Corte di Cassazione, ordinanza 21 maggio 2024, n. 14100
Sull’onere motivazionale che grava sul giudice che intenda discostarsi dalle conclusioni della c.t.u.
Un medico aveva agito in giudizio per ottenere la condanna dell’istituto datore di lavoro al pagamento dell’”equo indennizzo”, per avere contratto due diverse patologie per causa di servizio. Sebbene la c.t.u. medico-legale svolta in primo grado avesse riconosciuto la plausibilità del nesso tra prestazione lavorativa e patologie, la Corte d’appello aveva respinto la domanda, ritenendo non accertata la causa di servizio. La Cassazione, nell’accogliere il ricorso del lavoratore, osserva che: (i) non v’è dubbio che il giudice di merito, nella sua qualità di peritus peritorum, ha il potere di disattendere le conclusioni del c.t.u., ma ciò richiede che nella motivazione della sentenza ci sia una confutazione specifica, sul piano tecnico, di tali conclusioni, magari attraverso la valorizzazione di argomenti offerti dai consulenti di parte; (ii) nella sentenza impugnata tale confutazione manca del tutto: il giudice d’appello ha motivato il suo dissenso rispetto alle conclusioni del c.t.u. come mera conseguenza di una sua diversa opinione sulla valenza quale “rischio patogeno” dei fatti accertati, così non assolvendo, sul punto, all’obbligo motivazionale (come si verifica del resto anche in caso di acritica adesione alle conclusioni del c.t.u. o di mancata spiegazione della scelta tra le contrastanti conclusioni .di due o più c.t.u. disposte nel corso del giudizio).