Corte di cassazione, ordinanza 20 giugno 2018 n. 16256
Verso il tramonto del mobbing?
Transitato nella disciplina del rapporto di lavoro allo scopo dichiarato di inserire sotto l’ala protettiva dell’art. 2087 c.c. anche comportamenti leciti del datore di lavoro, se parti di una sequenza connotata da un intento persecutorio, il mobbing, per una sorta di eterogenesi dei fini, è spesso diventato lo strumento per sottrarre alla norma protettiva i comportamenti illeciti del datore di lavoro produttivi di danno sol perché non inseriti in una serie connotata dall’intento persecutorio. Da qui, la presa di distanza della più recente giurisprudenza (cfr., ad es. Cass. sentt. nn. 7844/18, 3771/18, 3291/16) che arriva, nella presente sentenza, ad affermare che la figura del mobbing ha giuridicamente un rilievo essenzialmente descrittivo, ribadendo che l’assenza di un intento persecutorio non impedisce la valutazione di ognuno degli atti del datore di lavoro come possibile violazione dei doveri di cui all’art. 2087 c.c. e quindi possibile causa di danni risarcibili.
Sezione: rapporto di lavoro