Azione della Consigliera di parità per far valere il carattere (indirettamente) discriminatorio, a danno delle lavoratrici che svolgono compiti di cura familiare, della lunga pausa imposta uniformemente a tutti i dipendenti
Corte d’Appello di Firenze, 26 febbraio 2025
In una situazione in cui gli oneri di cura familiare ricadono in prevalenza sulle lavoratrici donne, il trattamento uguale, in termini di orario della pausa pranzo (di ben 90 minuti) e, di conseguenza, dell’uscita pomeridiana, provoca una discriminazione indiretta, per i diversi effetti che si verificano a seconda delle situazioni soggettive dei lavoratori destinatari della stessa regola. La discriminatorietà della rigidità oraria deriva oggettivamente dallo svantaggio per le lavoratrici che devono ritardare il rientro in famiglia, senza che rilevi l’intento soggettivo della società nell’imporre uniformemente la rigidità di orario.
A maggior ragione nei casi di azione collettiva della Consigliera di parità, l’effetto discriminatorio va valutato in termini potenziali e qualitativi, quale condizione di maggiore difficoltà nella conciliazione tra lavoro ed esigenze di cura familiare, non rilevando conseguenze effettive ed ulteriori rispetto al rientro ritardato.
In mancanza di prova del carattere essenziale all’organizzazione di impresa dell’orario uniforme, la rimozione degli effetti discriminatori va perseguita consentendo alle interessate la limitazione della pausa con conseguente uscita anticipata.