Tribunale di Milano, 21 luglio 2016
L’abitazione del lavoratore, dove questi svolga abitualmente la propria prestazione anche tramite strumenti destinati a tale fine, può essere considerata “sede di attività” dell’azienda.
Nel caso in esame la lavoratrice, residente in Italia, aveva concluso un contratto di lavoro con una società avente domicilio in uno stato non membro dell’Unione Europea. Sulla base dell’art 20, comma 2, e degli artt. 4 e 21 del Regolamento UE del 12 dicembre 2012 n. 1215, il giudice dichiara la competenza giurisdizionale italiana. Poiché la lavoratrice svolgeva la propria prestazione da casa, e deteneva presso la stessa materiale appartenente alla società, si può infatti ritenere che la dimora in questione costituisse “dipendenza aziendale”, e dunque sede utile ai fini della determinazione della giurisdizione ai sensi del regolamento comunitario. Per quanto riguarda invece la legge applicabile, il Tribunale ritiene che il mero riferimento a leggi e normative inglesi non sia indice di una scelta delle parti a favore dell’ordinamento britannico. Ne consegue l’illegittimità del licenziamento orale della lavoratrice.