Corte di cassazione, sentenza 27 giugno 2017 n. 15973

27 Giugno 2017

Il silenzio del datore di lavoro in caso di richiesta di congedo per gravi motivi di famiglia equivale ad autorizzazione.

Tipo di Atto: Giurisprudenza di Cassazione

Nel caso esaminato, la dipendente di una Fondazione che gestisce case di cura private era stata licenziata per superamento del periodo di comporto, senza tener conto della richiesta di un lungo congedo per gravi motivi di famiglia da lei formulata ben prima del termine del comporto e alla quale la datrice di lavoro non aveva dato risposta. La Corte ricorda che, a norma delle disposizioni di attuazione dell’art. 4 della legge n. 53 del 2000 (che prevede tale tipo di congedo fino ad un massimo di due anni), il datore deve fornire, entro dieci giorni, una qualche risposta, anche interlocutoria (per abbreviare o spostare il congedo o per sviluppare il contradditorio sulla ricorrenza dei suoi presupposti) alla richiesta di congedo e trae le conseguenze indicate dal fatto che la Fondazione non aveva viceversa dato alcun seguito ad una iniziale richiesta di precisazioni, subito assolta dalla dipendente e non aveva eccepito nel giudizio di merito la mancanza di presupposti o della relativa documentazione per l’autorizzazione al congedo. Nel corpo della motivazione, la Corte ha altresì affermato che il licenziamento per superamento del periodo di comporto non deve necessariamente essere contestuale a tale superamento, ma compete al giudice valutare le circostanze del singolo caso per stabilire se il ritardo sia significativo o non della rinuncia al licenziamento.
Sezione: rapporto di lavoro privato.