimento disciplinare nel pubblico impiego
Corte di Cassazione, sentenza 22 luglio 2024, n. 20109
Un dipendente comunale era stato licenziato per giusta causa sulla base di elementi emersi nel corso di un’indagine penale, nell’ambito della quale al lavoratore erano stati addebitati episodi di falsa attestazione della presenza sul luogo di lavoro. Nel giudizio di impugnazione del licenziamento, essendo intervenuta sentenza irrevocabile di assoluzione penale del dipendente con la formula “perché il fatto non sussiste”, la Corte d’appello aveva accolto le domande. Su ricorso del Comune, la Cassazione, nel confermare la sentenza di secondo grado, ha così avuto modo di ribadire i rapporti tra procedimento disciplinare e procedimento penale, osservando, in particolare, che il disposto di cui all’art. 653 c.p.p. – per cui il giudicato penale di assoluzione ha efficacia nel procedimento disciplinare quanto all’accertamento che il fatto non sussiste o che non ha rilievo penale o l’imputato non l’ha commesso – non comporta alcun automatismo (tanto è vero che l’art. 55-ter del D. Lgs. n. 165/2001 sul pubblico impiego privatizzato prevede, nel caso, la riapertura del procedimento disciplinare senza però imporre in tale sede una soluzione conforme al giudicato penale), ben potendo verificarsi che nel primo e nel terzo caso residuino elementi fattuali rilevanti sul piano disciplinare e non comuni al processo penale, per cui solo quando il fatto materiale è identico sui due piani può operare l’efficacia del penale; mentre con riguardo alla seconda ipotesi (irrilevanza penale del fatto) essa non esclude a priori la possibilità di una diversa rilevanza del medesimo fatto sul piano disciplinare, trattandosi di ordinamenti diversi.