Corte d’Appello di Milano 9 giugno 2014
Comincia a chiarirsi il quadro delle cause da fare utilizzando il c.d. “Rito Fornero” sui licenziamenti: secondo la Corte d’Appello di Milano si segue tale strada anche quando deve prima di tutto accertarsi la titolarità del rapporto di lavoro in capo a un soggetto diverso dal formale datore di lavoro.
La legge 92 del 2012 ha introdotto delle regole processuali specifiche per le cause sui licenziamenti nelle quali venga chiesta l’applicazione dell’art. 18 stat. lav. L’art. 1, comma 47 della “Legge Fornero” prevede che l’azione in giudizio vada proposta con tali modalità anche quando debbano essere risolte in via preliminare “questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro”. Tale disposizione ha subito sollevato grandi incertezze interpretative e difformi orientamenti tra diversi giudici e diversi Tribunali, a danno della certezza delle regole di accesso alla giustizia (e col rischio di incorrere in conseguenze pregiudizievoli, visto che una parte dei giudici ritiene inammissibile il ricorso introdotto con il rito errato). Una delle questioni controverse riguarda l’ipotesi, tutt’altro che rara, nella quale il lavoratore chieda di accertare che il vero datore di lavoro era diverso da quello formale (per effetto di una somministrazione irregolare, di un appalto non genuino o di altre ipotesi analoghe), e ciò al fine di valutare la legittimità del licenziamento e di stabilire nei confronti di quale soggetto vada rivolta la domanda di reintegrazione. La Corte d’appello di Milano, riformando sul punto una diversa pronuncia del Tribunale di Monza, ha statuito che anche la questione dell’imputazione del rapporto rientra tra quelle che possono essere introdotte con lo speciale procedimento.