Corte di Cassazione, sentenza 12 luglio 2024, n. 19185
Nullo il licenziamento durante il Covid-19 se il rifiuto del dipendente di passare al nuovo appaltatore è giustificato.
Com’è noto, nel periodo della pandemia da Covid, il legislatore aveva vietato o sospeso temporaneamente i licenziamenti collettivi e quelli per giustificato motivo oggettivo, “salvo le ipotesi in cui il personale interessato dal recesso, già impiegato nell’appalto, sia riassunto a seguito di subentro di nuovo appaltatore…”. In un giudizio in cui la Corte d’appello aveva dichiarato la nullità, con conseguente reintegrazione “forte”, del licenziamento, in periodo di blocco, di un dipendente che si era rifiutato di trasferirsi presso il nuovo appaltatore, la Cassazione, nel rigettare il ricorso della società, osserva che: (i) ai sensi del primo comma dell’art. 46, d.l. 18/20, per come riformulato dalla legge di conversione n. 27/20, la condizione per la legittimità del licenziamento per g.m.o.(in vigenza del divieto per Covid) è rappresentata dalla nuova assunzione del lavoratore da parte dell’appaltatore subentrante; (ii) se, tuttavia, la nuova assunzione non si verifica a causa della mancata accettazione della proposta da parte del lavoratore, il licenziamento potrà considerarsi legittimo se il rifiuto si ponga in contrasto con i principi di correttezza e buona fede; (iii) tale condizione non ricorre nel caso di specie, viste le modifiche peggiorative – accertate dai giudici di merito – cui sarebbe andato incontro il lavoratore con il passaggio alle dipendenze del nuovo datore di lavoro: conseguentemente, il licenziamento deve considerarsi illegittimo; (iv) il divieto di licenziamento posto dall’art. 46, in quanto precetto con un contenuto specifico, preciso e individuato, nonché rispondente a interessi pubblici fondamentali, è da ricondurre alla categoria delle norme imperative, la cui violazione determina la nullità dell’atto di recesso ai sensi dell’art. 1418, co. 1, c.c., con conseguente reintegrazione “forte” del dipendente.