Corte costituzionale, sentenza 22 gennaio 2024 n. 7

22 Gennaio 2024

Licenziamento collettivo e violazione criteri di scelta: adeguata la mera tutela indennitaria.

Tipo di Atto: Corte Costituzionale

La questione di legittimità costituzionale è stata sollevata nell’ambito del giudizio di impugnazione di un licenziamento collettivo, promosso da una lavoratrice assunta e licenziata dopo il 6 marzo 2015 – quindi nel regime del D. Lgs. n. 23/2015 -, ritenuto illegittimo per violazione dei criteri di scelta. Il dubbio di incostituzionalità riguarda la disciplina, meramente indennitaria, delle conseguenze sanzionatorie (prima delle modifiche del 2018 che hanno innalzato il minimo dell’indennità da 4 a 6 mensilità e il massimo da 24 a 36 mensilità). L’abbandono nell’ipotesi considerata della tutela reintegratoria per i dipendenti assunti a partire dal 7 marzo 2015 è considerata dal giudice a quo oggetto di possibili censure di: 1) eccesso di delega del D. Lgs. n. 23 del 2015), 2) ingiustificata differenza di trattamento sanzionatorio che ne consegue, nell’ambito di un medesimo licenziamento collettivo, tra assunti prima e assunti dal 7 marzo 2015 in poi, perché solo ai primi è assicurata la tutela reintegratoria e 3) l’inadeguatezza e l’insufficiente efficacia dissuasiva della mera tutela monetaria. La Corte costituzionale, dopo aver escluso l’eccesso di delega prospettato sotto diversi profili, giustifica la differenza di trattamento sanzionatorio legata al tempo dell’assunzione dei dipendenti col richiamo alla propria giurisprudenza secondo cui il fluire del tempo può costituire un valido elemento di diversificazione delle situazioni giuridiche, qui ritenuta in concreto ragionevole in relazione alle finalità perseguite dal legislatore (favorire nuova occupazione, specialmente giovanile). Infine, ribadito che il diritto comunitario e la stessa Costituzione non impongono, in caso di licenziamento illegittimo, la tutela reintegratoria, ma una tutela comunque adeguata e dissuasiva, la Corte valuta quella indennitaria in oggetto (quale risultante a seguito della sentenza della Corte n. 194 del 2018, che ha eliminato la progressione tra il minimo e il massimo dell’indennità esclusivamente in base all’anzianità) sufficiente a garantire il diritto al lavoro. Pur ritenendo di ribadire un monito al Parlamento affinché metta mano alla situazione complessa determinata a seguito della stratificazione di discipline differenziate in una materia di così rilevante impatto sociale, che evidenzia la necessità di una rivisitazione “in termini complessivi, che investano sia i criteri distintivi dei regimi applicabili ai diversi datori di lavoro sia la funzione dissuasiva dei rimedi previsti per le disparate fattispecie”.