Corte di cassazione, ordinanza 28 gennaio 2020 n. 1888 – Il notevole ritardo nell’esercizio di un diritto non ne determina l’estinzione.
In caso di licenziamento individuale per ridurre personale omogeneo, la scelta del licenziando va operata in base ai criteri dell’anzianità e dei carichi di famiglia.
Impossibilità sopravvenuta della reintegrazione, in caso di cessazione dell’attività aziendale.
In giudizio era stato impugnato un licenziamento per giustificato motivo oggettivo, intimato prima della legge Fornero.
Quanto alla prima massima, essendo stato il licenziamento impugnato giudizialmente nei termini e giudizialmente solo dopo quasi cinque anni (ma prima della prescrizione), la società sosteneva che tale ritardo volontario e ingiustificato rendesse abusivo il diritto, violando l’affidamento dell’altra parte. La Corte nega che nell’Ordinamento italiano esista una tale regola, salvo che il ritardo significhi inequivocabilmente rinuncia.
Anche la seconda massima esprime un orientamento ormai consolidato della Corte.
Con la terza massima, la Corte qualifica la sopravvenuta cessazione dell’attività aziendale (da provare rigorosamente caso per caso) come impossibilità sopravvenuta della prestazione di reintegrare, non imputabile al debitore. Resta la condanna dell’impresa al risarcimento danni, nella misura delle retribuzioni perdute dal licenziamento all’evento estintivo del rapporto per impossibilità sopravvenuta della prestazione.
Sezione: rapporto di lavoro