Decreto Legge 20 marzo 2014 n. 34, in G.U. n. 66 del 20/03/2014

20 Marzo 2014

La mancanza di una causale oggettiva e temporanea diventa la regola del contratto di lavoro a tempo determinato (anche di somministrazione del lavoro), con gli unici limiti della durata massima di trentasei mesi, comprensiva di eventuali proroghe per la medesima attività lavorativa, non superiori ad otto e anch’esse svincolate dalla ricorrenza di ragioni oggettive e della percentuale del 20% sul totale dell’organico, limite quantitativo peraltro derogabile dalla contrattazione collettiva nazionale (art. 1). Eliminato l’obbligo di forma scritta del piano formativo individuale in ogni tipo di contratto di apprendistato. L’ instaurazione di rapporti di apprendistato non è più subordinata all’assunzione definitiva di una quota dei precedenti apprendisti. Resa facoltativa per l’apprendistato professionalizzante o contratto di mestiere l’offerta formativa pubblica integrativa di quella svolta sotto la responsabilità dell’azienda (art. 2 della legge).

Tipo di Atto: Normativa (leggi, decreti, etc.)

Nell’illusione che ciò convinca le imprese ad assumere, prosegue e si consolida l’opera di demolizione delle tutele del lavoratore, a cominciare dalla stabilità del rapporto, dapprima compromessa dalla riforma Fornero (legge n. 92 del 2012) con l’intervento sulla disciplina dell’art. 18 S.L. e con una prima liberalizzazione del lavoro a termine di durata non superiore a dodici mesi, la cui accentuazione il governo Letta aveva poi affidato alle parti sociali (art. 7 D.L. n. 76 del 2013 convertito nelle legge n. 99/2013) e che oggi si avvia a sparire per effetto del decreto legge in esame (pubblicato sulla G.U. n. 66 del 20 marzo 2014, parte generale). Ora è infatti possibile assumere a termine o stipulare contratti di lavoro interinale senza alcun limite intrinseco, che rimandi cioè ad esigenze oggettive e temporanee. Non appare pertanto peregrina l’ipotesi che di fatto il contratto a termine e con esso la precarietà del rapporto diventi in futuro e in maniera permanente l’unica forma di accesso al mercato del lavoro. Con buona pace dell’affermazione, di derivazione comunitaria, del primato del contratto di lavoro a tempo indeterminato, ancora formalmente presente nell’incipit della legge sul contratto a termine. E con la conseguente perdita per i lavoratori, insieme alla stabilità, della possibilità di tutela della sicurezza e della dignità sui luoghi di lavoro. Ma anche con la compromissione delle possibilità di crescita professionale, dannosa per le stesse imprese e per il sistema Paese nel suo insieme. Compromissione aggravata dall’attenuazione degli obblighi formativi che il medesimo decreto legge prevede per il rapporto di apprendistato (col rischio che vi è connesso di una fine ingloriosa quale quella del contratti di formazione e lavoro, con le imprese italiane costrette a restituire allo Stato le agevolazione al riguardo ottenute: v. la newletter n. 3, a commento di Cass. n. 2631/2014).