Corte costituzionale, sentenza 16 luglio 2024 n. 129
Tutele crescenti: sì alla reintegrazione in caso di mancanze disciplinari tipicizzate dal CCNL con sanzione conservativa.
Prosegue l’opera della Corte costituzionale di riequilibrio e razionalizzazione della recente disciplina del licenziamento, c.d. Jobs Act., con due importanti sentenze, che, attraverso una dichiarazione di incostituzionalità (sentenza n. 128/24) e un’interpretazione adeguatrice della legge (sentenza n. 129/24), riscrivono, integrandolo, l’ambito della tutela reintegratoria nel D. Lgs. n. 23 del 2015 (applicabile ai neo-assunti dal 7 marzo 2015), peraltro con limiti importanti. Resta infatti un po’ d’amaro, legato a questi limiti: da un lato l’esclusione della rilevanza, ai fini della tutela reintegratoria, della violazione dell’onere di repêchage nel licenziamento per ragioni d’impresa, che statisticamente è la più ricorrente e, dall’altro, l’esclusivo riferimento, per il licenziamento disciplinare, alle fattispecie tipizzate di mancanze disciplinari, che notoriamente i CCNL indicano quasi sempre in via esemplificativa, a chiarimento di formule generali ed elastiche.
Nel caso della sentenza n. 129/24, la questione di costituzionalità dell’art. 3, comma 2 della legge n. 23 del 2015 era stata sollevata (in riferimento agli artt. 2, 3, 4, 2, 34, 35, 36, 39, 40 41 e 76 Cost.) in un giudizio relativo all’impugnazione, con richiesta della tutela reintegratoria, di un licenziamento disciplinare motivato da mancanze risultate esistenti, ma che il CCNL applicabile sanzionava con una misura conservativa del rapporto. Con una decisione, che ricostruisce puntualmente il quadro normativo di contenimento della libertà di recesso del datore di lavoro (e relativa disciplina sanzionatoria), nel suo sviluppo nel tempo dalla L. n. 604/66 a quella n. 300/70, dalla L. n. 92/2012 al D. Lgs. n. 23 del 2015 (applicabile ai neo-assunti dal 7 marzo 2015), la Corte dichiara infondata la questione sotto ogni profilo considerato. Ma, in riferimento all’art. 39 Cost., il giudizio è condizionato a una interpretazione adeguatrice della norma, con riferimento all’ipotesi in cui la contrattazione collettiva tipicizzi (non quindi con norma astratta ed elastica) specifiche ipotesi di mancanze disciplinari cui ricolleghi una sanzione conservativa. Attraverso tale interpretazione, la Corte giunge a equiparate, sul piano sanzionatorio della reintegrazione c.d. minore, questa ipotesi a quella, esplicitamente considerata dalla legge, di insussistenza del fatto materiale contestato.