Corte di cassazione, ordinanza 29 marzo 2018 n. 7844
Mobbing e straining: art. 2087 cod. civ. e suggestione delle parole
E’ noto che non esiste in Italia una definizione legale di mobbing e che la giurisprudenza del lavoro ha adottato la nozione proveniente da altre scienze (etologia, psicologia) per estendere l’area della tutela ex art. 2087 c.c. dei lavoratori anche ad atti del datore di lavoro che, di per sé leciti, sono collegati con altri, leciti o illeciti, da un intento persecutorio. Ma, per una sorta di eterogenesi dei fini, in alcuni casi è sembrato che i giudici subordinassero la rilevanza ex art. 2087 c.c. di tutti gli atti, di per sé illeciti o leciti, della sequenza costituente il mobbing alla presenza di un intento persecutorio, viceversa di per sé estraneo alla disciplina di tale norma. Ora la Cassazione, anche sulla scia delle precedenti decisioni nn. 3971/18 e 3291/16, precisa che, a fronte di una denuncia di mobbing o di straining (che alcuno ritiene una forma di mobbing – sent. n. 3977/18 – e altri un fenomeno meno stringente – sent. n. 3291/16), l’accertamento della non continuità degli atti lesivi o dell’assenza di un intento persecutorio non esonera il giudice dal valutare se i singoli atti o omissioni denunciati rientrino o non, alcuno o tutti, tra i casi di violazione dei doveri prescritti dall’art. 2087 cod. civ. – Sezione: rapporto di lavoro