Corte di Cassazione, sez. un., ordinanza interlocutoria 18 gennaio 2024, n. 1900

18 Gennaio 2024

Impresa familiare e convivente di fatto: le sezioni unite rimettono la questione alla Corte costituzionale.

Tipo di Atto: Giurisprudenza di Cassazione

Investite dalla sezione lavoro del compito di valutare la possibilità di interpretare l’art. 230 bis cod. civ. sull’impresa familiare nel senso che la disciplina ivi stabilita possa applicarsi anche al convivente more uxorio dell’imprenditore individuale nell’ambito di una causa che aveva tale oggetto, le sezioni unite della cassazione sollevano questione di legittimità costituzionale della norma codicistica (e, in via derivata, dell’art. 230 ter c.c.) per violazione degli artt. 2, 3, 4, 35 e 36 Cost., nonché dell’art. 9 della Carta dei diritti fondamentali dell’U.E., e degli artt. 8 e 12 CEDU, per la mancata estensione al convivente more uxorio (e al convivente di fatto di cui all’art. 230 ter c.c.) della disciplina dettata per il coniuge e per la parte di un’unione civile. In proposito, le sezioni unite osservano che la disposizione in esame individua i soggetti possibili partecipi all’impresa familiare esclusivamente nell’ambito della famiglia fondata sul matrimonio (ora anche sull’unione civile) e pertanto il coniuge (e la parte di un’unione civile) e non il convivente. Considerando peraltro che la ratio dell’art. 230 bis c.c. possa costituire l’espressione di un generale rifiuto della gratuità della prestazione lavorativa in una certa relazione sociale, di vita, di affetti e di solidarietà e tenendo conto della notevole diffusione della convivenza more uxorio nella società attuale, si potrebbe giungere a interpretare in maniera estensiva l’art. 230 bis nel senso indicato dal rimettente. Senonché, secondo la Corte, oggi questo è impedito dal fatto che con la legge del 2016, c.d. Cirinnà, sono stati attribuiti (in maniera evidentemente innovativa, come un minimo di tutela obbligatorio della famiglia di fatto) al convivente di fatto che presta stabilmente la propria opera nell’impresa dell’altro convivente diritti inferiori a quelli del coniuge (e delle parti di un’unione civile tra appartenenti allo stesso sesso); seguendo la interpretazione estensiva ritenuta ormai impossibile, infatti, i conviventi di fatto godrebbero prima della legge del 2016 di diritti maggiori rispetto all’epoca successiva. Da qui la decisione della Corte di sollevare la questione di legittimità costituzionale dell’art. 230 bis e in maniera derivata dell’art. 230 ter c.c., come unica via possibile per raggiungere le scopo.